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Geopolitica

M5s-Cina, film comico alla Mostra del Cinema di Venezia

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Qualche giorno fa il sito Linkiesta ha pubblicato un edificante resoconto dell’apparizione dell’on. Manlio di Stefano alla 77° Mostra del Cinema di Venezia.

 

Di Stefano, per chi non lo sapesse, è sottosegretario agli Esteri, ma è divenuto popolare ai più solo di recente, quando per l’esplosione di Beirut ha mandato la sua solidarietà ai libici.

«Il Cinquestelle si è lanciato poi in un endorsement della Cina, ricordando come proprio con il Paese orientale le collaborazioni cinematografiche abbiano radici profonde. Talmente profonde che risalgono al 2016, quattro anni fa»

 

L’on. Di Stefano a Venezia ha partecipato ad una tavola rotonda a tema cinematografico con delegazioni dai maggiori Paesi cineproduttori del mondo: USA, India, Cina.

 

Scrive il sito che «il Cinquestelle si è lanciato poi in un endorsement della Cina, ricordando come proprio con il Paese orientale le collaborazioni cinematografiche abbiano radici profonde. Talmente profonde che risalgono al 2016, quattro anni fa. Ma si sa, il tempo vola».

 

I virgolettati riportati del discorso di Di Stefano diventano quindi sempre più contorti ed oscuri.

I virgolettati riportati del discorso di Di Stefano diventano sempre più contorti ed oscuri

 

«Molto più potente come messaggio un divo banalmente di un altro Paese che viene poi visto in una realtà come quella italiana e quindi lasciando un ricordo molto più legato alle proprie tradizioni e al proprio modo di sentire».

 

«Il tutto farebbe perno, secondo Di Stefano, sulla condivisione con la Cina dei “temi cari al nostro cinema, come la famiglia“». In Cina la visione della famiglia è stata, fino a pochi mesi fa, quella del figlio unico, con ammende e aborti forzati per i disobbedienti, e chissà quale filiera orripilante a partire dal numero di cui bambini uccisi nel ventre materno dallo Stato sterilizzatore del Partito Comunista Cinese.

 

«Il tutto farebbe perno, secondo Di Stefano, sulla condivisione con la Cina dei “temi cari al nostro cinema, come la famiglia“». In Cina la visione della famiglia è stata, fino a pochi mesi fa, quella del figlio unico, con ammende e aborti forzati

Esaltare la comunanza tra la famiglia italiana e quella cinese, dove talvolta si contrae il divorzio solo per accedere ad un mutuo per la seconda casa, è un passo un po’ spinto; questo ulteriore peana alla Cina potrebbe essere un riferimento ad Aurelio Peccei, Signore della Necrocultura planetaria e fondatore del Club di Roma, i cui uomini suggerirono con successo al governo Deng di applicare la politica del figlio unico.

 

Il Club di Roma è citato varie volte da Casaleggio, che nei suoi libri – che nessuno legge – e nei video da lui prodotti più volte tratta l’aborto e la sovrappopolazione.

 

Il problema è che dubitiamo che l’on. Di Stefano possa arrivare a tanto; chiedergli di conoscere i pensieri dietro il suo partito ci rendiamo conto è davvero tantissimo, per un grillino. Più facile, quindi, buttare lì un adorante quadretto filocinese, perché tutti nell’allegro partitello di Grillo (il quale ha incontrato l’ambasciatore cinese lo scorso novembre) non fanno altro.

 

Quindi, ecco che il nostro avanza e sottolinea di nuovo «le affinità dei valori che le famiglie italiani e quelle cinesi condividono» e promuove «ripetutamente co-produzioni italocinesi».

 

Insomma, un lavoretto fatto bene.

 

«Lo spot pubblicitario pro Cina del sottosegretario Cinquestelle è durato 13 minuti. La delegazione cinese presente, secondo Di Stefano, è “inutile dire” che sia “solida“. Qualunque cosa volesse dire»

«Lo spot pubblicitario pro Cina del sottosegretario Cinquestelle è durato 13 minuti. La delegazione cinese presente, secondo Di Stefano, è “inutile dire” che sia “solida“. Qualunque cosa volesse dire» chiosa Linkiesta.

