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Lo stress da pandemia ha ridotto il cervello dei bambini

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Secondo un nuovo studio, le parti vitali del cervello sono significativamente più piccole nei bambini nati da madri che hanno riferito di aver sofferto di stress durante la pandemia.

 

L’amigdala sinistra, che è legata al rischio di ansia in età adulta; l’ippocampo destro, responsabile delle memorie spaziali visive e verbali; e la sostanza bianca, che fornisce la connettività strutturale nel cervello, erano tutte ridotte nei bambini le cui madri avevano riportato stress. La diminuzione del volume dell’amigdala sinistra era significativa.

 

La ricerca è un’ulteriore prova evidente del fatto che la pandemia avrà effetti sullo sviluppo a lungo termine sui bambini che sopravvivono o sono nati durante la pandemia.

 

I ricercatori hanno utilizzato la risonanza magnetica (MRI) per confrontare il cervello di poco più di 100 bambini nati tra il 2014 e il 2019 e quasi 60 bambini nati durante la pandemia, 2020-2022. Il cervello dei bambini è stato ripreso nell’utero e dopo il parto.

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Le loro madri sono state valutate per lo stress utilizzando lo Spielberger State-Train Anxiety Inventory e altri test.

 

Prima della pandemia, il 21% delle madri riferiva un’ansia elevata, mentre il 62% delle madri incinte durante la pandemia riferiva sintomi elevati.

 

Queste cifre corrispondevano a una diminuzione del volume del cervello.

 

Lo studio mostra che un’intera generazione di bambini nati durante la pandemia potrebbe aver bisogno di un sostegno aggiuntivo a causa delle conseguenze negative sulla salute derivanti dal lockdown, dalle restrizioni sociali e dall’aumento di stress e ansia.

 

«Guardando al futuro, vogliamo utilizzare queste informazioni – e studi con risultati simili – per consentire alle madri incinte di richiedere supporto per mitigare il loro stress, soprattutto in caso di un’altra crisi sanitaria globale», ha affermato Nickie Andescavage, uno degli autori dello studio.

 

«Vogliamo anche assicurarci che i bambini nati durante il periodo COVID-19 ricevano i servizi di cui hanno bisogno nella vita se sviluppano ansia o altri disturbi di salute mentale».

 

Negli anni Renovatio 21 la quantità di danni allo sviluppo mentale dei bambini che restrizioni pandemiche come l’obbligo di mascherina e le altre restrizioni sembrano aver cagionato: bambini con problemi nel linguaggio e nelle relazionibambini che non riconoscono i voltilogopedisti intasati, e miriadi di casi di quello che oramai chiamano «ritardo da COVID».

 

In Gran Bretagna, per 25 bimbi morti di COVID, centinaia sono morti per suicidio, per non parlare o del ritardo di sviluppo che ora affligge i bambini, con 60 mila piccoli (sempre dato inglese) finiti in depressione e altre decine di migliaia nemmeno in grado di riconoscere i volti o di dire il proprio nome.

 

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I neonati che fanno più vaccini contemporaneamente hanno un rischio «esponenzialmente» maggiore di malattie e ritardi nello sviluppo: studio

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Secondo uno studio peer-reviewed pubblicato mercoledì sull’International Journal of Vaccine Theory and Practice, più vaccini un bambino riceve contemporaneamente, maggiore è la possibilità che sviluppi un’infezione, una malattia respiratoria o ritardi nello sviluppo in seguito alle vaccinazioni.   «Se i segnali di sicurezza suonassero allarmi, i risultati sarebbero assordanti», ha detto a The Defender l’autore principale Karl Jablonowski, Ph.D., ricercatore senior presso Children’s Health Defense (CHD). «Il numero assoluto di malattie aumenta esponenzialmente con ogni vaccino aggiunto».   Jablonowski e il direttore scientifico del CHD Brian Hooker, Ph.D., hanno analizzato i dati di 20 anni relativi a 1.542.076 combinazioni di vaccini somministrate a bambini di età inferiore a 1 anno.   I dati, raccolti dal 1 luglio 1991 al 31 maggio 2011, provengono dal database Florida Medicaid disponibile al pubblico, che contiene più di 460 milioni di richieste di fatturazione da oltre 10 milioni di persone.   I ricercatori hanno esaminato le diagnosi mediche fornite ai bambini vaccinati entro 30 giorni dalla vaccinazione. Hanno escluso le diagnosi fatte il giorno in cui i bambini hanno ricevuto le iniezioni, per eliminare ogni possibile condizione preesistente.

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Lo studio ha confrontato i bambini che hanno ricevuto tre «vaccini base» con i bambini che hanno ricevuto gli stessi vaccini più altri in un’unica visita dal pediatra.   Il gruppo di controllo era costituito da 227.231 casi di neonati che in una sola visita avevano ricevuto il DTP, l’Haemophilus influenzae di tipo b (Hib) e il vaccino contro il poliovirus inattivato (IPV).   Hanno confrontato i risultati medici di quel gruppo con i risultati di coorti di neonati che avevano ricevuto anche il vaccino contro l’epatite B (HepB), il vaccino pneumococcico (PCV) o il vaccino contro il rotavirus, o diverse combinazioni di due o tre di questi vaccini somministrati insieme.   I ricercatori hanno trovato nel database sette coorti di neonati che hanno ricevuto diverse combinazioni di vaccini – che vanno, ad esempio, dai vaccini base più HepB ai vaccini base più HepB, PCV e rotavirus – e li hanno confrontati con il gruppo di controllo.   Hanno utilizzato il modello statistico Fisher’s Exact Test per confrontare la frequenza di una particolare malattia in seguito alle iniezioni in una coorte con la frequenza della stessa malattia in un’altra coorte.   Hanno inoltre utilizzato la correzione Bonferroni, un potente strumento statistico, per eliminare eventuali risultati casuali e hanno implementato una barra alta per identificare la significatività statistica.   «Con qualsiasi test statistico non puoi mai essere sicuro al 100% dei tuoi risultati», ha detto Jablonowski. «Tuttavia, abbiamo fissato il nostro livello così alto che siamo sicuri al 99,99% che le malattie che segnaliamo siano associate alle combinazioni di vaccini».   Hanno identificato 45 diverse diagnosi statisticamente significative per malattie respiratorie, dello sviluppo e sospette infettive in seguito alle diverse combinazioni di vaccini.   Hanno riassunto le malattie e il loro relativo rischio, o la probabilità che si verificassero nel gruppo esposto a vaccini in eccesso, per le varie coorti.   Nel complesso hanno scoperto che con l’aumento del numero di iniezioni somministrate ai bambini in una singola visita medica, il numero di diagnosi di malattie respiratorie o infettive dello sviluppo entro 30 giorni dalle iniezioni è aumentato in modo esponenziale.   Ogni iniezione aggiuntiva ha più che raddoppiato il numero di diverse malattie diagnosticate.   Ad esempio, un vaccino aggiuntivo ha provocato una media di sette malattie aggiuntive che si sono verificate a tassi statisticamente significativi in ​​una data coorte di bambini.   Due vaccini aggiuntivi hanno provocato una media di 15 malattie e tre vaccini somministrati hanno provocato altre 35 malattie.   Le malattie respiratorie – tra cui tosse, asma, bronchite ostruttiva e molte altre – erano le condizioni ricorrenti più comuni a seguito di qualsiasi diversa combinazione di vaccini.   Jablonowski e Hooker hanno affermato che le malattie respiratorie probabilmente si sono verificate a causa di una «risposta immunitaria disadattata e di uno scarso adattamento ai fattori ambientali» indotta dal vaccino.   Condizioni di sviluppo come la «incapacità di crescita» – in cui lo sviluppo fisico, mentale o sociale di un bambino è ritardato, anormale o cessa – si sono verificate in quattro gruppi. I ricercatori hanno suggerito che fosse il risultato dei vaccini che causavano disregolazione nel sistema respiratorio e immunitario.   Un’infezione comune era la leucocitosi, un numero elevato di globuli bianchi che può indicare una serie di infezioni, infiammazioni o disturbi del sistema immunitario. Un altro esempio serio includeva la sepsi, che si è verificata nel gruppo che ha ricevuto il maggior numero di iniezioni contemporaneamente: le iniezioni base più HepB, PCV e rotavirus.

