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L’Intelligenza Artificiale si sta divorando Hollywood
È in corso ad Hollywood un colossale sciopero di sceneggiatori e attori. Precedenti iniziative sindacali di questo tipo avevano di fatto bloccato l’industria per mesi negli scorsi lustri.
Se in passato i sindacati dell’industria cinetelevisiva si battevano per questioni di salario e di redistribuzione dei guadagni finali, questa volta sembrano avere un nemico che viene da fuori dal settore, un alieno: proprio come in un film di fantascienza, gli uomini e le donne di Hollywood si trovano ora a fronteggiare la minaccia delle macchine: l’Intelligenza Artificiale rischia infatti di farli sparire per sempre, o di ridurre drasticamente il numero di lavoratori della filiera.
L’Intelligenza Artificiale è diventata una questione centrale tra i lavoratori di Hollywood quando il sindacato degli sceneggiatori Writers Guild of America (WGA) e il sindacato Screen Actors Guild-American Federation of Television and Radio Artists (SAG-AFTRA – presieduto dall’attrice della sitcom La Tata Fran Drescher) hanno avviato negoziati di lavoro con gli studi.
La WGA aveva chiesto alle grandi casi di produzione di impegnarsi a non utilizzare AI per la generazione di sceneggiature o l’addestramento di modelli linguistici di grandi dimensioni come ChatGPT per produrre variazioni del lavoro di chi scrive storie e copioni.
«Non volevano nemmeno discuterne, e questo ci ha fatto preoccupare», ha detto il comico losangelino Adam Conover, in una dichiarazione alla testata economica Bloomberg. «Mi ha fatto dire, “Oh, queste persone in realtà stanno pianificando di usarlo per cercare di indebolirci”».
«I creativi del settore affermano già di non fare abbastanza affidamento sui servizi di streaming e che le aziende tecnologiche sfruttano il loro lavoro. Ora temono che l’intelligenza artificiale eliminerà del tutto il loro lavoro, sostituendo le loro voci e i loro volti con rappresentazioni generate al computer. L’Intelligenza Artificiale è già utilizzata per creare materiali di marketing, eliminare le parolacce e ridurre il costo degli effetti visivi» scrive Bloomberg, indicando come di fatto l’IA sia già penetrata nel settore.
Il potenziale dell’AI di sostituire gli attori umani con interpretazioni generate in computer grafica è diventato il importante punto di contesa con gli studios degli ultimi 60 anni: essendo che gli attori e gli sceneggiatori scioperano contemporaneamente, diverse produzioni televisive e cinematografiche hanno dovuto essere fermate.
I dirigenti delle grandi aziende di Hollywood hanno cercato di ridimensionare l’allarme della loro attuale forza lavoro umana, liquidando la minaccia dell’Intelligenza Artificiale come un affare gonfiato e sopravvalutato dai lavoratori. Tuttavia, i vertici delle major hanno riconosciuto che offre risparmi sui costi a causa del calo dei flussi di entrate e degli sforzi per ridurre i costi. La parcellizzazione dei ricavi dovute al crollo delle sale cinematografiche e la parcellizzazione del mercato con l’arrivo dei servizi di streaming ha del resto sconvolto la struttura economica del settore.
Ecco quindi che, per contenere i costi, le grandi case produttrici hanno iniziato a puntare come aziende che offrono soluzioni basate sull’Intelligenza Artificiale per «migliorare» le performance degli attori o doppiare dialoghi in qualsiasi lingua.
«Quasi tutti i principali studi utilizzano già l’intelligenza artificiale in qualche modo, anche se non se ne parla» scrive Bloomberg. «Molti lavorano con un’azienda vicino alla spiaggia di Santa Monica chiamata Flawless, che offre una serie di strumenti di postproduzione che fanno risparmiare tempo e denaro. DeepEditor, ad esempio, consente ai cineasti di spostare la performance di un attore da un’inquadratura all’altra. Se hai Margot Robbie che parla dietro una scrivania, ad esempio, puoi decidere di mostrarla da un’angolazione diversa senza bisogno di ulteriori riprese. AI Reshoot consente ai cineasti di sostituire i dialoghi, purché abbiano l’audio dell’attore che pronuncia le parole. TrueSync consente il doppiaggio in qualsiasi lingua; i cineasti possono regolare il movimento della bocca di un attore per far sembrare che stia pronunciando le parole straniere in modo accurato».
Un altro problema sollevato da AI è quello dei diritti d’autore e della violazione. Sia la tecnologia deepfake che l’intelligenza artificiale generativa (scrittura di sceneggiature) sollevano preoccupazioni per l’uso non autorizzato delle sembianze degli attori e della proprietà intellettuale. Attualmente, Getty Images ha citato in giudizio Stability AI per presunto utilizzo di opere protette da copyright senza autorizzazione. Secondo Hillary Krane, capo del reparto legale dell’agenzia di «talenti» (cioè, nel gergo di Hollywood, attori) CAA, le persone hanno il diritto di controllare la pubblicità del proprio nome, immagine e somiglianza, ma «la velocità della tecnologia sta minando la nostra capacità di far rispettare efficacemente tali diritti», scrive il sito economico.