 

Nel frattempo, su Instagram, l’on. Di Stefano piazza una foto di sé con una signora tirata che camminano sul Red Carpet del Festival, lui sghignazza felicissimo. «Mai prendersi troppo sul serio, nemmeno sul red-carpet della Mostra del Cinema di Venezia» recita la didascalia. Agli utenti che gli chiedono cosa ci facesse lì un sottosegretario, lui risponde che quella «baracca» (sic) coinvolge il suo lavoro di sottosegretario.

 

In questi mesi orrendi di pandemia e governo grillo-pidiota pensavate di aver visto il fondo, nella geopolitica filocinese lecchinosa come nelle attitudini della compagine di governo

In questi mesi orrendi di pandemia e governo grillo-pidiota pensavate di aver visto il fondo, nella geopolitica filocinese lecchinosa come nelle attitudini della compagine di governo.

 

Ma no. Non avete visto ancora niente. Non è nemmeno un film comico, è con probabilità un film demenziale. Non ha mai fatto ridere, però. Come il suo fondatore.

 

 

 

 

Immagine screenshot dalla pagina Instagram dell’on. Di Stefano

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Geopolitica

Attacco israeliano in Qatar. La condanna di Trump

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Israele ha condotto un «attacco di precisione» contro «i vertici di Hamas», hanno annunciato martedì le Forze di difesa israeliane (IDF), poco dopo che numerose esplosioni hanno scosso il quartier generale del gruppo militante palestinese a Doha, in Qatar.

 

Da parte delle forze dello Stato Ebraico, si tratta di una violazione territoriale inedita, perché – a differenza di casi analoghi in Libano e Iran – condotta in uno Stato «alleato» di Washington e dell’Occidente, cui fornisce capitale e gas. L’attacco pare essere stato diretto ai negoziatori di Hamas, i quali avevano ricevuto dal presidente americano Trump un invito al tavolo della pace poco prima.

 

L’esercito israeliano ha dichiarato di aver condotto l’operazione in coordinamento con l’agenzia di sicurezza Shin Bet (ISA). Le IDF non hanno indicato il luogo esatto preso di mira dall’attacco.

 

«L’IDF e l’ISA hanno condotto un attacco mirato contro i vertici dell’organizzazione terroristica Hamas», ha dichiarato l’IDF in una nota. «Prima dell’attacco, sono state adottate misure per mitigare i danni ai civili, tra cui l’uso di munizioni di precisione e di intelligence aggiuntiva».

 

L’annuncio è arrivato dopo che almeno dieci esplosioni avrebbero scosso il quartier generale di Hamas a Doha. I filmati che circolano online mostrano che l’edificio è stato gravemente danneggiato. Secondo diversi resoconti dei media che citano fonti di Hamas, l’attacco ha preso di mira il team negoziale del gruppo, che stava discutendo l’ultima proposta statunitense sulla cessazione delle ostilità con Israele.

 

Il Qatar ha condannato il «vile attacco israeliano», descrivendo il luogo interessato dall’attacco come «edifici residenziali che ospitano diversi membri dell’ufficio politico del movimento Hamas».

 

 

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L’attacco israeliano a Doha è stato un «momento cruciale» per l’intera regione, ha affermato il primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, condannando l’attacco come «terrorismo di Stato».

 

L’attacco a sorpresa non sarà «ignorato» e il Qatar «si riserva il diritto di rispondere a questo attacco palese», ha dichiarato il primo ministro in una conferenza stampa. «Oggi abbiamo raggiunto un punto di svolta affinché l’intera regione dia una risposta a una condotta così barbara».

 

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Al-Thani ha attaccato duramente il suo omologo israeliano, Benjamin Netanyahu, accusandolo di compromettere la stabilità regionale in nome di «deliri narcisistici» e interessi personali. Il Qatar continuerà il suo impegno di mediazione per risolvere le persistenti ostilità con Hamas, ha affermato.

 

Il primo ministro quatarino ha ammesso che lo spazio per la diplomazia è ormai diventato molto ristretto e che l’attacco ha probabilmente fatto deragliare il ciclo di negoziati dedicato all’ultima proposta avanzata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

 

«Per quanto riguarda i colloqui in corso, non credo che ci sia nulla di valido dopo aver assistito a un attacco del genere», ha affermato.