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È «incredibilmente sconsiderato» che finora non siano stati condotti studi sugli effetti di più vaccini

Il programma di vaccinazione infantile 2024 dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) comprende 77 dosi totali di vaccino per i bambini di età compresa tra 0 e 18 anni.   Il programma 2024 è stato ampliato per includere i vaccini pneumococcici e COVID-19 e gli anticorpi monoclonali nirsevimab, che tecnicamente non sono vaccini ma sono inclusi nel programma.   In confronto, nel 1986 il CDC raccomandava 11 dosi di 7 vaccini entro i 16 anni, inclusi i vaccini MMR (morbillo, parotite, rosolia), DTP e antipolio.   Ad eccezione del vaccino HepB, raccomandato per i neonati nelle prime 24 ore di vita, raramente i neonati ricevono un singolo vaccino alla volta.   Molti vaccini, come il DTP, combinano diversi vaccini per più malattie in un’unica dose. Inoltre, per aderire al programma del CDC, i pediatri somministrano comunemente cinque o sei vaccini e combinazioni di vaccini ai bambini ad ogni visita di 2, 4 e 6 mesi.   Tuttavia, affermano gli autori, non sono stati condotti studi appropriati per valutare gli effetti della combinazione dei vaccini.   «Sfortunatamente, c’è una scarsità di ricerche completate sulla somministrazione di vaccini multipli come raccomandato dal programma del CDC», ha detto Hooker a The Defender. «I vaccini sono “magici”, quindi nessuno mette in dubbio di aggiungerne altri al programma».   Il risultato è che, sebbene le agenzie per la sicurezza sanitaria possano affermare che i singoli vaccini sono sicuri, qualsiasi affermazione sulla sicurezza delle combinazioni di vaccini è infondata, hanno scritto gli autori.   «In pochi secondi, un bambino di 2 mesi visitato da un pediatra conforme al CDC può aspettarsi di ricevere vaccini per HepB, rotavirus, difterite, tetano, pertosse, HIB, 15 o 20 diverse varianti pneumococciche, poliomielite e forse RSV», ha detto Jablonowski.   «È incredibilmente sconsiderato che i danni delle combinazioni non siano stati studiati», ha aggiunto.   Hooker ha affermato che è degno di nota il fatto che né la Food and Drug Administration statunitense né il CDC, che formula le raccomandazioni sul programma, abbiano mai condotto questi studi.   «Abbiamo intenzione di continuare a completare questo tipo di ricerca, data l’enorme carenza di dati scientifici accurati e pertinenti sulla sicurezza dei vaccini», ha affermato.   Brenda Baletti Ph.D.   © 29 maggio 2024, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.
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Vaccini COVID, il numero di bambini morti dopo le iniezioni è molto più alto di quanto indicato dai rapporti dei database, afferma l’analista

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Molti rapporti VAERS elencano «età sconosciuta» per le persone che sono rimaste danneggiate o sono morte a seguito di un vaccino COVID-19. L’analista del VAERS Albert Benavides ha detto che uno sguardo più attento ai riassunti dei rapporti spesso rivela l’età della vittima, ma il VAERS non aggiorna i rapporti per riflettere questo. Se così fosse, il numero di decessi infantili dopo il vaccino sarebbe molto più alto.

 

Morti fetali e aborti spontanei, arresto cardiaco improvviso, morte improvvisa e suicidi: queste sono alcune delle cause di morte elencate nelle segnalazioni inviate al Vaccine Adverse Event Reporting System (VAERS) sui bambini che hanno fatto un vaccino COVID-19.

 

Tuttavia, questi rapporti non contano nel numero totale di morti infantili elencate nei dati VAERS perché l’età delle vittime è ufficialmente elencata come «sconosciuta», secondo l’analista del VAERS Albert Benavides .

 

Benavides ha esaminato i dati per il suo sito web VAERSAware.com, e ha fornito collegamenti a molti di questi rapporti sulla morte di bambini di «età sconosciuta» sul suo sito.

 

I dati VAERS al 31 maggio elencano 197 decessi infantili in seguito alla vaccinazione contro il COVID-19.

 

Tuttavia, Benavides ha dichiarato a The Defender: «ci sono circa 418 decessi adeguatamente documentati di bambini di età inferiore a 18 anni. Ci sono altri circa 120 decessi di bambini in cui la narrazione riassuntiva afferma “bambino, neonato, neonato, bambino”».

 

Benavides ha identificato questi rapporti di «età sconosciuta» utilizzando un algoritmo e un «intervento manuale».

 

Benavides ha affermato che i suoi risultati indicano che «il totale attuale è di circa 538» morti infantili. Ha affermato che la sottostima non è insolita per il VAERS, sottolineando che la sua ricerca mostra che «il 30% di tutte le segnalazioni di COVID-19 nel VAERS hanno un’età sconosciuta».

 

«Sembra che ci sia almeno la morte di un bambino nascosto in ogni aggiornamento del VAERS», ha detto Benavides.

