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Geopolitica

Macron loda i missili di Biden in Ucraina. Medvedev: gli attacchi potrebbero meritare una risposta nucleare contro la NATO

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Il presidente francese Emmanuel Macron ha accolto con favore la presunta decisione del leader statunitense Joe Biden di consentire all’Ucraina di utilizzare armi a lungo raggio di fabbricazione americana per attacchi in profondità nel territorio russo.

 

Domenica è stato riferito che l’amministrazione Biden stava rimuovendo il divieto imposto a Kiev di attaccare il territorio russo internazionalmente riconosciuto con missili ATACMS forniti dagli Stati Uniti. Secondo i media occidentali, all’Ucraina è stato concesso il permesso di utilizzare le munizioni americane nella regione russa di Kursk, dove è in corso un’incursione delle forze di Kiev dall’inizio di agosto.

 

La Casa Bianca non ha ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali sulla questione. Tuttavia, i resoconti sono stati confermati dal vicesegretario per gli affari dell’emisfero occidentale del dipartimento di Stato americano Brian A. Nichols, che ha dichiarato al quotidiano brasiliano O Globo martedì che «le armi che il presidente Biden ha autorizzato l’Ucraina a usare le daranno una maggiore capacità di difendersi» e forse convinceranno la Russia a «negoziare la pace».

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Biden ha preso «una buona decisione» consentendo attacchi contro la Russia, ha detto Macron ai giornalisti a margine del vertice del G20 a Rio de Janeiro, secondo quanto riportato da Politico e dall’agenzia Reuters.

 

Ha affermato che Washington ha fatto marcia indietro sulla questione in risposta al presunto coinvolgimento delle truppe nordcoreane nel conflitto tra Mosca e Kiev.

 

«La Russia è l’unica potenza che ha preso una decisione di escalation… è stata proprio questa rottura a portare alla decisione degli Stati Uniti», ha dichiarato Macron.

 

La vice portavoce del Pentagono Sabrina Singh ha affermato lunedì che, secondo i dati statunitensi, era probabile che circa 11.000 soldati nordcoreani si fossero trasferiti nella regione russa di Kursk. Washington non ha informazioni sul fatto che quelle truppe abbiano impegnato le forze ucraine in combattimento, ha aggiunto.

 

Né Mosca né Pyongyang hanno confermato o smentito la notizia dell’impiego di militari nordcoreani.

 

Il ministro degli Esteri francese Jean-Noel Barrot ha detto lunedì che la Francia stava ancora pensando di seguire l’esempio degli Stati Uniti e di revocare il divieto di attacchi a lungo raggio. Macron ha dichiarato pubblicamente a maggio che Parigi stava valutando di consentire all’Ucraina di usare i suoi missili SCALP per colpire il territorio russo, ha aggiunto il funzionario.

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«Abbiamo detto apertamente che questa era un’opzione che avremmo preso in considerazione se fosse stata quella di consentire di colpire un obiettivo da dove la Russia sta attualmente aggredendo il territorio ucraino. Quindi [non c’è] nulla di nuovo dall’altra parte», ha detto il Barrot.

 

Come riportato da Renovatio 21, ad ottobre il ministro della Difesa francese Sébastien Lecornu ha dichiarato che ««la minaccia più grande per la Francia (…) a parte i gruppi terroristici, è chiaramente la Federazione Russa».

 

Sette mesi fa, in un video pubblicato da lui stesso sabato su Twitter, Macron aveva detto che mentre Parigi cerca di evitare un coinvolgimento diretto nel conflitto ucraino, potrebbe essere necessario un intervento per dissuadere la Russia dall’avanzare troppo.

 

«Si tratta solo di dire: se andate troppo lontani e minacciate gli interessi della Francia e la sicurezza dell’Europa, allora non escludiamo nulla» scrive sul messaggio. Quali siano gli interessi della Francia in gioco non è noto, a meno che non si tratti dell’Africa coloniale francese, oramai passata in larga parte sotto la diretta influenza di Mosca – a causa anche dell’antipatia ingeneratasi contro Parigi e le sue missioni militari, accusate di addestrare e manovrare i terroristi islamici che sostenevano di voler combattere.

 

Il presidente francese si è spinto fino al punto di immaginare un ritorno della Crimea all’Ucraina. Putin ha sostenuto che truppe di Stati NATO già stanno operando sul fronte ucraino, e che l’Occidente sta flirtando con la guerra nucleare e la distruzione della civiltà.

 

Come riportato da Renovatio 21migliaia di soldati francesi andranno in Romania per simulazioni di combattimento contro la Russia la prossima primavera.

 

Il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha descritto la mossa segnalata dall’amministrazione Biden come «una spirale qualitativamente nuova di escalation delle tensioni e una situazione qualitativamente nuova in termini di coinvolgimento degli Stati Uniti in questo conflitto».

