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Politica

Mario Monti vuole censura e propaganda: «un sistema che dosi dall’alto l’informazione, con metodi meno democratici»

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«Bisogna trovare un sistema che dosi dall’alto la comunicazione, con metodi meno democratici».

 

Lo ha detto il senatore a vita Mario Monti, già premier per la prima, breve stagione di tecnocrazia del 2011 che fu preludio dell’era dei Draghi.

 

L’onorevole bocconiano, già Commissario Europeo, lo ha detto in una trasmissione TV de La 7.

 

«Da due anni con lo scoppio della pandemia abbiamo visto che il modo in cui è organizzato il nostro mondo è desueto, non serve più»

«Da due anni con lo scoppio della pandemia abbiamo visto che il modo in cui è organizzato il nostro mondo è desueto, non serve più» ha dichiarato. La risposta a qualcosa che non va più, lo sappiamo bene, è un reset. Un Grande Reset. Ma il Monti, che nel 2013 aprì il World Economic Forum di Davos, non usa l’espressione. Pone solo la questione.

 

Il membro del Bilderberg se la prende quindi con un elemento in particolare: la comunicazione.

 

«Subito, quando è comparso il virus, abbiamo usato il termine guerra, ma non abbiamo usato una politica di comunicazione adatta alla guerra» ha detto il presidente della Bocconi, inconsapevole del fatto che la politica di comunicazione della guerra si chiama, in lingua italiana e non solo, «propaganda».

 

La comunicazione in stato di guerra è censura, menzogna, strategia falsa e crudele per tenere alto il morale del proprio popolo e fiaccare quello del nemico. Oggi forse si potrebbe porre solo il secondo caso: alcuni dicono oggi che il nemico delle élite è il loro stesso popolo… Ma non divaghiamo.

 

La cosa più strabiliante tuttavia è che una comunicazione affine alla propaganda bellica in questo biennio pandemico si è vista, eccome. La negazione di qualsiasi contradditorio, la censura di notizie contrarie all’interesse di Stato, la creazione di successivi capri espiatori (i runner, i giovani della movida, i no vax) risponde bene a forme di comunicazione politica degli anni Trenta e primi Quaranta.

 

Monti tuttavia non sembra averci pensato. Lui vorrebbe militarizzare la comunicazione come, del resto, è stata militarizzata (letteralmente) la campagna di vaccinazione, affidata al Generale Figliuolo.

 

Lui vorrebbe un diverso schema che contenga, diciamo così, la libertà di espressione.

 

«Io credo che bisognerà trovare un sistema che dosi dall’alto l’informazione, con metodi meno democratici»

«Io credo che bisognerà trovare un sistema che dosi dall’alto l’informazione, con metodi meno democratici». Testuale.

 

Nel senso, lo ha detto sul serio.  Del resto è quello che non è che si è tirato indietro quando c’era da dire che l’Europa ha bisogno della crisi economica così da fare cedere alle popolazioni riluttanti ulteriori residui di sovranità nazionali rimasti loro.

 

Amarcord 2011.

 

In studio la conduttrice Concita De Gregorio osa chiedergli chi dovrà quindi stabilire quale dose di notizie debba essere trasmessa.

 

Ovvio: «il governo, ispirato, nutrito e istruito dalla autorità sanitarie». Cioè, una junta di politici e virologi, pronti a vagliare su quello che una testata giornalista, un sito, un profilo social media di utente singolo possono avere in cuore di dire.

 

«Noi ci siamo abituati alla possibilità incondizionata di dire qualsiasi verità o qualsiasi sciocchezza sui media»

Anche qui, a Monti deve essere sfuggito che in realtà in larga parte è già così. Qui a Renovatio 21 ne sappiamo qualcosa, e la questione era iniziata da ben prima della pandemia. Bastava occuparsi di certe cose, o anche solo accennarne, per esempio la possibile correlazione tra autismo e vaccini, e puf ti si materializzava un ente partner di Microsoft a interrogarti e schedarti. Gli stessi, mesi dopo, ti mettevano in una lista di diffusori di fake news per aver riportato la tesi della fuga dal laboratorio del virus, argomento che ti cagionava immediatamente la censura più draconiana sui social media. In molteplici occasioni.

