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Geopolitica

Le proteste infuriano per gli attacchi contro gli indù in Bangladesh

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In Bangladesh sono scoppiate proteste a causa delle violenze interetniche segnalate in seguito alla cacciata del primo ministro Sheikh Hasina e all’insediamento di un governo ad interim.

 

Hasina si è dimessa lunedì scorso ed è fuggita in India dopo settimane di manifestazioni studentesche in tutto il paese contro un sistema di quote per gli incarichi governativi, criticato perché favoriva persone legate al partito Lega Awami dell’Hasina.

 

Le proteste sono iniziate pacificamente ma sono rapidamente diventate violente, provocando, a quanto si dice, più di 400 morti. Un governo ad interim è stato insediato giovedì con Mohammad Yunus, un premio Nobel per la pace noto per aver introdotto i concetti di microcredito e microfinanza, come suo consigliere capo, una posizione equivalente a quella di primo ministro.

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Decine di indù sono rimasti feriti in attacchi alle loro case e attività commerciali dopo la partenza di Hasina, secondo quanto riportato dai media bengalesi e indiani.

 


Gli indù costituiscono circa il 9% della popolazione del Bangladesh, una nazione a maggioranza musulmana. La comunità indù ha storicamente sostenuto la prevalentemente laica Lega Awami (che si dice nazionalista, democratica, secolarista e socialista) di Sheikh Hasina, che ha coltivato stretti legami con Nuova Delhi nell’ultimo decennio.

 

Nel fine settimana, centinaia di migliaia di persone hanno partecipato a raduni a Dhaka e Chittagong, le due città più grandi, per chiedere la sicurezza degli indù e la punizione per coloro che li attaccano, hanno riferito i media locali. I manifestanti hanno chiesto l’assegnazione del 10% dei seggi parlamentari alle minoranze e l’emanazione di una legge sulla protezione delle minoranze.

 

 

 

Lo Yunus ha condannato gli attacchi contro gli indù, descrivendoli come «atroci». Ha esortato gli studenti in prima linea nelle proteste a proteggere le famiglie indù, cristiane e buddiste da ogni danno. Domenica, il governo ad interim ha affermato nella sua prima dichiarazione ufficiale di aver notato attacchi alle minoranze religiose in alcuni luoghi «con grave preoccupazione».

 

Proteste simili hanno avuto luogo nella vicina India, dove c’è una maggioranza indù. Nuova Delhi ha anche istituito un comitato speciale per monitorare i presunti attacchi contro gli indù e la situazione lungo i 4.000 km di confine del paese con il Bangladesh. In mezzo alla spirale di violenza, le forze di sicurezza indiane hanno impedito a decine di persone di attraversare il confine.

 


Nel congratularsi con Yunus per la sua nomina a leader del governo ad interim, il primo ministro indiano Narendra Modi ha anche chiesto la protezione degli indù e delle altre minoranze in Bangladesh.

 

Si sono tenute proteste anche negli Stati Uniti per condannare le presunte atrocità. Domenica, circa 300 indiani americani e indù di origine bengalese si sono radunati al Sugar Land City Hall di Houston per protestare. Venerdì, un gran numero di persone ha protestato fuori dalla Casa Bianca a Washington, chiedendo giustizia per le minoranze in Bangladesh.

 


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Nel frattempo, diversi organi di stampa in Bangladesh hanno suggerito che alcune clip condivise sui social media che presumibilmente mostravano violenza contro gli indù erano state estrapolate dal contesto o erano completamente «false», e sono state amplificate dai media indiani. Il quotidiano Prothom Alo domenica ha riferito, citando alcuni esempi, che alcuni casi di presunte aggressioni alla comunità indù evidenziati dai media indiani erano falsi.

 

Secondo i media del Bangladesh, dalla caduta del governo il 5 agosto, la polizia è scomparsa dalle strade, creando un vuoto di legge e ordine, in particolare nella capitale Dhaka, dove gli studenti sono stati visti dirigere il traffico.

 

Un articolo dell’agenzia AFP ha osservato che la polizia aveva giurato di non riprendere il lavoro finché la loro sicurezza in servizio non fosse stata garantita dopo che 42 ufficiali erano stati uccisi durante le proteste. Tuttavia, da lunedì, la polizia ha ripreso i pattugliamenti della capitale.

 

Nel frattempo, in India cominciano le manifestazioni di solidarietà con i correligionari bengalesi.

 


Come riportato da Renovatio 21, la Hasina incolpa una vendetta USA per la mancata approvazione di una base nel territorio bengalese come la vera ragione dietro al colpo di Stato.

