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Geopolitica

Le immagini sconvolgenti del rave party attaccato da Hamas

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Diversi filmati stanno circolando in rete, ma non è ancora chiara l’entità del disastro occorso al rave party di Re’im, al confine di Gaza. Zaka, un’organizzazione rabbinica che recupera i cadaveri nelle zone degli attentati, sostiene che ci siano 260 cadaveri, «e le ricerche non sono ancora concluse».

 

Una prima reazione, nel vedere le immagini che circolavano già ieri, era pensare al film Alba rossa, che si apriva con l’arrivo di paracadutisti sovietici in un paesino della Costa Occidentale degli USA; i soldati, una volta a terra, cominciavano a sparare a chiunque, perfino contro una scuola. La cifra più rilevante della scena era l’incredulità dei cittadini, che non capivano cosa stesse succedendo – cioè, lo hanno compreso solo quando, atterrati, i soldati sovietici cominciavano la carneficina.

 

Ora tra i morti del rave, che pare essere stato organizzato presso un kibbutz nel deserto, è ovvio che verranno trovate frotte di non-israeliani. Non solo ebrei americani con doppio passaporto, ma anche europei non-ebrei che vedono in Israele come la Terra Santa della musica trance.

 

 

La trance è un tipo di musica elettronica risalente: possiamo dire che abbia già quasi 40 anni. Si diffonde tramite quei rave che si tengono in ogni parte del pianeta, dove sciamano migliaia di appassionati pronti per ballare per giorni, senza che vi sia una pausa.

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Sono aiutati dal consumo di anfetamine, l’MDMA (detta «ecstasy» soprattutto, che fornisce non solo la forza di ballare, ma anche una sensazione di amore per chiunque, di fusione felice con la realtà (trance, appunto). Secondo la stampa, il festival attaccato era intitolato appunto alla pace: i riferimenti a segni di bontà spirituale non mancano mai, così come quelli che tendono alla spiritualità orientale – ecco spiegato il buddone che si vede sopra la console del DJ in uno dei video finiti in rete.

 

 

I ragazzi israeliani sono pazzi per la musica trance e per i suoi rave. È un fenomeno che si può osservare da anni, e che non accenna a ridursi. Il motivo, qualcuno arriva a pensare, è sempre lo stesso: giovani uomini e giovani donne dello Stato Ebraico sono tenuti, finite le superiori, a tre anni di servizio militare, dove certo non vengono spediti in qualche esercitazione ad annoiarsi, ma si trovano spesso in situazione di combattimento.

 

Finita la naja, è facile vedere questi ragazzi fare viaggi nel mondo, dove, sempre accompagnati dalla musica elettronica e dalla necessità di evadere – in India li chiamano «Israeli chilum smokers», «fumatori di chilum israeliani» – cercano con evidenza di sgombrare la mente da quanto vissuto.

Il successo della musica trance in Israele – Paese indiscusso capofila mondiale della categoria – potrebbe derivare tutto da qui. Dopo anni a sentire parlare di guerra con la mente in stato di allarme permanente, ecco che vogliono solo ballare blaterando di spirito di pace universale con il cervello in tutt’altra fase. Qualcuno si è spinto a parlare di «rinascimento psichedelico del giudaismo».

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Non bisogna dimenticare inoltre, come alcuni osservatori abbiano fatto risalire i traffici di pastiglie di ecstasy in tutto il mondo a bande israeliane, che godrebbero di ampi canali di produzione e distribuzione in Europa (per esempio in Olanda) e negli USA. Fu grande lo scandalo quando l’ex ministro israeliano Gonan Negev fu beccato nel 2004 mentre cercava di contrabbandare MDMA in Israele.

Fatto sta che le immagini del rave nel deserto, prima che essere simboliche – una gioventù intorpidita fatica a capire cosa succede, e diviene preda della violenza nemica più atroce – sono terrificanti.

