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Geopolitica

Medvedev lancia la lista dei «nemici della Russia»

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Mosca dovrebbe iniziare a creare un database della «feccia russofoba» e avvisarla dell’inevitabile punizione per i suoi misfatti, ha affermato l’ex presidente e capo del Consiglio di sicurezza russo, Demetrio Medvedev.

 

Medvedev è da tempo un estremista nel conflitto ucraino e ha iniziato il suo ultimo post su Telegram criticando la «vile feccia» in Occidente che sosteneva la possibilità di consentire a Kiev di colpire in profondità il territorio russo con le armi della NATO.

 

«Vorrei parlare di un’altra cosa, però: della necessità di ricordare le chiamate criminali di singoli mostri occidentali e di prepararsi alla punizione», ha scritto il Medvedev.

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«È necessario usare l’arma del nemico. Nonostante una serie di evidenti problemi legali, vale la pena considerare la creazione di un database pubblico aperto dei nostri nemici con i loro dati personali. Per scopi piuttosto pratici», ha aggiunto.

 

Si tratta probabilmente di un riferimento ai siti web legati al governo ucraino che ospitano un database di presunti nemici dello Stato dal 2014, in seguito al colpo di stato di Kiev sostenuto dagli Stati Uniti.

 

Un certo numero di persone presenti nel database sono state assassinate presumibilmente da mano ucraina, facendo pensare ad una vera «kill list di Kiev». Non è mai stata denunciata, né dal governo ucraino né dai suoi sostenitori in Occidente.

 

Come riportato da Renovatio 21, quando fu trovato Oleksij Kovaljov – parlamentare di opposizione alla Verkhovna Rada (il Parlamento di Kiev) – assassinato nella sua casa, la sua voce sulla foto segnaletica il bollino «likvidovan», ossia «liquidato».

 

La lista nera comprendeva anche Vladen Tatarskij, giornalista russo ucciso da una bomba mentre si trovava ad una presentazione di un caffè San Pietroburgo. Nella lista ci è anche il nome di Zakhar Prilepin, ferito da un attentato che ha ucciso il suo amico autista, e pure quello di Konstantin Malofeev, un editore sfuggito da un’autobomba trovata in tempo dalle forza di sicurezza russe. Nell’elenco vi era anche a Darja Dugina, uccisa da un’autobomba nell’agosto 2022.

 

Secondo il Medvedev, la giustizia esige che i promotori del terrorismo e coloro che incitano alla violenza vengano messi in guardia.

 

«La storia è piena di esempi di vendette rimandate», ha aggiunto, sottolineando l’incessante persecuzione dell’Unione Sovietica nei confronti di Leone Trotsky o del collaborazionista nazista ucraino Stepan Bandera, la Russia che in tempi moderni perseguita «terroristi e traditori» e gli Stati Uniti e altri Paesi occidentali che prendono di mira i loro nemici.

 

La cosa importante, sosteneva, era «l’inevitabilità» della vendetta, così che «ogni creatura, indipendentemente dalla sua nazione, fede, cittadinanza e posizione, che ha commesso un crimine contro il nostro Paese e il nostro popolo», sappia che sta arrivando e si trasformi in «un topo malato di ansia e paranoia».

 

«Tali operazioni sono pianificate con cura e non sempre funzionano. Ma devono essere fatte. Questo è estremamente importante, per il bene della giustizia finale e in memoria delle vittime innocenti», ha detto Medvedev.

 

Medvedev, significa letteralmente in lingua russa «degli orsi», ma è oramai chiaro che sarebbe meglio chiamarlo «dei falchi», vista la sua incessante verve combattiva contro i nemici di Mosca.

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Giurista di formazione, era considerato «liberale» dall’Occidente quando presiedeva la Russia tra il 2008 e il 2012. Ha continuato a servire come primo ministro fino al 2020, quando è stato messo a capo del Consiglio di sicurezza nazionale.

 

Come riportato da Renovatio 21, la lista nera ucraina arrivò a celebrare la morte di Silvio Berlusconi apponendo sulla sua foto la consueta scritta «likvidovan», «liquidato». Il «crimine» di Berlusconi agli occhi di Kiev è stato quello di aver incolpato il presidente ucraino Zelens’kyj dell’escalation del conflitto Russia-Ucraina e di aver ripetutamente chiesto un cessate il fuoco. Negli ultimi mesi della sua vita, l’opposizione alla guerra contro la Russia era stata ripetuta con forza da Berlusconi dentro e fuori della politica, dentro e fuori degli ospedali, arrivando a dichiarare che «siamo in guerra anche noi perché gli mandiamo le armi».