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Un rapporto di Harvard del 2011 ha rilevato che meno dell’1% di tutti gli eventi avversi vengono segnalati al VAERS, ma Benavides ha affermato che le morti infantili sembrano essere nascoste a un tasso superiore alla media rispetto alle segnalazioni di morti adulte.

 

Secondo un articolo di Benavides e del biologo evoluzionista Herve Seligmann, Ph.D., le segnalazioni sui bambini presentano più età mancanti nel campo età VAERS in proporzione o percentuale rispetto alle coorti più anziane.

 

«Seligmann ha analizzato i campi relativi all’età mancante con resoconti riassuntivi adeguatamente documentati e ha quantificato che le coorti di età più giovane hanno una maggiore propensione all’età mancante rispetto agli adulti», ha detto Benavides.

 

«Queste età mancanti non sembrano organiche, soprattutto per i bambini». Benavides ha aggiunto che sono, «oserei dire, nascosti».

 

Benavides ha suggerito che i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) e la Food and Drug Administration (FDA) statunitense, che amministrano il VAERS, stanno offuscando i dati reali sulla morte dei bambini vaccinati.

 

«Se l’età è adeguatamente documentata nella descrizione riepilogativa, perché non dovrebbe essere presa una decisione manageriale per aggiornare eticamente un campo età vuoto e correggere la supervisione del mittente?» ha detto.

 

«Secondo la mia opinione di esperto in qualità di ex revisore dei sinistri HMO, l’età corretta potrebbe essere stata inserita nel campo dell’età al momento dell’invio, ma nelle minuzie del processo di aggiudicazione, l’elemento dei dati del campo dell’età è stato cancellato o scomparso».

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«Ho tra le braccia un bambino morto di 6 anni»

I rapporti di «età sconosciuta» identificati da Benavides suggeriscono numerosi aborti spontanei, morti fetali e morti di bambini. Ci sono anche diverse segnalazioni di bambini morti a causa di miocardite o arresto cardiaco, o morti improvvisamente. Altre segnalazioni riguardano bambini atleti deceduti o bambini deceduti dopo la vaccinazione a scuola.

 

The Defender ha esaminato un campione di denunce di morte infantile di «età sconosciuta» nel VAERS. «Ho un bambino morto di 6 anni tra le mie braccia; Il vaccino non funziona», si legge in un rapporto.

 

In alcuni casi morirono neonati e bambini piccoli.

 

  • Un bambino di 12 giorni di sesso non specificato proveniente da fuori degli Stati Uniti è morto il 9 marzo 2022. La madre 36enne del bambino aveva ricevuto una dose del vaccino Pfizer-BioNTech il 9 giugno 2021, durante il suo primo trimestre di gravidanza. Secondo il rapporto, «Bambino nato e morto il 9 marzo 2022 di cardiomiopatia. Nessuna storia familiare di patologie cardiache. Tutti e tre i vaccini sono stati ricevuti durante la gravidanza».

 

  • Un bambino di 5 mesi ha ricevuto la sua prima dose del vaccino Pfizer-BioNTech il 17 aprile 2021 ed è morto il 2 maggio 2021.

 

  • Una bambina di 2 anni ha ricevuto la sua seconda dose del vaccino Pfizer-BioNTech il 25 febbraio 2021. Il 1 marzo 2021, «la paziente ha subito una sorta di grave reazione avversa. Il rapporto del VAERS indica che la bambina era ricoverata in ospedale dal 14 febbraio, il che suggerisce che potrebbe essersi ammalata alla prima iniezione. Nonostante ciò, qualcuno ha somministrato alla bambina già malata e sofferente una seconda iniezione, che ne ha provocata alla morte» il 3 marzo 2021.

 

  • Una donna del Texas di età non specificata ha ricevuto la sua prima dose del vaccino Moderna il 31 gennaio 2022. Secondo il rapporto, «ha manifestato diarrea, perdita di liquido amniotico e sanguinamento vaginale lo stesso giorno dopo la prima dose». Successivamente «alla madre è stata diagnosticata una cistite acuta con ematuria e rottura prematura delle membrane. Cinque giorni dopo ha avuto delle contrazioni, è andata al pronto soccorso e ha avuto un parto prematuro». Il bambino è morto.

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Diversi bambini sono morti anche per problemi cardiaci

  • Un bambino di 5 anni proveniente da fuori degli Stati Uniti ha ricevuto la sua prima dose del vaccino Pfizer-BioNTech il 26 aprile 2022. Ha avvertito dolori addominali ed è morto per arresto cardiaco tre giorni dopo.

 

  • Un bambino di 6 anni proveniente da fuori degli Stati Uniti ha ricevuto la sua prima dose del vaccino Pfizer-BioNTech l’8 gennaio 2022. È morto il 15 gennaio 2022 per miocardite e arresto cardio-respiratorio.

 

  • Un ragazzo di 11 anni proveniente da fuori degli Stati Uniti ha ricevuto la sua prima dose del vaccino Pfizer-BioNTech il 15 dicembre 2021. È morto cinque giorni dopo per «insufficienza respiratoria acuta, irritabilità, malformazione cerebrale, arresto cardiaco, diarrea».

 

  • Un ragazzo di 13 anni è morto tre giorni dopo aver ricevuto la sua seconda dose del vaccino Pfizer-BioNTech. Secondo il rapporto, «l’autopsia ha mostrato un cuore ingrossato e del liquido che circondava il cuore».

 

  • Un ragazzo di 15 anni proveniente da fuori degli Stati Uniti ha ricevuto la sua seconda dose del vaccino Pfizer-BioNTech il 24 novembre 2021 ed è morto il giorno successivo. Secondo il rapporto, «il ragazzo ha accusato dolori al petto poco dopo essere tornato a casa da un centro di vaccinazione». Eppure «i medici hanno detto che il ragazzo è morto a causa del diabete».

 

  • Una ragazza di 16 anni proveniente da fuori degli Stati Uniti ha ricevuto la sua prima dose del vaccino Pfizer-BioNTech il 10 novembre 2021. È morta per «danni cerebrali derivanti da insufficienza cardiaca acuta, scompenso e ipossia il 18 dicembre 2021».

 

  • Una ragazza di 16 anni proveniente da fuori degli Stati Uniti ha ricevuto un richiamo Pfizer per il COVID-19 il 27 dicembre 2021. Due giorni dopo è morta di «embolia dell’arteria polmonare con arresto cardiaco».

