Cina
Lockdown esteso indefinitamente a Shanghai. Genitori separati dai figli, fame, droni di sorveglianza.
Il lockdown di 9 giorni per i 26 milioni di abitanti di Shanghai indetto dalle autorità sanitarie cinesi si è trasformato in una clausura dalla tempistica «indefinita».
La motivazione sarebbe l’impennata di casi di positività, unita alla draconiana politica zero-COVID portata avanti nella Repubblica Popolare Cinese.
Le autorità hanno contato più di 13.000 nuovi casi nella sola Shanghai, più della metà degli oltre 20.000 nuovi casi in tutto il Paese. Secondo Bloomberg, questi conteggi hanno superato il bilancio dei primi giorni della pandemia, quando il virus imperversava ancora a Wuhan.
Shanghai ha riportato 311 nuovi casi sintomatici e oltre 16.000 infezioni asintomatiche il 5 aprile, secondo l’annuncio governo locale, con entrambe le misure superiori al giorno prima.
Il lockdown doveva finire il 5 aprile, ma è stato quindi prorogato a tempo indeterminato fino a quando le autorità non avranno avuto l’opportunità di «esaminare i dati», riporta il China Daily.
Xi e tutta la nomenklatura cino-comunista sembrano non intenzionati a fare passi indietro, anzi: sanno che un movimento falso potrebbe costare il potere, visto che la tenuta di Xi, tra fazioni in lotta, potrebbe essere molto meno salda di quello che si crede all’estero.
La popolazione di Shanghai sarebbe arrivata al limite della sopportazione: montano in Cina e fuori miriadi di scandali, tra cui l’incredibile, disumana politica della separazione dei bambini positivi al COVID dai loro genitori.
Dopo la reazione massiva contro la separazione tra genitori e figli, la norma è stata abbandonata.
Le autorità sono inoltre accusate della copertura dei decessi nelle case di cura e la mancata risposta alla carenza di cibo e medicine.
Alcuni dicono che in una città cinese si sarebbe proceduto con l’uccisione degli animali domestici dei positivi al COVID.
I media occidentali hanno riportato l’incidenza di lavoratori che si affollano negli stabilimenti per dormire. Nel frattempo, le storie di abitanti di Shanghai malati a cui sono state negate le cure mediche hanno alimentato il panico tra la gente del posto, esacerbando i timori esistenti sulla carenza di cibo poiché milioni di persone sono ora costretti a fare affidamento sul governo per fornire rifornimenti
Molti hanno accusato il Partito Comunista Cinese (PCC) di aver violato il suo contratto con il popolo. E in una scena particolarmente memorabile, migliaia di abitanti di Shanghai sono scesi sui loro balconi per cantare in segno di protesta, sfidando le restrizioni di lockdown del PCC.
Mentre il popolo di Shanghai cantava dai loro balconi, i droni del governo hanno risposto e li hanno avvertiti di ritirarsi all’interno e di non «aprire le finestre» – apparentemente una violazione delle regole di lockdown imposte dal PCC.
As seen on Weibo: Shanghai residents go to their balconies to sing & protest lack of supplies. A drone appears: “Please comply w covid restrictions. Control your soul’s desire for freedom. Do not open the window or sing.” https://t.co/0ZTc8fznaV pic.twitter.com/pAnEGOlBIh
— Alice Su (@aliceysu) April 6, 2022
Non solo droni per la sorveglianza mandati fra i condomini. Come riportato da Renovatio 21, per le strade della grande città cinese sono comparsi pure dei robocani pandemici.
La distopia di sorveglianza totalitaria bioelettronica cinese è abissale. Ma, come ripetiamo, quello che si sta creando con green pass ed euro digitale qui da noi è perfino peggiore.
Immagine screenshot da YouTube
Cina
Cina, il vescovo Zhang e gli altri cattolici ridotti al silenzio
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Nell’Henan apre nuove ferite anziché sanarle l’ordinazione episcopale avvenuta ieri. Il vescovo sotterraneo di cui Roma ha accolto la rinuncia è ancora sotto stretto controllo, non ha potuto partecipare alla cerimonia del suo successore e nemmeno la famiglia può vederlo. Il commento di un sacerdote: «Pechino viola lo spirito dell’Accordo. Non è la prima volta che veniamo umiliati. La Chiesa non si sostiene con il potere, ma con la fede».
