Predazione degli organi
Malori improvvisi e predazione degli organi

Siamo talmente abituati ai malori improvvisi che quasi non ci facciamo più caso.
Giovani e giovanissimi in perfetta salute, sportivi che crollano al suolo e muoiono istantaneamente senza un perché. È la nuova normalità cui assistiamo impotenti dal 2021 e con cui probabilmente dovremo fare i conti soprattutto negli anni a venire.
I più sono colti da malori fulminanti che non lasciano scampo, altri sono più fortunati e se vengono soccorsi in maniera tempestiva riescono a sopravvivere, come nel caso del ragazzo di soli 16 anni di Cremona, il quale a seguito di un malore è stato immediatamente soccorso dai suoi professori che gli hanno praticato massaggio cardiaco.
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Tuttavia, dopo l’intervento operatori del 118 chiamati sul posto e il trasporto in elicottero all’ospedale di Brescia, il ragazzo è stato dichiarato morto, e quindi espiantato degli organi.
A leggere le cronache si dovrebbe quindi capire che il tentativo di rianimare il ragazzo da parte dei docenti non sarebbe riuscito, ma al contempo ci viene detto che il giovane sarebbe deceduto dopo il trasferimento all’ospedale di Brescia.
«Inutili i tentativi di rianimarlo da parte dei professori, che hanno tentato un massaggio cardiaco» si legge su Virgilio Notizie. «Successivamente lo studente è stato trasferito in eliambulanza all’ospedale di Brescia, ma è morto pochi minuti dopo il suo arrivo».
Ora, ci chiediamo, un po’ confusi: se né i professori né gli operatori dell’elisoccorso sono riusciti a rianimare lo studente, egli è morto a scuola, e non in ospedale? Com’è possibile che si sia proceduto alla donazione degli organi, come riferisce la stampa, se il suo cuore non batteva più già da quando si è accasciato davanti ai compagni?
Sappiamo infatti che gli organi vitali possono essere prelevati solo qualora gli stessi non abbiano subito danni irreversibili dovuti alla mancanza di irrorazione e ossigenazione del sangue – in pratica, il muscolo cardiaco deve battere ancora.
Pertanto, è possibile ritenere che il 16enne di Cremona semmai sia stato dichiarato morto nel senso di «cerebralmente morto», altrimenti non avrebbe potuto risultare idoneo per l’espianto, che può avvenire solo a cuor battente.
Va aggiunto che, una volta dichiarata la morte cerebrale, tutti gli interventi medici non sono finalizzati a curare il paziente ma a preservare i suoi organi in vista dell’espianto.
È possibile immaginare la rapidità con cui i sanitari possono attivare le procedure necessarie per accertare la morte cerebrale del paziente, alcune delle quali sono ritenute molto invasive per il paziente o addirittura in grado di peggiorarne la situazione clinica.
Una delle procedure utilizzate è il famigerato test di apnea: l’ultimo esame diagnostico che viene effettuato al termine dell’esplorazione dei riflessi del tronco encefalico, quando questi risultano assenti.
L’obiettivo del test è dimostrare la perdita della funzione del centro del respiro situato a livello bulbare attraverso l’accumulo di CO2. In pratica, il paziente viene disconnesso dal respiratore (gli si toglie l’ossigeno) e una volta raggiunto un certo valore soglia di CO2 nel sangue se non si attiva la respirazione spontanea viene dichiarata la morte encefalica.
Per la legge italiana questo «esame» deve essere effettuato per ben due volte, all’inizio e al termine del periodo di osservazione. Le linee guida per l’esecuzione del test di apnea raccomandano di sostituirlo con il test di flusso cerebrale qualora, nonostante le opportune precauzioni, la procedura causi la comparsa di gravi complicanze tali da compromettere seriamente le funzioni biologiche del paziente.
Tali linee guida raccomandano altresì di sorvegliare attentamente il paziente stesso in quanto frequentemente possono comparire complicanze anche gravi e qualora si verifichino di interrompere il test di apnea e ripeterlo in un momento successivo (sic).