 

  • Un ragazzo di 17 anni proveniente da fuori degli Stati Uniti aveva ricevuto una dose del vaccino Pfizer-BioNTech «pochi giorni» prima di morire. Secondo il rapporto, «al momento della morte il risultato del test del D-dimero era elevato».

 

  • Una ragazza di 17 anni proveniente da fuori degli Stati Uniti ha ricevuto la sua prima dose del vaccino Pfizer-BioNTech il 30 agosto 2021. Il 9 settembre 2021, «la paziente ha avuto un arresto cardiaco ed è morta». Tuttavia, la sua morte è stata attribuita ai «contraccettivi orali iniziati nel luglio 2021» mentre «non è stata presa in considerazione l’eziologia del vaccino».

 

  • Un ragazzo di 17 anni proveniente da fuori dagli Stati Uniti ha fatto un richiamo Pfizer il 16 giugno 2022 nella sua scuola. Ha «avuto debolezza generalizzata e scarso appetito nel giugno 2022, convulsioni e arresto cardiaco extraospedaliero… il 12 agosto 2022, enzimi cardiaci elevati e sospetta miocardite il 13 agosto 2022» ed è stato ricoverato in ospedale. Secondo il rapporto, ha firmato un ordine DNR (non rianimare) il 18 agosto 2022 ed è morto il giorno successivo. Non è chiaro se fosse legale per lui firmare un DNR alla sua età nella sua giurisdizione.

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Rapporti riguardanti morti fetali e nati morti

  • Una donna di 31 anni proveniente da fuori degli Stati Uniti ha ricevuto la sua prima dose del vaccino Pfizer-BioNTech nel settembre 2021, durante il suo secondo trimestre di gravidanza. Secondo il rapporto, la sua gravidanza è stata successivamente interrotta in una data non specificata a causa di un «arresto cardiaco fetale».

 

  • Una donna di 33 anni proveniente da fuori degli Stati Uniti ha ricevuto la sua prima dose del vaccino Pfizer-BioNTech nel giugno 2021. Secondo il rapporto, «la madre ha subito un’interruzione legale della gravidanza il 4 settembre 2021 per gravi malformazioni… l’esito fetale è un’anomalia congenita».

 

  • Una donna di 34 anni della Carolina del Sud ha ricevuto la sua prima dose del vaccino Pfizer-BioNTech nell’ottobre 2021, durante il primo trimestre di gravidanza. Secondo il rapporto, «all’ecografia a 8 settimane e 4 giorni il bambino misurava piccolo (circa 7 settimane) e aveva una frequenza cardiaca più bassa, all’ecografia a 10 settimane il bambino misurava 7 settimane e 1 giorno senza battito cardiaco, risultando in un aborto spontaneo».

 

  • Una donna di 35 anni del Massachusetts ha ricevuto la sua seconda dose di Pfizer-BioNTech nell’aprile 2021. Secondo il rapporto, «il bambino ha smesso di crescere 5 giorni dopo l’iniezione», provocando un aborto spontaneo.

 

  • Una donna di 36 anni proveniente da fuori degli Stati Uniti ha ricevuto la sua seconda dose del vaccino Pfizer-BioNTech il 17 giugno 2021, durante la sua ottava settimana di gravidanza. Secondo il rapporto: «Scoperta di un difetto cardiaco in un feto che ne ha portato alla morte».

 

  • Una donna del Texas di età non specificata ha ricevuto la sua seconda dose del vaccino Moderna COVID-19 il 22 settembre 2021. Secondo il rapporto, «la coagulazione della placenta/ha fatto sì che il bambino non ricevesse sangue; Il bambino è deceduto il: 26 ottobre 2021». Tuttavia, «il rapporto rischi-benefici dell’mRNA-1273 non è influenzato da questo rapporto».

 

  • Una donna del Texas di età non specificata ha ricevuto la sua prima dose del vaccino Pfizer-BioNTech il 4 febbraio 2021. Secondo il rapporto, «secondo l’ecografia del 20 febbraio 2021, il feto ha smesso di crescere il 9 febbraio 2021 (8 settimane e 4 giorni); nessun battito cardiaco rilevato. L’aborto spontaneo si è verificato il 22 febbraio 2021».

 

  • Una donna straniera di età non specificata ha ricevuto la sua seconda dose del vaccino Moderna il 18 ottobre 2021. Secondo il rapporto, il parto morto «è avvenuto circa 30 giorni dopo che la madre aveva ricevuto la seconda dose».

 

  • Una donna straniera di età non specificata, alla 40a settimana di gravidanza, ha ricevuto una dose del vaccino Pfizer-BioNTech in una data non specificata. Secondo il rapporto, «il giorno successivo il feto è morto».

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Studente atleta «sempre in salute» tra i giovani morti elencati nel VAERS

Altri incidenti elencati con «età sconosciuta» includono una donna che ha avuto una crescita delle ovaie, la morte di una ragazza di 14 anni con la sindrome di Guillain-Barré, una ragazza di 12 anni che ha subito la «morte improvvisa», una ragazza di 14 anni trovata «morta a letto», una ragazza di 12 anni che si è impiccata lo stesso giorno della vaccinazione e un ragazzo di 17 anni che si è suicidato due giorni dopo la vaccinazione.

 

Tra le segnalazioni di «età sconosciuta« del VAERS sono incluse anche almeno tre segnalazioni di studenti-atleti deceduti, tra cui un ragazzo di 13 anni «sempre in buona salute», un ragazzo di 16 anni morto con «un cuore anormalmente grande» e un ragazzo di 13 anni che soffriva di «schiuma alla bocca» e miocardite.

 

In altri casi, i bambini sono morti dopo aver ricevuto un vaccino contro il COVID-19 nonostante appartenessero a una fascia di età che all’epoca non era autorizzata a ricevere il vaccino.

 

In un altro caso, un’adolescente proveniente da fuori degli Stati Uniti ha riportato «effetti collaterali» dopo la sua prima dose di Pfizer-BioNTech nel dicembre 2021, ma nonostante le preoccupazioni di sua madre, gli operatori sanitari «le hanno chiesto di fare comunque la seconda dose». Ha ricevuto la sua seconda dose il 17 gennaio 2022 ed è morta il giorno successivo dopo essere caduta in coma.

 

Sebbene una «autorità di regolamentazione» abbia segnalato l’incidente al VAERS, il rapporto rileva che «non sono possibili tentativi di follow-up». Sembra che diversi altri rapporti siano stati presentati da organismi ufficiali, ma il VAERS afferma che è impossibile dare seguito.

 

«Non contattabile sembra falso e una violazione di una sorta di etica», ha detto Benavides. «Sicuramente tra la FDA, il CDC e il produttore potrebbero trovare l’ospedale o l’istituzione».