 

Ma torniamo al bocconico-bilderberghiano a vita e alle sue sorprendenti, liberatorie ultime dichiarazioni TV.

 

«Noi ci siamo abituati alla possibilità incondizionata di dire qualsiasi verità o qualsiasi sciocchezza sui media».

 

Tale possibilità, vorremmo ricordare al Mario, si chiama articolo 21 della Costituzione Italiana. Potrebbe consultarla sul sito dell’istituzione che gli pagherà, con il nostro danaro, un emolumento finché campa  – il Senato.

 

«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure» Costituzione Italiana, art. 21

«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure».

 

Che volete farci, la Costituzione è per Monti divenuta come il suo partito, Scelta Civica: cioè, biodegradabile.

 

Quanti ricordi: Scelta Civica il partitone con cui nel 2013 voleva vincere le elezioni, dopo essere atterrato dall’alto (concetto che torna, nella sua vita) nel 2011 in una spirale infinita di eventi pazzeschi… la detronizzazione di Berlusconi (prodromo materiale della fine della democrazia rappresentativa in Italia), la morte di Gheddafi (e il conseguente Tsunami migratorio), lo spread (arma geopolitica tedesca che liquidava i nostri residui di sovranità politica ed economica anche sotto il tendone dell’Euro)…

 

Il tutto avveniva, enigmaticamente, nei giorni in cui il Monti veniva creato senatore a Vita dal presidente Giorgio Napolitano, mentre la Francia (quella con cui adesso si fanno misteriosi trattati in Quirinale) disintegrava i nostri interessi in Libia con l’aiuto di britannici e americani.

 

Scelta Civica non prese oltre il 10%: una cifra mostruosa per molti partiti, ma per il veicolo parlamentare del leader una percentuale inaccettabile. Tutti abbandonarono la barca, alcuni rivendicando tutto lo stipendio, alcuni riagglutinandosi magari nel Partito Democratico, alcuni sparendo nel niente come grillini qualsiasi. Scelta Civica era già stata ribattezzata su Dagospia «Sciolta Civica». Un partito biodegradabile, uno dei tanti che ci hanno fatto votare (ma ce ne sono tanti anche che, pur stando in Parlamento, non ci hanno fatto votare).

 

Vogliamo ricordare, così en passant, che alla confezione del Monti politico partecipò attivamente anche la Chiesa italiana dell’ultima era Ratzinger. A Todi, i «cattolici adulti» fecero un convegno e lo incoronarono. Lui ricambiò mettendo in lista vari personaggi dell’establishment dell’8 per mille.

 

 

Nel partito di Monti, come nel suo governo, i «cattolici» di sistema si affiancavano ad altri personaggi chiacchierati per eventuale affiliazione massonica. Sulla carta, una mistura infallibile, che copre tutto lo spettro di potere dell’Italia profonda. Nella realtà, il niente.

 

Quindi, eccoci di nuovo a incontrare la figura del Mario Monti.

 

Al quale, vogliamo ricordarlo, in campagna elettorale 2013 fu affidato un cagnolino. Era una trovata di una giornalista TV per contrastare il suo principale avversario, Silvio Berlusconi, che con Dudù e i beagle animalisti faceva sfracelli.

 

La presentatrice, che voleva umanizzare il tecno-premier, glielo mise in braccio. Lui farfugliò: «questo è un vile ricatto», poi tentò di spiegare perché lo si poteva trovare «empaticamente freddo» all’idea dell’adozione di un cagnolino. Il cagnolino venne ribattezzato quindi «Empy». Monti più tardi rivelò pubblicamente di essere contrariato dall’operazione.

 

 

Ad oggi non si sa che fine abbia fatto Empy. Per una volta, ci uniamo ad una richiesta dell’onorevole Brambilla, che aveva domandato che fine aveva fatto il maltese.

 

Monti ce ne dia comunicazione, anche dall’alto. Nessuno di lui lo censurerà.

 

 

 

Immagine di Niccolò Caranti via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0); immagine tagliata.

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Politica

Brigitta Macron contro le femministe: «stupide stronze»

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La moglie del presidente francese Emmanuel Macron, Brigitte, ha provocato un’ondata di indignazione dopo aver definito le manifestanti femministe «salles connes», cioè «stupide stronze».

