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Cina

Lotte intestine al Partito Comunista Cinese: Xi Jinping non controlla tutto

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews.

 

 

Divisioni emerse prima e dopo il 6° Plenum del PCC. Cedendo all’opposizione interna, il presidente non è riuscito a imporre la sua versione della terza «risoluzione storica». Il caso della tennista Peng Shuai costruito ad arte per colpire Zhang Gaoli. I cinesi non accettano il modello dittatoriale di Xi. Una riflessione «del padre della democrazia» in Cina, ora esule negli Stati Uniti.

 

 

Il 6° Plenum del Comitato centrale del Partito comunista cinese (PCC) ha adottato una strana «risoluzione storica», che imita le due precedenti senza assomigliarvi. Se avesse rispettato il formato dei documenti di Mao Zedong e Deng Xiaoping, quello di Xi avrebbe sconfessato le risoluzioni dei vecchi leader e creato il gruppo dirigente di base e la nuova tabella di marcia per il futuro.  È nella tradizione del Partito manipolare la storia per affermare una grande immagine di se stessi. E  questa era anche l’intenzione di Xi.

 

Purtroppo per il presidente cinese, all’interno del PCC non si respira la stessa atmosfera delle passate due risoluzioni storiche, né Xi ha il prestigio di Mao e Deng; per non parlare dell’assenza di un percorso futuro condiviso da tutto il Partito. Alla vigilia del 6° Plenum nel gruppo dirigente c’era già forte disaccordo sui contenuti della terza risoluzione; sono state presentate più di 500 opinioni e apportati cambiamenti fondamentali al testo.

 

L’aiutante di Xi, Li Zhanshu, non è riuscito a sopprimere l’opposizione. Lo stesso Xi era a capo del team di scrittura del documento, ma non è stato in grado di imporre il testo che voleva.

 

Tutti questi fallimenti provano che Xi non controlla tutto: questa è una solo una credenza creata dalla propaganda ufficiale per i media e l’opinione pubblica stranieri, non la situazione reale

Tutti questi fallimenti provano che Xi non controlla tutto: questa è una solo una credenza creata dalla propaganda ufficiale per i media e l’opinione pubblica stranieri, non la situazione reale.

 

Prima del Plenum, la lotta interna al PCC era sconosciuta al mondo esterno. Da alcuni rapporti pubblicati al termine della sessione plenaria emerge che la disputa sul testo è stata molto feroce. Alla fine per Xi è stato un fallimento, con la contesa intestina al Partito che ha raggiunto un nuovo picco.

 

Da tempo ci sono indizi di scontri nel Partito. Zhang Gaoli, l’unico uomo forte e sano nella fazione di Jiang Zemin, è stato colui che si è opposto di più alla negazione dell’eredità di Deng Xiaoping e Jiang Zemin. Per questo la sua amante – la tennista Peng Shuai – si è lamentata di lui sui social media. In origine si trattava di una disputa amorosa molto personale, ma i media l’hanno cavalcata dandogli colore politico.

 

Man mano che le organizzazioni e i media internazionali si sono fatti sentire, il caso si è trasformato in un grande scandalo che ha umiliato il regime comunista e colpito le Olimpiadi invernali di Pechino del prossimo febbraio.

 

Si potrebbe dire che Xi ha sollevato un sasso, ma questo gli è caduto sul piede. Egli non sa come rispondere, se avanzare o ritirarsi.

 

hang Gaoli, l’unico uomo forte e sano nella fazione di Jiang Zemin, è stato colui che si è opposto di più alla negazione dell’eredità di Deng Xiaoping e Jiang Zemin. Per questo la sua amante – la tennista Peng Shuai – si è lamentata di lui sui social media. In origine si trattava di una disputa amorosa molto personale, ma i media l’hanno cavalcata dandogli colore politico

Ora si parla anche di un figlio illegittimo di Xi.

 

Un caso del genere, insieme a un’accusa di corruzione da mille miliardi di dollari, ha portato alle dimissioni (dall’autorità anti-corruzione) dell’attuale vice presidente Wang Qishan.

 

Tutto questo clamore spingerà Xi a fare lo stesso passo? Difficile dirlo: l’atmosfera è però molto sfavorevole per il presidente.

