Pensiero
Macron, De Sade e le giornate della Sodoma olimpica
Nuovi livelli di putredine emergono dalle Olimpiadi macroniste, con casi sempre più gravi ma al contempo indicativi della tendenza di fondo che Renovatio 21 ha subito sottolineato a partire dalla cerimonia di apertura eso-omo-trans-apocalittica.
Si è allungata intanto la lista degli atleti ammalatisi dopo la gara di triathlon sulla Senna. Dopo il caso della belga Claire Michel, la cui squadra nazionale, il Belgio, ha poi deciso assai irritata di ritirarsi, parrebbe si siano ammalati due triatleti elvetici, Adrien Brifford e Simone Westermann, che accuserebbero sintomi della gastroenterite.
Non ci sono, tuttavia, conferme ufficiali sul fatto che la causa siano le acque della Senna infestate di batteri e chissà cos’altro.
Vi era stato quindi anche il malore di un atleta norvegese. Il direttore sportivo della Federtriathlon di Oslo, Arild Tveiten, ha dichiarato che, seppur non vi sia nemmeno qui conferma, «stiamo pensando quello che pensano tutti: che probabilmente è il fiume».
C’era stato poi il caso del triatleta canadese Tyler Mislawchuk, che aveva detto di aver «vomitato dieci volte».
Canadian Olympic athlete vomits ???? after swimming in the contaminated waters of the Seine River.
Despite France spending €1 billion on a cleanup operation before the Paris Olympics.
“Did I vomit once? No, I vomited 10 times, the last four kilometers were brutal, and I started… pic.twitter.com/Y6hC1IjQKZ
— Johncast (@johncastnow) August 1, 2024
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L’atleta belga Jolien Vermeylenn aveva detto «ho bevuto molta acqua e non sapeva di Coca-cola o Sprite». La trialteta fiamminga aveva aggiunto quindi un particolare suggestivo: «nuotando sotto il ponte, ho sentito e visto cose a cui non dovremmo pensare troppo». Che si tratti di pantegani dalle proporzioni olimpiche?
Nelle ultime ore la Michel, ricoverata da giorni in ospedale, ha dichiarato che non si tratta di Escherichia coli – il batterio indice di contaminazione fecale dell’acqua – ma di un virus.
Il Comitato organizzatore è sceso in conferenza stampa per dire che va tutto bene. «La Senna è balneabile e le gare possono svolgersi» ha dichiarato Anne Descamps – portavoce del Comitato organizzatore di Parigi. «Il 5 agosto le concentrazioni di escherichia coli erano molto basse nei tre punti dove sono stati prelevati i campioni. Le analisi sono state eseguite correttamente e c’è la balneabilità. I risultati delle analisi sono arrivati alle 10.30 e i valori per gli enterococchi sono fra 242 e 378, quindi all’interno dei margini stabiliti per la balneabilità».
Mancava poco, e si sarebbe detto che l’acqua è marrone a causa della cioccolata.
Nel frattempo atleti come il nostro Gregorio Paltrinieri si stanno allenando in piscina rifiutando quindi di scendere in fiume prima della gara, che si terrà comunque sulla Senna della discordia melmosa.
«Ci fidiamo degli organizzatori e delle professionalità medico-scientifiche deputate ai controlli della Senna, ma preferiamo evitare rischi di contaminazioni di qualsiasi genere provando il campo gara», ha commentato il tecnico Fabrizio Antonelli. «Abbiamo svolto allenamenti specifici per nuotare pro e controcorrente e abbiamo studiato nel dettaglio il campo gara. Siamo pronti ad affrontare avversari e difficoltà ambientali».
Il disastro dell’Olimpiade macronica tuttavia riguarda anche i nuotatori di tutto il mondo che gareggiano in piscina
Thomas Ceccon, nuotatore scledense cresciuto nelle piscine del comune antitransgenico di Creazzo (VI) è tornato a casa con «solo» un oro nei 100 a dorso e un bronzo della staffetta stile libero 4×100, e ora si sta togliendo i sassolini dalle scarpe. Il video dove lo si vede dormire all’addiaccio, vicino ad una panchina, ha fatto il giro del mondo: c’è voluto poco per capire che non si trattava di una prova di sciatteria o bizzarria del ragazzo, ma del fatto che le stanze nel villaggio olimpico sono invivibili.
