Economia
L’Ungheria dichiara l’emergenza energetica

Lo scorso mercoledì il governo ungherese ha dichiarato lo stato di emergenza per l’inasprimento delle forniture energetiche.
Gergely Gulyas, attuale «ministro dell’ufficio del primo ministro» di Viktor Orban, ha annunciato che la produzione nazionale di gas e carbone sarà intensificata e le riserve di gas riempite prima dell’inverno.
Gulyas ha detto ai giornalisti che, con l’UE tagliata fuori dalle importazioni di energia russe, il blocco europeo probabilmente non avrà abbastanza gas dall’autunno in poi.
In risposta alla crisi dell’offerta, il ministro ha annunciato un piano in sette punti, in vigore da agosto.
L’Ungheria aumenterà la produzione nazionale di gas da 1,5 a 2 miliardi di metri cubi, riempiendo gli impianti di stoccaggio del Paese con gas estero. Al momento, Gulyas ha affermato che le riserve del Paese sono piene al 44%.
Nel frattempo, il suo governo imporrà un divieto all’esportazione di legna da ardere, aumentando al contempo l’estrazione nazionale di carbone. Allo stesso tempo, la centrale a carbone di Matra verrà riavviata al più presto, essendo stata parzialmente chiusa da gennaio 2021.
L’orario di esercizio della centrale nucleare di Paks – che produce più della metà dell’elettricità del Paese – sarà esteso, mentre ai clienti che utilizzano più di una quantità di energia assegnata non saranno offerte tariffe fisse.
I limiti di prezzo attualmente assicurano che gli ungheresi paghino sei volte meno dei prezzi di mercato per l’elettricità e otto volte meno per il gas, secondo il commissario governativo Szilard Nemeth.
L’Ungheria dipende quasi interamente dalla Russia per il suo gas naturale e si è opposta a un embargo dell’UE sulla risorsa vitale. Il presidente magiaro Orban ha previsto il mese scorso che un tale divieto «rovinerà l’intera economia europea».
Come riportato da Renovatio 21, Orban ha approfondito la sua tesi del suicidio energetico di Bruxelles in questi giorni: «inizialmente, pensavo che ci fossimo solo sparati a un piede, ma ora è chiaro che l’economia europea si è sparata nei polmoni , ed è senza fiato».
L’Ungheria si è anche opposta al ritiro graduale dell’UE dalle importazioni russe di petrolio entro la fine di quest’anno e ha ottenuto una deroga per continuare ad acquistare il carburante da Mosca.
«Gli impianti di stoccaggio del gas ungheresi rimarranno di proprietà ungherese, utilizzeremo il gas negli impianti di stoccaggio del gas ungheresi acquistati con i soldi dei contribuenti ungheresi in Ungheria», ha affermato la scorsa settimana il ministro degli Esteri Peter Szijarto, aggiungendo che il suggerimento di condivisione del gas «ci ricorda il comunismo».
Come noto, qualora scattasse l’idea della condivisione del gas, a goderne sarebbe la Germania (che ha problemi di stoccaggio, al punto da aver rischiato il blackout gasiero a inizio anno, prima della guerra e delle sanzioni antirusse) e a perderne sarebbe l’Italia che ha invece ingenti riserve, seppur in via di rapido esaurimento.
Nonostante una serie di misure protezionistiche, Gulyas ha detto ai giornalisti che l’Ungheria dovrà ridurre il proprio consumo energetico.
Come riportato da Renovatio 21, l’Ungheria appena partito il conflitto aveva bloccato le esportazioni di grano. Uno dei principali compratori di cereali ungheresi era l’Italia, il cui fabbisogno di grano tenero dipende al 25% da Budapest, mentre le importazioni di mais si aggirano al 32% del totale.
Nonostante vi siano politici e siti che strombazzano una telefonata risolutiva del premier Draghi ad Orban a metà marzo, non è chiaro quanto del commercio cerealicolo tra i due Paesi sia ora stato sbloccato.
Immagine di Elekes Andor via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)
Economia
Il debito francese è un pericolo per tutta l’Eurozona

