Terrorismo
L’ISIS rivendica l’attacco terroristico fuori dall’ambasciata russa a Kabul

Presso l’ambasciata russa di Kabul un attentatore ha detonato un ordigno e due membri del corpo diplomatico sono stati uccisi. Il bilancio parziale sarebbe di almeno una decina di vittime.
«Secondo i testimoni oculari le vittime potrebbero essere molte di più», ha detto all’emittente qatarina Al Jazeera il giornalista di Kabul Najib Lalzoy. L’esplosione «è avvenuta vicino all’ambasciata dove c’era una folla di persone radunate per richiedere il visto russo».
Il governo talebano ha detto di esser stato in grado di identificare ed uccidere il terrorista suicida «prima che raggiungesse il suo obiettivo».
Il ministero degli Esteri afgano ha promesso che lunedì verranno prese tutte le misure necessarie per indagare sul mortale attacco terroristico.
Secondo quanto riferito, l’ISIS ha rivendicato l’ attacco terroristico di lunedì davanti all’ambasciata russa a Kabul , in Afghanistan.
Il capo della diplomazia russa Sergej Lavrov ha annunciato all’inizio della giornata che una serie di misure era stata adottata dopo l’attacco per rafforzare la sicurezza intorno all’ambasciata. Il ministro ha espresso la speranza che gli autori dell’attacco vengano trovati e ritenuti responsabili il prima possibile.
Parlando con Lavrov lunedì, il ministro degli Esteri ad interim Amir Khan Muttaqi ha espresso le sue condoglianze in relazione all’attacco terroristico e ha assicurato che le forze di sicurezza afghane presteranno particolare attenzione alla sicurezza dell’ambasciata russa.
Muttaqi ha anche sottolineato che saranno prese tutte le misure necessarie per indagare sull’attacco. I due ministri hanno convenuto che i Paesi «rafforzeranno la cooperazione bilaterale nella lotta al terrorismo internazionale». Da parte sua, il portavoce del ministero degli Esteri afghano Abdul Qahar Balkhi, nominato dai talebani, ha espresso la speranza che l’attacco terroristico non influisca sulle relazioni Kabul-Mosca.
La Russia è una delle poche Nazioni ad aver conservato un’ambasciata nella capitale afghana dopo che gli «studenti coranici» hanno riconquistato l’Afghanistan più di un anno fa. Mosca non ha ancora ufficialmente riconosciuto il governo talebano, tuttavia in queste settimane le due parti trattano per la fornitura di petrolio e di altri prodotti.
Per quanto settembre sia appena iniziato, non è la prima bomba di questo mese in Afghanistan. Come riporta AsiaNews, «il 3 settembre un’esplosione fuori da una moschea a Herat ha ucciso almeno 19 persone e ne ha ferite 23. L’attacco mirava a colpire Mujib Rahman Ansari, un religioso vicino ai talebani».
Un mese fa, droni CIA avevano eliminato il braccio destro di Bin Laden Ayman al-Zawahiri, rimasto dal 2011 sommo vertice di al-Qaeda.
Gli studenti coranici potrebbero avere qualche frizioni anche con il vicino pakistano, pure riconosciuto come «creatore» dei talebani attraverso il temuto servizio segreto ISI: cinque mesi fa Islamabad ha attaccato Tehrik-i Taliban, gruppo detto anche dei «talebani pakistani», riparati in territorio afgano. Con il Pakistan salgono le tensioni anche per l’aumento dei prezzi del carbone deciso dai talebani.
Secondo cifre ONU, vi sarebbero, dall’avvento dell’Emirato Taleban, almeno 2 mila morti. Dall’inizio dell’anno sarebbero morti invece circa 14 mila neonati per mancanza di cibo. Nel Paese fiorisce il traffico di spose bambine e di organi.
Gli USA stanno tenendo congelati 7 miliardi appartenenti allo Stato afgano, promettendo di ridistribuirne una parte ai parenti delle vittime dell’11 settembre, anche quando costoro non li vogliono e dicono che si tratta di danaro che spetta al popolo afgano.
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Terrorismo
Hamas afferma che la sua leadership è sopravvissuta all’attacco israeliano al Qatar

Il gruppo militante palestinese Hamas ha affermato che l’attacco israeliano al suo complesso nella capitale del Qatar Doha avvenuto martedì è stato in gran parte infruttuoso e che i suoi membri più importanti sono sopravvissuti.
Tuttavia, l’attacco ha ucciso il figlio di Khalil al-Hayya, capo dell’ufficio politico del gruppo, e un suo collaboratore di alto rango, secondo Suhail al-Hindi, un membro di spicco di Hamas. Tre guardie del corpo del leader del gruppo risultano ancora disperse dopo gli attacchi, ha dichiarato ad Al Jazeera.