 

Diversi altri rapporti di «età sconosciuta» catturati da Benavides sono stati successivamente cancellati dal VAERS o i loro riassunti scritti sono stati rimossi.

 

Alcuni di questi sono rapporti esteri per i quali l’Autorità europea per i medicinali e l’Agenzia di regolamentazione dei medicinali e dei prodotti sanitari del Regno Unito hanno chiesto la rimozione dei dati a causa del mancato rispetto delle leggi europee sulla privacy, ha affermato Benavides.

 

Tuttavia, per Benavides, «questo numero di cancellazioni è semplicemente troppo elevato e indesiderabile per il presunto miglior sistema di farmacovigilanza al mondo con un processo di aggiudicazione molto ragionevole di 4-6 settimane».

 

 

Michael Nevradakis

Ph.D.

 

© 12 giugno 2024, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.

 

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La violenza del digitale sulla scuola, tra Intelligenza Artificiale e distruzione della parola. Intervento di Elisabetta Frezza

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Renovatio 21 pubblica l’intervento di Elisabetta Frezza al convegno «Deportazione digitale. Scuola e società tra iperconnessione, virtualità e controllo» tenutosi sabato 11 maggio alla Spezia.      Stiamo assistendo a un’invasione capillare e violenta del digitale in tutti gli spazi delle nostre vite, sin dentro gli anfratti più intimi e privati. Dico violenta non perché utilizzi la forza, anzi, ma perché subdolamente si impone senza lasciare alternative o vie di fuga – provate voi a iscrivere un figlio a scuola, a prenotare una visita, a rinnovare un documento, senza un dispositivo informatico.    Sempre di più la macchina, coi suoi algoritmi, condiziona l’uomo, costringendolo a cederle pacchi di informazioni personali e pezzi della propria sfera di libertà.    Il ramo della scienza che si occupa dello studio e della fabbricazione di questi strumenti capaci di compiere meraviglie, fino a simulare (a scimmiottare) alcune funzioni del cervello umano, si chiama «cibernetica».   Il kybernètes in greco è il timoniere. La kybernetichè (sott: tèchne) è l’arte di governare la nave.    L’immagine della navigazione come metafora della vita corre lungo tutta la storia del pensiero, della letteratura e della poesia, a partire dai poemi omerici – poemi di navi e di eroi – passando per Platone (che si sofferma sulla prima e la seconda navigazione, cioè sul passaggio dalle vele ai remi quando cadono i venti); per Virgilio (rari nantes in gurgite vasto, primo libro dell’Eneide), per sant’Agostino (che nelle prime pagine del suo commento al Vangelo secondo Giovanni riprende l’immagine del Fedone e la sublima alla luce della fede, e parla con parole stupende del legno della croce a cui aggrapparsi per attraversare il mare della vita e arrivare alla meta).