 

Wang si è dimesso nel 2017 perché voleva ottenere la leadership sfruttando l’anticorruzione per costruire il suo prestigio e portare a compimento gli ideali non realizzati dall’ex premier Zhu Rongji. Una combinazione di fattori interni ed esterni ha fatto fallire il suo piano. Egli è ora vice presidente senza alcun potere.

 

Xi si trova in una situazione anche peggiore. Ha offeso l’élite del Partito, il governo, i militari, gli accademici e i circoli d’affari, ma senza offrire ai cittadini comuni molto di buono. Egli ha cercato di negare la linea riformista di Deng e Jiang e ha propagandato quella dittatoriale di Mao. È  difficile che tutto il PCC e l’intero Paese lo accettino. Pertanto la vittoria al Plenum della fazione anti-Xi era attesa.

Xi ha offeso l’élite del Partito, il governo, i militari, gli accademici e i circoli d’affari, ma senza offrire ai cittadini comuni molto di buono. Egli ha cercato di negare la linea riformista di Deng e Jiang e ha propagandato quella dittatoriale di Mao. È  difficile che tutto il PCC e l’intero Paese lo accettino

 

Xi vuole far rivivere il sistema tradizionale dell’imperatore; per logica egli deve accettare il «modello cinese» di Deng Xiaoping, che è quello tradizionale di politica autocratica per gestire l’economia di mercato.

 

La dittatura a partito unico del PCC  è però un modello di servitù della gleba, e non può essere combinato con uno più avanzato. Senza la legittimità dell’eredità e il sostegno dell’ideologia confuciana, il modello di Deng non ha guadagnato legittimità, oltre ad aver ereditato una super corruzione.

 

Xi credeva che la via dell’autocrazia estrema e della dittatura personale presa da Mao fosse conforme alle caratteristiche cinesi, e che potesse obbligare la gente comune a obbedire.

 

I cinesi di oggi non sono però il popolo obbediente del periodo pre-Qing, e le élite attuali non credono nel neo-confucianesimo (delle dinastie Song e Ming).

 

Sediamoci tutti e godiamoci la vicenda, continuando a guardare questo bello spettacolo.

 

 

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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Cina

La Casa Bianca annuncia l’incontro Trump-Xi

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump incontrerà il presidente cinese Xi Jinping la prossima settimana durante un viaggio in Asia, ha dichiarato giovedì la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt.

 

Trump si recherà in Malesia e Corea del Sud, dove incontrerà Xi Jinping giovedì prossimo a margine del Vertice di Cooperazione Economica Asia-Pacifico (APEC). Leavitt non ha fornito ulteriori dettagli sull’incontro.

 

L’annuncio giunge in un contesto di crescenti tensioni commerciali tra i due Paesi. La settimana scorsa, Trump ha minacciato di introdurre un ulteriore dazio del 100% sui prodotti cinesi a partire da novembre.

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Questa escalation segue la decisione di Pechino di imporre restrizioni più severe sulle esportazioni di terre rare, nonostante avesse precedentemente definito «insostenibili» le tariffe elevate. La nuova politica cinese non colpisce direttamente gli Stati Uniti, ma le aziende tecnologiche americane dipendono fortemente dalle forniture cinesi di terre rare.

 

Sebbene Trump avesse annunciato settimane fa l’intenzione di incontrare Xi al vertice APEC, non aveva specificato la data. Tuttavia, aveva anche accennato alla possibilità di cancellare l’incontro, a causa del disappunto per le restrizioni cinesi sull’export di minerali di terre rare.

 

Mercoledì, il presidente statunitense ha dichiarato che i due leader avrebbero discusso di temi che spaziano dal commercio all’energia nucleare, aggiungendo che intende affrontare anche la questione degli acquisti di petrolio russo da parte della Cina.

 

L’incontro in Corea del Sud sarà il primo faccia a faccia tra i due leader da quando Trump è tornato al potere a gennaio. I due si sono parlati almeno tre volte quest’anno, ma l’ultimo incontro di persona risale al 2019, durante il primo mandato di Trump.