 

 

Circola l’immagine di una ragazza che viene portata in una motocicletta. Urla, tende le mani verso un altro ragazzo che invece viene portato via a piedi. È il suo ragazzo? È suo fratello? È suo amico? Non sappiamo.

 

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Come abbiamo visto per i soldati ucraini che filmano torture e crimini di guerra e insulti alle madri dei soldati russi morti, anche qui i miliziani di Hamas non sembrano rendersi conto che quello che stanno girando diviene immediatamente propaganda contro la loro causa.

 

Il caso più agghiacciante è quello del corpo della ragazza riverso su un pickup riempito di miliziani palestinesi. Non le vediamo il volto, solo i capelli sconvolti sulla superficie metallica del veicolo. Sul torso non ha indumenti. Qualcuno l’ha spogliata, si direbbe. Le gambe sono messe in una posizione innaturale. Sono spezzate. Tutt’intorno si odono i cori «Allahu Akbar… Allahu Akbar». Un ragazzino neanche minorenne sale sul pickup e sputa addosso al corpo martoriato della giovane. Le invocazioni continuano Allahu Akbar… Allahu Akbar». «Dio è grande».

 

 

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Secondo quanto emerso – ma non è possibile verificare, anche se un tatatuaggio sulla gamba sembra che si tratti proprio di lei – la ragazza sarebbe una cittadina tedesca, di nome Shani, che faceva la tatuatrice in Israele. Gira in rete un messaggio della madre. Impossibile capire se sia vero. Nessuno sa ancora con certezza chi fosse quella ragazza nuda sul pickup a cui sputano addosso invocando Dio.

 

 

Altre immagini impressionanti vengono da quanti sono fuggiti nel deserto tentando di arrivare alla macchina.

 

Arad Fruchter, un 20enne soldato israeliano in licenza, ovviamente appassionato di musica trance, era al rave. Racconta di aver realizzato, assieme all’amico con cui era andato a ballare, che stava succedendo qualcosa attorno alle 6:30 del mattino, quando erano udibili gli scoppi dei razzi «come fuochi d’artificio» e cominciava ad essere ripetuta l’espressione Tzeva Adom, «codice rosso», un sistema radar di allarme rapido installato dalle Forze di Difesa Israeliane in diverse città attorno alla Striscia di Gaza per avvisare i civili di un imminente attacco missilistico.

 

«Mi sono reso conto di quello che stava succedendo, che ci trovavamo nel peggior posto possibile, in mezzo a una folla di persone in mezzo a una distesa pianeggiante, e che dovevamo uscire immediatamente da lì».

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Gli amici sono riusciti ad arrivare alla macchina. Pochi minuti più tardi, dice, coloro che avevano tardato a comprendere cosa stesse accadendo hanno raggiunto le auto in blocco creando un ingorgo mortale.

 

 

Tuttavia, racconta, in autostrada tre miliziani hanno cominciato a mitragliare la loro auto, ferendo alla gamba il conducente e mettendo fuori uso il motore. I ragazzi, pur feriti, sono fuggiti nella sterpaglia e poi in una piantagione di banane, mentre continuavano le esplosioni e gli spari.

 

 

In rete alcuni riferiscono di atti di barbarie assoluta tra i corpi dei massacrati del rave. Qui non abbiamo voglia di riportare questa voce.

 

Circolano poi video di donne che sarebbero prese in ostaggio. Si disperano, ma hanno il telefonino in mano. Anche qui, impossibile verificare.

 

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Hamas avrebbe preso centinaia e centinaia di ostaggi, i quali potrebbero costituire un’assicurazione contro bombardamenti a tappetto su Gaza, e al contempo essere usati per scambiare prigionieri palestinesi.

 

 

Tra di essi vi sarebbero molti cittadini americani (magari con doppia cittadinanza) ma pure, a quanto dice l’ambasciatore israeliano a Mosca, russi. In Israele vi sarebbero anche 18 mila con passaporto italiano, di cui un migliaio sarebbero impiegati nell’esercito israeliano, ha detto il ministro degli Esteri Tajani.

