Bioetica
Lo Stato di emergenza finisce, il green pass e l’obbligo vaccinale no: il parere del CIEB

Renovatio 21 pubblica il comunicato del Comitato Internazionale per l’Etica della Biomedicina (CIEB).
Parere sul ruolo della Raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea del 7 dicembre 2018 nel quadro della gestione dell’emergenza COVID
Il CIEB prende atto della decisione del governo italiano di non prorogare ulteriormente lo stato di emergenza sanitaria oltre il 31 marzo 2022 e, al contempo, di mantenere in vigore oltre quella data l’obbligo vaccinale, di green pass e di Super green pass sui luoghi di lavoro.
La decisione del governo vanifica le aspettative e le richieste di ritorno alla normalità formulate da un numero crescente di italiani, confermando altresì la natura politica – e non sanitaria – delle predette misure di gestione del COVID.
Proprio in virtù del carattere politico di questa decisione, nonché degli elementi che saranno ricordati tra breve, acquista sempre più credito in seno alla comunità scientifica l’ipotesi che fosse preordinato da tempo l’utilizzo dell’emergenza COVID come strumento per una radicale trasformazione in senso autoritario delle società liberali e democratiche.
Acquista sempre più credito in seno alla comunità scientifica l’ipotesi che fosse preordinato da tempo l’utilizzo dell’emergenza COVID come strumento per una radicale trasformazione in senso autoritario delle società liberali e democratiche
In questo senso possono ricordarsi le notizie di stampa che fin dall’inizio dell’emergenza suggerivano l’origine artificiale del virus SARS-CoV-2 e delle modalità della sua diffusione, nonché le notizie che più di recente segnalano la presenza nel virus medesimo di materiale genetico brevettato fin dal 2017.
Nello stesso senso vengono in rilievo anche gli obiettivi e le strategie proposti, nel 2018, da una Raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea che ha anticipato le azioni poste in essere dal governo italiano in forza dell’emergenza sanitaria e che, nonostante la sua indubbia rilevanza, non ha formato oggetto, finora, di adeguati approfondimenti in merito alle sue implicazioni socio-politiche. Scopo del presente Parere è quindi promuovere un dibattito pubblico realmente informato e consapevole su un atto i cui contenuti finiscono, di fatto, per porsi in diretta correlazione con la deriva antidemocratica che si sta realizzando in Italia in forza delle misure di gestione politica dell’emergenza COVID.
La Raccomandazione in questione è stata adottata dal Consiglio, su proposta della Commissione Europea, il 7 dicembre 2018 ed è intitolata al «rafforzamento della cooperazione nella lotta contro le malattie prevenibili da vaccino».
Fondata sulle competenze attribuite dagli Stati all’Unione in materia di protezione della salute umana, la Raccomandazione persegue formalmente lo scopo di migliorare la salute pubblica, con particolare riferimento «alla lotta contro i grandi flagelli, nonché alla sorveglianza, all’allarme e alla lotta contro gravi minacce alla salute a carattere transfrontaliero» (cfr. il considerando 2).
La Raccomandazione muove dall’equiparazione delle malattie prevenibili mediante vaccino ai «grandi flagelli» (cfr. il considerando 2: «Le malattie prevenibili da vaccino sono grandi flagelli») e, sulla base di questa singolare premessa, invita gli Stati a elaborare e attuare piani di vaccinazione a livello nazionale e/o regionale che comprendano «un approccio alla vaccinazione sull’intero arco della vita» (punto 1), nonché a «introdurre controlli di routine dello stato vaccinale e opportunità regolari di vaccinazione nelle diverse fasi della vita … all’inizio del percorso scolastico … (e) sul luogo di lavoro» (cfr. il punto 3).
La Raccomandazione invita gli Stati a «sviluppare la capacità delle istituzioni sanitarie … di disporre di informazioni elettroniche sullo stato vaccinale dei cittadini
Parallelamente, allo scopo di fronteggiare una «insufficiente copertura vaccinale», la Raccomandazione invita gli Stati a «sviluppare la capacità delle istituzioni sanitarie … di disporre di informazioni elettroniche sullo stato vaccinale dei cittadini, basate ad esempio su sistemi informativi che forniscano funzionalità di promemoria (e) raccolgano dati aggiornati sulla copertura vaccinale per tutte le fasce di età» (cfr. il punto 7).
