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Morte cerebrale

Lo strano caso del calciatore cinese «morto» due volte

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Circa un mese Renovatio 21 ha avuto modo di scrivere della triste vicenda del giovanissimo calciatore cinese dichiarato morto in Spagna e rimpatriato per proseguire il percorso di cure, dietro espressa richiesta dei genitori.

 

I media, non curanti dei paradossi e delle contraddizioni, pubblicarono una sorta di necrologio del calciatore accompagnato da una piccola biografia, con l’apprezzabile intenzione di rendere omaggio al defunto.

 

Ebbene, la storia si è ripetuta in questi giorni, come se nulla fosse accaduto: diverse testate giornalistiche hanno riportato la notizia della (nuova) morte del giovane calciatore cinese (con annesso nuovo necrologio), questa volta avvenuta in Cina.

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In breve la cronologia dei fatti: il 6 febbraio scorso il diciottenne Guo Jiaxuan nel corso di un’amichevole disputatasi in Spagna contro una squadra di una cittadina locale, ha ricevuto una ginocchiata involontaria alla testa che gli ha causato una lesione cerebrale.

 

L’atleta è stato trasportato d’urgenza in elicottero presso un ospedale della zona dove ha ricevuto le cure mediche d’emergenza ma dopo solo quattro ore è stato dichiarato cerebralmente morto. Come da prassi, una volta dichiarata la morte cerebrale il paziente, da lì a poche ore, viene staccato dai sostegni che lo mantengono in vita e trattato alla stregua di un cadavere.

 

I genitori del ragazzo, forse insospettiti dalla fretta con cui i sanitari spagnoli hanno provveduto ad emettere la loro sentenza di morte, si sono rifiutati di acconsentire all’esame autoptico sul cadavere e hanno preteso che il loro figliolo venisse loro restituito non dentro una bara (come succede di norma con i defunti) ma con un volo medico, allo scopo di proseguire le cure in patria.

 

Il giorno successivo, riferiscono le cronache, Guo è stato ricoverato all’ospedale Tiantan di Pechino dove i medici hanno cercato di mantenere i suoi segni vitali (i cadaveri presentano segni vitali?). Tuttavia, il 20 marzo, un giorno prime del suo diciannovesimo compleanno e dopo più di un mese di coma, la famiglia ha ricevuto la notizia del decesso di Guo.

 

La domanda sorge spontanea: in quale momento del tempo è possibile collocare la morte del giovanissimo calciatore cinese? Di certo, non in due momenti diversi visto che ciò sarebbe un insulto alla ragione e al buon senso. Eppure i gazzettieri nostrani sembrano ignorare i principi generali della logica, in particolare il principio di non contraddizione.

 

Tra le testate che hanno riportato la notizia del secondo decesso del giovane troviamo anche quella che da alcuni anni si prefigge l’obiettivo di scovare le fake news che circolano in rete, il celebre Open: «L’incidente fatale è avvenuto durante un’amichevole: una ginocchiata alla testa lo ha fatto cadere in coma. Nonostante i tentativi di salvarlo in un ospedale di Madrid, era stata dichiarata la morte cerebrale. Trasferito in Cina per proseguire le cure, Guo è deceduto il giorno prima del suo diciannovesimo compleanno» scrive il giornale online fondato da Enrico Mentana.

 

Secondo quanto è scritto nel Manuale MSD per i profesionisti, «la morte cerebrale si riferisce alla perdita permanente delle funzioni cerebrali che non possono riprendere spontaneamente e non possono essere ripristinate da interventi medici (…) La diagnosi di MC equivale al decesso della persona e dopo che essa è stata confermata, tutti i trattamenti di supporto cardiorespiratorio vengono sospesi». I giornalisti di Open, spesso prodigo di attacchi a Renovatio 21 su questioni biomediche, ignorano questo principio?