 

«Ci stiamo preoccupando per gli italiani in Israele. Ce ne sono circa 18 mila che vivono in Israele, molti hanno doppio passaporto. Un migliaio sono giovani che stanno svolgendo il servizio di leva con l’esercito israeliano, 500 sono pellegrini o persone che lavorano pro tempore in Israele, poi ce ne sono una decina nella Striscia di Gaza» ha detto l’esponente di Forza Italia.

 

 

Come noto, secondo il Codice Penale un cittadino italiano non può scegliere liberamente di entrare in un esercito straniero e neppure senza compenso può offrirsi volontario per partecipare ad un conflitto armato combattuto all’estero, tuttavia un disegno di legge (il 730/2006, «Norme sulla cittadinanza dei soggetti appartenenti all’ebraismo) d’iniziativa del senatore Cossiga scrive che «i cittadini italiani che siano iscritti all’Unione delle Comunità` Ebraiche Italiane, ancorché non siano anche cittadini dello Stato d’Israele, possono liberamente e senza autorizzazione delle autorità italiane prestare servizio militare anche volontario nelle forze di difesa ed anche servizio in altre amministrazioni dello Stato d’Israele».

 

Ad ogni modo, nessuno al momento si pone questi problemi.

 

 

Tanto più che emergono video di famiglie, terrorizzate, prese in ostaggio.

 

 

E vi è il video di quel bambino ebreo indotto a dire «ima», cioè «mamma» in ebraico, a favore di telecamera da altri bimbi palestinesi che lo strattonano ridacchiando, per il compiacimento dell’adulto che riprende tutto.

 

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Difficile scrollarsi di dosso le immagini di morti ammazzati per strada, in macchina, con tutta la famiglia.

 

 

Difficile capire davvero cosa stia succedendo: perché far arrivare al mondo un simile messaggio di orrore?

 

Davvero nessuno lo ha visto arrivare?

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Immagine screenshot da YouTube

 

 

 

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Geopolitica

Gli europei sotto shock per la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per il 2025

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I leader europei e i media dell’establishment sono in preda al panico dopo la diffusione, sul portale ufficiale della Casa Bianca, della «Strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America 2025» (NSS).   A terrorizzare Bruxelles e dintorni è l’impegno esplicito del governo USA a privilegiare «Coltivare la resistenza all’attuale traiettoria dell’Europa all’interno delle nazioni europee», descritta in termini aspri ma realistici. Il report si scaglia in particolare contro l’approccio dell’UE alla Russia.   L’NSS ammonisce che il Vecchio Continente rischia la «cancellazione della civiltà» se non invertirà la rotta imposta dall’Unione Europea e da altre entità sovranazionali. La «mancanza di fiducia in se stessa» del Continente emerge con evidenza nelle interazioni con Mosca. Gli alleati europei detengono un netto primato in termini di hard power rispetto alla Russia in quasi tutti i campi, salvo l’arsenale nucleare.