«Il vescovo Zhang Weizhu è ancora sotto stretto controllo, senza libertà; la sua famiglia non può nemmeno vederlo o ricevere un segno della sua sicurezza, e tuttavia si annuncia al mondo che è stato reso “emerito”». È quanto fonti di AsiaNews riferiscono dall’Henan all’indomani della cerimonia di ordinazione episcopale del nuovo prefetto apostolico di Xinxiang, mons. Li Jianlin e del contestuale annuncio da parte della Santa Sede della rinuncia dell’attuale ordinario – mons. Zhang Weizhu, appunto – un vescovo di 67 anni ordinato clandestinamente nel 1991, che non era mai stato riconosciuto dalle autorità cinesi e anzi anche apertamente perseguitato per il suo rifiuto di aderire all’Associazione patriottica.
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Le modalità di questo passaggio hanno lasciato grande amarezza tra i fedeli delle comunità sotterranee locali. «Il vescovo Zhang Weizhu – raccontano – non ha potuto partecipare alla cerimonia, né ha avuto la possibilità di far sentire la sua voce, mentre all’esterno viene consegnata una storia “perfetta”. Quello che perdiamo non è solo la trasparenza e il rispetto, ma il fatto che un pastore venga trattato come un elemento di un procedimento, e non come una persona viva, con carne e sangue. Che la verità non venga messa a tacere – chiedono – che chi soffre possa essere visto, e che la Chiesa – in qualsiasi circostanza – non si abitui mai a considerare l’ingiustizia e il silenzio come qualcosa di “normale”».
Questa mattina il direttore della Sala stampa vaticana Matteo Bruni ha diffuso una nuova dichiarazione in cui si riferisce di una cerimonia durante la quale oggi le autorità locali hanno riconosciuto civilmente la dignità episcopale del vescovo emerito mons. Giuseppe Zhang Weizhu. E commenta che «tale provvedimento è frutto del dialogo tra la Santa Sede e le autorità cinesi e costituisce un nuovo importante passo nel cammino comunionale della circoscrizione ecclesiastica».
Va però precisato che il comunicato diffuso sulla stessa cerimonia da China Catholic – il sito dell’Associazione patriottica – racconta che il presule, dopo essere stato tenuto lontano ieri dall’ordinazione del suo successore, avrebbe tenuto un discorso «esprimendo la necessità di aderire al patriottismo e all’amore per la religione, di attenersi al principio di chiese indipendenti e autogestite, di seguire l’orientamento della sinicizzazione del cattolicesimo nel nostro Paese e di contribuire alla costruzione complessiva di un moderno Paese socialista e alla promozione complessiva della grande rinascita della nazione cinese».
Parole decisamente improbabili sulla bocca di mons. Zhang e che lasciano forti dubbi sul tenore di questa cerimonia, del tutto analoga a quella avvenuta a settembre a Zhangjiakou per l’altro vescovo sotterraneo mons. Agostino Cui Tai.
Sui comunicati ufficiali relativi all’ordinazione del nuovo vescovo della prefettura apostolica di Xinxiang e su quanti invece sono stati ridotti al silenzio, pubblichiamo qui sotto un commento inviato ad AsiaNews da un altro sacerdote appartenente a una «comunità sotterranea» dei cattolici cinesi.
Il 5 dicembre 2025, nella prefettura apostolica di Xinxiang, è stata celebrata l’ordinazione episcopale di padre Francesco Li Jianlin. Nello stesso giorno, il governo cinese ha pubblicato un comunicato ufficiale, seguito poi dall’ annuncio della Santa Sede.
In apparenza, tutto sembra rientrare in una «nomina episcopale avvenuta secondo l’Accordo Provvisorio sino-vaticano». Ma chi conosce anche solo un poco la realtà ecclesiale in Cina sa che tra questi due comunicati esiste un vasto spazio di silenzi. E proprio in questi spazi si trovano coloro che sono stati esclusi.
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1. Lo splendore dei comunicati e le assenze nella realtà
Il comunicato cinese ha enfatizzato la «solenne celebrazione», elencando i membri della Conferenza episcopale cinese presenti alla cerimonia, senza però menzionare l’ordinario legittimo della prefettura di Xinxiang, mons. Zhang Weizhu, neppure con un cenno formale.
Il comunicato vaticano, con il suo consueto linguaggio prudente e istituzionale, afferma: il Santo Padre ha accettato la rinuncia di Mons. Zhang.
Ma la realtà non detta è un’altra:
– mons. Zhang non è stato autorizzato a partecipare all’ordinazione del suo successore;
– pur essendo l’Ordinario legittimo, è stato tenuto completamente ai margini, come se non fosse mai esistito;
– sacerdoti e religiose della comunità «non ufficiale» non hanno ricevuto alcuna informazione, né invito di partecipazione;
– alcuni laici responsabili di parrocchia sono stati convocati «per un colloquio preventivo» o addirittura trattenuti per evitare la loro presenza.
