Politica
Lo speaker della Camera USA destituito dai repubblicani contrari agli aiuti all’Ucraina

Ieri la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha votato con 216 voti favorevoli e 210 contrari per estromettere il repubblicano californiano Kevin McCarthy dalla carica di presidente della Camera. Durante il suo breve mandato, McCarthy ha dovuto affrontare una persistente opposizione da parte della destra per aver compromesso con i democratici sui finanziamenti governativi e sugli aiuti all’Ucraina.
Il repubblicano della Florida Matt Gaetz, considerato trumpiano oltranzista, ha presentato lunedì una mozione per estromettere McCarthy, due giorni dopo che McCarthy aveva radunato i legislatori del GOP per approvare un disegno di legge che finanzia il governo degli Stati Uniti fino al 17 novembre.
Gaetz e una coorte di conservatori intransigenti si sono opposti a qualsiasi tentativo di combinare i finanziamenti per diverse agenzie governative in un unico disegno di legge, con Gaetz che avverte che si sarebbe mosso per estromettere McCarthy se il disegno di legge fosse approvato.
Gaetz è riuscito a lanciare la rimozione di McCarthy grazie a un compromesso raggiunto a gennaio tra i repubblicani della California e gli alleati del «Freedom Caucus» di Gaetz, in cui i sostenitori della linea dura hanno accettato di sostenere la sua candidatura alla carica di portavoce in cambio della possibilità di rimuoverlo dall’incarico. se avessero perso la fiducia nella sua leadership.
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Gaetz ha denunciato l’appartenenza di McCarthy alla «palude» subito dopo il voto. «È un vantaggio per questo Paese avere un portavoce della Camera migliore di Kevin McCarthy», ha detto ai giornalisti.
Anche se McCarthy ha eliminato gli aiuti militari per l’esercito ucraino dal disegno di legge sui finanziamenti, Gaetz ha comunque accusato l’ormai ex portavoce di aver concluso «un accordo collaterale segreto» con il presidente Joe Biden, sostenendo lunedì che McCarthy aveva condiviso i dettagli dell’apparente accordo con i legislatori repubblicani.
Accettando di approvare un disegno di legge di spesa provvisoria di 45 giorni all’ultimo minuto sabato sera, i repubblicani hanno evitato un imminente shutdown del governo. «Ho mantenuto il governo aperto in modo che le famiglie delle nostre truppe e degli agenti di frontiera potessero essere pagate», ha detto McCarthy, difendendo il suo operato. «Se una manciata di repubblicani si schiera con i democratici per rimuovermi per questo, è una lotta che vale la pena combattere».
Patrick McHenry, un repubblicano della Carolina del Nord, è stato dichiarato portavoce ad interim fino all’elezione del sostituto di McCarthy.
McCarthy è stato eletto portavoce al quindicesimo scrutinio di gennaio, nonostante i tentativi di bloccarlo dei repubblicani intransigenti, tra cui Gaetz e la deputata Lauren Boebert, considerati afferenti alla sfera MAGA.
I 269 giorni di McCarthy come presidente della Camera sono il secondo mandato più breve nella storia degli Stati Uniti dopo Michael C. Kerr, che prestò servizio come presidente per 257 giorni e morì in carica nel 1876.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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Politica
Il passo indietro di Ishiba: nuovo capitolo nella lunga crisi del centro-destra giapponese

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Il primo ministro giapponese ha annunciato ieri le dimissioni dopo settimane di tensioni con i membri del Partito Liberaldemocratico, in difficoltà di fronte alla perdita di consenso tra gli elettori conservatori. Diversi candidati si sono già fatti avanti segnalando la volontà di succedere a Ishiba nella presidenza del partito, ma resta il nodo della guida del governo senza la maggioranza in parlamento.
A meno di un anno dal suo insediamento, il primo ministro giapponese Shigeru Ishiba ha annunciato ieri le dimissioni, aprendo una nuova fase di incertezza politica. La decisione è una conseguenza delle crescenti pressioni all’interno del suo stesso partito, il Partito Liberaldemocratico (LDP), che alle ultime elezioni ha subito significative sconfitte, arrivando a perdere la maggioranza in entrambe le Camere.
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Ishiba si è assunto la responsabilità per i pessimi risultati dell’LDP alle elezioni della Camera dei Consiglieri a luglio e ha sottolineato che le sue dimissioni servono a prevenire un’ulteriore spaccatura all’interno del partito. Già a luglio, il quotidiano giapponese Mainichi aveva per primo riportato che Ishiba si sarebbe dimesso, basandosi su informazioni raccolte tra il premier e i suoi più stretti collaboratori.