Der italienische Schwimmer Thomas Ceccon, der bei den Olympischen Spielen in Paris eine Goldmedaille gewonnen hat, entspannt und übernachtet im Park bis zum Ende der Wettkämpfe, da es im Olympischen Dorf zu heiß ist. pic.twitter.com/5XKf4cYon5
— ????Мина???? (@Mina7777Mina) August 7, 2024
Per questioni legate all’ambiente, pare non vi sia davvero l’aria condizionata. Ciò ha compromesso il sonno di molti atleti, e quindi il loro rendimento. Gli imperativi ecologici, prontamente eseguiti nella Francia eco-progressista di Macron, hanno insomma rovinato la condizione atletica di persone che hanno passato la vita per quel momento.
Il Ceccon ha raccontato che alcune squadre hanno preferito, giustamente, stare in albergo. Anche perché pare che anche i letti per gli sportivi non conciliassero il riposo: si tratta dei famosi «letti anti-sesso» fatti di cartone prodotti dall’azienda giapponese che li aveva forniti anche a Tokyo 2021; non si capisce se siano veramente pensati per rendere impossibile gli accoppiamenti tra gli atleti (ma allora, stare al Villaggio Olimpico, si chiedono in molti, che senso ha?) o sia, come dicono in tanti, una fake news globale che perdura da due Olimpiadi. Ad ogni modo, se fosse vero, che senso ha per le autorità olimpiche stabilire dell’attività sessuale degli atleti, neanche fossero degli allenatori del calcio di una volta o il coach di Rocky Balboa che sosteneva che le donne «fanno male alle gambe»?
Nelle sue dichiarazioni da rimpatriato, il Ceccone quindi ha toccato un tasto nuovo ed interessante: quello del cibo. «Il mangiare dopo una settimana si fa pesante» ha dichiarato il campionissimo di Magrè (VI).
Qui si apre il capitolo ulteriore, lanciato sui giornali di tutto il mondo dal veterano del nuoto britannico Adam Peaty, fresco vincitore di una medaglia d’argento, altri due argenti e tre ori nel suo Palmares olimpico. Il Peaty qualcosa di cibo, magari pure di riflesso, deve capirla: suo suocero è Gordon Ramsey, cuoco britannico di estrema raffinatezza passato a divenire irresistibile personaggio TV di programmi come – quanto mai adatto qui citarlo – Cucine da incubo.
Il Peaty ha dichiarato che al Villaggio Olimpico gli è stato servito del pesce con i vermi. «Mi piace anche il pesce» ha dichiarato «ma le persone hanno trovato i vermi, Non va bene. Voglio solo che le persone abbiano le migliori condizioni e penso che siano gli atleti a poter far conoscere meglio la situazione».
Ora in molti dicono che anche questo è un effetto collaterale dell’ideologia green inflitta agli olimpionici: la carne non è ecologica, e quindi si è preferito il pesce, che è notoriamente più difficile da conservare. Il Comitato organizzatore si è difeso dicendo che con l’appaltatore della ristorazione «ha lavorato in maniera proattiva per adattare le forniture alla domanda in aumento dei ristoranti del villaggio».
In effetti, l’appaltatore sul sito si definisce come «leader nell’offrire soluzione per un’alimentazione sostenibile». La sostenibilità a discapito dei vertici dello sport dell’umanità, obbligati a mangiare materia putrefatta.
Peaty è andato oltre, e con lucidità: «per migliorare l’impatto ambientale, hanno ridotto del 60% i piatti a base di carne: ma come faccio io a seguire la mia dieta? Qui la narrativa della sostenibilità è stata scaricata sugli atleti». Il campione ha poi lanciato il suo grido di carnivoro funzionalmente offeso: «io ho bisogno di carne per le mie prestazioni e di mangiare come mangio a casa quando mi alleno. Non capisco perché dovrei cambiare dieta».
