Geopolitica
Medvedev: dopo Kursk, la Russia deve «rimuovere ogni tabù» nell’intervento in Ucraina
L’ex presidente Dmitrij Medvedev ha suggerito che la Russia dovrebbe rispondere al tentativo di incursione di Kiev nella regione di Kursk impossessandosi del territorio che Mosca attualmente riconosce come Ucraina.
L’esercito ucraino ha avviato questa settimana un raid transfrontaliero che ha coinvolto circa 1.000 soldati, che finora ha causato la morte di cinque civili e ne ha feriti oltre 30 in Russia. L’operazione è stata sventata dall’esercito russo e dalle guardie di frontiera, ha riferito mercoledì il capo di stato maggiore Valerij Gerasimov, stimando le vittime ucraine a 315, di cui 100 uccise in azione.
«Da questo momento, l’operazione militare speciale dovrebbe diventare apertamente di natura extraterritoriale», ha sostenuto Medvedev, che è vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, in un post di giovedì.
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«Possiamo e dovremmo andare oltre ciò che esiste ancora come Ucraina. A Odessa, Kharkov, Dnepropetrovsk, Nikolaev. A Kiev e oltre. Non dovrebbero esserci restrizioni in termini di confini riconosciuti», ha spiegato l’ex presidente.
Medvedev, considerato un falco del conflitto ucraino, ha affermato che «l’operazione terroristica» nella regione di Kursk dovrebbe «rimuovere ogni tabù» nel dichiarare pubblicamente che le forze russe «si fermeranno solo quando lo considereremo accettabile e vantaggioso per noi».
L’UE ha approvato l’operazione ucraina nella regione di Kursk. Il portavoce della Commissione Europea Peter Stano ha affermato che il paese ha il diritto di difendersi, «anche colpendo l’aggressore sul suo territorio».
Gli Stati Uniti hanno lasciato intendere di non essere stati informati dei piani di Kiev, con il portavoce per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, che ha dichiarato alla stampa: «abbiamo intenzione di contattare i nostri partner ucraini per avere un quadro più completo di quanto accaduto».
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Immagine di Government.ru via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International; immagine tagliata ed ingrandita
Geopolitica
Trump: Zelens’kyj deve essere «realista»
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Geopolitica
Gli Stati Uniti sequestrano una petroliera al largo delle coste del Venezuela
Il procuratore generale statunitense Pam Bondi ha annunciato il sequestro di una petroliera sospettata di trasportare greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran.
L’operazione, condotta al largo delle coste venezuelane, si inserisce in un’escalation delle attività militari americane nella regione, unitamente a raid contro quelle che Washington qualifica come imbarcazioni legate ai cartelli della droga.
«Oggi, l’FBI, la Homeland Security Investigations e la Guardia costiera degli Stati Uniti, con il supporto del Dipartimento della Difesa, hanno eseguito un mandato di sequestro per una petroliera utilizzata per trasportare petrolio greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran», ha scritto Bondi su X mercoledì.
Ha precisato che la nave era stata sanzionata «a causa del suo coinvolgimento in una rete di trasporto illecito di petrolio a sostegno di organizzazioni terroristiche straniere».
Nel video diffuso da Bondi si vedono agenti delle forze dell’ordine, pesantemente armati, calarsi dall’elicottero sulla tolda della nave. Secondo il portale di tracciamento MarineTraffic e vari media, l’imbarcazione è stata identificata come «The Skipper», che batteva bandiera della Guyana. Fonti come ABC News riportano che la petroliera, con una capacità fino a 2 milioni di barili di greggio, era diretta a Cuba.
Today, the Federal Bureau of Investigation, Homeland Security Investigations, and the United States Coast Guard, with support from the Department of War, executed a seizure warrant for a crude oil tanker used to transport sanctioned oil from Venezuela and Iran. For multiple… pic.twitter.com/dNr0oAGl5x
— Attorney General Pamela Bondi (@AGPamBondi) December 10, 2025
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Gli Stati Uniti avevano sanzionato la The Skipper già nel 2022, accusandola di aver contrabbandato petrolio a beneficio del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniana e del gruppo militante libanese Hezbollah.
Un gruppo di parlamentari statunitensi ha di recente sollecitato un’inchiesta sugli attacchi condotti su oltre 20 imbarcazioni da settembre, ipotizzando che possano configurare crimini di guerra.
Il senatore democratico Chris Coons, intervistato martedì su MSNBC, ha accusato Trump di «trascinarci come sonnambuli verso una guerra con il Venezuela». Ha argomentato che l’obiettivo reale del presidente sia l’accesso alle risorse petrolifere e minerarie del paese sudamericano.
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha rigettato le affermazioni di Trump sul presunto ruolo del suo governo nel narcotraffico, ammonendo Washington contro l’avvio di «una guerra folle».
Il Venezuela ha denunciato gli Stati Uniti per pirateria di Stato dopo che la Guardia costiera americana, coadiuvata da altre forze federali, ha abbordato e sequestrato una petroliera sanzionata nel Mar dei Caraibi.
Caracas ha reagito con durezza, definendo l’intervento «un furto manifesto e un atto di pirateria internazionale» finalizzato a sottrarre le risorse energetiche del Paese.
«L’obiettivo di Washington è sempre stato quello di mettere le mani sul nostro petrolio, nell’ambito di un piano deliberato di saccheggio delle nostre ricchezze», ha dichiarato il ministro degli Esteri Yvan Gil.
Il governo venezuelano ha condannato gli «arroganti abusi imperiali» degli Stati Uniti e ha giurato di difendere «con assoluta determinazione la sovranità, le risorse naturali e la dignità nazionale».
Da anni Caracas considera le sanzioni americane illegittime e contrarie al diritto internazionale. Il presidente Nicolas Maduro le ha definite parte del tentativo di Donald Trump di rovesciarlo e ha respinto come infondate le accuse di legami con i narcos, avvertendo che qualsiasi escalation militare condurrebbe a «una guerra folle».
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Immagine screenshot da Twitter
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