 

C’è da riconoscere, a loro parziale discolpa, che non è affatto semplice gestire a livello comunicativo concetti medici letteralmente inventati dalla scienza di regime, al solo fine di eliminare i comatosi tramite eutanasia o predazione degli organi.

 

Già, perché la morte cerebrale in realtà non esiste, come abbiamo avuto modo di mettere in luce su Renovatio 21 diverse volte. Definire morte qualcosa che non lo è porta inevitabilmente a travisare la realtà e ad interpretare i fatti sulla base di categorie di pensiero artefatte.

 

Ma torniamo alla storia dello sfortunato giocatore di calcio: il decesso di Guo sembra aver sollevato un bel vespaio con annesso incidente diplomatico, al punto che le autorità cinesi hanno denunciato l’inadeguatezza delle cure prestate al ragazzo dai sanitari spagnoli dopo la diagnosi di ipossia cerebrale. I genitori del calciatore hanno richiesto i filmati dello scontro di gioco e i dettagli delle cure mediche prestate al giovane.

 

Da parte nostra, invece, abbiamo già avuto modo di mettere in luce l’estrema e sospetta velocità con cui i sanitari tendono ad attivare le procedure per dichiarare la morte cerebrale di un paziente che versa in stato di coma e quanto siano pericolose e potenzialmente letali le procedure di accertamento, con particolare riferimento al test di apnea: se a seguito della sospensione temporanea del supporto respiratorio meccanico (fino a 10 minuti nella maggior parte dei Paesi) i movimenti respiratori rimangono assenti fino ad un limite convenzionalemente stabilito (di solito 60 mmhg), si ritiene che il test di apnea confermi la diagnosi di morte.

 

Il problema è che tale procedura può causare danni irreversibili al tessuto cerebrale dal momento che provoca l’aumento della pressione intracranica e la diminuzione della pressione sanguigna con conseguente ipossia cerebrale (ossia proprio il danno che si tenta di contenere nei pazienti traumatizzati).

 

Secondo lo scienziato brasiliano Cicero Galli Coimbra fino al 39%dei pazienti che sono sottoposti al test di apnea possono raggiungere livelli sistolici inferiori al limite di guardia ed è noto come anche un breve periodo di ipotensione possa compromettere l’esito in pazienti con lesione cerebrale traumatica.

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Il paradosso è che diversi autori, in caso di trapianto degli organi da pazienti in morte cerebrale, mettono in guardia dai possibili danni inflitti agli organi trapiantati dall’insulto apneico ma non fanno alcun accenno alle implicazioni etiche relative al peggioramento del quadro clinico e neurologico del cosiddetto donatore.

 

In sostanza, il test di apnea può indurre un collasso irreversibile della circolazione intracranica anziché solo una temporanea riduzione del flusso sanguigno cerebrale, come dimostrano i dati clinici ottenuti dai pazienti con gravi traumi alla testa sottoposti e non sottoposti al suddetto test.

 

C’è anche da sottolineare che le procedure diagnostiche di accertamento della morte devono essere effettuate previa sospensione temporanea dei trattamenti sanitari, affinché il paziente sia libero da farmaci che possono falsare il suo quadro clinico.

 

Ora, non sappiamo quale sia stata la causa esatta della morte del ragazzo cinese (soprattutto se è stata provocata da cause naturali, interventi esterni o una combinazione di entrambi i fattori) ma sappiamo con certezza che Guo non può essere morto sia il 6 febbraio che il 20 marzo. Dobbiamo inevitabilmente dedurre dai fatti che l’atleta dichiarato cerebralmente morto, quindi deceduto, in Spagna era in realtà ancora vivo quando è stato rimpatriato e ricoverato in un ospedale di Pechino.

 

A meno di fare come i giornalisti nostrani che ci hanno raccontato la fantastica storia del calciatore cinese che visse e morì due volte.

 

Miracoli che accadono nel magico mondo che crede alla morte crebrale.