 

L’attacco israeliano è avvenuto due giorni dopo che il presidente degli Stati Uniti aveva lanciato un altro «ultimo avvertimento» ad Hamas, sostenendo che Israele aveva già accettato termini non specificati di un accordo da lui proposto e chiedendo al gruppo di rilasciare gli ostaggi israeliani ancora detenuti a Gaza. Poco dopo, anche il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha dato al gruppo un “ultimo avvertimento”, minacciando Hamas di annientamento e intimando ai militanti di deporre le armi. In seguito alle minacce, Hamas aveva dichiarato di essere pronta a «sedersi immediatamente al tavolo delle trattative» dopo aver ascoltato quelle che ha descritto come «alcune idee da parte americana volte a raggiungere un accordo di cessate il fuoco».

 

Tuttavia nelle ultime ore è emersa la condanna del presidente statunitense contro l’attacco israeliano. In una dichiarazione pubblicata martedì su Truth Social, Trump ha criticato l’attacco aereo di Israele contro un complesso di Hamas a Doha, sottolineando che la decisione di portare a termine l’operazione all’interno del Qatar è stata presa unilateralmente dal primo ministro Benjamin Netanyahu e non da Washington.

 

Nel suo post Trump ha affermato che il bombardamento israeliano all’interno di «una nazione sovrana e stretto alleato degli Stati Uniti» non ha «favorito gli obiettivi di Israele o dell’America».

 

«Considero il Qatar un forte alleato e amico degli Stati Uniti e mi dispiace molto per il luogo dell’attacco», ha scritto, sottolineando che l’attacco è stato «una decisione presa dal primo ministro Netanyahu, non una decisione presa da me».

 

Trump ha affermato che, non appena informato dell’operazione, ha incaricato l’inviato speciale statunitense Steve Witkoff di avvertire i funzionari del Qatar, ma ha osservato che l’allerta è arrivata «troppo tardi per fermare l’attacco». Il presidente ha affermato che eliminare Hamas era un «obiettivo degno», ma ha espresso la speranza che «questo sfortunato incidente possa servire come un’opportunità per la PACE».

 

Da allora Trump ha parlato con Netanyahu, che gli ha detto di voler fare la pace, e con i leader del Qatar, che ha ringraziato per il loro sostegno e ha assicurato che «una cosa del genere non accadrà più sul loro territorio».

 

La Casa Bianca ha definito l’attacco un incidente «sfortunato». Trump ha dichiarato di aver incaricato il Segretario di Stato Marco Rubio di finalizzare un accordo di cooperazione per la difesa con il Qatar, designato come «importante alleato non NATO».

 

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Nell’operazione circa 15 aerei da guerra israeliani hanno sparato almeno dieci munizioni durante l’operazione di martedì, uccidendo diversi membri di Hamas, tra cui il figlio dell’alto funzionario Khalil al-Hayya. Hamas ha affermato che i suoi vertici sono sopravvissuti all’attacco, descritto come un tentativo di assassinare i negoziatori impegnati a raggiungere un possibile accordo.

L’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha insistito sul fatto che l’attacco ad Hamas in Qatar è stato un’azione unilaterale e che nessun altro paese è stato coinvolto nell’operazione.

 

«L’azione odierna contro i principali capi terroristi di Hamas è stata un’operazione israeliana del tutto indipendente. Israele l’ha avviata, Israele l’ha condotta e Israele si assume la piena responsabilità», si legge in una nota.

 

Il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha condannato l’attacco israeliano definendolo una «flagrante violazione della sovranità e dell’integrità territoriale del Qatar». «Tutte le parti devono impegnarsi per raggiungere un cessate il fuoco permanente, non per distruggerlo», ha detto ai giornalisti.