 

All’inizio di questa settimana è emerso un video (poi cancellato) in cui la first lady francese, domenica scorsa, chiacchierava in privato nel backstage con l’attore e comico ebreo sefardita Ary Abittan, in passato accusato di stupro. L’artista 51enne era in tournée per la prima volta dopo che i giudici istruttori avevano archiviato il caso per mancanza di prove.

 

La sera precedente, il collettivo femminista Nous Toutes («Tutte noi») aveva fatto irruzione nel suo spettacolo di cabaret: alcune attiviste, con maschere raffiguranti il volto dell’attore e la scritta «stupratore», si erano alzate in mezzo al pubblico gridando «Abittan stupratore» prima di essere accompagnate fuori.

 

Nel video trapelato, Abittan scherza sul fatto di sentirsi ancora nervoso, probabilmente temendo il ritorno delle manifestanti. Si sente chiaramente Brigitte Macron rispondere in tono scherzoso: «Se ci sono delle stupide stronze, le cacceremo via».

 

Martedì un portavoce dell’Eliseo ha spiegato che la first lady stava solo cercando di tranquillizzare l’attore e che il suo commento era diretto unicamente ai metodi radicali usati per interrompere lo spettacolo.

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Nonostante la precisazione, le reazioni sono state immediate e trasversali: politici di tutti gli schieramenti, attivisti e personalità del mondo del cinema hanno condannato le parole.

 

La segretaria nazionale dei Verdi, Marine Tondelier, le ha definite «estremamente gravi»; la senatrice LR Agnès Evren le ha giudicate «profondamente sessiste». Persino l’ex presidente François Hollande ha criticato la scelta lessicale della first lady. L’attrice Judith Godrèche, divenuta simbolo della lotta contro le violenze sessuali nel cinema francese dopo aver denunciato abusi subiti da minorenne, ha chiesto la fine di questi comportamenti nel settore culturale e ha pubblicato un breve messaggio su Instagram contro le dichiarazioni di Brigitte Macron. Il collettivo Nous Toutes ha poi trasformato la frase in un hashtag virale sui social.

 

Brigitta Macron era già finita al centro dell’attenzione nei mesi scorsi per una lunga vicenda giudiziaria legata alle teorie complottiste che la descrivono come transgender. Una sentenza di quest’anno ha condannato e multato le due donne che avevano diffuso la falsa notizia, riaccendendo il dibattito sulle molestie online contro le figure pubbliche.

 

Il caso aveva avuto risonanza internazionale dopo che la commentatrice americana Candace Owens ne aveva ripreso le accuse, per poi dichiarare che i Macron avessero ordinato il suo assassinio.

 

Come riportato da Renovatio 21, Macron aveva chiesto personalmente a Trump di intercedere con la Owens per farla smettere di parlare dell’incredibile teoria per cui la Brigitta sarebbe nata uomo.

 

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Immagine di Mélanie Praquin via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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Trump: Zelens’kyj deve indire le elezioni

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Il presidente statunitense Donald Trump ha invitato l’Ucraina a convocare elezioni, mettendo in dubbio le autentiche prerogative democratiche del Paese in un’intervista a Politico diffusa martedì.   Trump ha lanciato una nuova provocazione a Volodymyr Zelens’kyj, il cui quinquennio presidenziale è terminato a maggio 2024, ma che ha declinato di indire consultazioni elettorali presidenziali, invocando la legislazione di emergenza bellica.   Lo Zelens’kyj era stato scelto alle urne nel 2019 e, a dicembre 2023, ha annunciato che Kiev non avrebbe proceduto a elezioni presidenziali o legislative fintantoché perdurasse lo stato di guerra. Tale regime è stato decretato in seguito all’acutizzazione dello scontro con la Russia a febbraio 2022 e, da allora, è stato prorogato più volte dall’assemblea nazionale.   Trump ha dichiarato a Politico che la capitale ucraina non può più addurre il perdurante conflitto come pretesto per rinviare il suffragio. «Non si tengono elezioni da molto tempo», ha dichiarato Trump. «Sai, parlano di democrazia, ma poi si arriva a un punto in cui non è più una democrazia».   Rispondendo a un quesito esplicito sull’opportunità di un voto in Ucraina, Trump ha replicato «è il momento» e ha insistito che si tratta di «un momento importante per indire le elezioni», precisando che, pur «stiano usando la guerra per non indire le elezioni», gli ucraini «dovrebbero avere questa scelta».   Come riportato da Renovatio 21, il presidente della Federazione Russa Vladimiro Putin ha spesse volte dichiarato di considerare illegittimo il governo di Kiev, sostenendo quindi per cui firmare un accordo di pace con esso non avrebbe vera validità.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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Tentativo di colpo di Stato in Benin