Come altri atleti che hanno lamentato la mancanza delle proteine, forse nemmeno l’olimpionico genero di Gordon Ramsey non sa che anche questo potrebbe essere un occulto fine della dottrina verde: demuscolarizzare la popolazione, renderla gracile ed indifesa, narcotizzata dai livelli glicemici che assicurano i carboidrati.
Tuttavia quindi ci preme sottolineare un livello di continuità di significato più profondo.
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Renovatio 21 aveva parlato della scelta, giocoforza consapevole, di immergere gli splendidi corpi degli atleti olimpici nel fiume di cacca della capitale francese
Ora si comprende che ci potrebbe essere un’ulteriore piano di perversione. Quello per cui a questi bei giovani viene servito con compiacimento programmatico – sadico? – della somma autorità organizzatrice (quella che si esprime con la cerimonia spaventosa, ricordiamo) cibo immondo, che sono costretti ad ingollare.
Si tratta di una scena che il lettore cinephile può aver visto in un film particolare, Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975), ultima, allucinante pellicola di Pier Paolo Pasolini, uscita dopo la sua morte, avvenuto mentre l’intellettuale omosessuale era appartato con il «ragazzo di vita» minorenne Piero Pelosi. Si tratta di un’opera cupa e a tratti rivoltante, dove non emerge nessuna morale che non sia la sopraffazione terminale del potere sull’innocente, e non si capisce se l’autore non sia più che altro uno spettatore che gode di tale violenza immonda.
Il maestro del cinema Quentin Tarantino, che è sempre istruttivo come nessun altro quando si parla di cinema, ha rivelato in un’intervista che non ha mai assistito ad una proiezione pubblica di Salò senza che non vi sia una qualche forma di rigetto violento da parte degli spettatori. Ciò accade, pensiamo noi, per chi non ha una personalità pervertita: il film gode infatti di un culto assoluto presso circoli di omosessuali sadomasochisti.
Nella storia, che immagina una serie di gerarchi fascisti che sul finire della guerra mettono tanti giovani in una villa per poi poterne abusare sessualmente con ogni sorta di angheria, una scena in particolare ha colpito l’immaginazione: la massa di giovani innocenti viene obbligata a mangiare degli escrementi, tra incitamenti crudeli – «mangia! Mangia!» – poi campionati anche nella musica sperimentale del gruppo britannico Coil.
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Si tratta di una sequenza raccapricciante, che epperò racconta benissimo di una fantasia che certe menti perverse possono avere: quella di esprimere il proprio potere facendo mangiare a chi è sottomesso perfino gli escrementi.
Ora, tra la perversione omoerotica visibile nell’opera postuma del Pasolini e quanto avviene alle mense delle Olimpiadi, c’è un altro trait d’union: Salò altro non è che un riadattamento delle 120 giornate di Sodoma del marchese De Sade, che, come noto, fu figura di rilevanza per la Rivoluzione Francese: De Sade voleva spazzar via la morale e con essa la religione organizzata – il cattolicesimo – e per le sue porcherie era stato rinchiuso alla Bastiglia, luogo la cui presa divenne simbolo stesso della Rivoluzione partita a Parigi.
Abbiamo già spiegato quanto la cerimonia di apertura sembra continuare questo spirito rivoluzionario: l’immagine di Maria Antonietta decapitata che intona il canto rivoluzionario ça ira per poi vedere fiumi di sangue zampillare dal palazzo in strada.
Del resto, al potere ci sono loro: gli eredi del 1789. I figli di Robespierre, di Marat, di Danton, di Desmoulins, … e, evidentemente, di De Sade.
Oltre agli ideali, è certo che è stato trasmesso ai vertici attuali di Parigi anche qualche perversione degli antenati distruttori. Anzi: sappiamo che in vari casi, ideale e perversione coincidono.
