Economia
L’Italia si è salvata dai blackout grazie al crollo dei consumi industriali. Intervista a Mario Pagliaro
Siamo ormai alle soglie dell’estate. È dunque possibile fare un bilancio sui consumi energetici italiani nell’anno produttivo che coincide con quello scolastico: da settembre a giugno. Renovatio 21 torna dunque a sentire il professor Mario Pagliaro, chimico che, con Parisi e Rizzolatti, è fra i membri italiani della Academia Europæa nonché docente di nuove tecnologie dell’energia al Polo Fotovoltaico della Sicilia, uno studioso che sul tema dell’energia ha dato a Renovatio 21 diverse interviste.
Professore, da nesso i prezzi del gas e dell’elettricità sono tornati ai livelli pre-crisi. Dunque, immaginiamo, i consumi saranno ripartiti in modo deciso. E così?
Non è così. Al contrario, i consumi, sia quelli elettrici che quelli del gas, sono ai minimi storici. Il crollo dei prezzi non ha avuto alcun effetto sulla domanda. I consumi industriali continuano a crollare, chiaro indice del crollo della domanda. A maggio i consumi industriali di gas naturale sono scesi di un altro 5,2%, nuovamente sotto la soglia del miliardo di metri cubi. Dall’inizio dell’anno, il calo dei consumi industriali è quasi del 16% (-15,8%) sullo stesso periodo del 2022. Crollo che si estende al consumo di gas per la produzione termoelettrica, che a maggio è sceso del 15,5%. Se poi guardiamo ai consumi elettrici, a maggio gli acquisti di elettricità sulla Borsa elettrica sono crollati: siamo sui 21 miliardi di chilowattora mensili Un livello che non si era raggiunto nemmeno nell’anno del lockdown, il 2020. Ed è lo stesso per il gas: se ne consuma meno che durante il lockdown della popolazione. Può sembrare assurdo, ma è così ormai da mesi.
Perché avviene questo crollo della domanda?
Verosimilmente perché il tasso di inflazione è così elevato da far crollare i consumi, tanto in Italia che negli altri Paesi comunitari. In alcuni settori come gli alimentari, ad esempio, il tasso di inflazione è molto più alto di quello ponderato sul prezzo di molteplici beni e servizi. Pane, pasta, carne, riso, olio di oliva, olio di semi, latte, frutta e ortaggi in un solo anno hanno registrato tutti fortissimi aumenti, di molto superiori al tasso di inflazione. Si tratta di consumi non comprimibili oltre una certa soglia di pochi punti percentuali. Dunque, si risparmia su tutto il resto. Poi, naturalmente, c’è la fine del Superbonus 110% in edilizia che per oltre 2 anni aveva letteralmente trainato il PIL italiano.
E la domanda estera, per quale motivo si riduce?
Per il rapido deteriorarsi delle relazioni internazionali. Da sola, la guerra a bassa intensità fra due ex repubbliche sovietiche ha portato ad un’ulteriore diminuzione delle esportazioni della Russia, solo parzialmente recuperate dalle imprese italiane esportando verso intermediari basati in Turchia. Scende la domanda di prodotti industriali da parte della Germania, la cui economia ha in Italia una vastissima base di fornitori, perché la stessa economia tedesca versa ormai in profonda crisi, non potendo più beneficiare dell’energia a basso costo dovuta alle forniture di gas e petrolio a basso costo dalla Russia. Ma scende anche dai Paesi mediorientali e dal Sud Est asiatico. L’economia italiana ha una fortissima vocazione manifatturiera: ma se non c’è domanda, le industrie non possono produrre per riempire i magazzini di merce che nessuno richiede.
Il lato positivo è che non dovrebbero più essere rischi di blackout per questo inverno, come pure previde Nomisma Energia. È così?
Se i consumi si manterranno così bassi, sarà così. Gli stoccaggi del gas sono già pieni al 75%. Ma il problema si riproporrebbe se i consumi industriali tornassero a salire. Ma questo potrà avvenire sono con un radicale miglioramento delle relazioni internazionali. Senza il quale, la prospettiva è invece quella della deindustrializzazione accelerata.
Per quale motivo?
Perché le industrie, a differenza del settore terziario, hanno ingenti costi fissi per coprire i quali hanno necessità di produrre e di vendere. Lasciare inattivi impianti e stabilimenti per mesi o addirittura per anni è semplicemente impossibile. I proprietari delle fabbriche, in breve, possono tollerare delle perdite transitorie sapendo che saranno recuperate nei mesi successivi. Se invece si prospettano mesi o anni di mancate vendite dovute al crollo della domanda, le fabbriche, molto semplicemente, vengono chiuse e poste in liquidazione.
È per questo che Francia e Germania stanno nazionalizzando?
Certo. La Francia ha appena completato la nazionalizzazione dell’energia elettrica. La Germania ha nazionalizzato il più grande distributore di gas nazionale, dopo aver acquistato il 20% delle azioni della propria compagnia aerea di bandiera. In realtà, tanto la Germania che l’Italia è come se avessero già nazionalizzato i loro comparti energetici: solo che invece di acquisire il controllo delle ex aziende pubbliche, hanno dato i soldi ai cittadini e alle imprese per pagare le bollette.
