Civiltà
Manipolare i virus è «una scommessa che la Civiltà non può permettersi di rischiare»
«Le pandemie naturali possono essere inevitabili. Quelle sintetiche, costruiti con piena consapevolezza delle vulnerabilità della società, non lo sono. Non impariamo a creare pandemie finché non saremo in grado di difenderci in modo affidabile».
Kevin Esvelt, assistente professore al MIT Media Lab, è considerato uno degli inventori della temibile tecnologia gene drive, che prevede l’alterazione di interi ecosistemi a partire dalla bioingegneria CRISPR. Il gene drive prevede l’inserimento di un particolare gene su tutta una populazione di creature. È stato proposto per sterilizzare ratti e zanzare (come riportato più volte da Renovatio 21) ma è considerato anche come «erbicida genetico».
Il biondo studioso ha confidato le sue ambizioni e le sue frustrazioni in un documentario Netflix, Unnatural Selection, dove è peraltro visibile anche Andrea Crisanti, che come noto lavorava sulle zanzare.
«Le pandemie naturali possono essere inevitabili. Quelle sintetiche, costruiti con piena consapevolezza delle vulnerabilità della società, non lo sono»
Nonostante egli sia protagonista di uno dei più mostruosi, titanici sforzi biotecnologici al mondo, parrebbe ora avere paura.
In un editoriale scritto per il Washington Post, egli dà conto dei documenti trapelati con la richiesta di una sovvenzione al contribuente americano per il laboratorio di Wuhan, dove 14, 2 milioni di dollari sarebbero stati usati in «un progetto per scoprire, combinare e progettare coronavirus simili alla SARS altamente infettivi».
Politici, media, opinione pubblica sono scandalizzati, ma mancano di domandarsi la cosa più importante.
«La domanda più grande di tutte non viene posta con sufficiente insistenza: perché qualcuno sta cercando di insegnare al mondo come creare virus che potrebbero uccidere milioni di persone?»
«La domanda più grande di tutte non viene posta con sufficiente insistenza: perché qualcuno sta cercando di insegnare al mondo come creare virus che potrebbero uccidere milioni di persone?»
Acclude l’argomento che tante volte abbiamo utilizzato su Renovatio 21 per allertare sulla necessità di ridiscutere interamente ricerca genetica, laboratori, virologia tutta nonché i trattati sulle armi biologiche (disattesi da tutti i firmatari, è risaputo).
«Come la fisica nucleare, con il suo potenziale di catastrofe globale quando viene posta a fini distruttivi, la proliferazione della biologia pandemica dovrebbe essere considerata una questione di sicurezza internazionale». Sono sante parole.
Di più:
«Realizzare un’arma nucleare richiede le risorse di uno stato-nazione, ma molti individui ora possono costruire e modificare virus da soli»
«Realizzare un’arma nucleare richiede le risorse di uno stato-nazione, ma molti individui ora possono costruire e modificare virus da soli. Alcuni critici della biotecnologia affermano che chiunque potrebbe farlo in un garage. Questo è sbagliato; tale bioingegneria richiede anni di formazione. Tuttavia, il numero di persone che possono costruire un virus dal DNA sintetico non è piccolo. Solo nel mio laboratorio al MIT, cinque persone hanno questa capacità».
Sempre più pauroso.
Esvelt smonta anche la tesi per cui la ricerca virologica gain of function (cioè, di alterazione genetica dei virus in modo da renderli compatibili con la nostra specie) possa servire come comprensione delle future pandemie.
C’è un enorme effetto collaterale: «identificare in modo credibile un singolo virus come capace di causare una pandemia significa dare a migliaia di persone il potere di brandirlo come un’arma. Scoprire molti virus pericolosi o imparare a potenziare quelli più deboli significa condividere i progetti per un arsenale di pesti».
«Prima di scoprire virus che potrebbero rivaleggiare con le armi nucleari in termini letali, dovremmo essere consapevoli che le conseguenze di un uso improprio potrebbero essere peggiori che se uno qualsiasi di questi agenti patogeni si riversasse naturalmente».
