Bizzarria
Manifestazione pubblica degli zoofili in Germania
Un gruppo di sedicenti zoofili tedeschi ha protestato la scorsa settimana per chiedere l’eliminazione la legge sulla protezione degli animali del Paese, la quale vieta qualsiasi rapporto sessuale tra esseri umani e animali.
La manifestazione è stata ripresa dall’agenzia statale russa Ruptly, ora non più visibili in Europa. Si è trattata, scrive Summit News, di una sorta di «marcia dell’orgoglio zoofilo».
Un partecipante, intervistato fra immagini di pastori tedeschi e uno striscione colorato multilingua del «Zoophile-right day» («giornata dei diritti zoofili»), dichiara di aver avuto una volta un rapporto sessuale con un cane maschio, «che mi ha usato, diciamo». «Al momento vivo con una femmina di pastore tedesco».
Zoophilia pride march in Germany pic.twitter.com/xrzSnDob3R
— samirah k. (@SameeraKhan) August 16, 2022
«Per me è molto più facile costruire una relazione con gli animali che con gli umani» dice l’occhialuto signore intervistato. «Quindi per me è più facile avere qualche contatto sessuale con un animale piuttosto che con un umano».
Alcuni utenti di Twitter notano che le facce dei cani ripresi non sembrano particolarmente allegre.
La legge tedesca sulla protezione degli animali vieta qualsiasi atto sessuale con animali. I trasgressori devono affrontare una pesante sanzione di 25 mila euro.
Tuttavia la locomotiva d’Europa ha varie volte avuto casi di questo genere finiti ad avere copertura pubblica.
Qualche hanno fa la testata Frankfurter Rundschau scrisse che la landestierschutzbeauftragte («responsabile di stato per la tutela degli animali») Madeleine Martin, aveva preso a dire che legge è oramai totalmente manchevole riguardo al tema dello «stupro animale».
Un concetto da capogiro, e da vomito, ma che rispondeva ad una serie di casi specifici.
La funzionaria tedesca racconta un caso accaduto nel Gross-Gerau, Germania sudoccidentale. Un allevatore cominciò a notare che le sue pecore erano diventate particolarmente fredde nei confronti del contatto con gli umani: quando si avvicinava loro, queste scappavano terrorizzate.
L’allevatore, turbato dall’improvviso cambio di comportamento delle sue bestie, mise una telecamera di sorveglianza nella stalla, e scoprì qualcosa di rivoltante: nottemtempo, serque di uomini entravano nell’allevamento per consumare rapporti sessuali con le pecore di sua proprietà.
«Vi sono uomini che sminuiscono la gravità di questo fatto dichiarando che tratta del loro stile di vita» disse la Martin al Rundschau, chiedendo la messa al bando della bestialità in tutto il Paese.
Giornali locali tedeschi hanno riportato voci di bordelli zoofili dove i tedeschi si possono accoppiare con lama, ungulati vari e chissà cos’altro. Racconti del genere si fanno anche per il Sud-Est asiatico, dove questi abissi di lordura biologica e morale sembrerebbero attrarre questo nuovo tipo di turismo sessuale.
ZETA è una sigla zoofila che opera apertamente in Germania, dedita alla lotta contro i tentativi del governo di vietare la bestialità. «I meri concetti morali non hanno motivo di divenire leggi» aveva detto anni fa Michael Kiok, il volto del gruppo.
Ricordiamo che dietro alla zooerastia c’è una filosofia, anche molto importante a livello accademico e sociale.
Il filosofo australiano Peter Singer, sommo vertice dell’utilitarismo contemporaneo, oltre che una cattedra nell’Ivy League ha il primato di filosofo morale più ascoltato al mondo. Le sue teorie sull’aborto post-natale (valevole per i neonati umani, che sono dipendenti dai genitori, ma non per le bestie) scaldano i cuori del goscismo mondiale; i suoi discorsi sull’«altruismo effettivo» entusiasmano i giovani ricchissimi filantropi della Silicon Valley, il suo pensiero sui diritti animali – diligente conseguenza logica della filosofia utilitarista, così come aveva già capito nel XIX secolo il suo fondatore Jeremy Bentham – informa la coscienza di gran parte del mondo animalista e vegano.
Meno conosciuto, e oggi sparito dai riferimenti su Wikipedia, è il suo saggio «Heavy Petting», osceno calembour sessuale con la parola pet, «animale domestico», in cui Singer parla del sesso con gli animali.