La qualità dei deepfake, ossia filmati in cui è possibile cambiare fotorealisticamente le facce dei personaggi, consentendo scambi di persona, è oramai altissima – effetti digitali costati anche centinaia di milioni e mesi di ore-uomo in post produzione sono stati superati da utenti in rete che hanno utilizzato tali algoritmi GAN per ottenere risultati migliori nel corso di un pomeriggio – è il caso di film come Star Wars: Rogue One (2016) o The Irishman (2019) di Martin Scorsese: i deepfake domestici hanno umiliato quelli professionali, preludendo ad un’era con maggiori potenzialità visive e al contempo minor bisogno di investimenti e personale.
L’estrema precisione e la credibilità raggiunta dalla tecnologia deepfake già vengono utilizzati per campagne politiche, ricatti, frodi varie e crimini sempre più orrendi. Abbiamo assistito a esempi di «deepfake bellici» durante gli inizi del conflitto ucraino; un discorso dello stesso Biden di un anno fa è stato tacciato di essere forse un deepfake.
Secondo la testata di giornalismo di inchiesta The Intercept, la tecnologia deepfake è negli interessi delle forze speciali USA per condurre campagne di «propaganda e inganno», cioè per operazioni di guerra psicologica.
Come riportato da Renovatio 21, scienziati inglesi hanno stabilito che volti generati dall’AI sono ora più credibili di quelli reali.
Nel frattempo, dalla Mecca del cinema trapelano racconti su nuove modalità di ingaggio per gli attori da parte delle produzioni: vieni pagato per un solo giorni di posa, in cui prendono misure e riferimenti visivo-informatici necessari a produrre l’intero film, che ha quel punto, generato al computer, ha sempre meno riprese. È chiaro che anche l’elemento di partenza umano verrà, ad un certo punto, eliminato.
Quindi, gli attori di Hollywood, così come tantissimi altri lavoratori di ogni settore, stanno lavorando in realtà proprio per la loro estinzione.
Come in un film distopico – pensiamo ovviamente a Terminator (1985), o ancora meglio, a Hardware (1990) o L’uomo che fuggì dal futuro (1971)– gli uomini lavorano per alimentare le stesse macchine che li renderanno obsoleti, pronti ad essere eliminati perché inutili – un processo già ampiamente preconizzato pubblicamente da ideologi del mondialismo estremista come Yuval Harari e da altri habitués del World Economic Forum di Davos.
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Nuova serie gay sui militari americani: il Pentagono contro Netflix
Il Pentagono ha accusato Netflix di produrre «spazzatura woke» per una sua nuova serie incentrata su un marine gay. La serie ha debuttato durante la campagna del presidente Donald Trump e del Segretario alla Guerra Pete Hegseth per eliminare la «cultura woke» dall’esercito.
Kingsley Wilson, portavoce del dipartimento della Guerra, ha dichiarato a Entertainment Weekly che il Pentagono non appoggia «l’agenda ideologica» di Netflix. L’esercito americano «non scenderà a compromessi sui nostri standard, a differenza di Netflix, la cui leadership produce e fornisce costantemente spazzatura woke al proprio pubblico e ai bambini», ha detto Kingsley, sottolineando che il Pentagono si concentra sul «ripristino dell’etica del guerriero».
«I nostri standard generali sono elitari, uniformi e neutrali rispetto al sesso, perché al peso di uno zaino o di un essere umano non importa se sei un uomo, una donna, gay o eterosessuale», ha aggiunto la portavoce.
Lo Hegseth ha introdotto nuovi requisiti fisici «di livello maschile» per affrontare situazioni di «vita o morte» in battaglia, affermando: «Gli standard devono essere uniformi, neutri rispetto al genere ed elevati. Altrimenti, non sono standard» criticando approcci alternativi che «fanno uccidere i nostri figli e le nostre figlie». A febbraio, il Segretario alla Guerra ha definito il motto «la diversità è la nostra forza» come il «più stupido» nella storia militare.
Il Pentagono lotta da anni con carenze di reclutamento, registrando nel 2023 un deficit di 15.000 unità, il peggiore dalla fine della leva obbligatoria nel 1973. I repubblicani attribuiscono il problema all’eccessiva enfasi sulla diversità a scapito della preparazione militare, come evidenziato da un rapporto del 2021 che criticava la Marina per aver prioritizzato la «consapevolezza» rispetto alla vittoria in guerra.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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Da Nasser a Sting e i Police: il mistero di Miles Copeland, musicista e spia della CIA
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Amazon Prime Video rimuove tutte le armi e le Bond Girls dai poster dei film di 007. Poi ci ripensa
La piattaforma streaming di Amazon Prime Video ha recentemente rimosso tutte le armi e le Bond girl dalle locandine dei film di James Bond. Poi nelle ultime ore, sembra aver ripristinato la versione originale.