E quindi, perché dopo avere immerso nella merda quei giovani corpi, perché non obbligarli a mangiarne?
Come vogliamo chiamare questo film? Macron e le 15 giornate della Sodoma olimpica?
E siamo sicuri che termineranno con la fine di queste – oramai dichiarate – Sataniadi?
Roberto Dal Bosco
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Di tabarri e boomerri. Pochissimi i tabarri
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Pensiero
Trump e la potenza del tacchino espiatorio
Il presidente americano ha ancora una volta dimostrato la sua capacità di creare scherzi che tuttavia celano significati concreti – e talvolta enormi.
L’ultima trovata è stata la cerimonia della «grazia al tacchino», un frusto rito della Casa Bianca introdotto nel 1989 ai tempi in cui vi risiedeva Bush senior. Il tacchino, come noto, è l’alimento principe del giorno del Ringraziamento, probabilmente la più sentita ricorrenza civile degli americani, che celebra il momento in cui i Padri Pellegrini, utopisti protestanti, furono salvati dai pellerossa che indicarono ai migranti luterani come a quelli latitudini fosse meglio coltivare il granturco ed allevare i tacchini. Al ringraziamento degli indiani indigeni seguì poco dopo il massacro, però questa è un’altra storia.
Fatto sta che il tacchino, creatura visivamente ripugnante per i suoi modi sgraziati e le sue incomprensibili protuberanze carnose, diventa un simbolo nazionale americano, forse persino più importante dell’aquila della testa bianca, perché il rapace non raccoglie tutte le famiglie a cena in una magica notte d’inverno, il tacchino sì. Tant’è che ai due fortunati uccelli di quest’anno, Gobble e Waddle (nomi scelti online dal popolo statunitense, è stata fatta trascorrere una notte nel lussuosissimo albergo di Washington Willard InterContinental.
🦃 America’s annual tradition of the Presidential Turkey Pardon is ALMOST HERE!
THROWBACK to some of the most legendary presidential turkeys in POTUS & @FLOTUS history before the big moment this year. 🎬🔥 pic.twitter.com/QT2Oal12ax
— The White House (@WhiteHouse) November 24, 2025
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Da più di un quarto di secolo, quindi, eccoti che qualcuno vicino alla stanza dei bottoni si inventa che il commander in chief appaia nel giardino delle rose antistante la residenza e, a favore di fotografi, impartista una grazia al tacchino, salvandolo teoricamente dal finire sulla tavola – in realtà ci finisce comunque suo fratello, o lui stesso, ma tanto basta. Non sono mancati i momenti grotteschi, come quando il bipede piumato, dinanzi a schiere di alti funzionari dello stato e giornalisti, ha scagazzato ex abrupto e ad abundantiam lasciando puteolenti strisce bianche alla Casa Bianca.
Non si capisce cosa esattamente questo rituale rappresenti, se non la ridicolizzazione del potere del presidente di comminare grazie per i reati federali, tema, come sappiamo quanto mai importante in quest’ultimo anno alla Casa Bianca, visti le inedite «grazie preventive» date al figlio corrotto di Biden Hunter, al plenipotenziario pandemico Anthony Fauci, al generale (da alcuni ritenuto golpista de facto) Mark Milley. Sull’autenticità delle firme presidenziali bideniane non solo c’è dibattito, ma l’ipostatizzazione del problema nella galleria dei ritratti dei presidenti americani, dove la foto di Biden, considerato in istato di amenza da anni, è sostituita da un’immagine dell’auto-pen, uno strumento per automatizzare le firme forse a insaputa dello stesso presidente demente.
Ecco che Donaldo approffitta della cerimonia del pardon al tacchino per lanciare un messaggio preciso: appartentemente per ischerzo, ma con drammatico valore neanche tanto recondito.
Trump si mette a parlare di un’indagine approfondita condotta da Bondi e da una serie di dipartimenti su di « una situazione terribile causata da un uomo di nome Sleepy Joe Biden. L’anno scorso ha usato un’autopsia per concedere la grazia al tacchino».