Allo stesso scopo, la Raccomandazione accoglie con favore l’intenzione della Commissione di realizzare, in cooperazione con gli Stati, azioni volte a esaminare la «definizione, entro il 2020, di … un calendario vaccinale di base a livello di UE … nonché … di una tessera comune delle vaccinazioni» che superi le difficoltà causate «dalla circolazione transfrontaliera delle persone all’interno dell’UE» (cfr. i punti 9, lett. a, e 16).
La Raccomandazione accoglie con favore l’intenzione della Commissione di realizzare azioni volte a «considerare la possibilità di investire nella ricerca nelle scienze comportamentali e sociali sui fattori determinanti dell’esitazione vaccinale in diversi sottogruppi della popolazione
Infine, allo scopo di monitorare gli atteggiamenti della popolazione nei confronti della vaccinazione e di contrastare l’eventuale «esitazione vaccinale» (ossia le forme di sfiducia verso i vaccini), la Raccomandazione accoglie con favore l’intenzione della Commissione di realizzare azioni volte a «considerare la possibilità di investire nella ricerca nelle scienze comportamentali e sociali sui fattori determinanti dell’esitazione vaccinale in diversi sottogruppi della popolazione e tra gli operatori sanitari» (cfr. il punto 15, lett. c), nonché di «perseguire la produzione periodica … di una relazione sullo stato della fiducia nei vaccini nell’UE, per monitorare gli atteggiamenti nei confronti della vaccinazione» (cfr. il punto 17).
Appare evidente che gli obiettivi e le strategie raccomandati dalla Commissione e dal Consiglio dell’Unione fin dal 2018 si stiano gradualmente realizzando, in Italia, in forza dell’emergenza COVID, come è evidenziato dall’introduzione e dalla graduale estensione dell’obbligo vaccinale, di green pass e di super green pass, nonché dalla stipulazione, il 16 febbraio 2022, di un Protocollo d’intesa tra il Ministro dell’Istruzione e quello della Salute intitolato «Tutela dei diritti alla salute, allo studio e all’inclusione», che prevede un percorso di formazione all’interno delle istituzioni scolastiche in merito al valore delle vaccinazioni anti-COVID.
Sulla scorta di quanto affermato, il CIEB, richiamando il contenuto dei suo precedenti Pareri, intende evidenziare i rischi collegati e conseguenti:
La manipolazione dei fatti e delle evidenze scientifiche sta conducendo alla graduale criminalizzazione delle opinioni minoritarie e all’azzeramento di ogni forma di pensiero critico
- alla manipolazione dei fatti e delle evidenze scientifiche che sta conducendo alla graduale criminalizzazione delle opinioni minoritarie e all’azzeramento di ogni forma di pensiero critico: obiettivo, quest’ultimo, che viene perseguito anche mediante la revisione dei programmi scolastici e l’inclusione nei medesimi di posizioni a sostegno dei cosiddetti vaccini anti-COVID, dei quali è ormai scientificamente provata l’inefficacia in termini di prevenzione e di trasmissione del COVID;
- all’accettazione acritica di sistemi di tracciabilità comportamentale favoriti dalla «trasformazione digitale della sanità» e dall’instaurazione del «mercato unico digitale» – cui fa riferimento la Raccomandazione sopra esaminata (cfr. il punto 21) – che sembra preludere a una digitalizzazione pervasiva e capillare della vita dei cittadini proprio nel momento in cui la fornitura dei servizi digitali e la protezione dei dati sensibilissimi, come quelli sanitari, deve fare i conti con dinamiche multinazionali di concentrazione finanziaria e societaria: ciò che richiederebbe, peraltro, una governance più trasparente e democratica della materia, sia a livello nazionale che europeo;
- al mantenimento, oltre il termine dello stato di emergenza sanitaria, dell’obbligo di green pass e di super green pass, tenuto conto dei meccanismi di competizione sociale che potrebbero essere innescati dalla sua pretesa «premialità» e dell’uso discriminatorio che di esso è stato fatto nei confronti delle persone che hanno scelto di non vaccinarsi o che non possono vaccinarsi per ragioni diverse;
La graduale estensione dell’obbligo vaccinale fondato sulla tecnologia mRNA che – oltre a prospettare la perdita delle capacità immunitarie naturali – apre la strada, anzitutto sul piano culturale e antropologico, a modifiche dell’identità genetica dell’essere umano e a possibili derive transumane
- alla graduale estensione dell’obbligo vaccinale fondato sulla tecnologia mRNA che – oltre a prospettare la perdita delle capacità immunitarie naturali – apre la strada, anzitutto sul piano culturale e antropologico, a modifiche dell’identità genetica dell’essere umano e a possibili derive transumane.