 

Alfredo De Matteo

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Immagine generata artificialmente

 

Morte cerebrale

Persone «cerebralmente morte» vengono utilizzate come topi da laboratorio per trapianti di organi animali geneticamente modificati

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Renovatio 21 traduce e ripubblica questo articolo della dottoressa Heidi Klessig apparso su LifeSiteNews.   In una preoccupante violazione dei diritti umani, gli scienziati cinesi hanno recentemente utilizzato un uomo di 39 anni «in morte cerebrale» come ospite per lo xenotrapianto, impiantandogli un polmone di un maiale geneticamente modificato.   I ricercatori cinesi hanno riferito sulla rivista Nature Medicine che l’uomo è rimasto emodinamicamente stabile per tutta la durata dell’esperimento: «durante tutto il periodo postoperatorio, i parametri fisiologici ed emodinamici dinamici sono rimasti stabili, indicando la stabilità fisiologica e l’omeostasi del ricevente per un periodo di osservazione di 216 ore».   Secondo un servizio giornalistico, l’uomo «morto» ha vissuto per nove giorni producendo anticorpi contro l’organo estraneo prima di morire:

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«Tuttavia, 24 ore dopo il trapianto, il polmone mostrava segni di accumulo di liquidi e danni, probabilmente dovuti inizialmente a un’infiammazione correlata al trapianto. E nonostante al ricevente fossero stati somministrati potenti farmaci immunosoppressori, l’organo trapiantato è stato progressivamente attaccato dagli anticorpi, con conseguenti danni significativi nel tempo».   La quantità di doppi sensi orwelliani in questo resoconto è sconcertante. Come si può mantenere in vita un uomo morto? Come si può mantenere un uomo morto sufficientemente stabile da poter essere utilizzato come cavia per l’impianto di un organo animale? Come si può produrre anticorpi in un uomo morto? Come si può morire di nuovo dopo nove giorni?   La risposta, ovviamente, è che le persone «cerebralmente morte» non sono morte. Hanno un cuore pulsante, assorbono ossigeno e rilasciano anidride carbonica attraverso i polmoni, metabolizzano i nutrienti, eliminano le scorie, combattono le infezioni e rigettano organi estranei. Si comportano esattamente come ci si aspetterebbe che si comportassero le persone con lesioni cerebrali, e non c’è assolutamente alcuna prova che le loro anime se ne siano andate.   Ma queste persone con lesioni neurologiche sono state ridefinite come morte per ottenere legalmente i loro preziosi organi vitali per il trapianto. E proprio perché le persone «cerebralmente morte» sono ancora vive e stabili (ma sono state private dei loro diritti umani), i medici le usano da anni come ospiti di prova per xenotrapianti.   Storicamente, lo xenotrapianto, ovvero il trapianto di organi da altre specie nell’uomo, ha sempre fallito a causa di incompatibilità e rigetto. Nel 2022, un paziente americano è stato il primo a ricevere un trapianto di cuore di maiale geneticamente modificato. Il maiale donatore era stato sottoposto all’eliminazione di alcuni geni suini e all’aggiunta di geni umani per rendere il suo cuore meno probabile da riconoscere come estraneo dal ricevente umano. David Bennett sr. è sopravvissuto 45 giorni prima di morire apparentemente a causa di un virus suino che si è insinuato nel suo nuovo cuore.   Nell’agosto del 2023, due uomini in «morte cerebrale» sono stati utilizzati come cavie per i test, quando i ricercatori dell’Università dell’Alabama e del Langone Transplant Institute della New York University impiantarono chirurgicamente reni di maiale geneticamente modificati nei loro addominali. «Con il consenso informato dei familiari, il defunto ha ricevuto supporto cardiopolmonare in un ambiente di terapia intensiva per tutta la durata dello studio».   Uno di questi uomini indifesi in «morte cerebrale» è stato tenuto in vita come una cavia da laboratorio per oltre un mese, mentre i medici studiavano per quanto tempo avrebbe funzionato il rene xenotrapiantato. Al termine di questi esperimenti, entrambi gli uomini furono sacrificati per l’esame istologico.   L’esperto di etica medica Joel Zivot MD non è rimasto impressionato: «in generale, la correttezza o meno di questo tipo di procedura sono le conseguenze di una serie di scelte morali, finora non segnalate e non esaminate, e includono i problemi della morte cerebrale, della sperimentazione umana, del consenso, del razionamento e dei diritti degli animali». Egli sottolinea che il concetto di «morte cerebrale» ha trasformato le persone in risorse, merci da utilizzare per i preziosi organi vitali che possiedono.   È difficile immaginare che un esperimento di questa natura riceva il consenso non solo della famiglia, ma anche dei comitati di revisione istituzionale e dei comitati etici di questi rispettivi ospedali. Quando il Consiglio Presidenziale di Bioetica ha scritto il suo libro bianco sulla determinazione della morte nel 2008, giustificò moralmente la dichiarazione di morte secondo criteri neurologici («morte cerebrale»), sostenendo che continuare a ventilare e assistere queste persone violava il rispetto dovuto ai defunti. Chiaramente, quel rispetto ora è andato a farsi benedire.