Si ha un’idea di quanto abbia dato il governo italiano?
Certo. Lo Stato italiano, fra i provvedimenti del governo uscente e di quello attuale, ha speso 99,3 miliardi per pagare gli extra costi delle bollette di imprese e famiglie. La Germania ben 268 miliardi, perché il costo se lo è accollato interamente lo Stato. Sono cifre enormi ma del tutto concrete: nel caso dell’Italia è stato allocato e speso il 5,6% del Pil.
E ora, che il prezzo del gas e dell’elettricità è crollato e ci sarebbe modo di rifarsi, il consumo di energia è ai minimi storici. Non è incredibile?
Non lo è per chi comprenda che la domanda di beni può crescere soltanto in un sano contesto di sviluppo economico basato sulla produzione di beni concreti da vendersi sul mercato interno e su quello internazionale. Che sono solo quelli dell’industria e dell’agricoltura. Ad esempio, da ormai due anni è in corso in Italia un significativo boom del turismo. Che non si traduce, né potrà farlo, in diffusa crescita economica. I salari sono bassissimi, e gli operatori invece di alzarli lamentano la mancanza di 300 mila figure professionali, fra camerieri, cuochi, baristi, portieri, animatori turistici e agenti di viaggio. La valuta straniera importata con il turismo finisce in gran parte nelle casse delle banche sotto forma di depositi, e in minima parte in investimenti sulle infrastrutture ricettive e in salari. L’effetto sulla domanda interna di beni industriali è quindi trascurabile.
Un’ultima domanda sull’energia solare. Come va il comparto in Italia dopo la fine del Superbonus e il crollo dei prezzi?
Va benissimo. È anzi l’unico comparto economico a registrare una crescita sana e strutturale. Lo avevamo previsto nel 2018 nel libro Helionomics e adesso è realtà. Nei primi 4 mesi dell’anno la nuova potenza fotovoltaica allacciata alla rete elettrica in Italia è più che raddoppiata, rispetto allo stesso periodo del 2022, passando da 659 a 1400 MW (megawatt). Sono le famiglie e le aziende che hanno compreso che solo il solare potrà salvarle da ulteriori aumenti delle bollette. Infatti, le piccole installazioni di taglia residenziale con potenza inferiore a 20 kW (chilowatt) sono più che triplicate. Mentre quelle sui tetti di capannoni industriali e supermercati solo ad aprile sono cresciuti del 163%.
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Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros
Netflix avrebbe raggiunto un accordo per acquisire Warner Bros., inclusi i suoi studi cinematografici e televisivi, HBO e HBO Max, attraverso una transazione mista in contanti e azioni che valuta Warner Bros. Discovery a un valore aziendale di 82,7 miliardi di dollari (valore azionario di 72 miliardi di dollari), pari a 27,75 dollari per azione.
L’intesa dovrebbe essere finalizzata nel terzo trimestre del 2026, dopo lo scorporo programmato da parte di WBD della sua divisione Global Networks in una società quotata autonoma («Discovery Global»). Questa operazione giunge a pochi mesi dalla proposta avanzata da Paramount-Skydance per rilevare WBD.
L’accordo tra Netflix e WBD fonderà la piattaforma di streaming con un catalogo secolare e con franchise iconici come i supereroi della DC Comics, Harry Potter, Game of Thrones, I Soprano e The Big Bang Theory.
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In una nota ufficiale, Netflix ha dichiarato che l’operazione espanderà la sua library di contenuti, potenzierà le capacità produttive e favorirà una crescita sostenibile nel lungo periodo: «fornendo agli utenti una gamma più vasta di serie e film di alto livello, Netflix si attende di conquistare e trattenere un maggior numero di abbonati, incrementare l’engagement e generare entrate e profitti operativi aggiuntivi. L’azienda prevede inoltre di conseguire risparmi sui costi per almeno 2-3 miliardi di dollari annui entro il terzo anno e che la fusione avrà un effetto positivo sull’utile per azione GAAP già a partire dal secondo anno».
Secondo i termini dell’accordo, ogni azione WBD sarà convertita in 23,25 dollari in contanti più 4,50 dollari in azioni Netflix. I board di entrambe le società hanno approvato l’operazione all’unanimità.
La chiusura è attesa tra 12 e 18 mesi, subordinata all’esame regolatorio e all’ok degli azionisti di WBD. All’inizio dell’anno, Netflix ha superato le controfferte, tra cui quelle di Paramount-Skydance e Comcast.
Bloomberg ha rilevato che Hollywood non accoglie con entusiasmo questo nuovo connubio tra Netflix e WBD.
Warner Bros. Discovery ha avviato negoziati esclusivi per cedere i suoi studi cinematografici e televisivi insieme a HBO Max a Netflix, stando a fonti interne alla major – un’indicazione che il colosso dello streaming ha avuto la meglio su Paramount-Skydance e Comcast. Un’intesa del genere ridisegnerebbe il settore dell’intrattenimento e rappresenterebbe un turning point strategico per Netflix, già leader per capitalizzazione a Hollywood. Paramount ha bollato il processo di cessione come «contaminato», mentre l’attrice Jane Fonda, due volte premio Oscar, ha descritto il suo potenziale effetto sull’industria con un aggettivo più severo: «catastrofico».