 

Nel corso degli anni, il sito web con la lista nera ucraina ha inserito nella lista nera politici e personaggi pubblici occidentali di alto profilo, tra cui il presidente croato Zoran Milanovic, il primo ministro ungherese Viktor Orban (che intercettazioni emerse sulla stampa americana mostrano essere un obiettivo del regime Zelens’kyj), il segretario di Stato statunitense in pensione Henry Kissinger e il Pink Floyd Roger Waters, nonché Al Bano e Toto Cotugno, nonché, per un breve periodo, Elon Musk.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’unica figura politica occidentale a muoversi direttamente contro la «kill list» ucraina, è stato Robert F. Kennedy jr.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0); immagine ingrandita.

 

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Geopolitica

Israele arma e finanzia i combattenti drusi nella Siria meridionale

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Nel contesto delle tensioni del governatorato di Suwaida, alti comandanti drusi riferiscono che il governo israeliano ha armato e finanziato le milizie druse che cercano di ottenere un ampio margine di autonomia nella zona. Lo riporta il sito Antiwar.   Suwaida è il centro storico della minoranza drusa e a luglio si è verificato un massiccio massacro di civili drusi durante la repressione militare. Il movimento islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS) ha promesso di portare l’intero Paese sotto il controllo del governo centrale, ma dopo il massacro molti drusi ritengono essenziale un certo grado di autonomia.   Sebbene lo Stato Ebraico sia impegnato in colloqui con i jihadisti di HTS, sembra tuttavia volerne minarne la stabilità con l’invasione, dichiarata permanente, della Siria sudoccidentale e Suwayda è vicina a quell’area.   Si stima che nella zona siano attivi circa 3.000 combattenti della milizia drusa e molti di loro ora ricevono armi e stipendi dagli israeliani, scrive Antiwar.

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L’HTS non ha le idee chiare su come intende centralizzare il controllo nella zona, ma è una delle numerose regioni in cui sta ancora cercando di rafforzare il proprio potere, in genere quelle con un gran numero di minoranze religiose o etniche.   Il mese scorso, l’HTS ha annunciato che avrebbe rinviato tutte le elezioni a Suwaida , il che probabilmente limiterà la rappresentanza dei drusi in parlamento.   Gli Stati Uniti e la Giordania, che in genere sostengono l’idea che la Siria rimanga contigua e senza alcuna autonomia sostanziale, hanno riferito martedì di aver concordato una «roadmap» per far progredire la situazione a Suwaida.   Non hanno detto cosa ciò comportasse, ma l’ambasciatore statunitense Tom Barrack ha espresso il suo solito entusiasmo per l’idea, definendola positiva per l’HTS e quindi positiva per «tutti i siriani».   L’esercito siriano, da parte sua, ha ritirato le armi pesanti da Suwaida. Queste armi erano state in gran parte dispiegate nel governatorato durante il massacro di luglio e, sebbene tali ridispiegamenti possano ridurre le tensioni, non sembra che abbiano ritirato le truppe di terra schierate nella zona.   Come riportato da Renovatio 21, la strategia del caos siriano come «benefico per Israele» è stata confermata mesi da dall’ex capo della Direzione dell’Intelligence Militare israeliana Tamir Hayman in un’intervista alla Radio dell’esercito israeliano.   Civili drusi sono stati negli scorsi mesi giustiziati da forze affiliate al governo siriano. «Continueremo a proteggere i drusi anche in Siria», ha dichiarato Katz, senza menzionare i numerosi cristiani perseguitati nella stessa regione. Le chiese del governatorato di Suwaida hanno recentemente subito bombardamenti incendiari e attacchi da parte di jihadisti affiliati al governo.

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Geopolitica

L’Arabia Saudita e il Pakistan firmano un patto di difesa reciproca

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L’Arabia Saudita e il Pakistan, dotato di armi nucleari, hanno siglato un accordo formale di difesa reciproca, consolidando ulteriormente la loro partnership di sicurezza decennale tra le due nazioni musulmane.

 

La decisione giunge in seguito a una sessione congiunta straordinaria tra la Lega Araba e l’Organizzazione per la Cooperazione Islamica (OCI), durante la quale gli stati membri hanno condannato l’attacco israeliano della settimana precedente alla capitale del Qatar, Doha, mirato a funzionari del gruppo armato palestinese Hamas. Secondo i media, l’episodio ha sollevato timori tra le nazioni del Golfo riguardo alla capacità degli Stati Uniti di garantire la loro sicurezza.

 

Mercoledì a Riad, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman e il primo ministro pakistano Shehbaz Sharif hanno sottoscritto il patto di difesa tra i loro Paesi.

 

«Questo accordo, che riflette l’impegno comune di entrambe le nazioni a rafforzare la propria sicurezza e a promuovere pace e stabilità nella regione e nel mondo, mira a potenziare la cooperazione in materia di difesa tra i due paesi e a consolidare una deterrenza congiunta contro qualsiasi aggressione», si legge nella dichiarazione congiunta di Riad e Islamabad.