 

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Geopolitica

Lavrov: la Russia non ha voglia di vendetta

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La Russia non ha intenzione di vendicarsi dei paesi occidentali che hanno interrotto i rapporti e fatto pressioni su Mosca a causa del conflitto in Ucraina, ha affermato il ministro degli Esteri Sergej Lavrov.   Intervenendo lunedì all’Istituto statale di relazioni internazionali di Mosca, Lavrov ha sottolineato che la Russia non intende «vendicarsi o sfogare la propria rabbia» sulle aziende che hanno deciso di sostenere i governi occidentali nel loro tentativo di sostenere Kiev e imporre sanzioni economiche a Mosca, aggiungendo che l’ostilità è generalmente «una cattiva consigliera».   «Quando i nostri ex partner occidentali torneranno in sé… non li respingeremo. Ma… terremo conto che, essendo fuggiti su ordine dei loro leader politici, si sono dimostrati inaffidabili», ha affermato il ministro.   Secondo Lavrov, qualsiasi futuro accesso al mercato dipenderà anche dalla possibilità che le aziende rappresentino un rischio per i settori vitali per l’economia e la sicurezza della Russia.

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Il ministro ha sottolineato che la Russia è aperta alla cooperazione e non ha alcuna intenzione di isolarsi. «Viviamo su un piccolo pianeta. Costruire i muri di Berlino è stato in stile occidentale… Non vogliamo costruire alcun muro», ha affermato, riferendosi al simbolo della Guerra Fredda che ha diviso la capitale tedesca dal 1961 al 1989.   «Vogliamo lavorare onestamente e se i nostri partner sono pronti a fare lo stesso sulla base dell’uguaglianza e del rispetto reciproco, siamo aperti al dialogo con tutti», ha affermato, indicando il vertice in Alaska tra il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo statunitense, Donald Trump, come esempio di impegno costruttivo.   Il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha dichiarato sabato che le aziende occidentali sarebbero state benvenute se non avessero sostenuto l’esercito ucraino e avessero rispettato gli obblighi nei confronti dello Stato e del personale russo, tra cui il pagamento degli stipendi dovuti.   Questo mese Putin ha anche respinto l’isolazionismo, sottolineando che la Russia vorrebbe evitare di chiudersi in un «guscio nazionale», poiché ciò danneggerebbe la competitività. «Non abbiamo mai respinto o espulso nessuno. Chi vuole rientrare è il benvenuto», ha aggiunto.

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Geopolitica

Museo dell’Olocausto ritira post perché leggibile come filo-Gaza

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Un museo dell’Olocausto di Los Angeles ha cancellato un post sui social media contenente uno slogan da tempo associato all’Olocausto, dopo che alcune persone hanno affermato che alludeva alla guerra di Gaza.

 

Il messaggio, condiviso con i 24.000 follower su Instagram dell’Holocaust Museum di Los Angeles nel fine settimana, mostrava un’immagine di mani e avambracci di diverse tonalità di pelle – tra cui una con un tatuaggio dell’Olocausto – uniti in un cerchio. La didascalia recitava: «Mai più non può significare solo mai più per gli ebrei».

 

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Sebbene inizialmente alcuni abbiano elogiato il post come un riconoscimento delle sofferenze dei palestinesi, esso ha subito suscitato reazioni negative da parte dei gruppi ebraici, spingendone alla sua rimozione.

 

In seguito il museo ha affermato che il post faceva parte di una campagna pianificata in precedenza «intesa a promuovere l’inclusività e la comunità», non «una dichiarazione politica che riflette la situazione attuale in Medio Oriente».

 

Sebbene il post non menzionasse Gaza, alcuni commentatori filo-israeliani hanno esortato i donatori a tagliare i finanziamenti all’istituzione. La rimozione del post, a sua volta, ha portato voci filo-palestinesi ad accusare il museo di fare marcia indietro su un principio universale anti-genocidio.

 

 

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Un post condiviso da Holocaust Museum LA (@holocaustmuseumla)

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Il museo di Los Angeles, fondato nel 1961 dai sopravvissuti all’Olocausto, è attualmente chiuso per ristrutturazione fino a giugno 2026. Si è impegnato a «fare meglio» e a garantire che i post futuri siano «progettati in modo più attento».

 

Si tratta di un caso di fulminea rieducazione infraebraica non dissimile a quello capitato, alle nostre latitudini, allo storico universitario Ariel Toaff, figlio del notissimo rabbino romano Elio Toaff, il cui libro sul sacrificio rituale ebraico fu ritirato rapidamente dalle librerie per uscire in una versione «potata».

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Immagine di Lamoth via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

 

 

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