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La metafora nautica sarà ripresa poi dai poeti del medioevo: da Petrarca, da Dante, col suo Ulisse: «Ma misi me per l’alto mare aperto» (Inferno, XXVI)   È dalla notte dei tempi che il timoniere assennato sa che deve preoccuparsi «dell’anno e delle stagioni, del cielo e degli astri», che deve guardare in alto, alle stelle sopra di sé, per trovare l’orientamento.    Oggi invece il timone della nostra nave è serenamente consegnato a una guida aliena, meccanica, che provvede per noi e, così, erode la nostra libertà di decidere la rotta, il libero arbitrio (che è la cifra dell’umano), nella logica del controllo totale.    Ancora una volta i greci ci dicono cos’è che abita le parole. Perché, nel processo in atto di sostituzione dell’uomo (perché di questo alla fine si tratta), nulla è nascosto, tutto è svelato a chi possieda la chiave per leggere le parole e per capire ciò che esse custodiscono. Il tema del linguaggio e delle sue radici lo riprenderemo più avanti.   Cerchiamo ora di vedere come siamo arrivati fino qui. Fino a subire questa penetrazione tanto aggressiva, totalizzante e prevaricatrice, della tecnologia.   Essa ha potuto avanzare incontrastata in groppa a molti miti: al mito seducente della efficienza, del risparmio di tempo, della comodità, della presunta oggettività delle prestazioni algoritmiche. Al mito della innovazione (il nuovo è sempre bello e buono, per definizione) e dell’eccezionalismo tecnologico, insieme a quello della presunta ineluttabilità del progresso inteso come moto lineare, inarrestabile, trionfale.   La sua parte l’ha avuta anche il fascino del volto anarchico e libertario della rete, che ha fatto da volano per l’esplosione delle piattaforme sociali, ma che ha messo in ombra il carattere intrinsecamente autoritario della rete stessa, legata per sua natura alla logica del controllo e del dominio.    Noi siamo facile preda di questa costellazione di miti farlocchi – che sarebbe meglio chiamare superstizioni – soprattutto perché siamo immemori del nostro passato e dei traguardi speculativi raggiunti dagli antichi e da chi, dopo di loro, ha saputo raccoglierne il testimone. Abbiamo perduto le chiavi di accesso a quel patrimonio, un bagaglio di esperienza, sapienza e bellezza accumulato lungo millenni di storia, lasciando campo libero alla conquista.   Quante volte sentiamo dire: la tecnologia non si può fermare, è qui per rimanere e, anzi, per guadagnare sempre più terreno. È uno dei ritornelli che la gente ha fatto propri contribuendo, con entusiasmo o con rassegnazione a seconda dei casi, a farlo risuonare dappertutto come un mantra ipnotizzante. Ci siamo autoesentati – sempre per via della famosa comodità – dall’onere del ragionamento, e quindi dalla capacità di formulare qualsiasi giudizio di valore che non vada al di là della ripetizione pappagallesca di quel repertorio fisso di slogan servitici pronti per l’uso.   Per spianare la strada a questa cavalcata sono stati usati, poi, vari espedienti pratici. Per esempio, è stata sfruttata la fretta, che è una fretta pretestuosa, ma utile per azzerare il tempo della riflessione. Lo stiamo ora sperimentando con il famigerato PNRR, che ci rovescia addosso valanghe di denaro – denaro sottratto alle nostre tasche e restituitoci a titolo oneroso – ordinandoci come dobbiamo spenderlo entro termini perentori stabiliti da una tabella di marcia implacabile, incalzante.   Così, con queste copiose elargizioni, si crea una sorta di dovere di accaparramento in capo ai destinatari, frenetico, garantito dalla pressione sociale: mica puoi permetterti tu di rifiutare un malloppo che ti piove addosso, chi sei tu per rispedirlo al mittente; e pazienza se questo vuol dire cedere il timone al pilota automatico e non sapere dove questo ti condurrà (oppure saperlo benissimo, ma fare come la famosa scimmietta). Ci si conforma, e basta.   Tutta questa operazione è intessuta di una sottile perversione onomastica. A partire dalla trovata retorica, per nulla casuale né innocente, della antropomorfizzazione della macchina: la formula «Intelligenza Artificiale» è un termine di marketing che assimila due entità ontologicamente incompatibili: intelligenza e macchina. Ma si porta dietro l’idea di fare della macchina uno di noi, attribuendole vizi e virtù, e nel contempo contribuisce a nutrire in noi un complesso di inferiorità e a farci accettare la colonizzazione del nostro cervello (e della nostra stessa anima) da parte dell’algoritmo incorporeo. In una sorta di grottesca parodia della metafisica.    In realtà tutta questa tecnologia, anche la cosiddetta IA, è fatta a mano (sull’argomento consiglio di leggere e ascoltare ciò che scrive e dice la bravissima Daniela Tafani). È un manufatto dietro il cui funzionamento c’è, invisibile, una quantità sterminata di individui in carne ed ossa, disposti gerarchicamente in una struttura piramidale di stampo feudale: per lo più sono schiavi sottopagati che, con il loro lavoro, contribuiscono a innalzare la macchina a una dignità che non le appartiene, a renderla agli occhi del mondo «intelligente», smart, affidabile, persino infallibile.   La gente si lascia convincere che le macchine capiscono, e possono diventare amici sintetici, consulenti virtuali, assistenti fedeli e iperefficienti. Che per esempio possono individuare un delinquente da arrestare, o un bravo lavoratore da assumere; che possono desumere da una serie di crocette se un ragazzino è un bravo studente e avrà successo nella vita, oppure se è destinato al fallimento. INVALSI è precisamente questa roba qua: è la nuova Pizia che, dal suo impenetrabile onfalòs, predice i destini e preimposta le vite, in modo peraltro incontrollabile e insindacabile da parte umana. E così ingabbia ciascuno, fin da piccolo, nella propria stia. Algoritmicamente.    A scopo egemonico, hanno ideato un meccanismo di cattura che attinge alla magia, alla superstizione: le nostre attitudini naturali, in via di veloce atrofizzazione, noi le proiettiamo sulla macchina, in una specie di transfert.   Attenzione però che, quando si antropomorfizzano gli oggetti, succede fatalmente che, correlativamente, si de-umanizzino le persone, che vengono reificate, cosificate.   Se uso l’algoritmo per decidere se sarai un bravo studente e poi un lavoratore di successo, o un asino per sempre, io nego che tu sia capace di scegliere, di capire, di migliorare, ti tratto come una cosa. Se dico che il tuo futuro sarà così o colà, di nuovo, ti nego di esserne artefice. Ti rendo, di fatto, un mio schiavo, perché ti tolgo il timone della tua nave.   I sistemi di valutazione e classificazione predittiva, che poggiano su basi statistiche, sono un colossale imbroglio: funzionano come funziona una lotteria. È evidente infatti che non è possibile predire il futuro di una persona: il processo di crescita non è mai lineare, ed è imprevedibile. Il guaio qual è? È che, in virtù di un meccanismo noto fin dalla notte dei tempi, le profezie tendono ad autoavverarsi, sono fatte per influenzare le sorti (vedere effetto pigmalione, di cui parla bene Stefano Longagnani).   L’IA, in realtà, dicevamo, è fatta a mano: c’è un numero sterminato di omini nel backstage. A parte la manovalanza che provvede materialmente ad assemblare la macchina e a farla funzionare – con uno spaventoso consumo di energia, ed enormi danni ambientali di cui stranamente nessuno parla: e questo fa vedere quanto grande sia l’inganno nel film che ci stanno proiettando davanti –, la materia prima che consente alla macchina di svolgere prestazioni tali da farla sembrare addirittura intelligente, qual è? (perché, come dice Daniela Tafani, non ci è mai venuto in mente di pensare che la lavatrice o la calcolatrice, che pure sono più brave e veloci di noi umani a sbrigare incombenze come fare il bucato o fare i conti, siano intelligenti).   La millantata «intelligenza» di certi strumenti dipende dalle informazioni di cui noi li rimpinziamo e che loro ingurgitano e poi risputano fuori sotto forma di eco sintetica di ciò che viaggia nell’etere. In pratica realizzano un’immensa operazione di plagio. Siamo noi ad addestrarli, e a perfezionare sempre più le loro prestazioni. Poi ci inchiniamo a loro e ci lasciamo mettere nel sacco.   L’IA insomma è un derivato della sorveglianza, si fonda su un’attività di spionaggio condotta su larga scala. Ma qual è il suo obiettivo ultimo e, quindi, anche il suo movente? Il premio, riservato a pochi, non sono solo ricavi fantasmagorici, ma è l’acquisizione di un potere immenso, perché staccato da ogni responsabilità.   Chi controlla «i fili elettrici» su cui transitano questi strumenti detiene il potere di decidere chi può passare e chi no, chi può parlare e chi deve tacere, chi può vivere e chi deve morire.   Da questa transumanza di massa nell’universo virtuale gli unici a trarre un vantaggio effettivo sono i monopolisti della tecnologia, ché è innegabile che ci sia uno strettissimo monopolio in capo a una manciata di soggetti attrezzati con le infrastrutture di calcolo e con un apparato di sorveglianza che surclassa tutti i concorrenti.    Durante la pandemia questi si sono procurati un bottino mai visto, entrando dentro le nostre case a saccheggiare dati, informazioni, immagini.    Ma la pandemia ha sortito un effetto catapulta anche in un altro senso. Ricordiamo tutti il distanziamento sociale, gli arresti domiciliari, l’isolamento protratto: hanno creato la tempesta perfetta per giustificare un salto mostruoso, di qualità e di quantità (e lo hanno dichiarato, questo piano). A quel punto, infatti, lo strumento elettronico era l’unico medium che permetteva di stare al mondo e di comunicare con l’altro da sé, o almeno con un suo ectoplasma.   L’esperimento è servito per moltiplicare a dismisura, per normalizzare e legittimare la dipendenza (in senso proprio) dal mezzo telematico, sancendo l’imprescindibilità del suo utilizzo per gli scolari. I ragazzini hanno guadagnato una investitura istituzionale per stare attaccati allo smartphone, e chi se ne importa se questo funziona anche da idrovora di informazioni personali, da braccialetto elettronico, da profilatore, da spacciatore di spazzatura. Sono effetti collaterali evidentemente trascurabili, o disconosciuti.   Ora, non occorrono studi scientifici particolari (per quanto ce ne siano a bizzeffe, e siano dirimenti) per capire ciò che è autoevidente: cosa provoca la consuetudine con questi strumenti fin dalla più tenera età. Il cucciolo d’uomo semplicemente smette di fare molte cose, e di apprenderne molte altre, perché al posto suo le farà un algoritmo: è chiaro che le corrispondenti funzioni, fisiche e cerebrali, appaltate alla protesi, sono inibite sul nascere o si atrofizzano. Peccato che si tratti di attitudini non marginali, ma essenziali, letteralmente fondanti.    La pandemia è stata il trampolino di lancio per la scuola 4.0, in via di rapidissimo allestimento (dicevamo della fretta, appunto…), che non è altro che una immensa sala giochi in cui la tempesta di immagini sostituisce lo studio delle leggi della realtà.