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E la sperimentazione continua. Nel marzo 2024, scienziati cinesi hanno trapiantato il fegato di un maiale geneticamente modificato in un essere umano in «morte cerebrale». I ricercatori dell’azienda Clonorgan Biotechnology di Chengdu hanno rimosso tre antigeni di maiale dall’animale donatore utilizzando la tecnologia di editing genetico e li hanno sostituiti con tre proteine ​​umane.   Il responsabile del team, Dou Kefeng, ha affermato che, poiché le funzioni epatiche sono complesse, i fegati di maiale geneticamente modificati non possono attualmente sostituire completamente i fegati umani. L’esperimento «fornisce una base teorica e dati a supporto dell’applicazione clinica dello xenotrapianto», ha aggiunto. Dopo 10 giorni, l’esperimento è stato interrotto e il paziente è stato sacrificato in modo che il fegato potesse essere studiato.   Siamo pronti a dire basta? Oppure i nostri desideri superano la nostra moralità quando consideriamo i potenziali benefici che tale sperimentazione potrebbe portare?   La «morte cerebrale» non è la morte, ma un costrutto sociale utilitaristico e una finzione giuridica. Le persone «cerebralmente morte» sono ancora vive e meritano di essere trattate come persone, non usate come cavie da laboratorio.   Heidi Klessig   La dottoressa Heidi Klessig è un’anestesista in pensione e specialista nella gestione del dolore. Scrive e parla di etica nella donazione e nel trapianto di organi. È autrice di The Brain Death Fallacy e i suoi lavori sono disponibili su respectforhumanlife.com.

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Morte cerebrale

Malori improvvisi e morte cerebrale: combo inarrestabile per la caccia agli organi

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Le cronache sono piene di malori improvvisi, come testimonia il resoconto settimanale che Renovatio 21 pubblica regolarmente da diverso tempo.

 

Coloro che si ritengono più furbi e intelligenti di coloro che vengono definiti con spregio «complottisti» sostengono che non si tratta di un’anomalia statistica, ma che in realtà tali episodi sono sempre esisti. Sempre costoro accusano i dissenzienti di speculare sulle tragedie e di fare insinuazioni senza avere le prove.

 

Già, le prove. Come se il sistema criminale che ha in qualche modo costretto milioni di persone a farsi iniettare un siero sperimentale non abbia calcolato tutto, anche il fatto che stabilire un legame diretto tra la vaccinazione di massa e l’innegabile impennata nella popolazione generale di malori improvvisi, turbo-tumori e malattie autoimmuni sia pressoché impossibile.

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Primo, perché per appurare tale nesso causale sono necessarie indagini autoptiche approfondite e specifiche che in genere non vengono fatte; secondo, perché i parenti dei defunti spesso si rifiutano, per svariati motivi, di richiedere l’esame autoptico sul corpo del loro caro; terzo, perché gli effetti dei veleni a mRNA possono manifestarsi anche a medio e lungo termine, soprattutto sotto forma di malattie a decorso molto rapido, rendendo ancora più complicato, se non impossibile, accertarne la correlazione coi sieri.