 

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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Cina

La Cina accusa gli Stati Uniti di un grave attacco informatico

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La Cina ha accusato la National Security Agency (NSA) degli Stati Uniti di aver condotto un «significativo» attacco informatico protrattosi per anni contro l’ente cinese incaricato di gestire l’orario nazionale ufficiale.   In un comunicato diffuso domenica sul suo account social ufficiale, il Ministero della Sicurezza dello Stato (MSS) ha dichiarato di aver acquisito «prove inconfutabili» dell’infiltrazione della NSA nel National Time Service Center. L’operazione segreta sarebbe iniziata nel marzo 2022, con l’obiettivo di sottrarre segreti di Stato e compiere atti di sabotaggio informatico.   Il centro rappresenta l’autorità ufficiale cinese per l’orario, fornendo e trasmettendo l’ora di Pechino a settori cruciali come finanza, energia, trasporti e difesa. Secondo l’MSS, un’interruzione di questa infrastruttura fondamentale avrebbe potuto provocare «instabilità diffusa» nei mercati finanziari, nella logistica e nell’approvvigionamento energetico.

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L’MSS ha riferito che la NSA avrebbe inizialmente sfruttato una vulnerabilità (exploit) nei telefoni cellulari di fabbricazione straniera utilizzati da alcuni membri del personale del centro, accedendo così a dati sensibili.   Nell’aprile 2023, l’agenzia avrebbe iniziato a utilizzare password rubate per penetrare nei sistemi informatici della struttura, un’operazione che avrebbe raggiunto il culmine tra agosto 2023 e giugno 2024.   Il ministero ha dichiarato che gli intrusi hanno impiegato 42 diversi strumenti informatici nella loro operazione segreta, utilizzando server privati virtuali con sede negli Stati Uniti, in Europa e in Asia per nascondere la loro provenienza.   L’MSS ha accusato gli Stati Uniti di «perseguire in modo aggressivo l’egemonia informatica» e di «violare ripetutamente le norme internazionali che regolano il cyberspazio».   Le agenzie di intelligence americane «hanno agito in modo sconsiderato, conducendo incessantemente attacchi informatici contro la Cina, il Sud-est asiatico, l’Europa e il Sud America», ha aggiunto il ministero.   Negli ultimi anni, Pechino e Washington si sono scambiate accuse reciproche di violazioni e operazioni di hacking segrete. Queste tensioni si inseriscono in un più ampio contesto di scontro tra le due potenze, che include anche una guerra commerciale.   All’inizio di gennaio, il Washington Post aveva riportato che, il mese precedente, hacker cinesi avrebbero preso di mira l’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del dipartimento del Tesoro statunitense. All’epoca, Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri cinese, aveva definito tali accuse «infondate».   Come riportato, ad inizio anno le agenzie federali USA accusarono hacker del Dragone di aver colpito almeno 70 Paesi. Due anni fa era stata la Nuova Zelanda ad accusare hackerri di Pechino di aver penetrato il sistema informatico del Parlamento di Wellington.

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Le attività dell’hacking internazionale da parte di gruppi cinesi hanno negli ultimi anni raggiunto le cronache varie volte. A maggio 2021 si è saputo che la Cina ha spiato per anni i progetti di un jet militare USA, grazie a operazioni informatiche mirate.   Come riportato da Renovatio 21, a ottobre 2023 si è scoperto che hackers cinesi hanno rubato dati da un’azienda biotech americana, colpendo il settore della ricerca.   A febbraio 2022, allo scoppio del conflitto ucraino, Microsoft ha rilevato un malware «wiper» diretto a Kiev, con sospetti di coinvolgimento cinese.   Come riportato da Renovatio 21, a gennaio 2023 un attacco cibernetico cinese ha colpito università sudcoreane. Due anni fa vi fu inoltre un attacco cibernetico a Guam, isola del Pacifico che ospita una grande base USA. Analisti dissero che poteva essere un test per il vero obbiettivo, cioè lo scontro con Taiwan.