 

Il presidente russo Vladimir Putin ha precedentemente avvertito che Mosca avrebbe considerato qualsiasi attacco al territorio russo internazionalmente riconosciuto che utilizzasse armi fornite dagli americani come un’entrata diretta della NATO nel conflitto, dato che Kiev non è in grado di utilizzare sistemi sofisticati senza l’assistenza e i dati di puntamento occidentali.

 

Il presidente russo ha avvertito che, in tali circostanze, Mosca potrebbe optare per una risposta asimmetrica, armando gruppi o paesi ostili a Washington, come la Corea del Nord, con armi avanzate.

 

Nel frattempo l’ex presidente russo Dmitrij Medvedev ha avvertito che la dottrina nucleare rivista di Mosca consente attacchi di rappresaglia contro la NATO per il tipo di attacchi che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden avrebbe autorizzato la scorsa settimana. Medvedev, che è vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, ha avvertito martedì che tali azioni sarebbero considerate una minaccia che giustificherebbe una risposta nucleare ai sensi della nuova dottrina, promulgata dal presidente Vladimir Putin in precedenza.

 

In risposta a un simile attacco, «la Russia si riserva il diritto di reagire con armi di distruzione di massa contro Kiev e le principali strutture della NATO, ovunque si trovino», ha affermato Medvedev. «Ciò equivarrebbe alla Terza guerra mondiale», ha aggiunto.

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Gli attacchi senza restrizioni con armi occidentali fanno parte del «piano della vittoria» di Volodymyr Zelens’kyj, che ha presentato al presidente degli Stati Uniti a settembre. Il cambiamento segnalato nella politica degli Stati Uniti, confermato da diversi alleati americani, è avvenuto dopo che Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali all’inizio di questo mese.

 

Il presidente eletto ha affermato che potrebbe porre fine al conflitto in Ucraina in 24 ore, una volta tornato in carica a gennaio. Alcuni dei suoi più stretti sostenitori hanno accusato Biden di aver cercato di indurre la nuova amministrazione a prolungare le ostilità con la Russia con la sua decisione.

 

Come riportato da Renovatio 21, due settimane fa Medvedev aveva avvertito che Trump potrebbe fare la fine del presidente John Fitzgerald Kennedy, cioè venire assassinato. Lo stesso ex presidente russo aveva dichiarato a settembre, in risposta alle parole di un generale estone, che le nucleari tattiche russe sono in grado di trasformare chiunque attacca la Russia in una macchia.

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Geopolitica

Orban: Tusk ha trasformato la Polonia in vassallo di Bruxelles

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Secondo il primo ministro ungherese Vittorio Orban, il leader polacco Donald Tusk ha trasformato il suo paese in un «vassallo di Bruxelles» ed è diventato «uno dei più rumorosi guerrafondai» d’Europa, nonostante la crescente stanchezza dei polacchi nei confronti del conflitto in Ucraina.   Sabato Orban ha pubblicato queste dichiarazioni su X, sostenendo che la retorica bellicosa di Tusk sul conflitto era un tentativo di distrarre i polacchi dai problemi interni.   «È diventato uno dei più rumorosi guerrafondai d’Europa, eppure la sua politica di guerra sta fallendo: l’Ucraina sta esaurendo i fondi europei e il popolo polacco è stanco della guerra», ha scritto l’Orban. «Non può cambiare rotta perché ha trasformato la Polonia in un vassallo di Bruxelles».  

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All’inizio della settimana, Tusk si è scagliato contro Orban durante un’intervista televisiva, sostenendo che per il primo ministro ungherese «Bruxelles, la democrazia e uno stato di diritto trasparente sono un problema».   Secondo un sondaggio pubblicato lunedì dall’emittente pubblica TVP, oltre la metà dei polacchi disapprovava l’operato di Tusk come primo ministro. Con la sua popolarità in calo, la sua coalizione ha perso le elezioni presidenziali di inizio anno contro il conservatore Karol Nawrocki, sostenuto dal partito di opposizione PiS.   Nonostante il crescente sentimento anti-ucraino in patria, Tusk ha esortato i membri dell’UE a continuare a finanziare Kiev con tutti i mezzi necessari. «Dobbiamo riconoscere che questa è la nostra guerra», ha dichiarato a un forum sulla sicurezza a Varsavia a settembre.   Orban ha a lungo sfidato l’UE sul suo sostegno militare all’Ucraina, rifiutandosi di inviare armi e sostenendo che i «burocrati guerrafondai di Bruxelles» stanno trascinando Budapest in un conflitto totale con la Russia.   All’inizio di quest’anno, il blocco ha accelerato il suo rafforzamento militare, investendo massicciamente nella produzione congiunta di armi con l’Ucraina, citando la presunta minaccia della Russia, accuse che Mosca ha respinto.   Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni il ministro degli Esteri di Budapest Pietro Szijjarto aveva accusato Tusk di «difendere i terroristi» in seguito alla sua richiesta di sospendere le indagini tedesche sul sabotaggio del gasdotto Nord Stream.   SOSTIENI RENOVATIO 21
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Tulsi Gabbard: a strategia statunitense del «cambio di regime» è finita