 

E poi, anche nel caso in cui il legame tra vaccinazione e patologie mortali venga ufficialmente ammesso, come nel caso della povera Camilla Canepa, nulla cambia a livello di opinione pubblica: il sierato e il plurisierato, infatti, attraverso il meccanismo psicologico di rimozione, tende ad allontanare dalla propria consapevolezza pensieri e situazione che gli provocano ansia e angoscia. Per la massa che si è lasciata «marchiare» sotto ricatto è come se gli anni a cavallo del 2020 non fossero mai esistiti. Ci avete fatto caso?

 

Ad ogni modo, se è vero che non abbiamo la prova provata che la stragrande maggioranza dei malori improvvisi sia causato dalle «sacre» inoculazioni, abbiamo la certezza matematica che di molti malori o incidenti ne stia approfittando la fiorente industria dei trapianti di organi.

 

Solo negli ultimi giorni si sono registrati diversi episodi di cronaca in cui giovani e giovanissimi sono stati dichiarati cerebralmente morti e privati dei loro preziosi organi. Nella quasi totalità dei casi la dichiarazione di morte cerebrale sopraggiunge dopo poche ore o giorni dall’evento traumatico, in modo tale da non consentire che le condizioni di salute del malcapitato possano migliorare attraverso la somministrazione di adeguati trattamenti sanitari.

 

Anzi, per effettuare le invasive procedure di accertamento della morte encefalica  vengono interrotte le cure al paziente, il quale viene sottoposto a test pericolosi e potenzialmente letali che non di rado ne peggiorano il quadro clinico. E’ il caso del famigerato test di apnea di cui abbiamo più volte denunciato l’incredibile  pericolosità dalle pagine di Renovatio 21

 

Solo per fare alcuni esempi recenti, è possibile che una ragazza di 14 anni, colpita presumibilmente da embolia polmonare, possa essere dichiarata senza speranza solamente poche ore dopo il malore improvviso? 

 

È possibile che un bambino di 6 anni possa essere dichiarato morto dopo solo un giorno dall’essere stato investito da una macchina mentre attraversava la strada? 

 

È plausibile che ad un bambino di 2 anni caduto nella piscina dei nonni e rianimato dai sanitari del 118 possa essere accertato un danno cerebrale irreversibile appena due giorni dopo?

 

Anche volendo ignorare il fatto che la morte cerebrale sia un criterio inventato dalla comunità scientifica internazionale al solo scopo di consentire la predazione degli organi e l’eliminazione del comatoso, non sarebbe comunque un gesto di opportuna prudenza attendere l’evoluzione dello stato di salute del paziente prima di emettere verdetti definitivi? Soprattutto quando si tratta di giovani vite con grandi e spesso sorprendenti capacità di recupero?

 

Sono domande  che ci poniamo.

 

Il problema è che nel momento in cui l’efficientissima rete dei trapianti (in un sistema sanitario che fa acqua da tutte le parti l’unica cosa che funziona a dovere è proprio, chissà perché, la macchina delle predazioni) rileva la compatibilità del potenziale «donatore» con uno o più pazienti in lista di attesa, la priorità non diventa più quella di salvare la vita del malcapitato o assicuragli le migliori cure, ma di procurare organi freschi per il trapianto, soprattutto se si tratta di quelli di bambini o adolescenti.

 

La nostra non è un’illazione ma una constatazione che si desume dai fatti: qual’è il motivo che può giustificare la fretta con cui i sanitari attivano le procedure di accertamento di morte cerebrale, se non quello di procedere con una certa urgenza all’espianto degli organi?

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Non possiamo sapere con certezza se queste giovani vite avrebbero potuto riprendersi parzialmente o addirittura completamente, come del resto è avvenuto in molti casi documentati in cui era stata dichiarata la morte encefalica.