«Ho il dovere ufficiale di stabilire, e ho stabilito, che le grazie ai tacchini dell’anno scorso sono totalmente invalide» ha proclamato il presidente. «I tacchini conosciuti come Peach and Blossom l’anno scorso sono stati localizzati e stavano per essere macellati, in altre parole, macellati. Ma ho interrotto quel viaggio e li ho ufficialmente graziati, e non saranno serviti per la cena del Ringraziamento. Li abbiamo salvati al momento giusto».
La gente ha iniziato a ridere. Testato il meccanismo, Trump ha continuato quindi ad usare i tacchini come veicoli di attacco politico.
«Quando ho visto le loro foto per la prima volta, ho pensato che avremmo dovuto mandargliele – beh, non dovrei dirlo – volevo chiamarli Chuck e Nancy», ha detto il presidente riguardo ai tacchini, facendo riferimento ai politici democratici Chuck Schumer e Nancy Pelosi. «Ma poi ho capito che non li avrei perdonati, non avrei mai perdonato quelle due persone. Non li avrei perdonati. Non mi importerebbe cosa mi dicesse Melania: ‘Tesoro, penso che sarebbe una cosa carina da fare’. Non lo farò, tesoro».
Dopo che il presidente ha annunciato che si tratta del primo tacchino MAHA (con tanto di certificazione del segretario alla Salute Robert Kennedy jr.), l’uso politico del pennuto è andato molto oltre, nell’ambito dell’immigrazione e del terrorismo: «invece di dar loro la grazia, alcuni dei miei collaboratori più entusiasti stavano già preparando le carte per spedire Gobble e Waddle direttamente al centro di detenzione per terroristi in El Salvador. E persino quegli uccelli non vogliono stare lì. Sapete cosa intendo».
Tutto bellissimo, come sempre con Trump. Il quale certamente non sa che l’uso del tacchino espiatorio non solo non è nuovo, ma ha persino una sua festa, in Alta Italia.
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Parliamo dell’antica Giostra del Pitu (vocabolo piementose per il pennuto) presso Tonco, in provincia di Asti. La ricorrenza deriverebbe da usanze apotropaiche contadine, dove, per assicurarsi il favore celeste al raccolto, il popolo scaricava tutte le colpe dei mali che affligevano la società su un tacchino, che rappresentava tacitamente il feudatario locale. Secondo la leggenda, questi era perfettamente a conoscenza della neanche tanto segreta identificazione del tacchino con il potere, e lasciava fare, consapevole dello strumento catartico che andava caricandosi.
Tale mirabile festa piemontese va vanti ancora oggi, anticipata da un corteo storico che riproduce la visita dei nobili a Gerardo da Tonco, figura reale del luogo e fondatore dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni in Gerusalemme, poi divenuto Sovrano Militare Ordine di Malta.
Subito dopo il gruppo che accompagna Gerardo avanza il carro su cui troneggia il tacchino vivo, autentico protagonista della celebrazione. Seguono quindi i giudici e i carri delle varie contrade del paese, che mettono in scena, con grande realismo, momenti di vita contadina tradizionale. Il passaggio del tacchino è tra ali di folla che non esitano ad insultare duramente il pennuto sacrificale.
Il clou dell’evento è il cosiddetto processo al Pitu, arricchito da un vivace botta-e-risposta in dialetto piemontese tra l’accusa pubblica e lo stesso Pitu, il quale tenta inutilmente di difendersi. Dopo la inevitabile condanna, il Pitu chiede come ultima volontà di fare testamento in pubblico, dando vita a un nuovo momento di ilarità.
Durante la lettura del testamento, infatti, egli si vendica della sentenza rivelando, sempre in stretto dialetto, vizi grandi e piccoli dei notabili e dei personaggi più in vista della comunità. Fino al 2009, al termine del testamento, un secondo tacchino (già macellato e acquistato regolarmente in macelleria, quindi comunque destinato alla tavola) veniva appeso a testa in giù al centro della piazza. Dal 2015, purtroppo, il tacchino è stato sostituito da un pupazzo di stoffa, così gli animalisti sono felici, ma il tacchino in zona probabilmente lo si mangia lo stesso.