Il crescente debito sovrano della Francia, unito alle lotte politiche interne, potrebbe minacciare la stabilità fiscale dell’Eurozona. Lo riporta l’emittente pubblica tedesca Deutsche Welle, citando un esperto.
La Francia ha uno dei debiti nazionali più elevati dell’UE, attualmente pari a 3,35 trilioni di euro (3,9 trilioni di dollari), pari a circa il 113% del PIL. Si prevede che il rapporto salirà al 125% entro il 2030. Il deficit di bilancio è previsto al 5,4-5,8% quest’anno, ben al di sopra del limite del 3% previsto dall’Unione.
Friedrich Heinemann del Centro Leibniz per la Ricerca Economica Europea ZEW di Mannheim, in Germania, ha dichiarato alla testata in un articolo pubblicato sabato: «dovremmo essere preoccupati. L’eurozona non è stabile in questo momento».
Un drastico piano di austerità proposto dal primo ministro francese François Bayrou, membro del governo di minoranza, ha innescato un voto di sfiducia, che ha perso lunedì sera, portando al collasso il governo francese.
Il piano del Bayrou prevedeva tagli ai posti di lavoro nel settore pubblico, una riduzione della spesa sociale e la soppressione di due festività. Il Rassemblement National di Marina Le Pen, i Socialisti e il partito di sinistra La France Insoumise si sono opposti con veemenza alla proposta.
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Anche un sondaggio Elabe condotto prima del voto ha mostrato che la maggior parte degli intervistati era contraria alle misure.
Lo Heinemann ha dichiarato a DW di dubitare che la Francia troverà presto una via d’uscita, visti gli aspri scontri politici.
A luglio, Bloomberg, citando gli esperti di ING Groep NV, ha affermato in modo analogo che il crescente debito della Francia potrebbe rappresentare una «bomba a orologeria» per la stabilità finanziaria dell’UE.
Nonostante il considerevole deficit di bilancio, la Francia prevede di aumentare la spesa militare a 64 miliardi di euro nel 2027, il doppio di quanto speso nel 2017.
Il presidente Emmanuel Macron ha ripetutamente citato una presunta minaccia russa. Il Cremlino ha costantemente liquidato le accuse come «assurdità», accusando l’UE di una rapida militarizzazione.
A maggio, gli Stati membri hanno approvato un programma di debito da 150 miliardi di euro per l’approvvigionamento di armi.
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Immagine di Philippe Druesne via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
Economia
Trump porge il ramoscello d’ulivo a Musk. Cui Tesla prepara un possibile pagamento da un trilione

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Economia
La Turchia interrompe totalmente gli scambi commerciali con Israele

La Turchia ha interrotto tutti i legami commerciali ed economici con Israele, chiudendo il suo spazio aereo ad alcuni voli israeliani, ha annunciato il Ministro degli Esteri Hakan Fidan. I due Paesi sono in conflitto da mesi a causa della campagna militare israeliana a Gaza, con la Turchia che accusa il Paese di aver commesso un genocidio.
In un discorso al parlamento nazionale di venerdì, il Fidan ha affermato che la Turchia ha «completamente interrotto i nostri scambi commerciali con Israele» e «chiuso i nostri porti alle navi israeliane».
«Non permettiamo alle navi portacontainers che trasportano armi e munizioni verso Israele di entrare nei nostri porti e agli aerei di entrare nel nostro spazio aereo», ha aggiunto il ministro di Ankara, affermando che alle navi battenti bandiera turca è vietato fare scalo nei porti israeliani e che alle imbarcazioni israeliane è vietato entrare nei porti turchi.
Come riportato da Renovatio 21, la guerra commerciale con Israele era partita un anno fa con la sospensione degli scambi.
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Una fonte diplomatica turca ha dichiarato all’agenzia Reuters che le restrizioni ai voli riguardano solo i voli ufficiali israeliani e gli aerei con armi o munizioni, non il transito di routine dei vettori commerciali.
L’agenzia ha inoltre riferito che le autorità portuali turche stanno ora richiedendo informalmente agli agenti marittimi di attestare che le navi non sono collegate a Israele e non trasportano carichi militari o pericolosi diretti nel Paese.
Tuttavia, un funzionario israeliano ha dichiarato al Jerusalem Post che la Turchia aveva «già annunciato in passato la rottura delle relazioni economiche con Israele, e che tali relazioni sono continuate», riferendosi apparentemente alla sospensione delle importazioni ed esportazioni da parte di Ankara a maggio.
I commenti del ministro sono l’ultimo segnale del deterioramento delle relazioni tra Turchia e Israele, rese ancora più tese dalla guerra a Gaza. La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.
Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.
Come riportato da Renovatio 21, in settimana i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.
Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.
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Immagine di Rob Schleiffert via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 4.0
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