Geopolitica
Milei fa uscire l’Argentina dai BRICS e limona duro sul palco del capodanno
L’Argentina a fine 2023 ha formalmente rifiutato l’invito a diventare membro del gruppo dei Paesi BRICS. Lo hanno riferito diversi media, citando una lettera ufficiale che hanno visto e che è stata inviata ai leader di Russia, Cina, India, Brasile e Sud Africa.
Sebbene il neopresidente Javier Milei avesse già espresso la sua contrarietà all’adesione all’alleanza prima di essere eletto, la mossa rappresenta una completa inversione di marcia rispetto alla politica del suo predecessore, Alberto Fernandez, che aveva accettato l’invito ad unirsi al gruppo dei cinque Paesi in agosto, ritenendo che tale mossa avrebbe offerto al paese latinoamericano un «nuovo scenario» per il suo sviluppo.
Il Milei, che ha vinto la presidenza dopo le accese elezioni presidenziali dello scorso novembre, aveva detto allora che non avrebbe «spinto per accordi con i comunisti perché non rispettano i parametri fondamentali del libero scambio, della libertà e della democrazia». La Repubblica Popolare Cinese un mese fa aveva risposto pubblicamente al proposito del presidente eletto di rompere i rapporti fra i Paesi.
Una delle lettere di Buenos Aires è stata pubblicata venerdì dai media e apparentemente era indirizzata al presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva. Si afferma che la politica del nuovo governo argentino «differirà in molti casi da quella del governo precedente» e che alcune delle sue decisioni, inclusa la «partecipazione attiva ai BRICS», saranno «riviste».
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Nessuno dei paesi BRICS finora ha confermato ufficialmente di aver ricevuto la lettera.
Anche il ministro degli Esteri argentino Diana Mondino, che in precedenza era stato consigliere economico senior di Milei, ha affermato che il suo governo non «vede alcun vantaggio» nel diventare membro del gruppo e quindi «non si unirà ai BRICS».
Nella lettera si precisa allo stesso tempo che il governo Milei intende «intensificare» i legami bilaterali con i Paesi BRICS, in particolare nei settori del commercio e degli investimenti.
In precedenza, il presidente aveva affermato che, anche se non si sarebbe «allineato con i comunisti», il suo governo non avrebbe comunque impedito al settore privato argentino di fare affari con «chiunque voglia».
Come riportato da Renovatio 21, Milei – in controtendenza totale rispetto al resto del mondo – invece che procedere in direzione di una de-dollarizzazione (come stava facendo il governo precedente sino a poco fa, quando aveva iniziato a trattare in yuan) vuole attuare una ri-dollarizzazione dell’intera economia argentina, agganciando il peso locale al dollaro.
Buenos Aires è attualmente alle prese con la peggiore crisi economica degli ultimi decenni. Solo nell’ultimo anno l’inflazione è aumentata del 160%. Il peso gravemente svalutato ha costretto il paese a rifinanziare il suo debito di 44 miliardi di dollari nei confronti del FMI. Il governo di Milei sta anche affrontando massicce proteste contro il suo programma di deregolamentazione radicale e di riforma basato sull’austerità.
Il Milei sta facendo parlare gli argentini e non solo loro anche per la sua comparsata sul palco di uno spettacolo fine anno, dove stava lavorando la sua compagna Fatima Florez.
El desagradable beso entre Fátima Florez y Javier Milei.
Esto va a dar la vuelta al mundo por el papelón que significa un presidente haciendo esto. pic.twitter.com/tF6MH621kr
— Gabriel Sotelo (@gabrielsotelo93) December 30, 2023
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I media argentini hanno commentato solerti l’improvvido uso pubblico della «lengua».
Non si sa bene cosa pensare di questo bacio appassionato – un vero e proprio momento di limone pubblico – fatto ad occhi chiusi e con la guancia semovente. È facile tuttavia dimenticare che il neopresidente ha vantato pubblicamente di essere stato «instructor de sexo tantrico», nonché usufruttore di rapporti amorosi triadici.