«Copuliamo, come loro. Hanno peni e vagine, come noi, e il fatto che la vagina di un vitello possa essere sessualmente soddisfacente per un uomo mostra quanto siano simili questi organi».
Il problema, dice Singer, potrebbe essere legato a quell’idea religiosa – che noi sappiamo essere purtroppo installata fino alla fine dei tempi nella tradizione cattolica, dell’atto sessuale come atto fertile:
«Il tabù sul sesso con gli animali potrebbe aver avuto origine come parte di un più ampio rifiuto del sesso non riproduttivo. Ma la veemenza con cui questo divieto continua a essere mantenuto, la sua persistenza mentre altri atti sessuali non riproduttivi sono diventati accettabili, suggerisce che c’è un’altra potente forza all’opera: il nostro desiderio di differenziarci, eroticamente e in ogni altro modo, dagli animali».
In pratica è lo specismo, lo scoglio ulteriore: questa tendenza dell’uomo a sentirsi sopra gli animali, e quindi, pare dire il filosofo utilitarista, a schifare i rapporti con essi. Anche perché, ricorda dettagliosamente il Singer, magari sono proprio loro a volerlo:
«Il sesso con gli animali non deve essere crudele. Chi non è stato a una festa disturbato dal cane di casa che afferra le gambe di un visitatore e strofina vigorosamente il suo pene contro di esse? L’ospite di solito scoraggia tali attività, ma in privato non tutti si oppongono all’essere usati dal proprio cane in questo modo e occasionalmente possono svilupparsi attività reciprocamente soddisfacenti». Segue nell’articolo dell’australiano un racconto rivoltante a base di possibili orangotanghi stupratori, con zoologhe che riflettono se è il caso di accettare la cosa.
Il lettore ricorderà che una proposta di legalizzare i matrimoni tra uomo e animale fu avanzata dal geniale deputato grillino Carlo Sibilia, poi sottosegretario al ministero dell’Interno, il quale puntualizzava la sua idea scrivendo nel post del forum dicendo che tali unioni riconosciute tra «specie diverse» potevano avvenire «purché consensienti» (sic)
Non parlavamo di bestialità linguistiche o politiche, tuttavia, ma di bestialità tout court.
Esiste, sta arrivando. Galoppa già in Germania, il Paese più ammirato e «civilizzato» del mondo: è il mondo moderno, bellezza. Lo Stato non-etico, sempre e comunque. La dignità umana giù per la sentina, in nome di diritti che poi, come si è visto, ti possono togliere in un nanosecondo, assieme a quelli più fondamentali (compreso il respirare, ora divenuto «etichetta respiratoria».
A che cosa dobbiamo preparare i nostri figli?
Siamo sicuri di non riuscire a fare qualcosa prima di consegnare un mondo del genere alla cosa più importante che abbiamo?
Bizzarria
Adolf Hitler vince ma cambia nome
Adolf Hitler Uunona, 59 anni, consigliere regionale namibiano da venti anni in carica, ha annunciato che rinuncerà ufficialmente al secondo nome «Hitler» dopo essere stato rieletto per il quinto mandato consecutivo nel distretto di Ompundja (regione di Oshana).
Membro del partito al potere Swapo, Uunona ha sempre goduto di un largo consenso locale nonostante il nome che, a livello internazionale, genera inevitabilmente sconcerto. Gli elettori della sua circoscrizione lo hanno costantemente premiato per il suo impegno nella lotta anti-apartheid e per i risultati concreti ottenuti sul territorio.
«Ho già provveduto a cancellare “Hitler” dai miei documenti ufficiali», ha dichiarato ai media namibiani. «D’ora in poi voglio essere chiamato semplicemente Adolf Uunona».
Il lettore di Renovatio 21 sa che la faccenda dell’Hitler negro è risalente.
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L’ex Hitler ha spiegato che ilpadre gli impose quel nome decenni fa senza conoscerne il peso storico né i crimini associati al dittatore nazista; per lui, all’epoca, era semplicemente un nome tedesco abbastanza diffuso nell’ex colonia dell’Africa sud-occidentale tedesca (1884-1915). Solo crescendo il consigliere prese coscienza del macabro retaggio e cominciò a dissociarsene pubblicamente.
«Ho sempre chiarito di non condividere in alcun modo l’ideologia nazista», ha ribadito il già Hitler. «Il mio impegno politico è radicato nella liberazione della Namibia e nello sviluppo delle nostre comunità rurali». In privato, familiari e collaboratori lo chiamano da tempo soltanto «Adolf», un’abitudine che ora desidera estendere a ogni contesto ufficiale.