Ci sarebbe qui da lanciarsi in riflessioni abissali sulla meccanica del capro espiatorio di Réné Girard, ma con evidenza siamo già oltre, siamo appunto al tacchino espiatorio.
Il tacchino espiatorio diviene il dispositivo con cui è possibile, se non purificare, esorcizzare, quantomeno dire dei mali del mondo.
Ci risulta a questo punto impossibile resistere. Renovatio 21, sperando in una qualche abreazione collettiva, procede ad accusare l’infame, idegno, malefico tacchino, che gravemente nuoce a noi, al nostro corpo, alla nostra anima, al futuro dei nostri figli.
Noi accusiamo il tacchino di rapire, o lasciare che si rapiscano, i bambini che stanno felici nelle loro famiglie.
Noi accusiamo il tacchino di aver messo il popolo a rischio di una guerra termonucleare globale.
Noi accusiamo il tacchino di praticare una fiscalità che pura rapina, che costituisce uno sfruttamento, dicevano una volta i papi, grida vendetta al cielo.
Noi accusiamo il tacchino di essere incompetente e corrotto, di favorire i potenti e schiacciare i deboli. Noi accusiamo il tacchino di essere mediocre, e per questo di non meritare alcun potere.
Noi accusiamo il tacchino di aver accettato, se non programmato, l’invasione sistematica della Nazione da parte di masse barbare e criminali, fatte entrare con il chiaro risultato della dissoluzione del tessuto sociale.
Noi accusiamo il tacchino di favorire gli invasori e perseguitare gli onesti cittadini contribuenti.
Noi accusiamo il tacchino di aver degradato la religione divina, di aver permesso la bestemmia, la dissoluzione della fede. Noi accusiamo il tacchino di essere, che esso lo sappia o meno, alleato di Satana.
Noi accusiamo il tacchino di operare per la rovina dei costumi.
Noi accusiamo il tacchino per la distruzione dell’arte e della bellezza, e la sua sostituzione con bruttezza e degrado, con la disperazione estetica come via per la disperazione interiore.
Noi accusiamo il tacchino di essere un effetto superficiale, ed inevitabilmente tossico, di un plurisecolare progetto massonico di dominio dell’umanità.
Noi accusiamo per la strage dei bambini nel grembo materno, la strage dei vecchi da eutanatizzare, la strage di chi ha avuto un incidente e si ritrova squartato vivo dal sistema dei predatori di organi.
Noi accusiamo il tacchino del programa di produzione di umanoidi in provetta, con l’eugenetica neohitlerista annessa.
Noi accusiamo il tacchino di voler alterare la biologia umana per via della siringa obbligatoria.
Noi accusiamo il tacchino di spacciare psicodroghe nelle farmacie, che non solo non colmano il vuoto creato dallo stesso tacchino nelle persone, ma pure le rendono violente e financo assassine.
Noi accusiamo il tacchino per l’introduzione della pornografia nelle scuole dei nostri bambini piccoli. Noi accusiamo il tacchino per la diffusione della pornografia tout court.
Noi accusiamo il tacchino per l’omotransessualizzazione, culto gnostico oramai annegato nello Stato, con i suoi riti mostruosi di mutilazione, castrazione, con le sue droghe steroidee sintetiche, con le sue follie onomastiche e istituzionali.
Noi accusiamo il tacchino di voler istituire un regime di biosorveglianza assoluta, rafforzato dalla follia totalitaria dell’euro digitale.
Noi accusiamo il tacchino, agente inarrestabile della Necrocultura, della devastazione inflitta al mondo che stiamo consegnando ai nostri figli.
Tacchino maledetto, i tuoi giorni sono contati. Sappi che ogni giorno della nostra vita è passato a costruire il momento in cui, tu, tacchino immondo, verrai punito.
Roberto Dal Bosco
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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