L’amata serie di pellicole di spionaggio 007, dove le pistole giuocavano un ruolo grafico sin dalle locandine, si trova ancora sotto il tallone della cultura woke, e quindi della censura e dell’orwelliana cancellazione della storia.
È ridicolo, e antistorico, vedere il comandante Bond a braccia conserte senza la sua arma (che è variata, dagli anni, da una Walther PPK a una Beretta forse di modello 418 o 950) impugnata disinvoltamente – un elemento che è parte fondamentale dello stesso personaggio, elegante e pericoloso, come il mondo in cui la spy-story promette di immergere lo spettatore.
Amazon had digitally removed all of the guns from James Bond movie art.
Next … they will probably eliminate any scenes from the movies with guns.
Ridiculous. pic.twitter.com/PdMgKIKY2e
— Wall Street Mav (@WallStreetMav) October 3, 2025
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In particolare, tutte le armi sembravano essere state rimosse da immagini già note, tra cui un ritratto di Sean Connery con una pistola Walther PPK tra le braccia incrociate, utilizzato come foto pubblicitaria per la pellicola Dr. No e ora esposto alla National Portrait Gallery di Londra. Un poster teaser ampiamente visto per il film Spectre con Daniel Craig è stato apparentemente modificato per eliminare la pistola che tiene al fianco (sebbene la fondina ascellare indossata da Craig sia ancora visibile).
Un ritocco simile sembrava essere stato effettuato su un’immagine pubblicitaria di Roger Moore in Agente 007 Vivi e lascia morire, in cui Moore impugna una .44 Magnum, un allontanamento dalla tradizione di Bond di pistole relativamente piccole.
Le immagini modificate digitalmente dei poster originali dei film sono un insulto agli artisti che le hanno create e ai fan che le hanno guardate negli ultimi 63 anni – oltre che all’idea stessa che sta alla base del racconto di James Bond.
Notice in these Amazon #JamesBond digital posters they’ve removed all the guns and given awkward poses?
Welcome to a world where promoting James Bond 007 needs to be done without his sidearm. pic.twitter.com/3NGkxXShcn
— Chris (@GelNerd) October 2, 2025
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L’establishment progressista cerca di cancellare le armi dall’immaginario cinematografico classico, mentre il transgenderismo e i temi satanici vengono promossi in film e cartoni pensati per bambini.
Notizia delle ultime ore, Amazon si averci ripensato: dopo il pubblico clamore, le pistole sono tornate sulle locandine.
La mossa era arrivata dopo che Amazon ha acquisito i diritti del film acquistando gli studi MGM per un miliardo di dollari all’inizio di quest’anno e si appresta a lanciare un nuovo film diretto da Denis Villeneuve (il regista di The Arrival, Blade Runner 2049, e del recente, noiosissimo, Dune), scritto e diretto da Steven Knight, il cui nuovo attore di Bond deve ancora essere annunciato.
In passato si è speculato sull’arrivo di un Bond negro (si è fatto il nome del divo anglo-nigeriano Idris Elba) o di una Bonda. In realtà, una potente anticipazione era nell’ultimo film No Time to Die con Daniel Craig – la cui scelta come protagonista della serie, una ventina di anni fa, fu contestata da un gruppo di fan: è biondo – dove saltava fuori una agente MI6 nera e statuaria (tipo Grace Jones, per intenderci), seduttiva e letale anche più del Bond stesso.
No Time to Die sconvolse gli aficionados perché mostrava un atto incomprensibile per chi conosce la saga: la morte di James Bond, un fatto narratologicamente, archetipicamente inconcepibile, in quanto il tema profondo della serie è, senza dubbio alcuno, il mito dell’eroe invincibile.
La castrazione del carattere di 007 era presente nei film dell’era Craig anche in precedenza: il filosofo ratzingeriano coreano Byung-chul Han nel suo saggio La società della stanchezza indicava la stranezza di vedere in Skyfall (2012) un James Bond affaticato e depresso, con traumi psicanalitici che riemergono.
Il codice «007» è in realtà un riferimento preciso che il romanziere (e vero agente segreto) britannico Ian Fleming faceva agli intrecci tra l’occultismo e la storia di Albione, in particolare nel momento in cui Londra si separò dalla Chiesa cattolica e cioè dall’Europa.
Il primo «oo7» fu infatti John Dee (1527-1608), matematico, geografo, alchimista, astrologo, astronomo ed occultista inglese che organizzo i servizi segreti britannici nella sua visione di un nuovo mondo fatto di colonie dell’«Impero britannico», un’espressione che alcuni dicono sia stata coniata proprio da lui stesso.
Nei messaggi cifrati riservati alla regina Elisabetta I Dee apponeva la sigla «007» in cui gli zeri erano due occhi, il sette un numero fortunato.
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Immagine da Twitter
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