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Secondo l’accordo, qualsiasi attacco contro l’Arabia Saudita o il Pakistan «sarà considerato un’aggressione contro entrambi», si è sottolineato.

 

L’India, che a maggio ha affrontato un conflitto militare di quattro giorni con il Pakistan a seguito di un attacco terroristico contro turisti nel territorio dell’Unione di Jammu e Kashmir, ha dichiarato che «esaminerà le implicazioni di questo sviluppo per la nostra sicurezza nazionale e per la stabilità regionale e globale».

 

Nuova Delhi era al corrente dei legami di sicurezza tra Riad e Islamabad e sapeva che era in preparazione un patto di difesa tra le due parti, ha scritto su X il portavoce del Ministero degli Esteri indiano Randhir Jaiswal.

 

Un alto funzionario saudita ha dichiarato a Reuters che l’accordo con il Pakistan rappresenta «il culmine di anni di discussioni. Non è una risposta a Paesi o eventi specifici».

 

Le relazioni tra Arabia Saudita e India «sono più solide che mai. Continueremo a rafforzarle e a contribuire alla pace regionale in ogni modo possibile», ha aggiunto.

 

I legami militari tra Riad e Islamabad risalgono a oltre mezzo secolo fa, con migliaia di ufficiali sauditi addestrati in Pakistan, ai tempi della guerra in Afghanistan, quando con finanziamenti sauditi e comando americano si implementò quella che la CIA chiamava «Operazione Ciclone», con il reclutamento di jihadisti da tutto il mondo (all’epoca si chiamavano più pudicamente mujaheddin) allo scopo di combattere la presenza sovietica in Afghanistan.

 

Tra gli operativi sauditi che operavano nella zona vi era il rampollo di ricca famiglia Osama Bin Laden, che con altri gestiva quella che era il database dell’insieme delle forze islamiste convocate a combattere i soldati di Mosca, una lista poi chiamata al-Qaeda, che significa appunto «la base».

 

La partnership in ambito di difesa rimane attiva attraverso programmi di addestramento ed esercitazioni congiunte.

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Geopolitica

La Spagna annulla accordi sulle armi con Israele per oltre 1 miliardo di dollari

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La Spagna ha cancellato quasi 1 miliardo di euro di contratti di difesa con aziende israeliane, la sua mossa più forte finora nell’ambito delle misure recentemente annunciate dal Primo Ministro Pedro Sanchez contro Gerusalemme Ovest, hanno riferito martedì i media, citando fonti governative.   Questa decisione fa seguito all’impegno assunto da Sanchez la scorsa settimana di sancire per legge il divieto di vendita e acquisto di armi da Israele in relazione alla sua offensiva a Gaza.   Secondo quanto riportato, il ministero della Difesa ha annullato un contratto da 700 milioni di euro per 12 lanciarazzi SILAM e un contratto da 287,5 milioni di euro per 168 missili anticarro Spike LR. I sistemi SILAM, basati sulla piattaforma israeliana Elbit PULS, avrebbero dovuto essere costruiti da un consorzio spagnolo, secondo l’agenzia di stampa EFE. Si prevede che le cancellazioni saranno finalizzate la prossima settimana, mentre Madrid si prepara a disimpegnarsi militarmente e tecnologicamente da Israele, alla ricerca di fornitori alternativi.

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  La decisione arriva mentre Israele spinge un’offensiva su Gaza City, volta a conquistare quella che definisce l’ultima importante roccaforte di Hamas. Il gabinetto di sicurezza ha approvato il piano il mese scorso, con l’obiettivo di portare la città – una delle poche aree non sotto il controllo delle IDF – sotto piena occupazione.   Sanchez è tra i più severi critici di Israele in Europa e ha accusato lo Stato ebraico di aver commesso «atrocità e genocidio» a Gaza, presentando nove misure per porre fine alla «complicità» della Spagna, tra cui un embargo permanente sulle armi, divieti per ministri israeliani estremisti, sospensione della cooperazione militare, restrizioni sulle importazioni dagli insediamenti e un aumento degli aiuti umanitari per i palestinesi.   Anche diversi paesi in Europa e nel resto del mondo si sono mossi per sospendere o limitare le esportazioni di armi verso Israele. Italia, Belgio, Paesi Bassi, Giappone e Slovenia hanno imposto divieti totali o parziali, mentre la Germania ha dichiarato che non approverà più le esportazioni che potrebbero essere utilizzate a Gaza.   Nel frattempo, la Commissione Internazionale Indipendente d’Inchiesta delle Nazioni Unite ha dichiarato martedì che la campagna di Israele equivale a genocidio, citando l’intento di distruggere i palestinesi attraverso atti definiti dalla Convenzione sul Genocidio del 1948.   Israele deve anche affrontare un caso separato per genocidio presso la Corte Internazionale di Giustizia.

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Immagine di Outsnn via Wikimedia pubblicata su licenzia Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported  
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