Tutto ciò premesso, il CIEB:
1) invita i cittadini a prendere coscienza delle implicazioni sanitarie, politiche e sociali derivanti dalla equiparazione, operata dalla Raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea del 7 dicembre 2018, tra «grandi flagelli» e «malattie prevenibili da vaccino», nonché ad approfondire la correlazione tra gli obiettivi e le strategie enunciati dalla Raccomandazione medesima e le azioni poste in essere dal Governo italiano in forza dell’emergenza sanitaria;
2) tenuto conto del profilarsi di nuove emergenze in grado di distrarre l’opinione pubblica dalle dichiarazioni e dalle politiche del Governo concernenti la gestione del COVID, esorta i cittadini a mantenere alto il livello di attenzione a questo riguardo;
3) con specifico riferimento alla crisi in Ucraina, mette in guardia i cittadini dal rischio che nuovi e ulteriori stati di emergenza (lo «stato di emergenza per intervento all’estero» deliberato dal governo il 25 febbraio 2022 e lo «stato di emergenza per l’accoglienza dei cittadini ucraini» deliberato il 28 febbraio 2022) , possano motivare l’inasprimento – in luogo dell’annunciato allentamento – delle misure restrittive dei diritti e delle libertà fondamentali introdotte in forza dell’emergenza COVID;
Sollecita i membri del Parlamento italiano e del Parlamento europeo a prendere coscienza di questo stato generale di cose e a contrastare la violazione reiterata e sistematica dei principi dello stato di diritto da parte del governo italiano.
4) saluta con favore le prime pronunce dei magistrati che sollevano dubbi e perplessità in ordine alla proporzionalità delle misure di gestione politica del COVID e alla loro compatibilità con i principi e le norme nazionali e internazionali di bioetica e di biodiritto;
5) sollecita i membri del Parlamento italiano e del Parlamento europeo a prendere coscienza di questo stato generale di cose e a contrastare la violazione reiterata e sistematica dei principi dello stato di diritto da parte del governo italiano.
CIEB
1° marzo 2022
Il testo originale del Parere è pubblicato sul sito: www.ecsel.org/cieb
Bioetica
Medici britannici lasciano morire il bambino prematuro perché pensano che la madre abbia mentito sulla sua età

Un bambino prematuro nato a 22 settimane è morto dopo che i medici in Gran Bretagna si sono rifiutati di somministrargli un trattamento salvavita. Lo riporta LifeSite.
Mojeri Adeleye è nato prematuro alla 22ª settimana, dopo che la madre aveva subito la rottura prematura delle membrane. Durante l’emergenza, la mamma e il bambino sono stati trasferiti in un altro ospedale, dove la data di gestazione è stata scritta in modo errato, etichettando Mojeri come se avesse meno di 22 settimane di gestazione.
Le linee guida raccomandano l’assistenza medica solo per i neonati prematuri nati dopo la 22a settimana di gestazione. Sebbene la madre di Mojeri avesse informato il personale medico dell’errore, questi non le hanno creduto e hanno lasciato che il bambino morisse.
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Secondo il rapporto del medico legale, la madre di Mojeri era stata visitata per gran parte della gravidanza presso l’ospedale locale ma a seguito di complicazioni, la donna è stata trasferita in un altro ospedale.
Tuttavia, è stato commesso un errore nelle note di riferimento e la madre di Mojeri è stata registrata come a meno di 22 settimane di gestazione. Le linee guida nazionali raccomandano che il trattamento salvavita venga fornito solo ai prematuri nati a 22 settimane di gestazione o dopo, e sebbene la madre di Mojeri abbia ripetutamente cercato di comunicare al personale la corretta età gestazionale, non le hanno creduto.
Quando la madre è entrata in travaglio, il personale si è rifiutato di fornire a Mojeri qualsiasi assistenza salvavita. Era, infatti, da poco più di 22 settimane di gestazione, come aveva insistito la madre. Poiché i medici non hanno fatto nulla, Mojeri è morto.