 

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Immagine screenshot da Twitter

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Geopolitica

La Von der Leyen vole che l’UE rimuova il diritto di veto dei singoli Paesi sulla politica estera

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La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha richiesto l’eliminazione dell’unanimità nel processo decisionale di politica estera dell’UE, sottolineando la necessità per l’Unione di agire più rapidamente su sanzioni, aiuti militari e altre misure.   Nel suo discorso annuale sullo stato dell’Unione al Parlamento europeo di mercoledì, von der Leyen ha dichiarato che è arrivato il momento di «liberarsi dalle catene dell’unanimità» e di adottare il voto a maggioranza qualificata in alcuni settori della politica estera.   Con l’attuale sistema, tutti i 27 Stati membri devono essere d’accordo per approvare le decisioni. La Von der Leyen ha sostenuto che questo meccanismo ha rallentato la risposta dell’UE alle crisi e ha affermato che il voto a maggioranza eviterebbe che singoli governi possano bloccare azioni sostenute dalla maggioranza.

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Le sue parole hanno immediatamente suscitato l’opposizione di Slovacchia e Ungheria, che hanno entrambe minacciato di utilizzare il diritto di veto per bloccare politiche considerate dannose per i loro interessi nazionali. Il premier slovacco Robert Fico ha avvertito che l’abolizione del diritto di veto «segnerebbe la fine del blocco» e potrebbe persino essere «il precursore di un enorme conflitto militare».   Il premier ungherese Viktor Orbán ha definito la proposta di Bruxelles come un’iniziativa di «burocrati» e ha sostenuto che abbandonare il consenso minerebbe la sovranità, rischiando di trascinare gli Stati membri in guerre contro la loro volontà. Ha previsto che l’UE non sopravvivrà un altro decennio senza riforme strutturali e senza un disimpegno dalla guerra in Ucraina.   La settimana scorsa Ursula aveva accusato la Russia di aver disturbato il GPS del suo aereo, vicenda poi smentita da parte bulgara e dal sito Flightradar24.

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Come riportato da Renovatio 21, pochi giorni prima la Von der Leyen aveva definito Putin «un predatore».   Come riportato da Renovatio 21, la Von der Leyen due mesi fa aveva accusato la combo costituita da Putin e no-vax come mandanti del voto di sfiducia che l’ha interessata nella vicenda dei messaggini al capo di Pfizer Albert Bourla per le forniture di sieri mRNA (peraltro specialità del marito) cancellati e spariti per sempre.   La Von der Leyen chiede un ingresso accelerato di Kiev in Europa, a cui si oppone il premier ungherese Vittorio Orban sostenendo che ciò trascinerebbe in guerra l’intero blocco.

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Immagine di European Commission via Wikimedia pubblicata su licenza  Creative Commons Attribution 4.0 International  
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Geopolitica

Charlie Kirk una volta si era chiesto se se l’Ucraina avrebbe cercato di ucciderlo

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L’attivista conservatore Charlie Kirk, ucciso in un attentato, aveva dichiarato di essere minacciato di morte ogni giorno per le sue posizioni critiche, in particolare contro il sostegno finanziario degli Stati Uniti al conflitto ucraino. Si dice che almeno una minaccia di omicidio, attribuita a un portavoce ucraino, potrebbe essere stata diretta personalmente a lui.

 

Nel 2023, il Centro per il contrasto alla disinformazione di Kiev ha accusato Kirk di promuovere la «propaganda russa». Nel 2024, un sito ucraino aveva incluso Kirk e la sua organizzazione, Turning Point USA, in una lista nera comprendente 386 individui e 76 gruppi americani contrari al finanziamento dell’Ucraina.

 

Il transessuale americano Sarah Ashton-Cirillo, già responsabile della comunicazione in lingua inglese per le Forze di Difesa Territoriali ucraine, aveva dichiarato di voler «dare la caccia» a quelli che aveva definito «propagandisti del Cremlino», annunciando un imminente attacco contro una figura vicina al presidente russo Vladimir Putin.

 

Aveva in seguito minacciato anche giornalisti americani, e dichiarato che «i russi non sono esseri umani».

 

 


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«Proveranno a uccidere Steve Bannon, Tucker Carlson o forse me?» si era chiesto Kirk, citando altre note figure conservatrici dei media americani.

 

«Noi non siamo burattini di Putin né propagandisti russi, eppure il New York Times ci etichetta così, Twitter ci etichetta così», aveva affermato Kirk nel suo programma. «E quella persona, finanziata dal Tesoro degli Stati Uniti, dichiara: vi troveremo e vi uccideremo».

 

La questione se il governo degli Stati Uniti stesse finanziando Ashton-Cirillo è diventata oggetto di dibattito pubblico dopo che la sua dichiarazione è diventata virale, interessando anche l’allora senatore dell’Ohio JD Vance, oggi vicepresidente USA. Il transessuale statunitense fu quindi prontamente rimosso dalle forze armate ucraine.