Qui il ricercatore introduce lo scenario più inquietante e – in termini di evoluzione dell’estremismo nel contesto post-pandemico – probabile: il bioterrorismo.
«Un individuo maligno potrebbe introdurre più virus pandemici in diverse località del mondo, ad esempio in una mezza dozzina di aeroporti principali, rendendo quasi impossibile il contenimento»
«Un individuo maligno potrebbe introdurre più virus pandemici in diverse località del mondo, ad esempio in una mezza dozzina di aeroporti principali, rendendo quasi impossibile il contenimento». Il collasso globale fatto facile.
«Per fortuna, non sappiamo ancora di alcun virus animale che si prevede possa causare una pandemia se rilasciato deliberatamente» scrive Esvelt. Tuttavia, «ciò non durerà se i progetti di ricerca sul guadagno di funzione riescono nell’ingegneria o nell’evoluzione di quelli che possono farlo».
E non è finita: il j’accuse punta il dito pure su ministeri ed enti sanitari internazionali.
Ancora oggi, «più allarmante, svariate agenzie sanitarie in tutto il mondo stanno finanziando attivamente gli sforzi per trovare, studiare e classificare i virus animali che hanno maggiori probabilità di causare una nuova pandemia».
Ecco che, quindi, va richiesta una supervisione di competenza – ma non biologica, politica, financo militare.
«Questi progetti sono il lavoro di scienziati ben intenzionati che fanno del loro meglio per salvarci dalle piaghe naturali. Ma sono ricercatori biomedici ed epidemiologi, non esperti di difesa; i problemi di sicurezza e non proliferazione non fanno parte della loro formazione o mandato».
Gli studi gain of function sono qualcosa di troppo delicato per lasciarlo solo nelle mani dei virologi. Perché la posta in gioca è, davvero, la continuazione della Civiltà.
«Una volta considerata la possibilità di un uso improprio, per non parlare di un uso improprio creativo, tale ricerca sembra una scommessa che la Civiltà non può permettersi di rischiare»
«Una volta considerata la possibilità di un uso improprio, per non parlare di un uso improprio creativo, tale ricerca sembra una scommessa che la Civiltà non può permettersi di rischiare».
Secondo il biologo, siamo ancora in tempo per fermarci.
«Molti fisici che hanno contribuito al Progetto Manhattan hanno vissuto per vedere la proliferazione nucleare minacciare il mondo. Per le pandemie, gli esperimenti critici non sono ancora stati eseguiti».
«Imploro ogni scienziato, finanziatore e nazione che lavora in questo campo: per favore, fermatevi. Niente più ricerche per scoprire o creare virus in grado di contrastare la pandemia, migliorarne la virulenza o assemblarli più facilmente».
«Non è più necessario cercare di scoprire quali componenti consentono ai virus di infettare o replicarsi in modo efficiente all’interno delle cellule umane o di escogitare modi ereditabili per eludere l’immunità. Niente più esperimenti in grado di diffondere progetti per le epidemie».
Già. Quello a cui stiamo assistendo invece – Renovatio 21 lo scriveva anni prima della pandemia – è l’esatto opposto: la resurrezione delle pesti.
Imagine di fl0rm via Deviantart pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 3.0 Unported (CC BY-NC 3.0)
Civiltà
Gli Stati Uniti mettono in guardia l’Europa dalla «cancellazione della civiltà»
L’Europa rischia la «cancellazione della civiltà», in quanto i leader del continente promuovono la censura, soffocano le voci dissidenti e ignorano gli effetti dell’immigrazione incontrollata, avverte la nuova Strategia per la sicurezza nazionale diffusa dall’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump.
Il testo, dal tono aspro e innovativo, reso pubblico venerdì, rileva che, sebbene l’Unione Europea mostri chiari segnali di stagnazione economica, è il suo deterioramento culturale e politico a costituire una minaccia ben più grave.