Il medico legale ha scritto nel rapporto: «Nel corso dell’inchiesta, le prove hanno rivelato elementi che destano preoccupazione. A mio parere, sussiste il rischio che si verifichino decessi in futuro, se non si interviene».
«Date le circostanze, è mio dovere legale riferirvi. Le questioni di interesse sono le seguenti: La mancanza di considerazione nei confronti della conoscenza da parte della madre di Mojeri della propria gravidanza e della data prevista del parto per Mojeri; La mancanza di discussione con i genitori di Mojeri sulle possibili misure da adottare in caso di parto prematuro prima della 22ª settimana».
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Le linee guida della British Association of Perinatal Medicine (BAPM) del 2019 raccomandavano che, se i bambini nascevano vivi a 22 settimane, venissero fornite cure «focalizzate sulla sopravvivenza»; in precedenza, le linee guida affermavano che i bambini nati prima delle 23 settimane non dovevano essere rianimati.
Dopo l’attuazione di queste linee guida, il numero di bambini prematuri sopravvissuti alla 22ª settimana è triplicato. Prima di allora, i bambini prematuri considerati «troppo piccoli» venivano semplicemente lasciati morire.
Si stima che il 60-70% dei neonati possa sopravvivere alla nascita prematura a 24 settimane di gestazione. Tuttavia, fino al 71% dei neonati prematuri, anche quelli nati prima delle 24 settimane, può sopravvivere se riceve cure attive anziché solo cure palliative. E sempre più spesso, i bambini sopravvivono anche a 21 settimane, scrive Lifesite, che ricorda: «non tutti i bambini sopravvivranno alla prematurità estrema, ma meritano almeno di avere una possibilità».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia; immagine modificata
Bioetica
L’amministrazione Trump condanna la «persecuzione della preghiera silenziosa» fuori dagli abortifici britannici

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Bioetica
L’aborto ha spazzato via il 28% della generazione Z. E molto, molto di più

Statistiche ampiamente condivise in rete questa settimana riportano che circa il 28% della Generazione Z (i nati tra il 1997 e il 2012) negli USA è stata abortita nel grembo materno. Lo scrive LifeSite.
Secondo le stime del Guttmacher Institute (il braccio di ricerca e sviluppo del grande abortificio multinazionale Planned Parenthood) sul numero di aborti eseguiti ogni anno negli Stati Uniti dal 1997 al 2011, gli anni di nascita della Generazione Z, circa 19,5 milioni di esseri umani concepiti in quella generazione, sono stati soppressi attraverso l’aborto. Attualmente si stima che negli Stati Uniti ci siano 69,3 milioni di membri della Generazione Z.
I dati più recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) indicano che il tasso di aborti tra i bambini della Generazione Z negli Stati Uniti corrisponde quasi alla percentuale stimata di bambini non ancora nati uccisi dall’aborto in tutto il mondo: il 29%, ovvero tre gravidanze su 10.
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Le statistiche di Inghilterra e Galles mostrano tassi di aborto molto simili. «la percentuale di concepimenti che hanno portato all’aborto è stata del 29,7%; si tratta di un aumento rispetto al 26,5% del 2021 e della percentuale più alta mai registrata», ha rilevato un rapporto dell’Office of National Statistics (ONS) basato sui dati del 2022.
Ricordiamo anche che queste statistiche risultano calcolabili pure per realtà apparentemente distanti come il Giappone, con dati nel periodo post-bellico che indicavano l’aborto di circa un terzo dei concepiti, con casi allucinanti di infanticidi – che oggi la Finestra di Overton vuole che chiamiamo «aborti post-natali» – come quello di Miyuki Ishikawa, detta «Oni-sanba», ostetrica che avrebbe ucciso almeno 86 bambini (qualcuno parla di una cifra doppia) affidatile negli anni dell’immediato dopoguerra.
Non si tratta di numeri sconosciuti anche all’Italia, dove per anni le nascite sono state attorno alla cifra di 500 mila, con le interruzioni di gravidanza sopra i 100.000, con un calo sensibile nell’ultimo decennio, in linea tuttavia con il calo delle nascite, specie dopo la pandemia.