Una celebrazione che avrebbe dovuto coinvolgere l’intera Chiesa locale si è trasformata in una cerimonia ristretta, controllata da pochissimi.
2. Come una celebrazione può rendere di nuovo «sotterranea» la comunità sotterranea
Quando a mons. Zhang fu chiesto di presentare la rinuncia, egli avrebbe posto una sola condizione: «Che si possa provvedere in modo dignitoso alla situazione dei sacerdoti e delle religiose della comunità sotterranea».
Era la richiesta di un pastore che, nonostante anni di sorveglianza, restrizioni e pressioni, continuava a preoccuparsi soltanto del suo popolo.
La realtà, però, ha dimostrato il contrario:
– i sacerdoti sotterranei non sono stati inclusi in alcuna disposizione;
– non è stata elaborata nessuna lista, nessun riconoscimento, nessuna regolarizzazione;
– nessuna comunicazione è stata fatta loro prima della cerimonia;
– molti hanno saputo dell’ordinazione soltanto tramite l’annuncio del governo.
Non è una soluzione ai problemi: è la creazione di nuovi conflitti. Non è la guarigione di vecchie ferite: è l’apertura di ferite nuove.
La Santa Sede afferma che tutto è avvenuto «secondo l’Accordo»; la parte cinese, tuttavia, ha proceduto secondo la propria logica, ignorando il ruolo di mons. Zhang, lo spirito dell’intesa e la situazione concreta della prefettura.
È il risultato di una trattativa profondamente asimmetrica: l’espressione dell’arroganza del potere statale e della sofferta sopportazione della Chiesa.
3. Mons. Zhang Weizhu: un vescovo reso invisibile, ma il più simile a Cristo
Qualunque sia la narrazione esterna, un fatto non può essere cancellato: prima di questa ordinazione, la prefettura apostolica di Xinxiang aveva un vescovo legittimo nominato dalla Santa Sede: mons. Zhang Weizhu.
Dopo anni di sorveglianza, restrizioni e isolamento, senza mai lamentarsi pubblicamente, egli è stato infine indotto a presentare la rinuncia. E proprio il giorno in cui viene ordinato un nuovo vescovo, lui, il pastore della diocesi, non può neppure varcare la porta della chiesa. È stato escluso in modo totale, silenzioso, quasi chirurgico, come un’ombra che si vuole cancellare dal tempo.
Ma né la storia né la memoria della Chiesa lo dimenticheranno.
Egli appare davvero come «l’agnello condotto al macello», silenzioso, mite, obbediente sotto la croce. Se in tutto questo c’è una vittoria mondana, la vittoria del Regno appartiene invece alla testimonianza di mons. Zhang.
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4. La rabbia cresce: una comunità ferita
Gli effetti di questa vicenda nella Chiesa locale sono profondissimi:
– i sacerdoti della comunità sotterranea provano una rabbia senza precedenti, sentendosi ignorati e annullati;
– religiose e fedeli vivono come una ferita il sentirsi esclusi dalla propria Chiesa;
– molti fedeli comuni non sapevano nulla di un evento così importante;
– parecchi seminaristi e sacerdoti si domandano: «Chi siamo noi? Che valore abbiamo nella nostra stessa Chiesa?»
Non è un dolore che un semplice comunicato possa guarire.
5. Dove andare?
Non siamo chiamati a essere ingenui, ma neppure a cedere alla disperazione.
Non è la prima, e non sarà l’ultima volta, che la Chiesa, dentro un sistema di forte controllo, si trova costretta al silenzio, alla umiliazione, alla sofferenza.
Tuttavia, continuiamo a credere che:
– la Chiesa non si sostiene con il potere, ma con la fede;
– un vescovo non è tale per volontà umana, ma per dono dello Spirito;
– la vera storia non è scritta nei comunicati, ma nella testimonianza;
– i dimenticati, gli esclusi, i silenziati sono spesso i segni più profondi di Dio nella storia.
Oggi Xinxiang sembra aprire un nuovo capitolo, ma molte ferite restano aperte e molti interrogativi senza risposta. Forse l’unica via è questa: andare verso la croce, verso la verità, verso Colui che vede ciò che gli uomini ignorano e non cancella mai nessuno dal suo cuore.
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6. Eppure, nonostante tutto: congratulazioni al nuovo vescovo e una preghiera di speranza
Nonostante le contraddizioni, le sofferenze e le tensioni irrisolte, con cuore filiale diciamo comunque: auguri per l’ordinazione del nuovo vescovo. Ogni vescovo è un dono alla Chiesa.