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Il capo dell’Intelligence statunitense Tulsi Gabbard ha riconosciuto la storia di cambi di regime di Washington, ma ha affermato che questa è terminata sotto la presidenza di Donald Trump, nonostante le sue recenti dichiarazioni sull’Iran e le accuse sul Venezuela.

 

Gli Stati Uniti sono da tempo criticati per aver perseguito politiche volte a rovesciare i governi con il pretesto di promuovere la democrazia o proteggere gli interessi nazionali, dall’Iraq del 2003 e dalla Libia del 2011 al sostegno a «rivoluzioni colorate» come il colpo di Stato di Maidan in Ucraina del 2014. Intervenendo al 21° Dialogo di Manama in Bahrein sabato, Gabbard ha affermato che, a differenza dei suoi predecessori, l’amministrazione Trump dà priorità alla diplomazia e agli accordi reciproci rispetto ai colpi di Stato.

 

«Il vecchio modo di pensare di Washington è qualcosa che speriamo sia ormai un ricordo del passato e che ci ha frenato per troppo tempo: per decenni, la nostra politica estera è rimasta intrappolata in un ciclo controproducente e senza fine di cambi di regime o di costruzione di nazioni», ha affermato, descrivendolo come un «approccio unico per tutti» per rovesciare regimi, imporre modelli di governance statunitensi e intervenire in conflitti «poco compresi», solo per «andarsene con più nemici che alleati».

 

La Gabbard ha affermato che la strategia ha prosciugato migliaia di miliardi di dollari dei contribuenti statunitensi, è costata innumerevoli vite e ha alimentato nuove minacce alla sicurezza, ma ha osservato che Trump è stato eletto «per porre fine a tutto questo».

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«E fin dal primo giorno, ha mostrato un modo molto diverso di condurre la politica estera, pragmatico e orientato agli accordi», ha affermato la Gabbarda. «Ecco come si manifesta in pratica la politica America First del presidente Trump: costruire la pace attraverso la diplomazia».

 

Fin dal suo insediamento all’inizio del 2025, Trump si è ripetutamente descritto come un pacificatore globale, vantandosi di aver mediato accordi internazionali e affermando di meritare il Premio Nobel per la Pace. I critici, tuttavia, sostengono che le sue campagne di pressione su Venezuela e Iran rispecchino la strategia di Washington per un cambio di regime.

 

Il mese scorso Caracas ha accusato gli Stati Uniti di aver pianificato un colpo di stato contro il presidente Nicolas Maduro con il pretesto della campagna antidroga in corso al largo delle coste del Paese.

 

Lo stesso Trump ha accennato a un «cambio di regime» in Iran dopo gli attacchi statunitensi di giugno, scrivendo su Truth Social: «Perché non dovrebbe esserci un cambio di regime???».

 

Teheran, che da tempo accusa Washington di cercare di destabilizzarla attraverso sanzioni e azioni segrete, ha denunciato gli attacchi come prova dei rinnovati tentativi di indebolire il suo governo.

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«Boicottate Dubai»: campagna contro gli Emirati per «complicità» nei massacri in Darfur

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Sudanesi della diaspora contro Abu Dhabi per il sostegno alle Forze di supporto rapido (RSF), accusate di atrocità nella conquista di El Fasher, in cui sono state uccise oltre duemila persone, fra cui donne e bambini. La nazione del Golfo nega responsabilità e annuncia lo stanziamento di 100 milioni di dollari in aiuti umanitari.   Una campagna in rete lanciata da tempo da espatriati sudanesi della diaspora contro gli Emirati Arabi Uniti (EAU) e i prodotti provenienti dallo Stato del Golfo sta diventando virale in questi giorni, acquistando un crescente consenso e visibilità. Dietro l’invito al boicottaggio rivolto a viaggiatori, investitori e consumatori, vi sono le notizie sugli «abusi e sistematiche uccisioni» nel Darfur per mano delle Forze di supporto rapido (RSF), che godrebbero del sostegno da dietro le quinte di Abu Dhabi.   Accuse rilanciate all’indomani della presa, il 26 ottobre scorso, della città di El Fasher accompagnata da pesanti violenze di matrice etnica e confessionale durante l’assedio e la conquista da parte del gruppo paramilitare.