Anche in Italia, dunque, abbiamo avuto una percentuale di generazioni spazzate via sopra il 20%, in pratica una piccola guerra condotta contro il Paese stesso, ma legalizzata e pagata dal contribuente – o una serie di bombe atomiche, i cui effetti si misurano in megadeath («megamorte», un milione di individui sterminati).
Come scritto anni fa da Renovatio 21, negli anni l’Italia dell’aborto ha subito una devastazione umana molto superiore a quella di Hiroshima e Nagasaki, con almeno 6-7 megadeath di danno alla popolazione. E parliamo solo delle cifre ufficiali, che non includono gli embrioni distrutti dalle provette, che sono già in numero maggiore di quelli trucidati dall’interruzione volontaria di gravidanza.
Se non volete pensarlo in percentuale, pensatelo così: 6 milioni di persone uccise, sono perfettamente pensabili come un attacco atomico che cancella tutto il Triveneto, o la Sicilia e la Calabria assieme, o l’Emilia-Romagna con l’Umbria e le Marche, o tutto il Lazio e zone limitrofe, o due terzi della Lombardia.
Come avevamo scritto oramai più di 10 anni fa: «Per quanto possa sembrare allucinante, dobbiamo guardare in faccia la realtà: l’Italia è una rovina post-atomica. E neppure lo sa».
Le cifre divenute virali questa settimana non includono mai – perché è un calcolo che i pro-life, specie italiani, non hanno l’intelligenza di fare – quello che qualcuno chiama il ghost number. Proviamo a pensare le cifre americane: e 6.392.900 femmine abortite tra il 1973 e il 1982 avrebbero oggi 25-40 anni, e quindi con alta probabilità almeno un figlio di media (chi due, chi cinque, chi zero). Otteniamo così la cifra di 54.853.850 persone spazzate via dall’anagrafe, sottratte alla società.
Un danno di quasi 55 megadeath: come se il temuto showdown nucleare con la Russia, fosse avvenuto – e senza che i sovietici sparassero un solo colpo. Basandosi sulle attuali statistiche demografiche americane, è possibile calcolare che tra questi 55 milioni vi potrebbero essere stati 7 giudici della Corte Suprema, 31 premi Nobel, 6000 atleti professionisti, 11.010 suore, 1.102.403 insegnanti, 553.821 camionisti, 224.518 camerieri, 336.939 spazzini, 134.028 contadini, 109.984 poliziotti, 39.447 pompieri, 17.221 barbieri.
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Soprattutto, e questo deve essere meditato profondamente dalle femministe, in questo immane turbine di morte sono state disintegrate 27.426.925 donne. Le quali sono, senza dubbio alcuno, il bene più prezioso che esista sulla Terra: ogni cellula uovo che la donna ovulerà in tutta la sua vita, è già formata dal feto a poche settimane dal concepimento. La prima cellula del nostro corpo – l’ovocita – già esisteva dentro nostra madre quando era un feto, venti, trenta, quaranta anni prima che venissimo alla luce. Un’autentica, insondabile meraviglia: la vita contenuta dentro la vita.
L’aborto interrompe questa catena superiore. Come diceva un detto ebraico: chi uccide un uomo uccide l’umanità; ammazzi qualcuno e rovini per sempre le generazioni che seguiranno. Peggio di un fallout radioattivo, l’aborto reca un danno aberrante, che si accumula distruggendo il futuro – i figli, i figli dei nostri figli – su una scala che non possiamo immaginare.
Chi non crede a queste romanticherie scientifiche e umanistiche, pensi ai soldi: i 55 megadeath causati dall’aborto in USA rappresentano 55 milioni di lavoratori e consumatori americani che non pagano le tasse e non partecipano al mercato nazionale. Dal PIL, è possibile calcolare che l’aborto abbia causato all’economia americana un danno di 37 trilioni e 600 miliardi di dollari.
L’abisso di cui stiamo parlando non vi è stata ancora nessuna rappresentazione adeguata alla sua immensità apocalittica. Né la polemologia (la disciplina che nel Novecento si è dedicata allo studio della guerra), né la psicologia, né la sociologia, né la filosofia paiono comprendere questo Inferno per intero.
No, non è solo un terzo della Generazione Z ad essere stato cancellato dall’aborto. È molto, molto di più.
Roberto Dal Bosco
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