 

Sappiamo però che non corrisponde al vero  la frase  «il paziente non ce l’ha fatta», ripetuta automaticamente dalle cronachedei giornali. Si tratta infatti di soggetti che sono stati rianimati e le cui condizioni cliniche erano state stabilizzate.

 

La morte cerebrale non sopraggiunge naturalmente, visto che non esiste, ma viene attivamente ricercata, attraverso protocolli variabili da Paese a Paese che non di rado producono essi stessi il peggioramento del quadro clinico del paziente. 

 

In altri termini, si va a cercare solo ciò che si vuole attivamente trovare. E si vuole trovare la morte.

 

Alfredo De Matteo

 

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Morte cerebrale

Espansione del dominio della morte cerebrale

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Noi di Renovatio 21 lo andiamo dicendo da tempo: il falso criterio della morte cerebrale costituisce una delle basi della falsa scienza che attacca la vita.   Già, perché dietro tale assunto si cela una concezione dell’uomo materialistica ed utilitaristica: se il principio vitale di un essere umano è nel suo cervello la cessazione definitiva, o presunta tale, delle sole funzioni cerebrali lo rende un mero contenitore di organi «tenuto artificialmente in vita dalle macchine». Stante tale premessa, appare quindi inevitabile che il passo successivo sia quello di considerare non più umani anche i soggetti che versano in stato di incoscienza, a prescindere dal fatto che a costoro sia stata diagnosticata la morte cerebrale oppure no.   Pertanto, non pare azzardato preconizzare un superamento del criterio stesso di morte encefalica, divenuto ormai d’intralcio al raggiungimento della piena e definitiva «oggettivizzazione» dell’essere umano.

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A dimostrazione di quanto sia presente tale deriva, il New York Times ha pubblicato un editoriale dal titolo «Donor Organs Are Too Rare. We Need a New Definition of Death» («Gli organi donati sono troppo rari. Abbiamo bisogno di una nuova definizione di morte») , in cui alcuni cardiologi di fama mondiale sembrano lanciare un appello affinché la comunità scientifica elabori una nuova definizione di morte: «Una persona può diventare donatrice di organi solo dopo essere stata dichiarata morta (…) La morte cerebrale è tuttavia rara (…) La soluzione a nostro avviso, è ampliare la definizione di morte cerebrale per includere i pazienti in coma irreversibile sottoposti a supporto vitale».   Avete letto bene: lorsignori vogliono aumentare il numero dei morti, per legge. Vogliono aumentare gli squartamenti ospedalieri dei trapianti, semplicemente cambiando i parametri di quella che è considerabile morte. Ed è bene ricordare che per costoro i morti hanno il cuore che batte – una contraddizione che non provoca in loro né dissonanza cognitiva né vergogna.   «Le funzioni cerebrali più importanti per la vita sono la coscienza, la memoria, l’intenzione e il desiderio» continua l’editoriale apparso nel principale quotidiano mondiale. «Una volta che queste funzioni cerebrali superiori sono irreversibilmente perdute, non è forse corretto affermare che una persona (in contrapposizione a un corpo) ha cessato di esistere?»   Usano la parola irreversibile con spavalderia e faccia tosta, viste le notizie dei continui casi di improvvisi «risvegli», compresi quelli in sala operatoria, a macellazione di espianto iniziata.   Colpisce il fervore riduzionista degli autori: la vita si identifica con le «funzioni cerebrali». Senza «coscienza», «memoria» e «desiderio» non si è vivi. Quindi, quando dormite, e siete per definizione in stato di incoscienza, non siete vivi – e quindi magari pure squartabili per il commercio dei vostri organi. Se perdete la memoria, idem: immaginiamo che dovremmo cambiare tante trame di film di smemorati, che invece che finire per ritrovare i propri ricordi e i propri cari, finiscono sacrificati all’industria dei trapianti.   Poteva poi mancare un riferimento al «desiderio», inteso evidentemente qui nel senso del «piacere»? Non dicono «volontà», «progetto», «aspirazione», dicono «desiderio», e c’è un motivo: il desiderio produce il piacere, che è il fine ultimo dell’utilitarismo, cioè della filosofia che è silenziosamente divenuta il sistema operativo dello Stato moderno.   L’utilitarismo, così come inteso sin dalle sue origini britanniche trecento anni fa, prevede la massimizzazione del piacere per la popolazione, anche a discapito di gruppi sociali meno fortunati, anche grandi. Una filosofia, di fatto, che prevede quindi l’assassinio di massa, ed infatti eccoci qui con aborti, provette ed espianti a cuor battente. E caterve di bambini ammazzati dagli ospedali nel loro «best interest».