Le prime indiscrezioni indicavano che i preparativi per la corsa alla presidenza dell’LDP sarebbero iniziati entro agosto. Ishiba, tuttavia, aveva pubblicamente smentito queste notizie e nelle sue affermazioni aveva sottolineato l’importanza di portare a termine le trattative sui dazi con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che aveva imposto il primo agosto come scadenza ultima.
Nel suo discorso di ieri, Ishiba ha spiegato che l’annuncio delle dimissioni a luglio avrebbe indebolito la posizione del Giappone: «chi negozierebbe seriamente con un governo che dice “ci dimettiamo”?», ha detto.
Ishiba ha poi cercato di placare le pressioni interne all’LDP minacciando di sciogliere la Camera dei Rappresentanti e indire elezioni anticipate, una mossa che ha esacerbato le divisioni e spinto il principale partner di coalizione, il partito Komeito, a ritenere inaccettabile la decisione. Secondo l’agenzia di stampa Kyodo, l’ex primo ministro Yoshihide Suga e il ministro dell’Agricoltura Shinjiro Koizumi entrambi tenuto colloqui con il premier sabato, evitando una scissione all’interno del partito e aprendo la strada all’annuncio delle dimissioni di ieri.
Ora l’attenzione si sposta sulla scelta del prossimo leader dell’LDP, che potrebbe assumere anche la carica di primo ministro se ci fosse una qualche forma di sostegno o di accordo anche con le opposizioni. Tra i principali contendenti ci sono membri del partito che avevano già sfidato Ishiba in passato, tra cui Sanae Takaichi, ex ministra per la sicurezza economica, che ha ricevuto il 23% dei consensi in un recente sondaggio di Nikkei. Takaichi fa parte dell’ala conservatrice e ha una forte base di sostegno tra i fedelissimi dell’ex primo ministro Shinzo Abe, di cui è considerata l’erede, soprattutto per quanto riguarda le politiche economiche, che potrebbero favorire una ripresa dei mercati azionari. Takaichi ha inoltre la reputazione di andare d’accordo con il presidente Donald Trump.
Anche Shinjiro Koizumi, attuale ministro dell’Agricoltura e figlio dell’ex leader Junichiro Koizumi, è un altro papabile candidato, dopo essere riuscito ad abbassare i prezzi del riso appena entrato in carica. Il sondaggio di Nikkei ha registrato un 22% dei consensi nei suoi confronti.
Altri membri del partito hanno segnalato la volontà di candidarsi, tra cui Yoshimasa Hayashi, attuale segretario capo del Gabinetto e portavoce principale del governo Ishiba, che si è classificato quarto nella corsa per la leadership del partito del 2024. Tra gli altri contendenti figurano Takayuki Kobayashi, un altro ex ministro per la sicurezza economica che gode di un maggiore sostegno all’interno dell’ala centrista, e Toshimitsu Motegi, ex segretario generale dell’LDP e il più anziano tra i candidati con i suoi 69 anni.
L’LDP oggi si trova in una posizione di forte debolezza. Molti elettori conservatori alle ultime elezioni hanno preferito il partito di estrema destra Sanseito anche a causa dell’allontanamento di Ishiba dall’ala conservatrice.
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Secondo un sondaggio di Kyodo, condotto prima che fossero riportate le dimissioni di Ishiba, l’83% degli intervistati ha dichiarato che un chiarimento pubblico del partito sulle ultime sconfitte non avrebbe comunque aumentato la fiducia degli elettori. È chiaro, quindi, che il compito del prossimo presidente di partito sarà quello di ripristinare la credibilità del centrodestra.
Chiunque verrà scelto si troverà davanti a un’importante decisione: se indire elezioni anticipate per cercare di riconquistare la maggioranza alla Camera bassa o rischiare di perdere il potere del tutto. Quest’ultima scelta rischierebbe di aprire una nuova fase di instabilità politica senza precedenti, che richiederebbe la ricerca di sostegno anche tra i partiti dell’opposizione per approvare le leggi e i bilanci.
Secondo diversi commentatori, il prossimo leader dovrà prima di tutto godere di una genuina popolarità sia all’interno che all’esterno del partito per affrontare sfide come l’invecchiamento della società, la forza lavoro in calo, l’inflazione e i timori che gli Stati Uniti possano abbandonare il loro ruolo di garanti della sicurezza nella regione asiatica.
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