La strategia denuncia le scelte migratorie dell’UE, la repressione dell’opposizione, i vincoli alla libertà di espressione, il crollo della natalità e la «perdita di identità nazionali e di autostima», ammonendo che il Vecchio Continente potrebbe risultare «irriconoscibile entro 20 anni o anche meno».
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Secondo il documento, numerosi governi europei stanno «intensificando i loro sforzi lungo la traiettoria attuale», mentre Washington auspica che l’Europa «rimanga europea» e si liberi dal «soffocamento regolatorio», un’allusione evidente alle tensioni transatlantiche sulle norme digitali dell’UE, accusate di penalizzare colossi tech americani come Microsoft, Google e Meta.
Tra le priorità degli Stati Uniti figura il «coltivare la resistenza alla traiettoria odierna dell’Europa all’interno delle nazioni europee», precisa il testo.
La strategia trumpiana esalta inoltre l’emergere dei «partiti patriottici europei» come fonte di «grande ottimismo», alludendo al boom di consensi per le formazioni euroscettiche di destra che invocano restrizioni ferree ai flussi migratori in tutto il blocco.
Il documento sentenzia che «l’era delle migrazioni di massa è conclusa». Sostiene che questi flussi massicci abbiano prosciugato le risorse, alimentato la criminalità e minato la coesione sociale, con l’obiettivo americano di un ordine globale in cui gli Stati sovrani «collaborino per bloccare anziché solo gestire» i movimenti migratori.
Tale posizione si inserisce nel contesto delle spinte di Trump affinché i partner europei della NATO incrementino le spese per la difesa. In passato, il presidente aveva ventilato di non tutelare i «paesi inadempienti» in caso di aggressioni, qualora non avessero accolto le sue istanze. Durante un summit europeo all’inizio dell’anno, l’alleanza ha approvato un piano per elevare la spesa complessiva in difesa fino al 5% del PIL, superando di gran lunga la soglia del 2% a lungo stabilita dalla NATO.
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Civiltà
Da Pico all’Intelligenza Artificiale. Noi modernissimi e la nostra «potenza» tecnica
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Civiltà
Chiediamo l’abolizione degli assessorati al traffico
Renovatio 21 propone una soluzione apparentemente drastica, ma invero assai realistica, ad uno dei problemi che affligge l’uomo moderno: il traffico.
Non si parla di una questione da niente, e ci rendiamo conto che essa pertiene propriamente alla catastrofe del mondo odierno, e proprio per questo serve una modifica radicale di carattere, soprattutto, istituzionale.
Lo aveva capito il genio di Marshall McLuhan: «La strada è la fase comica dell’era meccanica (…) Il traffico è l’aspetto comico della città» (Gli Strumenti del comunicare, 1964). Il culmine comico dell’era dell’industria: la civiltà costruisce strade ed automobili per muoversi in libertà e rapidità, e si ritrova imbottigliata per ore, innervosita, massacrata da miriadi di leggi, restrizioni, multe.
Il traffico è un fenomeno generatore di caos e dolore, di isterie e sprechi – il tutto subito sulla nostra pelle, ogni singolo giorno – al quale nessuno sembra trovare soluzione, soprattutto quanti sarebbero preposti a risolverlo. Costoro sembrano invece, consapevoli o no, impegnati nell’aggravarsi del dramma.
Davanti a noi abbiamo la degradazione continua, inarrestabile della mobilità urbana. È difficile trovare qualcuno che possa dire che il traffico è migliorato, o che una soluzione azzeccata adottata su una qualche strada non sia stata poi azzerata da una scelta successiva, calata, come tutte, dall’alto, sul cittadino schiavo inerme.
Crediamo che uno dei motivi di tale regressione diacronica ed ubiqua sua l’esistenza dei cosiddetti assessorati al traffico, che si chiamano in vari modi (uffici mobilità, dipartimento dei trasporti, direzione viabilità), ma che sono tutti costruiti attorno ad uno assunto semplice: spendere un determinato budget per cambiare le strade.