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Dopo l’invasione russa in Ucraina, i rapporti europei con Mosca sono drasticamente deteriorati e numerosi europei vedono nella Federazione Russa una minaccia esistenziale. Gestire le relazioni transatlantiche con la Russia esigerà un impegno diplomatico massiccio da Washington, sia per reinstaurare un equilibrio strategico in Eurasia sia per scongiurare frizioni tra Mosca e gli Stati europei.   «È un interesse fondamentale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina, al fine di stabilizzare le economie europee, prevenire un’escalation o un’espansione indesiderata della guerra e ristabilire la stabilità strategica con la Russia, nonché per consentire la ricostruzione post-ostilità dell’Ucraina, consentendole di sopravvivere come Stato vitale».   Il conflitto ucraino ha paradossalmente accresciuto la vulnerabilità esterna dell’Europa, specie della Germania. Oggi, le multinazionali chimiche tedesche stanno erigendo in Cina alcuni dei più imponenti complessi di raffinazione globale, sfruttando gas russo che non possono più procurarsi sul suolo patrio.   L’esecutivo Trump si scontra con i burocrati europei che coltivano illusioni irrealistiche sul prosieguo della guerra, appollaiati su coalizioni parlamentari fragili, molte delle quali calpestano i pilastri della democrazia per imbavagliare i dissidenti. Una vasta maggioranza di europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle scelte politiche, in gran parte ostacolate dal sabotaggio dei meccanismi democratici perpetrato da quegli stessi governi. Per quanto allarmati siano i continentali, l’establishment britannico lo è ancor di più.   Ruth Deyermond, docente al dipartimento di Studi della Guerra del King’s College London e specialista in dinamiche USA-Russia, ha commentato su X che il testo segna «l’enorme cambiamento nella politica statunitense nei confronti della Russia, visibile nella nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale – il più grande cambiamento dal crollo dell’URSS». Mosca appare citata appena dieci volte nel corposo documento, nota Deyermond, e prevalentemente per evidenziare le fragilità europee.   In un passaggio esemplare, il report afferma che «questa mancanza di fiducia in se stessa è più evidente nelle relazioni dell’Europa con la Russia». «L’assenza della Russia dalla Strategia di Sicurezza Nazionale 2025 appare davvero strana, sia perché la Russia è ovviamente uno degli stati che hanno l’impatto più significativo sulla stabilità globale al momento, sia perché l’amministrazione è così chiaramente interessata alla Russia (…) Non è solo la mancanza di riferimenti alla Russia a essere sorprendente, è il fatto che la Russia non venga mai menzionata come avversario o minaccia» scrive l’accademica.«La mancanza di discussione sulla Russia, nonostante la sua importanza per la sicurezza e l’ordine internazionale e la sua… importanza per l’amministrazione Trump, fa sembrare che stiano semplicemente aspettando di poter parlare in modo più positivo delle relazioni in futuro».

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La parte dedicata al dossier ucraino – che allude al fatto che «l’amministrazione Trump si trova in contrasto con i politici europei che nutrono aspettative irrealistiche per la guerra» – pare quasi redatta dal Cremlino. L’incipit della Deyermond è lapidario: «Se qualcuno in Europa si aggrappa ancora all’idea che l’amministrazione Trump non sia inamovibile filo-russa e ostile alle istituzioni e ai valori occidentali, dovrebbe leggere la Strategia per la Sicurezza Nazionale del 2025 e ripensarci».   Il NSS dedica scarsa attenzione alla NATO, se non per insistere sulla cessazione della sua espansione indefinita, ma stando ad un articolo Reuters del 5 dicembre, Washington intende che l’Europa rilevi entro il 2027 la gran parte delle competenze di difesa convenzionale dell’Alleanza, dall’intelligence ai missili. Questa scadenza «irrealistica» è stata illustrata questa settimana a diplomatici europei a Washington dal team del Pentagono incaricato della politica atlantica, secondo cinque fonti «a conoscenza della discussione».   Nel corso dell’incontro, i vertici del Dipartimento della Difesa avrebbero espresso insoddisfazione per i passi avanti europei nel potenziare le proprie dotazioni difensive dopo l’«invasione estesa» russa in Ucraina del 2022. Gli esponenti USA hanno avvisato i loro omologhi che, in caso di mancato rispetto del termine del 2027, gli Stati Uniti potrebbero sospendere la propria adesione a certi meccanismi di coordinamento difensivo NATO, hanno riferito le fonti. Le capacità convenzionali comprendono asset non nucleari, da truppe ad armamenti, e i funzionari non hanno chiarito come misurare i progressi europei nell’assunzione della quota preponderante del carico, precisa Reuters.   Non è dato sapere se il limite temporale del 2027 rifletta la linea ufficiale dell’amministrazione Trump o meri orientamenti di singoli addetti del Pentagono. Diversi rappresentanti europei hanno replicato che un tale orizzonte non è fattibile, a prescindere dai criteri di valutazione di Washington, dal momento che il Vecchio Continente necessita di risorse finanziarie aggiuntive e di una volontà politica più marcata per rimpiazzare alcune dotazioni americane nel breve periodo.   Tra le difficoltà, i partner NATO affrontano slittamenti nella fabbricazione degli equipaggiamenti che intendono acquisire. Sebbene i funzionari USA abbiano sollecitato l’Europa a procacciarsi più hardware di produzione statunitense, taluni dei sistemi difensivi e armi made in USA più cruciali imporrebbero anni per la consegna, anche se commissionati oggi.