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Nata come servizio di noleggio DVD via posta, Netflix ha prima annientato la catena Blockbuster e ora sta replicando il colpo con Hollywood, snobbando in larga misura le uscite cinematografiche in sala. L’accordo catapulterebbe Netflix al rango di superpotenza negli studi hollywoodiani. Tuttavia, il tutto resta appeso all’approvazione dei regolatori, con il repubblicano californiano Darrell Issa che ha già espresso opposizione a qualsivoglia acquisizione di Warner Bros. da parte di Netflix.
L’industria cinematografica è minacciata dall’avvento dell’IA, che potrebbe presto consentire a chiunque di produrre contenuti di livello cinematografico in un click, disintegrando un’intera filiera di lavoratori che vanno dagli attori ai cineoperatori, agli addetti al casting, agli elettricisti, registi, etc.
Si spiega così la corsa di Netflix verso le IP, cioè le proprietà intellettuali: avere un personaggio conosciuto e diffuso come, ad esempio Harry Potter, anche nell’era del cinema generato dall’AI potrebbe avere un valore strategico ed economico.
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Immagine di Fourbyfourblazer via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0
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L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo
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Economia
La BCE respinge il ladrocinio dei fondi russi congelati proposto dalla Von der Leyen
La Banca Centrale Europea ha declinato di avallare il progetto della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen per un finanziamento di 140 miliardi di euro a beneficio dell’Ucraina, da assicurare mediante i patrimoni russi immobilizzati. Lo riporta il Financial Times, attingendo a fonti informate sui negoziati.
Il quotidiano britannico ha precisato che la BCE ha ritenuto l’iniziativa della Commissione – che fa leva sugli attivi sovrani russi custoditi presso Euroclear, la società depositaria belga – estranea al proprio ambito di competenza.
Bruxelles ha impiegato mesi a sondare l’utilizzo delle riserve congelate della banca centrale russa per strutturare un «mutuo di indennizzo» da 140 miliardi di euro (equivalenti a 160 miliardi di dollari) in appoggio a Kiev. Il Belgio ha più volte espresso allarmi su potenziali controversie giudiziarie e pericoli finanziari in caso di attuazione del meccanismo.
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In base alla bozza elaborata dalla Commissione, i governi degli Stati membri dell’UE offrirebbero garanzie pubbliche per distribuire il peso del rimborso del prestito ucraino.
Tuttavia, i rappresentanti della Commissione hanno segnalato che i Paesi UE potrebbero non riuscire a reperire celermente risorse in scenari di urgenza, con il pericolo di generare turbolenze sui mercati finanziari.
A quanto risulta, i funzionari UE hanno sollecitato alla BCE se potesse intervenire come prestatore estremo per Euroclear Bank, la branca creditizia dell’ente belga, al fine di scongiurare una carenza di liquidità. Gli esponenti della BCE hanno replicato alla Commissione che tale opzione è impraticabile, ha proseguito il Financial Times, basandosi su interlocutori vicini alle consultazioni.
«Un’ipotesi di tal genere non è oggetto di esame, in quanto verosimilmente contravverrebbe alla normativa dei trattati UE che esclude il finanziamento monetario», ha chiarito la BCE.
Bruxelles starebbe ora esplorando vie alternative per assicurare una provvista temporanea a supporto del mutuo da 140 miliardi di euro.
«Assicurare la liquidità indispensabile per eventuali obblighi di restituzione dei beni alla banca centrale russa costituisce un elemento cruciale di un eventuale mutuo di indennizzo», ha dichiarato FT, citando un portavoce della Commissione.
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La direttrice di Euroclear, Valerie Urbain, ha ammonito la settimana scorsa che l’iniziativa verrebbe percepita a livello mondiale come una «espropriazione delle riserve della banca centrale, che erode il principio di legalità». Mosca ha reiteratamente definito qualsiasi ricorso ai suoi attivi sovrani come un «saccheggio» e ha minacciato ritorsioni.
L’urgenza del piano si inserisce in un frangente in cui l’UE, alle prese con vincoli di bilancio, deve reperire risorse per Kiev nei prossimi due anni, aggravata dalla congiuntura di liquidità critica ucraina, con gli sforzi per attingere ai fondi russi che si acuiscono mentre Washington avanza una nuova proposta per dirimere il conflitto. Gli analisti prevedono che l’Ucraina affronterà un disavanzo di bilancio annuo di circa 53 miliardi di dollari nel quadriennio 2025-2028, al netto degli stanziamenti militari extra.
L’indebitamento pubblico e garantito dal governo del Paese ha raggiunto picchi storici, oltrepassando i 191 miliardi di dollari a settembre, ha comunicato il Ministero delle Finanze. Il mese scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha aggiornato al rialzo le stime sul debito ucraino, proiettandolo al 108,6% del PIL.
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Immagine di © European Union, 2025 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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