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Probabilmente la questione è davvero così semplice: nell’impossibilità di non spendere l’ammontare di danaro assegnato (grande tabù per qualsiasi ente pubblico: i soldi che risparmi non generano un premio, ma una diminuzione della cifra che arriva l’anno dopo) gli assessori e i loro scherani non possono che mettere mano ovunque, con decisioni a volte incomprensibili, a volte ideologiche, e quasi sempre dannosissime.
Ecco che, perché l’assessorato deve fare qualcosa, invertono un senso unico, cagionando il disorientamento totale del cittadino automunito, che d’un tratto si trova non solo multato, ma anche al centro di un pericolo per sé e per gli altri. Ricordiamo le tecniche dei missionari: cambiare la forma del villaggio è aprire la mente dell’indigeno all’altro, qui tuttavia non c’è il Vangelo a dover essere diffuso, ma il nulla di una decisione burocratica stupida e gratuita – gratuita per modo di dire, perché anche per un’inezia del genere vi è un costo non indifferente per il contribuente.
Ecco che, perché l’assessore deve finire sui giornali, l’area viene pedonalizzata: ZTL laddove prima potevi passare per portare i figli a scuola o fermarti nel negozietto (che ne patirà, ovvio, le conseguenze). Sempre considerando che le ZTL sono da vedersi come riserve indiane degli elettori dei partiti di sinistra, gli unici che possono permettersi di vivere in centro.
Ecco che, perché l’assessore deve far carriere nel partitello con le fisime ecologiche, laddove c’erano due corsie ce ne troviamo una sola, con una, perennemente vuota, riservata ad autobus che fuori dalle ore di scuola sono oramai solo utilizzati da immigrati che con grande probabilità non pagano il biglietto e in caso potrebbero pure picchiare il controllore (succede, lo sapete). Il risultato è, giocoforza, un imbottigliamento ancora più ferale, un’eterogenesi dei fini per politica ecofascista che è, in ultima analisi, solo una mossa di PR inutile quanto oscena.
Ecco la sparizione di parcheggi gratuiti – grande segno della fine della Civiltà – così da scoraggiare, come da comandamento di Aurelio Peccei, l’uso dell’auto che produce anidride carbonica, orrenda sostanza per qualche ragione alla base della chimica organica e quindi della vita stessa, soprattutto quella umana. Chi va all’Estero – non in Giappone, ma in un Paese limitrofo come l’Austria – sogna vedendo la quantità di parcheggi sotterranei creati attorno alle cittadine, senza tanti problemi per gli scavi al punto che, con recente politica, il rampollo Porsche si è fatto il suo tunnel che lo porta da casa al centro di Salisburgo in un batter d’occhio.
Il superamento del traffico attraverso la dimensione infera è stato compreso, con la solita mistura di genio e concretezza, da Elon Musk con la sua Boring Company: se vuoi migliorare la tragedia del traffico l’unico modo di farlo è andando verso il basso, anche se sembrerebbe che il prossimo misterioso modello di Tesla, la Roadster, potrebbe poter operare verso l’alto. Noi, tuttavia, non abbiamo Elone, abbiamo gli assessori al traffico.
E poi, i capolavori – sempre trainati da ideologia verde, interessi cinesi impliciti e tagli di nastro sul giornale – della «micromobilità», con i monopattini e le bici «free-floating» rovinate, abbandonate e utilizzate, in larghissima parte, dalle masse di eleganti africani, che magari con esse si spostano con più agilità per certe loro attività, come lo spaccio di droga: massì, vuoi non pagargli, oltre che vitto-alloggio-acqua-gas elettricità-internet-telefonino-avvocato-sanità-bei vestiti alla moda anche dei mezzi di trasporto con cui, appunto, possono evitare il traffico? Tipo: un inseguimento di una gazzella della Polizia nel traffico contro un criminale in monopattino, come finisce? L’eterogenesi dei fini qui non è nemmeno comica, è tragicomica, o tragica e basta.
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Potremmo continuare con la lista. Laddove c’era una rotonda che funzionava meglio di un semaforo (ogni tanto, qualcuna la devono azzeccare, ma non dura) ecco che te la cancellano e ci mettono cordoli, fiori, pianticelle, magari perfino un monumento orrendo o una fontana lercia.