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Un gruppo di militari del Benin, paese dell’Africa occidentale, ha proclamato la propria ascesa al potere attraverso la tv di stato SRTB. Tuttavia, diverse fonti hanno indicato che un assalto alla residenza presidenziale è fallito.

 

I soldati hanno sfruttato la rete televisiva per annunciare la sospensione delle istituzioni nazionali e della Costituzione beninese, ordinando la chiusura di tutte le frontiere aeree, terrestri e marittime. Hanno designato il tenente colonnello Pascal Tigri come presidente del Comitato Militare per la Rifondazione (CMR), «a partire da oggi». In seguito, il segnale del canale è stato tagliato.

 

Il ministro degli Esteri del Benin, Olushegun Adjadi Bakari, ha riferito all’agenzia Reuters che «un piccolo gruppo» di militari ha orchestrato un tentativo di golpe, ma le truppe leali al presidente Patrice Talon sono al lavoro per ristabilire la normalità. «C’è un tentativo in corso, ma la situazione è sotto controllo… La maggior parte dell’esercito rimane fedele e stiamo riprendendo il dominio della faccenda», ha precisato.

 

Il governo ha poco fa diffuso un video in lingua francese per spiegare l’accaduto. A parlare è Sig. Alassane Seidou, ministro dell’Interno e della Pubblica Sicurezza del Paese.

 

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«Cari concittadini, Nelle prime ore del mattino di domenica 7 dicembre 2025, un piccolo gruppo di soldati ha scatenato un ammutinamento con l’obiettivo di destabilizzare lo Stato e le sue istituzioni. Di fronte a questa situazione, le Forze Armate del Benin e i loro vertici, fedeli al giuramento, rimasero fedeli alla Repubblica».

 

«La loro risposta ha permesso loro di mantenere il controllo della situazione e di sventare la manovra. Di fronte a questa situazione, le Forze Armate del Benin e i loro vertici, fedeli al giuramento, rimasero fedeli alla Repubblica. Pertanto, il Governo invita la popolazione a continuare a svolgere le proprie attività come di consueto».

 

A Cotonou, la principale città del Benin, si sono sentiti spari sin dalle prime ore di domenica, sebbene le voci di un colpo di stato non siano ancora verificate, ha dichiarato Maxim Meletin, portavoce dell’ambasciata russa nel paese africano, all’agenzia African Initiative.

 

«Dalle 7 del mattino, abbiamo rilevato colpi d’arma da fuoco e detonazioni di granate nei dintorni della residenza presidenziale. Stando a indiscrezioni non confermate, militari beninesi si sono presentati alla tv nazionale per proclamare la destituzione del presidente», ha proseguito Meletin.

 

Una fonte vicina a Talon, interpellata da Jeune Afrique, ha raccontato che uomini in divisa hanno provato a irrompere nella residenza presidenziale intorno alle 6 del mattino ora locale, con il capo dello Stato ancora all’interno. L’incursione sarebbe stata sventata dalle guardie di sicurezza, e il presidente sarebbe illeso.

 

Tuttavia, questi dettagli non hanno ricevuto conferme indipendenti da canali ufficiali. Unità dell’esercito fedeli al regime in carica hanno risposto con una controffensiva. Si parla di elicotteri che pattugliano Cotonou, mentre varie zone del centro urbano risultano bloccate.

 

Talon è al timone del Benin dal 2016; il suo secondo e ultimo mandato scadrà nel 2026. La Carta Costituzionale ammette soltanto due quinquenni presidenziali, e le urne per il dopo-Talon sono in programma il 12 gennaio 2026.

 

Nell’agosto 2025, la maggioranza al governo ha sostenuto la corsa alla presidenza del ministro dell’Economia e delle Finanze, Romuald Wadagni.

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