«Il sangue dei leader del movimento è come il sangue di qualsiasi bambino palestinese», ha affermato al-Hindi.
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L’«atroce» attacco israeliano è stato un «tentativo di uccidere coloro che stavano discutendo di porre fine alla guerra a Gaza», ha aggiunto, corroborando precedenti resoconti secondo cui la leadership del gruppo era stata colpita mentre si riuniva per discutere le ultime proposte degli Stati Uniti sulla risoluzione del conflitto con Israele.
Secondo quanto riportato dai media israeliani, nell’attacco sono stati coinvolti circa 15 aerei, che hanno sparato più di dieci proiettili ad alta precisione contro il complesso di Hamas. Israele ha insistito sul fatto che l’attacco è stato un’azione unilaterale e che nessun’altra parte è stata coinvolta nell’attacco «ai vertici dell’organizzazione terroristica di Hamas». Il Qatar ha parlato invece di «terrorismo di Stato» da parte israeliana.
Diversi resoconti dei media israeliani, tuttavia, hanno suggerito che lo Stato Giudaico avesse informato Washington dell’imminente azione prima dell’attacco. Inoltre, il canale israeliano Channel 12 ha riferito, citando un funzionario anonimo, che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva dato il via libera all’attacco.
La Casa Bianca ha descritto l’attacco israeliano come un incidente «sfortunato», con la portavoce Karoline Leavitt che ha affermato che l’attacco al cuore del Qatar, uno «stretto alleato» degli Stati Uniti, «non promuove gli obiettivi di Israele o dell’America».
Il Qatar, che è stato definito un «importante alleato non NATO» degli Stati Uniti, ha condannato il «vile attacco israeliano», descrivendo il luogo interessato dall’attacco come «edifici residenziali che ospitano diversi membri dell’ufficio politico del movimento Hamas». Il Ministero degli Esteri del Paese ha negato di essere stato a conoscenza dell’attacco in precedenza, affermando di non aver ricevuto alcuna notifica né da Israele né dagli Stati Uniti.
Più tardi, nel corso della giornata, il ministero degli Interni del Qatar ha dichiarato che almeno un agente di sicurezza è stato ucciso e altri sono rimasti feriti mentre intervenivano sul luogo dell’attacco.
Il Qatar aveva avviato rapporti commerciali non ufficiali con Israele nel 1996, diventando il secondo paese della penisola arabica a farlo dopo l’Oman, in concomitanza con il trattato di pace tra Israele e Giordania. Questi rapporti commerciali sono proseguiti fino al 2009, quando il Qatar ha sospeso i legami economici con Israele a seguito dell’operazione Piombo Fuso.
A seguito del conflitto tra Israele e Gaza del 2008-2009, il Qatar AVEVA organizzato una riunione d’emergenza con stati arabi e Iran per affrontare la crisi. Hamas, che controllava Gaza, rappresentava i palestinesi, a differenza dell’Autorità Nazionale Palestinese guidata da Fatah in Cisgiordania, indebolendo il presidente Mahmoud Abbas. I leader di Hamas, Khaled Meshaal, il presidente siriano Bashar al-Assad e quello iraniano Ahmadinejad avevano allora chiesto agli Stati arabi di interrompere ogni rapporto con Israele.
Nel 2013, secondo un giornale libanese, il Qatar avrebbe agevolato un’operazione israeliana per trasferire 60 ebrei yemeniti in Israele, permettendo loro di transitare da Doha. Il 30 aprile 2013, il primo ministro qatariota, sceicco Hamad bin Jassim al-Thani, ha proposto che gli accordi di pace con i palestinesi potessero includere scambi territoriali invece di rispettare i confini del 1967, un’idea accolta positivamente dal ministro della giustizia israeliano Tzipi Livni, che l’ha definita una mossa strategica per favorire compromessi e rafforzare il sostegno pubblico alla pace.
Tuttavia, dopo l’Operazione Margine Protettivo (cioè il conflitto a Gaza nel 2014), Israele ha criticato il Qatar per il suo supporto diplomatico e finanziario ad Hamas, accusandolo di sponsorizzare il terrorismo. Il ministro degli esteri Avigdor Lieberman aveva chiesto l’espulsione dei giornalisti di Al Jazeera, di proprietà qatariota.
Nel 2015, l’ambasciatore del Qatar a Gaza ha cercato l’approvazione di Israele per importare materiali da costruzione a Gaza, dopo il rifiuto dell’Egitto di aprire il valico di Rafah, suscitando le critiche dell’Autorità Nazionale Palestinese e di Fatah, che temevano un’usurpazione del ruolo di mediatori da parte del Qatar.