Pertanto, l’attivazione di una simile procedura in un paziente con estremo bisogno di cure non è esattamente un toccasana per la sua salute. Spesso, infatti, il test di apnea non fa che peggiorare il quadro clinico del paziente riducendo se non addirittura azzerando le possibilità di recupero dello stesso.
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Sulla base di uno studio scientifico riportato in un convegno dal titolo «Brain death» tenutosi a Roma nel mese di maggio del 2019, ben il quaranta percento dei pazienti sottoposti al test di apnea ha subito una significativa riduzione della pressione ematica, mentre in alcuni casi è subentrato un arresto cardiaco irreversibile.
Secondo gli studiosi presenti al convegno, i centri respiratori dei pazienti con gravi lesioni cerebrali non riescono a rispondere ai test di apnea perché il loro flusso ematico cerebrale è molto scarso.
Il primo intervento medico da effettuare su questi pazienti sarebbe quello di somministrare loro ormoni tiroidei ma di solito tale procedura non viene neppure presa in considerazione perché i medici seguono pedissequamente i protocolli (Ci ricorda qualcosa? …)
Pertanto, anziché ricevere le cure adeguate alla loro condizione clinica i comatosi corrono il rischio di essere sottoposti agli invasivi test mirati a diagnosticare la morte cerebrale, al punto che essi stessi sono considerabili come causa di lesioni irreversibili.
La realtà è che non è possibile espiantare gli organi da una persona morta bensì da una viva che però bisogna dichiarare morta per eludere o aggirare la questione morale.
Dunque: quanti muoiono non per un malore improvviso, da cui miracolosamente scampano, ma per il brutale assassinio necessario alla predazione degli organi?
Alfredo De Matteo
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Immagine di Rama via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 France
Morte cerebrale
Espansione del dominio della morte cerebrale

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Morte cerebrale
Eutanasia e truffa della morte cerebrale: anche l’America si sveglia?

Un’indagine federale condotta negli Stati Uniti ha portato alla luce un fatto inquietante: in almeno 28 casi analizzati su 350 il prelievo di organi sarebbe avvenuto in pazienti che mostravano ancora segni di attività neurologica, quindi non in morte cerebrale.
L’inchiesta ha messo sotto accusa le organizzazioni che si occupano di reperire gli organi per i trapianti (OPO), in particolare la Network for Hope attiva in Kentucky, Ohio e West Virginia. Un fatto particolarmente sconvolgente è accaduto in un ospedale del Kentucky dove un uomo dichiarato cerebralmente morto ha mostrato evidenti segni di vita durante i preparativi per l’espianto dei suoi organi.
Secondo quanto riportato dalle cronache, il malcapitato ha iniziato a lamentarsi e a muoversi mentre veniva trasportato in sala operatoria, al punto che ben due medici si sono rifiutati di procedere all’operazione. Malgrado ciò, la Kentuchy Organ Donor Affilates ha ordinato al proprio personale di cercare un altro medico ma fortunatamente il paziente si è ripreso completamente e l’intervento è stato annullato.
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Il sottosegretario alla Salute Robert F. Kennedy jr. ha minacciato la revoca delle certificazioni per le OPO coinvolte nell’inchiesta se non verrà rivisto il sistema di approvvigionamento e trapianto di organi negli Stati Uniti, con riforme sostanziali nei protocolli di accertamento della morte e nelle modalità di prelievo.
In un articolo pubblicato sul New York Time il 20 luglio scorso sono stati riportati diversi casi di pazienti la cui morte è stata programmata in anticipo affinché potessero diventare donatori di organi.
Si tratta di una tecnica ben nota ai lettori di Renovatio 21, regolarmente praticata negli ospedali italiani, che va sotto il nome di DCD (Donation after Circulatory Death). Nella DCD controllata ai malati considerati senza speranza o che vogliono porre fine alla loro esistenza, vengono tolti i supporti vitali (in particolare il ventilatore) in modo tale da provocarne l’arresto cardiocircolatorio. Al termine del periodo di osservazione (variabile da Paese a Paese e, a quanto sembra, da struttura a struttura), in cui gli interventi medici sono esclusivamente finalizzati a preservare gli organi, è possibile procedere all’espianto.