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La conquista dell’ultima roccaforte delle Forze Armate Sudanesi (SAF) nella regione è stata accompagnata da massacri su larga scala, con immagini che mostrerebbero combattenti Rsf vantarsi di aver ucciso civili tra cui donne, bambini e anziani, mentre gli abitanti fuggivano dalla città. Le foto satellitari hanno anche mostrato strade macchiate di sangue e distruzione diffusa, scene che hanno alimentato l’indignazione e scatenato la protesta online.   Secondo alcune testimonianze, oltre duemila persone sarebbero state uccise, mentre il portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite Stéphane Dujarric parla di almeno 1350 vittime, ma aggiunge anche che il dato sarebbe «sottostimato rispetto al numero reale». Anche l’Alto commissariato Onu per i diritti umani afferma di aver ricevuto «resoconti terrificanti» di atrocità, tra cui esecuzioni sommarie.   In questo quadro di guerra e violenza, attivisti pro diritti umani ed esperti ricordano che vi è «ampia documentazione» in base alla quale emergono i legami fra le milizie RSF e gli Emirati, che sarebbero i principali sostenitori del gruppo paramilitare al quale forniscono armi e materiale.   In risposta gli utenti dei social media stanno presentando una petizione affinché Washington, fra i principali fornitori di armi di Abu Dhabi, imponga un embargo alla vendita e sanzioni ai vertici di Rsf. A questo si aggiunge l’invito ad aderire alla campagna di boicottaggio dello Stato del Golfo cancellando i viaggi a Dubai, evitando i prodotti locali e riconsiderando gli affari con le aziende con sede negli Emirati Arabi Uniti.   Nel mirino degli attivisti è finito anche il commercio di oro, col Sudan che è fra i principali esportatori al mondo del prezioso metallo e, secondo alcuni, in gran parte contrabbandato dalle miniere controllate da Rsf, che beneficiano del traffico. Altri ancora, inoltre, inquadrano la campagna di boicottaggio in un quadro regionale più ampio, paragonando il sostegno degli Emirati Arabi Uniti ai miliziani e le atrocità commesse dal gruppo in Sudan al «genocidio» perpetrato da Israele a Gaza.   La giornalista palestinese Hind Khoudary, oggi a Gaza, ha dichiarato che aveva programmato di visitare la tomba del padre negli Emirati una volta finita la guerra, ma ha deciso di boicottare il Paese esortando altri a fare lo stesso.   In risposta alla crescente ondata di indignazione, i vertici di Abu Dhabi prendono le distanze dalle violenze condannando quelli che definiscono «atroci attacchi» contro i civili a El Fasher, annunciando anche lo stanziamento di altri 100 milioni di dollari in aiuti umanitari. In una nota diffusa ieri al Consiglio di sicurezza Onu dal rappresentante Mohamed Abushahab, gli Emirati «condannano gli attacchi efferati contro i civili a El Fasher, in palese violazione del diritto internazionale umanitario».   Il rappresentante diplomatico chiede inoltre che i responsabili siano chiamati a rispondere delle loro azioni. «Le parti in conflitto» avverte «devono rispettare pienamente il diritto internazionale umanitario, compresa la creazione di corridoi umanitari e di passaggi sicuri, consentendo e facilitando l’invio rapido e senza ostacoli di aiuti umanitari». Lo stesso generale Mohamed Dagalo, comandante del gruppo paramilitare, ha ammesso in un video trasmesso nei giorni scorsi che i suoi uomini hanno commesso «abusi».

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La guerra in Sudan è scoppiata nell’aprile 2023, quando le tensioni a lungo latenti tra le SAF, guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan, e le RSF, comandate da Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemedti, sono degenerate in un conflitto aperto. Dietro le violenze il mancato accordo sui piani di integrazione delle milizie nell’esercito regolare, ma gli scontri iniziali si sono presto trasformati in guerra su scala nazionale che ha causato la morte di decine di migliaia di persone e lo sfollamento di oltre 13 milioni.   Circa 30 milioni – oltre metà della popolazione – stanno affrontando la fame, con la carestia dichiarata in alcune aree principalmente nel Darfur.   Entrambe le parti in guerra sono state accusate di violazioni. In particolare, la RDF è stata accusata dalle Nazioni Unite e dai gruppi per i diritti umani di crimini di guerra, tra cui un attacco del 2023 su un’altra città del Darfur, Geneina, dove centinaia sono stati uccisi e decine di migliaia sono fuggiti attraverso il confine verso il Ciad.   L’esercito deve invece affrontare accuse di crimini di guerra, principalmente per bombardamenti indiscriminati e uccisioni di sospetti collaboratori, nelle aree che ha strappato alla milizia combattente.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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