Geopolitica
Milei dice che il presidente colombiano è un «assassino terrorista». Bogotà espelle tutti i diplomatici argentini
La Colombia ha espulso tutti i diplomatici argentini dall’ambasciata del paese a Bogotà dopo che il presidente argentino Javier Gerardo Milei ha definito il presidente colombiano Gustavo Petro un «assassino terrorista».
«Le espressioni del presidente argentino hanno deteriorato la fiducia della nostra nazione, oltre ad offendere la dignità del presidente Petro, che è stato eletto democraticamente», ha dichiarato mercoledì in un comunicato il ministero degli Esteri colombiano.
«In questo contesto, il governo della Colombia ordina l’espulsione dei diplomatici dall’ambasciata argentina in Colombia», aggiunge la nota.
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In un’intervista con il servizio in lingua spagnola della CNN che andrà in onda questa domenica, Milei ha detto di Petro: «non puoi aspettarti molto da qualcuno che è stato un assassino terrorista».
Il leader argentino si riferiva al passato di Petro come guerrigliero di sinistra. L’attuale presidente colombiano si era unito al Movimento 19 aprile (M19) da adolescente, alla fine degli anni Settanta, prima che il gruppo si imbarcasse in una campagna di rapimenti, furti di armi, sequestri di terre e omicidio di più di una dozzina di politici. Petro fu arrestato nel 1985, torturato e incarcerato per 18 mesi per possesso illegale di armi.
Petro è entrato in politica dopo la smobilitazione dell’M19 alla fine degli anni Ottanta ed è stato eletto presidente nel 2022. Di sinistra, il suo governo ha – secondo il ministro della Giustizia Nestor Osuna – adottato una politica di tolleranza nei confronti della produzione di cocaina su piccola scala. Ha anche stretto accordi di cessate il fuoco con gruppi di guerriglia e promesso riforme sociali, lavorative e ambientali. Tuttavia, le riforme si sono rivelate costose e difficili da attuare e l’indice di gradimento del Petro è sceso dal 56% nel 2022 al 26% alla fine dello scorso anno.
Milei si trova all’estremità opposta dello spettro politico. Anarcocapitalista dichiarato, Milei è stato eletto lo scorso anno su una piattaforma radicale di riforma economica. Milei ha chiuso metà dei dipartimenti governativi argentini, licenziato decine di migliaia di burocrati e promesso di chiudere la Banca Centrale del Paese.
Mentre alcune delle sue politiche hanno dato i loro frutti (la deregolamentazione del mercato immobiliare ha immediatamente tagliato gli affitti a Buenos Aires del 20% e il Paese ha raggiunto un surplus finanziario per la prima volta in più di un decennio a gennaio), l’inflazione è salita oltre il 250%. e la povertà ha raggiunto livelli record.
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All’inizio di quest’anno, la Colombia aveva richiamato il suo ambasciatore in Argentina dopo che Milei aveva definito Petro «un assassino comunista che sta rovinando la Colombia».
Come riportato da Renovatio 21, Milei ha più volte attaccato il connazionale papa Bergoglio per la sua comunanza con quelli che definisce «sanguinari dittatori di sinistra», talvolta usando anche espressioni di pesante insulto. I due argentini si sono tuttavia incontrati e salutati affettuosamente a Roma poche settimane fa.
L’attacco al «socialismo» che permeerebbe ancora la scena mondiale è stato ribadito dal presidente argentino al World Economic Forum di Davos lo scorso gennaio.
Per tale questione ideologica, Milei non si è fatto problemi ad esacerbare i rapporti con la Repubblica Popolare Cinese, per poi mettere anche in discussione l’adesione di Buenos Aires con i BRICS.
Come riportato da Renovatio 21, il governo Milei parrebbe intenzionato anche a riaprire con Londra la questione delle Falkland-Malvinas.
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Immagine di Cámara de Diputados de la Nación di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Geopolitica
Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino
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Geopolitica
Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina
Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che il presidente statunitense Donald Trump rappresenta l’unico leader occidentale in grado di cogliere le vere motivazioni alla base del conflitto ucraino.
Parlando mercoledì al Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, Lavrov ha spiegato che, mentre gli Stati Uniti manifestano una «crescente impazienza» verso il percorso diplomatico mirato a cessare le ostilità, Trump è tra i pochissimi esponenti occidentali a comprendere le dinamiche che hanno originato la crisi.
«Il presidente Trump… è l’unico tra tutti i leader occidentali che, subito dopo il suo arrivo alla Casa Bianca nel gennaio di quest’anno, ha iniziato a dimostrare di aver compreso le ragioni per cui la guerra in Ucraina era stata inevitabile», ha dichiarato.
Lavrov ha proseguito sottolineando che Trump possiede una «chiara comprensione» delle dinamiche che hanno forgiato le politiche ostili nei confronti della Russia da parte dell’Occidente e dell’ex presidente statunitense Joe Biden, strategie che, a suo dire, «erano state coltivate per molti anni».
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Il ministro ha indicato che «si sta avvicinando il culmine dell’intera saga» ucraina, affermando che Trump ha sostanzialmente ammesso che «le cause profonde identificate dalla Russia devono essere eliminate».
Il vertice della diplomazia russa ha menzionato in modo specifico le storiche riserve di Mosca sull’aspirazione ucraina all’adesione alla NATO e la persistente violazione dei diritti della popolazione locale.
Lavrov ha poi precisato che Trump resta «l’unico leader occidentale a cui stanno a cuore i diritti umani in questa situazione», contrapposto ai governi dell’UE che, secondo Mosca, evadono il tema. Ha svelato che la roadmap statunitense per un’intesa includeva esplicitamente la tutela dei diritti delle minoranze etniche e delle libertà religiose in Ucraina, «in linea con gli obblighi internazionali».
Tuttavia, sempre secondo Lavrov, tali clausole sono state indebolite nel momento in cui il documento è stato sottoposto all’UE: il testo è stato modificato per indicare che l’Ucraina dovrebbe attenersi agli standard «adottati nell’Unione Europea».
Da tempo Mosca denuncia la soppressione della lingua e della cultura russa da parte di Kiev, oltre ai sforzi per limitare i diritti delle altre minoranze nazionali, e al contempo accusa i leader ucraini di fomentare apertamente il neonazismo nel paese.
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Immagine dell’Ufficio stampa della Duma di Stato della Federazione Russa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
Geopolitica
Gli europei sotto shock per la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per il 2025
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