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Appaiono chiare in sovraimpressione le parole germaniche che più sinteticamente spiegano quanto stanno dicendo gli scienziati editorialisti: lebensunwertes lebens, ossia «vita indegna di essere vissuta»: se non sei cosciente, se non ricordi, se non fai sesso, se non godi, la tua vita è indegna, e quindi è cancellabile a piacimento. Dovrebbe essere chiaro a tutti i lettori di Renovatio 21 come di fatto, Hitler ha perso la guerra militare, ma ha stravinto quella bioetica.   Potrebbe mettere le vertigini, inoltre, il discorso sulla persona che «cessa di esistere»: sentirsi proporre che a decidere dell’esistenza stessa di una persona sono dei medici con le loro teorie: se la macchinetta a cui sei attaccato non fa bip nel modo giusto, tu semplicemente non esisti, sei annichilito, sei depennato dalla realtà, sei disintegrato dall’universo.   È un linguaggio che può (ancora, per il momento) suonare alieno alle orecchie occidentali: morire non è percepito da tutti, almeno nei Paesi di matrice cristiana, come la cessazione dell’esistenza – forse la fine della vita terrena, ma non dell’esistenza in sé, concetto che ai più richiama una dimensione eterna, quella dell’anima.   Va notato che dei tre firmatari dell’editoriale sull’espansione predatoria della morte almeno due hanno nomi che sembrano indiani. Qui si potrebbe aprire un discorso lungo riguardo al takeover degli indiani – cioè, in larga parte, degli induisti – di tanti gangli della società angloamericana, nelle imprese elettroniche come nelle pratiche mediche: di qui, vien da pensare, questo senso definitivo sull’«irreversibilità»: tra i seguaci, anche non praticanti, di Shiva e Vishnu, la storia di Lazzaro non è diffusa; lo sono, invece, le storielle sulla metempsicosi, per cui una volta finito di vivere come tale ti reincarni come tizio, o come un’altra creatura di qualche tipo… il disprezzo per la dignità umana sensibile in tanta parte dell’Asia viene tutto da qui… ricordando sempre che i nazisti per rappresentarsi avevano scelto un bel simbolo indiano.   Ma torniamo al manifesto di morte del New York Times. Nel 1968, proseguono i cardiologi, «un comitato di medici ed esperti di etica di Harward formulò una definizione di morte cerebrale, la stessa definizione di base utilizzata oggi nella maggior parte degli Stati». Gira che ti rigira, si torna sempre lì: alla definizione artificiale e accademica della morte cerebrale, l’inizio della grande truffa genocida pro-espianti.   Nel suo rapporto iniziale, chiosano gli esperti, ad Harvard «il comitato osservava che c’è un grande bisogno di tessuti e organi di persone in coma irreparabile per riportare in salute coloro che sono ancora salvabili. Questa valutazione schietta è stata eliminata dal rapporto finale a causa dell’obiezione di un revisore. Ma è quella che dovrebbe guidare le politiche odierne in materia di decessi e trapianto di organi».   È proprio il caso di dire che più chiaro di così si muore… il mercato degli organi chiama, e noi dobbiamo rispondere predando subito quelli che sono in coma «irreparabile» (gli stessi che poi, capita, si svegliano e dicono di aver sentito tutto). Allarghiamo le maglie della morte, per il bene di organi e tessuti da distribuire a chi ancora ha una vita degna di essere vissuta – per il momento, almeno.