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Nel giugno 2015, il Qatar aveva ospitato colloqui a Doha tra Israele e Hamas per discutere un possibile cessate il fuoco di cinque anni. Durante la crisi diplomatica del Qatar del 2017, Israele ha sostenuto il blocco guidato dall’Arabia Saudita contro il Qatar e ha espulso Al Jazeera da Israele. Durante la guerra di Gaza del 2023, il Qatar ha mediato tra Hamas e Israele, ottenendo un cessate il fuoco e uno scambio di oltre 100 ostaggi israeliani con 240 prigionieri palestinesi
Nell’aprile 2024, Essa Al-Nassr, generale qatariota e membro dell’Assemblea consultiva, ha dichiarato che non ci sarebbe stata pace con Israele, accusandolo di tradimenti e omicidi, definendo gli attacchi del 7 ottobre 2023 un «preludio» alla distruzione di Israele.
Le frizioni tra Israele e Qatar sono pienamente visibile con il continuo assassinio di giornalista di Al Jazeera negli ultimi mesi.
Voci in rete, prive di verifica possibile, sostengono che il vertice di Hamas sarebbe stato salvato grazie ad una soffiata proveniente dal MIT, il servizio segreto turco.
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Terrorismo
I ribelli congolesi usano minorenni

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Terrorismo
Infermiera tedesca prigioniera in Somalia da 7 anni

Sonja Nientiet, infermiera tedesca in forza al Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) e rapita ad inizio maggio 2018 a Mogadiscio da un gruppo armato forse legato all’organizzazione islamista al-Shabaab sarebbe ancora in vita.
Un video apparso in rete nel marzo 2025 mostra l’operatrice umanitaria coperta da velo islamico con un volto stanco e provato mentre descrive la sua vicenda e chiede al governo tedesco di fare il possibile per liberarla.
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Me la ricordo Sonja. Devo ammettere che era un ricordo semi sepolto dei miei anni passati in ICRC e riportato alla luce qualche giorno fa da un post apparsomi su Instagram.
Mi viene in mente una donna robusta, con scarso senso dell’ironia e tifosissima del Borussia Dortmund ai limiti del fanatismo, tanto da appendere in ufficio sciarpe, bandiere e gadget della squadra del cuore, nella perplessità dello staff locale.
Non eravamo amici per la pelle anche se non credo di aver mai avuto discussioni con lei in un ambiente, quello dell’emergenza umanitaria, in cui la tensione, anche tra colleghi, si tagliava a fette.
Erano gli anni a cavallo del 2015 in cui l’ISIS impazzava e sembrava avere sostenitori pure in Giordania paese da cui ci occupavamo del conflitto siriano e dei molti rifugiati che si riversavano nel territorio della monarchia hascemita. Notizie di tentati sequestri di occidentali e di operatori umanitari circolavano periodicamente e la vita in una città beduina di confine, piena di sabbia, di mosche, torrida in estate e gelata d’inverno, non era esattamente entusiasmante.
Ricordo i black out dovuti al freddo, io mentre cucinavo spaghetti alla carbonara al buio mentre un collega inglese mi faceva luce con una torcia, l’assurda birra Petra addizionata di alcool che poteva arrivare fino a 30 gradi, la noia, gli incubi notturni dopo giornate passate ad occuparmi di disgrazie umane, a volte strazianti. Ad un certo punto non ne potevo davvero più, come molti colleghi che nel tempo hanno mollato o hanno visto il loro contratto interrompersi per non aver accettato una missione troppo rischiosa per la sicurezza e per la salute.
Perché il Comitato Internazionale della Croce Rossa è come un piccolo esercito umanitario dalle molte contraddizioni, che specificheremo in altri articoli. È un’organizzazione che spesso chiede il massimo ai suoi delegati (questo è il nome dei suoi operatori espatriati) ed opera per mandato in zone di conflitti militari e relative crisi umanitarie. Burn-outs e ricadute a livello psicologico come le temute sindromi da stress post traumatico sono pertanto all’ordine del giorno.
Più missioni si accettano e in posti pericolosi, più aumentano i rischi di essere rapiti o peggio ammazzati da qualche gruppo armato o semplicemente di fuorilegge, senza parlare delle malattie infettive e di altri poco simpatici “contrattempi” in cui si può incappare.
I sette anni dell’infermiera Sonja in una terra come la Somalia sono davvero tanti. È difficile pensare come si possa tenere duro in una situazione di questo tipo, oltretutto prigionieri di un gruppo armato.
Non passiamo fare altro che pregare per lei e augurarle di poter tornare un giorno allo stadio a seguire il suo Borussia Dortmund.
Victor Garcia
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