Tuttavia, l’intera procedura è viziata da evidenti controsensi: il periodo di mancanza di battito cardiaco considerato necessario affinché l’ipossia danneggi irreversibilmente il tessuto cerebrale varia, almeno in America, dai due ai cinque minuti, ma l’esperienza clinica dimostra che il cuore può riprendere spontaneamente a battere anche dopo dieci minuti di arresto cardiaco e che alcuni di questi pazienti possono rimettersi completamente.
In un caso descritto dal New York Times una donna sottoposta alla DCD controllata ha cominciato ad ansimare in cerca d’aria mentre i chirurghi le segavano lo sterno e il suo cuore ha ripreso a battere. A quel punto l’operazione è stata annullata e dodici minuti dopo la sfortunata signora è stata dichiarata morta per la seconda volta. Proprio per non rischiare di incorrere in tali situazioni, in alcuni paesi la DCD è vietata, tra cui Finlandia, Germania e Ungheria.
Ora, è certamente un bene che emergano notizie del genere che contribuiscono a fare luce su un fenomeno poco conosciuto e che i media si guardano bene dall’affrontare, ma è necessario comprendere che il problema non è solamente legato, come abbiamo visto, alla rigorosità delle procedure di accertamento o al fatto che ci sono casi come quelli descritti negli USA in cui le diagnosi di morte risultano, per così dire, «affrettate».
In altri termini, i pazienti dichiarati cerebralmente morti sono in realtà sempre e comunque ancora vivi, fino a prova contraria, a prescindere dal fatto che la diagnosi di morte encefalica sia stata fatta nel rispetto delle procedure oppure no, con superficialità oppure no, con dolo oppure no.
Il problema vero quindi è la definizione stessa di morte cerebrale e la concezione filosofica dell’essere umano che c’è dietro: trattasi di una finzione medico scientifica, che più volte abbiamo denunciato da questa testata, con cui si è preteso di legittimare la soppressione degli ammalati e l’orrendo crimine della predazione degli organi.
La variabilità e aleatorietà dei criteri di accertamento stanno a dimostrare che la morte encefalica è un concetto astratto, non dimostrato e indimostrabile, privo di qualsiasi oggettività. E visto che non c’è, né ci potrà mai essere, un protocollo universalmente valido con cui si possa accertare ciò che semplicemente non esiste in natura, le scorciatoie procedurali per rendere più facile l’approvvigionamento degli organi sono inevitabili e tenderanno sempre più ad essere utilizzate in ambito ospedaliero.
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Del resto, se le sole funzioni cerebrali costituiscono il principio vitale dell’essere umano un malato che giace in stato di incoscienza e presenta, ad esempio, un livello di attività elettrica cerebrale appena sopra il livello che separerebbe la vita dalla morte (2 microvolts per la legge italiana), è più facile che possa essere visto e considerato dal personale medico come un semplice agglomerato di organi espiantabili o come una persona umana titolare di diritti inalienabili?
In gioco quindi c’è la dignità dell’essere umano, creato a immagine e somiglianza del Creatore. Se tale intrinseca dignità viene negata e l’uomo considerato come tale solo se ha un cervello funzionante, anche il falso criterio della morte cerebrale è destinato ad essere superato perché d’intralcio allo sfruttamento completo dell’essere umano, ridotto ad un ammasso di organi prelevabili a piacimento.
Mentre in Italia si assiste al solito teatrino destinato a concretizzarsi nell’ennesimo compromesso politico sui temi etici (magari «alto») e nello specifico sul suicidio assistito, negli ospedali italiani e di tutto il mondo l’eutanasia viene già praticata da diverso tempo con la DCD controllata e la predazione degli organi: migliaia di malati vengono lasciati morire di stenti oppure squartati vivi, senza che nessuno si levi contro tale barbarie.
Noi di Renovatio 21 continueremo a denunciare la Necrocultura in tutte le sue forme, compresa quella subdola, sottovalutata se non addirittura negata dagli stessi ambienti cattolici e sedicenti pro-life, della morte cerebrale e della predazione degli organi.
Alfredo De Matteo
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Predazione degli organi
Primo caso pediatrico al mondo di trapianto di cuore «rianimato»: la Necrocultura affina le sue tecniche di predazione

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