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E, ricordano gli autori, bando alle obiezioni di coscienza, che effettivamente, come sempre, sono solo ridicole foglie di fico, cerottini cosmetici che non fermano il dissanguamento, anzi, lo accelerano impedendo ai più di capire la gravità della situazione ed intervenire.   Del resto, che i cosiddetti «esperti» di Harward (sì, sono proprio loro, gli «esperti» a stabilire se siete vivi o siete morti: volete non fidarvi?) siano stati chiamati ad elaborare un nuovo criterio di morte al solo scopo di consentire l’eliminazione dei comatosi e la predazione degli organi non è un segreto.   È altresì altrettanto evidente come tale definizione contenga al suo interno tutte le premesse per un suo superamento. Infatti, privata del fine soprannaturale l’esistenza umana perde totalmente il suo valore intrinseco e finisce per acquisire significato solamente in relazione a quanto essa può essere utile a qualcun altro.   Secondo l’utilitarismo di Bentham, ora su tutti noi, la sua utilità è nel permettergli il godimento per il quale la società deve essere programmata. Sacrificati per il piacere di uno sconosciuto… a cosa somiglia questa cosa? Trovate, per caso, che somigli ad una storia di serial killer? Trovate che somigli ad un sacrificio umano?   La capacità di volere, di desiderare e di avere piena coscienza di sé al fine di poter essere considerati come persone titolari di diritti inalienabili, rappresenta il cavallo di Troia con cui la Necrocultura si prepara a sferrare l’attacco decisivo all’uomo Imago Dei, creato a immagine e somiglianza del Creatore. Tale visione, propalata dalla comunità scientifica e fatta sedimentare nella coscienza collettiva, non ha più bisogno di «paraventi» medico-scientifici per considerare e trattare l’uomo incosciente o semi-incosciente come un corpo morto.   Capiamolo: usare la mancanza di coscienza (concetto, di per sé, indefinito ed indefinibile) come ratio per l’eliminazione di un essere umano non apre, oltre che alla predazione trapiantista, solo all’eutanasia dei malati e all’aborto o alla produzione e distruzione di embrioni in vitro (pratiche dei cui «scarti» l’utilitarismo biomedico trae i suoi vantaggi, scientifici ed economici, come nel caso dei vaccini, ): di qui si va molto oltre, partendo dall’aborto post-natale, cioè la libera uccisione dei bambini piccoli teorizzata anni fa dal filosofo utilitarista Peter Singer e dai suoi accoliti animalisti, per arrivare all’assassinio depenalizzato come nemmeno nei referendum radicali (da «era lui che voleva che lo uccidessi» a «era incosciente quando lo ho ucciso»). Il lettore di Renovatio 21 sa pure che, prossimi in graduatoria, sono gli autistici

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È a tutti gli effetti, il caricamento di un mondo allucinante, un mondo dove la morte trionfa senza più ostacoli. E, scolpiamocelo nella testa, tutto questo accade oggi, in questo stesso momento, potrebbe capitare a voi o a qualcuno che conoscete: un piccolo incidente, un dato encefalico secondo i parametri decisi degli esperti, e zac, possono squartare il vostro corpo e rubarvi il cuore mentre vi batte ancora.   La truffa della morte cerebrale, ci stanno ora dicendo, per questo disegno non serve più. L’espansione del dominio della morte cerebrale è in atto. Cioè, più generalmente, l’espansione del dominio della morte tout court.   L’impero della Necrocultura è qui, in prima pagina sul New York Times. Vogliamo combatterlo, oppure vogliamo lasciare che facciano a pezzi noi e i nostri figli?   Alfredo De Matteo Roberto Dal Bosco

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