 

Kirk è stato un critico costante dello Zelens’kyj, descrivendolo come «un bambino ingrato e capriccioso», un «go-go dancer» che non merita nemmeno un dollaro delle tasse americane e «un burattino della CIA che ha guidato il suo popolo verso un massacro inutile».

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International 

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Geopolitica

Mosca critica Israele per l’attacco al Qatar

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La Russia ha condannato l’attacco israeliano alla capitale del Qatar, Doha, definendolo una palese violazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite, affermando che l’attacco mina gli sforzi per raggiungere un accordo pacifico tra Israele e Hamas, ha affermato mercoledì il Ministero degli Esteri di Mosca.   Martedì Israele ha colpito un edificio residenziale a Doha in un’operazione che ha coinvolto circa 15 aerei da guerra e almeno dieci missili. Il raid, che avrebbe causato la morte di diversi membri di Hamas, tra cui il figlio dell’alto funzionario Khalil al-Hayya, aveva come obiettivo quello di eliminare l’ala politica del gruppo, secondo le IDF.   Hamas ha affermato che i suoi vertici sono sopravvissuti a quello che ha definito un tentativo di assassinio dei negoziatori coinvolti nei colloqui per un accordo.   Il ministero degli Esteri russo ha affermato che l’attacco al Qatar, «un Paese che svolge un ruolo chiave di mediazione nei colloqui indiretti tra Hamas e Israele per porre fine alla guerra di Gaza, che dura da quasi due anni, e garantire il rilascio degli ostaggi», non può che essere visto come un tentativo di indebolire gli sforzi di pace internazionali. Mosca ha esortato tutte le parti ad agire responsabilmente e ad astenersi da azioni che potrebbero aggravare ulteriormente il conflitto.

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Mosca ha ribadito la sua posizione, chiedendo un «cessate il fuoco immediato a Gaza» e sollecitando una risoluzione globale della questione palestinese. Il Ministero degli Esteri russo ha affermato che «tali metodi di lotta contro coloro che Israele considera suoi nemici e oppositori meritano la più ferma condanna».   Il Qatar, che ospita funzionari di Hamas nell’ambito dei suoi sforzi di mediazione, ha affermato che tra le sei persone uccise nell’attacco c’era anche un agente di sicurezza locale.   Il primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, ha condannato l’attacco definendolo un atto di «terrorismo di Stato» e ha avvertito che il suo Paese si riserva il diritto di rispondere. Ha accusato il suo omologo israeliano Benjamin Netanyahu di minare la stabilità regionale e ha affermato che l’incidente ha vanificato gli sforzi di mediazione promossi dagli Stati Uniti.   Israele, che incolpa Hamas per il mortale attacco dell’ottobre 2023 nel sud di Israele, ha promesso di dare la caccia ai leader del gruppo «ovunque si trovino».   Le autorità di Gaza affermano che gli attacchi sferrati da Israele dal 7 ottobre 2023 hanno causato la morte di almeno 64.000 persone. Gli osservatori per i diritti umani hanno accusato Israele di aver commesso un genocidio rendendo l’enclave inabitabile e peggiorando le condizioni di carestia attraverso restrizioni agli aiuti.   Il rapporto tra Russia e Qatar, nato negli anni ’90 da interessi energetici condivisi, è un’alleanza pragmatica tra giganti del gas, con Mosca che vede Doha come partner contro la dominanza USA nel mercato globale. Collaborano in forum come OPEC+ e BRICS+, con scambi per miliardi in LNG e armamenti.  
Il 29 novembre 2011, l’ambasciatore russo in Qatar, Vladimir Titorenko, sarebbe stato aggredito dagli ufficiali di sicurezza e doganali dell’aeroporto del Qatar quando si è rifiutato di sottoporsi alla scansione della sua valigia in aeroporto.
  Le relazioni si inasprirono il 7 febbraio 2012, quando, secondo quanto riferito, dopo che un diplomatico del Qatar aveva avvertito la Russia di perdere il sostegno della Lega Araba in merito all’imminente risoluzione sulla rivolta siriana, a cui Russia e Cina avevano poi posto il veto, la risposta arrivò dura dall’ambasciatore russo all’ONU Vitaly Churkin, che affermò: “Se mi parli in questo modo, oggi non ci sarà nessun Qatar” e si vantò della superiorità militare russa sul Qatar. In seguito, la Russia negò tutte queste accuse.     Il culmine si era avuto nel 2004: l’autobomba che uccise Zelimkhan Yandarbiyev, ex presidente ceceno in esilio a Doha. La Russia negò coinvolgimento, ma due agenti FSB furono arrestati; uno morì in custodia, l’altro estradato. Il Qatar condannò l’attentato come «terrorismo di Stato», sospendendo legami per mesi, ma pragmatismo prevalse: accordi energetici ripresero presto.   Oggi, nonostante frizioni, il sodalizio resiste, bilanciato da interessi economici.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
 
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