Il caso richiama la complessa eredità coloniale tedesca in Namibia, dove nomi di origine teutonica restano relativamente comuni. Proprio in quel periodo (1904-1908) le truppe tedesche perpetrarono il genocidio degli Herero e dei Nama, un capitolo storico ancora poco noto a livello globale. Tuttavia, il fatto che esistano nel Paese africani bambini chiamati come il famigerato dittatore nazionalsocialista prova che forse la storia degli orrori coloniali non è esattamente conosciuta, o sentita, dalle popolazioni indigine.
Nonostante l’attenzione mediatica internazionale, lo Hitler namibiano continua a dominare le urne: nelle recenti elezioni locali ha nuovamente stravinto a Ompundja con un margine schiacciante. Per i suoi elettori, il curriculum di vent’anni di servizio concreto – strade, acqua, scuole e sostegno alle famiglie – pesa infinitamente più di un nome che il consigliere ha deciso di lasciarsi definitivamente alle spalle.
Renovatio 21 ritiene che si tratti di un caso in cui qualcuno potrebbe gridare alla frode elettorale: uno vota Hitler, e poi si trova uno qualsiasi, anzi un Uunona. È giusto?
Il cittadino sincero-democratico deve porsi a questo punto la domanda: se la democrazia vuole Hitler, perché toglierlo? Cioè, non è che lo si toglie, semplicemente, gli si cambia nome…
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Immagine dell’Oshana Regional Country
Bizzarria
L’enigma dell’italofonia delle bici giapponesi
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Arte
Bibita col DNA di Ozzy Osbourne disponibile con pagamento a rate
Una nuova partnership kitsch tra John «Ozzy» Osbourne e Liquid Death, il marchio di acqua in lattina, ha lanciato sul mercato una serie limitata di lattine di tè freddo infuso con il DNA del «reverendo rock».
Ovviamente il prodotto è andato subito a ruba ed è esaurito. Le lattine sono state tutte tracannate e schiacciate da Osbourne in persona, lasciando «tracce di DNA della sua saliva che ora potete possedere», secondo il sito web di Liquid Death.
Ma diciamoci la verità, non si compra lo scarto salivare di una rockstar per dissetarsi: lo si compra per fare necro-collezionismo probabilmente. Le leggende attorno al personaggio sono molteplici: si diceva che Ozzy fosse un mutante genetico, capace di resistere a secchiate di droga, alla rabbia per aver morso un pipistrello vivo e a un incidente quasi mortale in quad.
«Ozzy Osbourne è 1 su 1», recita il testo pubblicitario del sito, «ma stiamo vendendo il suo vero DNA così potrete riciclarlo per sempre».
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Ogni lattina viene consegnata in un «barattolo per campioni sigillato in laboratorio», etichettato con il nome del donatore, il numero del campione (su dieci) e la data del prelievo. Ozzy ha persino firmato il contenitore, apparentemente dando un assegno in bianco per qualsiasi futura clonazione.
«Ora, quando la tecnologia e la legge federale lo consentiranno, potrete replicare Ozzy Osbourne e godervi la sua musica per centinaia di anni nel futuro», si legge sul sito web. I pezzi disponibili sono solo 10 e sono stati venduti a 450 dollari ciascuno, anche in comode rate.
Vista la rarità del prodotto, il «bagarinaggio online» non poteva mancare: su eBay ce ne sono state due in vendita, ciascuna a migliaia di dollari.
Sui social media, i fan erano entusiasti della partnership di Ozzy con il suo brand, anche se il prezzo ha fatto storcere il naso a qualcuno. «Accidenti, avrei dovuto salvare il tuo DNA quando mi hai sputato addosso nell’84 durante un concerto alla LB Arena», ha scritto un fan su X.
Ozzy Osbourne, che da giovane sul palco aveva pure mangiato un pipistrello, è perito quattro mesi fa. Il fatto che fosse stato iniettato col vaccino COVID, che ci dicono venire da un chirottero di Wuhano, lo rende in qualche modo un personaggio simbolico della pandemica, e non solo di quella: alcuni hanno ipotizzato che la morte, avvenuta dopo una «lunga battaglia» (in genere dicono per qualche ragione così) contro il morbo di Parkinson, potrebbe costituire un caso di eutanasia.
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