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Da tempo i libri di testo (ciò che ne rimane) sono sempre più zeppi di immagini e vuoti di parole, e le poche parole, appunto, sono ridotte a slogan: specchio impressionante del degrado didattico e cognitivo dilagante.    I quaderni sono, sempre più, sostituiti dai tablet, la penna dalla tastiera. E così si perde l’abilità, l’arte dello scrivere a mano – in particolare della scrittura corsiva – oltre che del disegnare. Si inibisce l’esercizio della manualità fine e tutte le attitudini che si sviluppano col praticarla, a partire dalla memoria (c’è un detto russo che dice «la mano ricorda, ruka pomnit»: la mente si appropria del concetto anche attraverso il corpo, la memoria muscolare che passa per la mano). Senza contare poi che la grafia è una proprietà esclusiva del suo autore, è un connotato distintivo, e il toglierla di mezzo è una via maestra per l’omologazione e la spersonalizzazione.    Ma a ben vedere, è proprio nella lingua, con particolare riguardo alla scrittura (ai gràmmata) che si radica la distinzione tra uomo e animale. Anche l’animale infatti possiede un linguaggio. Ma il linguaggio dell’uomo non è un mero flusso di suoni. Questo è un argomento approfondito in modo mirabile dal prof. Agamben (nel suo saggio La voce umana). Già gli antichi avevano ben capito come il linguaggio umano consti di due piani distinti: il piano del lessico, cioè il sistema di segni (gli ònoma), e il piano del discorso (il logos).   I grammata (le lettere, letteralmente: ciò che è scritto) sono la struttura elementare, l’elemento indivisibile, atomico, della lingua: stanno dentro la voce (en té foné) e rendono la voce significante, intellegibile, in quanto scrivibile. Questo è un passaggio fondamentale: la grafia sposta il linguaggio da un piano sensoriale a un altro, cioè dall’orecchio allo sguardo (dal binomio voce-orecchio, a quello mano-occhio) ed è ciò che permette di vedere la voce, di leggerla. Ma non solo: permette di oggettivare la lingua, di articolarla e, quindi, di dominarla. L’uomo, separando da sé la sua lingua, fa diventare il linguaggio uno straordinario, potentissimo strumento di conoscenza. Il linguaggio animale manca di questo fondamentale momento costitutivo.    Alla luce di queste pur sommarie osservazioni, pensiamo dunque a quali ricadute abbia il togliere di mezzo a scuola il magistero e l’esperienza della scrittura, la consuetudine col segno e con il processo di astrazione che vi è collegato, l’esercizio della parola: visto che, appunto, è attraverso questi elementi che l’uomo lascia traccia di sé, perché può fissare il suo messaggio e, fissandolo, lo tramanda.   Allora nel diluvio di scemenze di cui la scuola è divenuta teatro, vale la pena ribadire una ovvietà di cui però si sta perdendo contezza. Qual è la funzione della scuola? Alla scuola spetta l’esclusiva di un compito specifico e indispensabile in una compagine sociale, che altrimenti nessun altro svolge: quello innanzitutto di alfabetizzare e, quindi, di trasmettere la conoscenza (con particolare riguardo agli invarianti e alle conoscenze che hanno resistito alla prova del tempo); di iniziare al sapere teoretico, che vuol dire afferrare le cause, elevarsi alle leggi, agli universali, che sono strumenti di comprensione della realtà. Ma è la parola la chiave di accesso al deposito di scienza, arte, letteratura, che non va certo ascritto semplicisticamente alla categoria del passato, ma a quella del durevole, dell’essenziale, dell’eterno. Dell’irrinunciabile.   Il danno che si causa negando questi insegnamenti fondamentali si misura anche se si considera come sia per l’apprendimento della lingua materna, sia per quello del linguaggio matematico (i due sono strettamente apparentati), esiste una finestra temporale di opportunità, un periodo dentro il quale la natura ha posto una particolare sensibilità a fissare le parole e la musicalità della lingua, a stamparla nella memoria in modo indelebile. Passata questa fase, diventa difficile recuperare il terreno perduto.   Ecco perché il primo dei servizi che la scuola dovrebbe onorare è proprio quello di coltivare il linguaggio affinché tutti siano in grado di esprimersi, e siano in grado di ascoltare e di comprendere gli altri, e così di uscire dal proprio guscio autoreferenziale superando la limitatezza e l’istintività della propria esperienza contingente attraverso la conoscenza delle leggi che la regolano. È solo così che la scuola può essere davvero vivaio e palestra di libertà, e può restituire ai più giovani, insieme alla cognizione della realtà e insieme al senso delle dimensioni che servono a prendere le misure della realtà – vale a dire l’altezza, la profondità, la distanza – anche una solidità interiore andata quasi completamente distrutta.    Senza la parola, infatti, non c’è comunicazione, col suo valore catartico. Prima ancora, senza la parola non c’è ragionamento. Nello sforzo di parlare, di leggere, di scrivere, cova il seme della libertà – dove libertà è il sapersi emancipare da visioni settarie, parziali, ideologiche, imposte dall’esterno, per imparare a interpretare autonomamente la realtà, sulla scorta delle scoperte di chi ci ha preceduto.    Tutto questo è contrario esatto di ciò che fa oggi la scuola: la scuola oggi serve pacchetti ideologici pronti, preconfezionati e prescrittivi. Non insegna, fa propaganda; fa da ripetitore dei media e si appropria dei suoi stessi slogan, dei suoi codici corrivi.   Nel giugno 2023 Giorgio Agamben pubblicava uno dei suoi interventi brevi che ci hanno accompagnato in questi ultimi anni di delirio, dal titolo «Virgole e fiamme».   «A un amico che gli parlava del bombardamento di Shanghai da parte dei giapponesi, Karl Kraus rispose: “So che niente ha senso se la casa brucia. Ma finché possibile, io mi occupo delle virgole, perché se la gente che doveva farlo avesse badato a che tutte le virgole fossero nel punto giusto, Shangay non sarebbe bruciata”. Come sempre, lo scherzo nasconde qui una verità che vale la pena di ricordare. Gli uomini hanno nel linguaggio la loro dimora vitale e se pensano e agiscono male, è perché è innanzitutto viziato il rapporto con la loro lingua».