Laddove c’era una strada larga, eccotela divorata da un nuovo mega-marciapiede che non usa nessuno, se non i ciclofascisti zeloti, i quali tuttavia divengono presto vittime della follia viabilitaria, con sensi unici e corsie di trenta centimentri anche per i velocipedi.
Laddove c’era una strada dritta che in 50-100 metri ti portava allo snodo, loro, per farti arrivare al medesimo punto, ti costruiscono una deviazione di mezzo chilometro che ti manda sotto un supermercato, un tribunale, una palestra, una pizzeria, appartamenti di lusso e uffici pubblici – insomma un bel progetto di complessone che qualcuno deve aver costruito e in qualche modo venduto, con tutti incuranti del fatto che se all’esame di urbanistica all’Università proponevi una cosa del genere venivi bocciato seduta stante.
Laddove devono costruire una tangenziale, magari con decenni di ritardo, ti rendi conto che si dimenticano di fare le uscite nei comuni che attraversa e ci fanno l’immissione con uno stop invece di una corsia di accelerazione, con il risultato che entri a 0 km/h in una strada dove da sinistra ti arriva uno che viaggia ufficialmente a 70-90 km/h, che poi divengono sempre 100-120 km/h se non, nel caso del tizio con l’Audi in leasing, cinque vaccini e chissà cos’altro in corpo, perfino di più.
E non parliamo dei casi di corruzione che saltano fuori in quegli uffici – dove ci sono appalti, ci sono mazzette, uno pensa. Ma non è nemmeno questo il punto: nel disastro, gli effetti della malizia possono essere indistinguibili da quelli dell’ebetudine conclamata dei soggetti e del sistema.
È difficile, davvero, trovare qualcosa di positivo in quello che fanno quanti sono politicamente preposti al miglioramento della mobilità – cioè dell’esistenza – dei cittadini. Il motivo, lo ripetiamo, è strutturale: gli assessorati sono macchine strutturate per modificare, cioè complicare, le cose. In pratica, sono l’essenza stessa della burocrazia, con effetti fisici però immediati e devastanti.
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La soluzione a tutto questo potrebbe essere davvero facile-facile: abolizione completa degli assessorati al traffico. Con essa, si perderebbe l’incentivo strutturale a cambiare sempre e comunque tutto, e a valutare con più responsabilità le innovazioni.
Immaginiamo che se la viabilità fosse fra le mansioni dirette del sindaco, cioè se la responsabilità fosse la sua, le decisioni sulla mobilità sarebbero più dosate e sensate, perché esposte al popolo con il quale il primo cittadino ha certo un rapporto più diretto, nonché mediato dal voto, passato e soprattutto futuro.
È una proposta che non sappiamo se sia già stata fatta. Certo si possono valutare cose anche più radicali: come la punizione per quanti complicano e distruggono la viabilità delle nostre città. Lo sappiamo, è la mancanza di castigo che crea aberrazioni ed orrori, con la devastazione di tanta parte d’Italia dovuta a questo principio di irresponsabilità della casta politico-burocratica.
La realtà è che, per ottenere qualcosa, il cittadino sincero-democratico automunito deve arrabbiarsi molto di più. Non basta ringhiare al bar, o imprecare dentro l’abitacolo, magari pure, a certe latitudini, suonando il clacsone. Non serve alimentare un sistema che, alla fine, continua a produrre assessori al traffico, e traffico.
No, serve davvero di più. Perché l’auto è davvero un mezzo di libertà, e aggiungiamo, di vita – l’auto è uno strumento della famiglia. Chi vuole togliervela – come quelli di Davos, le cui idee percolano poi giù giù fino al vostro assessorino – odia la vita, odia voi e i vostri figli.
Chiedere l’abolizione degli assessorati al traffico ci sembra il minimo che possiamo fare se vogliamo sul serio lottare per la Civiltà.
Roberto Dal Bosco
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