Per questo preghiamo con sincerità:
– che mons. Li Jianlin metta al primo posto il bene della Chiesa, al di là delle pressioni esterne o politiche;
– che possa davvero assumere il compito di ricostruire l’unità della prefettura, sanando le lacerazioni di tanti anni;
– che abbia un cuore di padre verso ogni sacerdote e religiosa, soprattutto verso coloro che oggi si sentono ignorati o esclusi;
– che non sia soltanto un vescovo ordinato, ma un vero pastore per questa terra ferita.
Il peso che porta non è leggero. La strada davanti a lui non sarà facile. Ma se lo Spirito ha permesso che questo giorno arrivasse, allora possiamo solo sperare che egli sappia trovare una via realmente evangelica nel mezzo di tante tensioni.
Che diventi strumento di unità, non di divisione;
che porti guarigione, non nuove ferite;
che risponda con sincerità, umiltà e coraggio alla voce di questo tempo.
Conclusione: Su una terra lacerata, continuare a credere nella Risurrezione
Ciò che Xinxiang vive non è solo una questione religiosa o politica, ma una manifestazione delle tensioni e delle prove del nostro tempo.
Eppure crediamo che:
– Dio agisce nei silenzi della storia;
– si manifesta nei dimenticati;
– pianta semi di risurrezione proprio nelle zone più oscure.
Che il nuovo vescovo sia custode di questi semi.
Che la croce di mons. Zhang diventi luce per la prefettura.
Che tutti coloro che sono stati esclusi, silenziati, dimenticati sappiano che per Dio nessuno è un «vuoto».
Non sappiamo cosa riservi il futuro, ma sappiamo una cosa: Dio non abbandonerà la Sua Chiesa.
Un sacerdote della comunità sotterranea cinese
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Cina
Cinesi uccisi al confine tra Tagikistan e Afghanistan: Pechino evacua il personale
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Cina
Prima vendita di armi a Taiwan sotto Trump
Il dipartimento della Difesa statunitense ha reso noto di aver autorizzato la prima cessione di armamenti a Taiwan dall’insediamento del presidente Donald Trump a gennaio. Pechino, che rivendica l’isola autonoma come porzione del proprio territorio, ha tacciato l’iniziativa come un attentato alla sua sovranità.
Il contratto in esame prevede che Taipei investa 330 milioni di dollari per acquisire ricambi destinati agli aeromobili di produzione americana in dotazione, come indicato giovedì in un comunicato del Dipartimento della Difesa degli USA.
Tale approvvigionamento dovrebbe consentire a Formosa di «preservare l’operatività della propria squadriglia di F-16, C-130» e altri velivoli, come precisato nel documento.
La portavoce dell’ufficio presidenziale taiwanese, Karen Kuo, ha salutato la decisione con favore, definendola «un pilastro essenziale per la pace e la stabilità nell’area indo-pacifica» e sottolineando il rafforzamento del sodalizio di sicurezza tra Taiwan e Stati Uniti.
Secondo il ministero della Difesa di Taipei, l’erogazione dei componenti aeronautici americani «diverrà operativa» entro trenta giorni.
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Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha espresso in un briefing il «profondo rammarico e l’opposizione» di Pechino alle forniture belliche USA a Taiwano, che – a suo dire – contrastano con gli interessi di sicurezza nazionali cinesi e «inviano un messaggio fuorviante alle frange separatiste pro-indipendenza taiwanesi».
La vicenda di Taiwan costituisce «la linea rossa imprescindibile nei rapporti sino-americani», ha ammonito Lin.
Formalmente, Washington aderisce alla politica della «Cina unica», sostenendo che Taiwan – che esercita de facto l’autogoverno dal 1949 senza mai proclamare esplicitamente la separazione da Pechino – rappresenti un’inalienabile componente della nazione.
Ciononostante, gli USA intrattengono scambi con le autorità di Taipei e si sono impegnati a tutelarla militarmente in caso di scontro con la madrepatria.
La Cina ha reiterato che aspira a una «riunificazione pacifica» con Taiwan, ma non ha escluso il ricorso alle armi se l’isola dichiarasse formalmente l’indipendenza.
A settembre, il Washington Post aveva rivelato che Trump aveva bloccato un’intesa sulle armi da 400 milioni di dollari con Taipei in vista del suo colloquio con l’omologo Xi Jinpingo.
Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del mese, in un’intervista al programma CBS 60 Minutes, Trump aveva riferito che i dialoghi con Xi, tenutisi a fine ottobre in Corea del Sud, si sono concentrati sul commercio, mentre la questione taiwanese «non è stata toccata».
In settimana la neopremier nipponica Sanae Takaichi aveva suscitato le ire di Pechino parlando di un impegno delle Forze di Autodifesa di Tokyo in caso di invasione di Taiwano.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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