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Cina

La Cina espelle 9 generali di alto rango, tra cui due dirigenti del Partito Comunista, in una purga radicale

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In una delle più significative operazioni di epurazione degli ultimi decenni, il presidente cinese Xi Jinping ha avviato una nuova ondata di licenziamenti ai vertici delle forze armate. Il Partito Comunista Cinese (PCC) ha infatti espulso nove generali di alto rango, in quella che gli analisti definiscono una mossa dettata non solo da motivazioni disciplinari, ma anche da logiche di lealtà politica.

 

Secondo una dichiarazione del ministero della Difesa pechinese, i nove ufficiali sarebbero sotto inchiesta per «grave illecito finanziario». A rendere il caso ancora più insolito è il fatto che la maggior parte di loro erano generali a tre stelle e membri del potente Comitato Centrale del Partito.

 

Non si è trattato di semplici retrocessioni: la maggior parte dei militari è stata completamente espulsa dalle forze armate. Nella nota ufficiale, il ministero ha accusato i generali di aver «gravemente violato la disciplina di partito» e di essere «sospettati di gravi reati connessi al servizio, che coinvolgevano una quantità di denaro estremamente elevata, di natura estremamente grave e con conseguenze estremamente dannose».

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Le autorità cinesi hanno sottolineato che gli ufficiali «saranno puniti legalmente e militarmente» a seguito dell’indagine, definita «un risultato significativo nella campagna anticorruzione del partito e dell’esercito».

 

La figura più illustre tra gli epurati è il generale He Weidong, fino a poco tempo fa vicepresidente della Commissione Militare Centrale (CMC) e membro del Politburo, l’élite di 24 dirigenti che guidano il Paese. He era considerato il secondo uomo più potente dell’apparato militare dopo Xi Jinping stesso, che presiede la CMC.

 

Negli ultimi mesi si erano diffuse voci secondo cui il generale He si fosse scontrato con Xi e con la leadership del Partito. Da marzo, infatti, non era più apparso in pubblico, circostanza che aveva alimentato le speculazioni su una possibile inchiesta interna.

 

Secondo il Wall Street Journal «il generale He è l’ufficiale militare in servizio attivo più anziano che Xi abbia mai epurato, e il primo vicepresidente in carica della Commissione Militare Centrale a essere estromesso in quasi quarant’anni». Il quotidiano statunitense ricorda inoltre che il 68enne He è «il primo membro in carica del Politburo a essere indagato dal 2017».

 

L’ultima volta che la Cina aveva assistito a un’epurazione di vertici militari di simile livello risale a circa un decennio fa, quando furono espulsi due vicepresidenti in pensione della CMC per corruzione, durante il primo mandato di Xi Jinping.

 

Segnali di una possibile purga erano già emersi a luglio, quando la Commissione Militare Centrale aveva emanato nuove linee guida che invitavano a eliminare «l’influenza tossica» nelle forze armate e a seguire «regole ferree» per gli ufficiali di alto grado.

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I nove ufficiali epurati sono He Weidong (vicepresidente della Commissione Militare Centrale, CMC); Miao Hua (direttore del dipartimento di Lavoro Politico del CMCM), He Hongjun (vicedirettore esecutivo del Dipartimento di Lavoro Politico del CMC); Wang Xiubin (vicedirettore esecutivo del Centro di Comando delle Operazioni Congiunte del CMC; Lin Xiangyang (comandante del Teatro Orientale); Qin Shutong (commissario politico dell’Esercito); Yuan Huazhi (commissario politico della Marina); Wang Houbin (Comandante delle Forze Missilistiche); Wang Chunning (comandante della Forza di Polizia Armata).

 

Secondo osservatori interni, potrebbero esserci ulteriori epurazioni nelle prossime settimane. I licenziamenti, infatti, sono stati annunciati alla vigilia del conclave annuale a porte chiuse del Comitato Centrale del Partito Comunista, in programma dal 20 al 23 ottobre a Pechino, durante il quale si discuterà il prossimo piano quinquennale.

 

Wen-Ti Sung, analista del Global China Hub dell’Atlantic Council, ha commentato la notizia ai media statunitensi affermando: «Xi sta sicuramente facendo pulizia. La rimozione formale di He e Miao significa che potrà nominare nuovi membri della Commissione Militare Centrale, che è rimasta praticamente mezza vuota da marzo, durante il Plenum».

 

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Immagine di China News Service via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported

 

 

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