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«Noi viviamo da tempo in una lingua impoverita e devastata (…) la nostra lingua si è ridotta a un piccolo numero di frasi fatte, il vocabolario non è mai stato così stretto e consunto, il frasario dei media impone ovunque la sua miserabile norma, nelle aule universitarie si tengono lezioni in cattivo inglese su Dante: come pretendere in simili condizioni che qualcuno riesca a formulare un pensiero corretto e ad agire in conseguenza con probità e avvedutezza? Nemmeno stupisce che chi maneggia una simile lingua abbia perso ogni consapevolezza del rapporto tra lingua e verità e creda pertanto di poter usare secondo il suo tristo profitto parole che non corrispondono più ad alcuna realtà, fino al punto di non rendersi più conto di star mentendo»   «La verità di cui qui parliamo non è solo la corrispondenza tra discorso e fatti, ma, ancor prima di questa, la memoria dell’apostrofe che il linguaggio rivolge al bambino che proferisce commosso le sue prime parole. Uomini che hanno smarrito ogni ricordo di questo sommesso, esigente, amoroso richiamo sono letteralmente capaci, come abbiamo visto in questi ultimi anni, di qualsiasi scelleratezza. Continuiamo, pertanto, a occuparci delle virgole anche se la casa brucia, parliamo tra noi con cura senz’alcuna retorica, prestando ascolto non soltanto a quello che diciamo, ma anche a quello che ci dice la lingua, a quel piccolo soffio che si chiamava un tempo ispirazione e che resta il dono più prezioso che, a volte, il linguaggio – che sia canone letterario o dialetto – può farci».   La parola ha un valore fondante. C’è un legame inscindibile tra lingua e pensiero, tra categorie grammaticali e categorie logico-filosofiche. Tanto che è difficile per il pensiero sfuggire alla struttura grammaticale in cui si esprime. E le nostre categorie grammaticali riprendono la terminologia aristotelica: per noi, cioè, l’alfabeto del pensiero sono le categorie della lingua greca – non è certo un caso che da tempo cerchino di uccidere il liceo classico, che possiede l’esclusiva dello studio della lingua greca: e ce la faranno grazie all’orientamento vincolante, che non vi orienterà più nessuno, così morirà per asfissia.    Ma il rapporto tra lingua e pensiero è biunivoco, cioè: se è vero che la lingua determina il pensiero, è d’altra parte vero che il pensiero a sua volta plasma la lingua nella quale si esprime. E il luogo privilegiato in cui si manifesta questa tensione, questo scambio, è la poesia, regno dei mille significati: i poeti infatti creano la lingua travalicando le sue strutture. Essi attingono al momento sorgivo, pregrammaticale, della lingua e arrivano ad esprimere l’indicibile, «quel piccolo soffio che si chiamava un tempo ispirazione e che resta il dono più prezioso che, a volte, il linguaggio…può farci».   Sta di fatto che l’uso della parola vera (non adulterata o corrotta), della parola che mantiene la presa sulla realtà che designa, della parola nel suo nitore sorgivo, è il contrario esatto della barbarie degli slogan coniati a fini di propaganda.    La parola è simbolo. Simbolo significa unione (syn-ballo), e una parola che rappresenti carnalmente la realtà è capace di unire gli uomini con le cose, con gli altri uomini, e con il Creatore. La parola, in quanto simbolo assoluto, universale, è un ponte tra le creature; intimità con il mistero del visibile e dell’invisibile.    È ovvio che l’artificio nulla ha a che fare con tutto ciò, recide questo nesso con lo spirito, spegne questa magia, toglie alla parola la sua anima.   Concludo con il prologo del Vangelo di san Giovanni, che comincia così: «Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος, κα λόγος ν πρς τν θεόν, κα θες ν λόγος». «In principio era il Verbo, ed il Verbo era presso Dio, ed il Verbo era Dio». E prosegue più avanti: «Κα λόγος σρξ γένετο κα ἐσκήνωσεν ν μν». «…E il Verbo si fece carne, e venne ad abitare (lett: piantò la sua tenda) tra noi…»   Da sempre l’uomo vive la tentazione di mettersi al posto di Dio, autoattribuendosi i tratti divini di onniscienza e onnipotenza. È così che imbocca la via dell’autodistruzione. Lo sapevano bene anche gli antichi, che hanno cantato la hybris (la tracotanza, il superamento dei limiti) come causa della rovina delle stirpi.   Oggi le frontiere della tecnica, sfruttando la fascinazione del progresso, nell’inseguire l’obiettivo del controllo totale degli individui e delle comunità, arrivano a dis-umanizzare l’uomo. Ad aspirare ciò che gli è proprio, ad ammutolirlo (a togliergli la voce). Nel tentativo di reificarlo, standardizzarlo, manipolarlo –sono giunti a manomettere il suo codice fondamentale, la sua struttura più profonda: il genoma.   Per riprogrammarlo (in lingua barbara si dice «resettare»: il reset, appunto). Quindi da un lato lo si vuole despiritualizzare, dall’altro però disincarnare, smaterializzare. Si potrebbe dire, in una parola, de-creare. In una specie di creazione rovesciata. C’è insomma, in tutto ciò, il tratto diabolico, perverso, dell’inversione.    La profondità di quanto sta accadendo con la deportazione digitale è tale da intaccare il nucleo duro dell’umana natura, la cifra stessa dell’umano. Ecco perché non possiamo permetterci di lasciare che il contagio corra incontrastato, di rassegnarci alla sostituzione in atto, ma dobbiamo attrezzarci, e attrezzare chi ci succede, per custodire il fuoco: che è il logos, la parola, il simbolo. Ciò che ci consente di stabilire un legame con i nostri simili, coi quali abbiamo in comune qualcosa che risiede nel profondo del cuore e che, allo stesso tempo, ci trascende e ci sovrasta – e che ha a che fare con la legge naturale.    È l’unico modo, questo, che ciascuno di noi ha per onorare la propria sacra libertà (che è tale perché riconosce il limite), tenere il timone della propria nave, essere ciberneta di se stesso in quanto capace di guardare il cielo.   Elisabetta Frezza

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