Come riportato da Renovatio 21, il Milei rappresenta la prima occasione nella storia per l’attuazione di un programma politico ed economico di matrice anarco-capitalista: il personaggio, già membro del World Economic Forum, è infatti patito dei pensatori ultraliberisti americani (Rothbard, Friedman, etc.), che cita come fossero la Sacra Scrittura.
L’ossessione arriva al punto che ai suoi cani – che sono dei cloni prodotti in USA – ha dato i nomi dei pensatori ipercapitalisti (Milton, Murray, etc.). Il cane di cui gli attuali quadrupedi di casa sono clonaggi, morto anni or sono, verrebbe contattato dal Milei tramite un medium, riportano i giornali argentini.
Come riportato da Renovatio 21, meno noti sono gli agganci che Milei avrebbe con l’oligarcato economico argentino, specie di qualche figura di religione ebraica (alla quale il neopresidente, filoisraeliano assai, dice di volersi convertire quanto prima) che era in passato – magari con un passato di legami economici potenti con George Soros – fiancheggiatore della stessa casta contro cui Milei ha lanciato la sua crociata politica.
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Immagine screenshot da YouTube
Geopolitica
Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino
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Geopolitica
Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina
Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che il presidente statunitense Donald Trump rappresenta l’unico leader occidentale in grado di cogliere le vere motivazioni alla base del conflitto ucraino.
Parlando mercoledì al Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, Lavrov ha spiegato che, mentre gli Stati Uniti manifestano una «crescente impazienza» verso il percorso diplomatico mirato a cessare le ostilità, Trump è tra i pochissimi esponenti occidentali a comprendere le dinamiche che hanno originato la crisi.
«Il presidente Trump… è l’unico tra tutti i leader occidentali che, subito dopo il suo arrivo alla Casa Bianca nel gennaio di quest’anno, ha iniziato a dimostrare di aver compreso le ragioni per cui la guerra in Ucraina era stata inevitabile», ha dichiarato.
Lavrov ha proseguito sottolineando che Trump possiede una «chiara comprensione» delle dinamiche che hanno forgiato le politiche ostili nei confronti della Russia da parte dell’Occidente e dell’ex presidente statunitense Joe Biden, strategie che, a suo dire, «erano state coltivate per molti anni».
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Il ministro ha indicato che «si sta avvicinando il culmine dell’intera saga» ucraina, affermando che Trump ha sostanzialmente ammesso che «le cause profonde identificate dalla Russia devono essere eliminate».
Il vertice della diplomazia russa ha menzionato in modo specifico le storiche riserve di Mosca sull’aspirazione ucraina all’adesione alla NATO e la persistente violazione dei diritti della popolazione locale.
Lavrov ha poi precisato che Trump resta «l’unico leader occidentale a cui stanno a cuore i diritti umani in questa situazione», contrapposto ai governi dell’UE che, secondo Mosca, evadono il tema. Ha svelato che la roadmap statunitense per un’intesa includeva esplicitamente la tutela dei diritti delle minoranze etniche e delle libertà religiose in Ucraina, «in linea con gli obblighi internazionali».
Tuttavia, sempre secondo Lavrov, tali clausole sono state indebolite nel momento in cui il documento è stato sottoposto all’UE: il testo è stato modificato per indicare che l’Ucraina dovrebbe attenersi agli standard «adottati nell’Unione Europea».
Da tempo Mosca denuncia la soppressione della lingua e della cultura russa da parte di Kiev, oltre ai sforzi per limitare i diritti delle altre minoranze nazionali, e al contempo accusa i leader ucraini di fomentare apertamente il neonazismo nel paese.
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Immagine dell’Ufficio stampa della Duma di Stato della Federazione Russa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
Geopolitica
Gli europei sotto shock per la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per il 2025
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