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Orban: l’UE pianifica la guerra con la Russia entro il 2030

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Il primo ministro ungherese Viktor Orban ha sostenuto che l’Unione Europea si sta preparando a un confronto bellico con la Russia e mira a raggiungere la piena prontezza entro il 2030. Parlando sabato a un raduno contro la guerra, Orban ha denunciato come il Vecchio Continente stia già procedendo verso uno scontro militare diretto.

 

Il premier magiaro delineato un iter in quattro tappe che di norma conduce al conflitto: la rottura dei legami diplomatici, l’applicazione di sanzioni, l’interruzione della collaborazione economica e, da ultimo, l’inizio delle ostilità armate. Secondo lui, la maggioranza di questi passaggi è già stata percorsa.

 

«La posizione ufficiale dell’Unione Europea è che entro il 2030 dovrà essere pronta alla guerra», ha dichiarato, rilevando inoltre che i Paesi europei stanno virando verso un’«economia di guerra». Per Orban, taluni membri dell’UE stanno già riconfigurando i comparti dei trasporti e dell’industria per favorire la fabbricazione di armamenti.

 

Il premier du Budapest ha ribadito la contrarietà di Budapest al conflitto. «Il compito dell’Ungheria è allo stesso tempo impedire che l’Europa entri in guerra», ha precisato.

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Orban ha più volte manifestato aspre critiche alla linea dell’UE riguardo alla crisi ucraina. L’Ungheria ha sempre respinto le sanzioni nei confronti di Mosca e gli invii di armi a Kiev, invocando invece colloqui di pace in luogo di un inasprimento.

 

L’allarme riecheggia le recenti uscite del presidente serbo Aleksandar Vucic e del ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius, entrambi i quali hanno insinuato che un scontro tra Europa e Russia diventi sempre più verosimile nei prossimi anni.

 

Malgrado la retorica sempre più bellicosa di certi membri dell’UE e della NATO verso la Russia, nessuno ha apertamente manifestato l’intenzione di impegnarsi in una guerra. La scorsa settimana, il presidente del Comitato Militare NATO, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, ha confidato al Financial Times che l’Unione sta valutando opzioni per un approccio più ostile nei riguardi di Mosca, inclusa l’ipotesi che un attacco preventivo possa configurarsi come atto difensivo.

 

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Scontri lungo il confine tra Thailandia e Cambogia

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Lunedì la Thailandia ha condotto raid aerei in Cambogia, mentre i due vicini del Sud-est asiatico si attribuivano reciprocamente la responsabilità di aver infranto la tregua negoziata dagli Stati Uniti.   A luglio, una controversia confinaria protrattasi per oltre cinquant’anni è sfociata in scontri armati tra i due Stati. Il presidente USA Donald Trump, tuttavia, era riuscito a imporre un cessate il fuoco dopo cinque giorni di ostilità.   L’esercito thailandese ha riferito che i nuovi episodi di violenza sono emersi domenica, accusando le unità cambogiane di aver sparato contro i soldati di Bangkok nella provincia orientale di Ubon Ratchathani. Un militare thailandese è caduto, mentre altri quattro hanno riportato ferite; in seguito, ulteriori truppe thailandesi sono state bersagliate da artiglieria e droni presso la base di Anupong, ha precisato lo Stato Maggiore.    

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Il portavoce della Royal Thai Air Force, il maresciallo dell’aria Jackkrit Thammavichai, ha comunicato in tarda mattinata di lunedì che i jet F-16 sono stati impiegati per «ridurre le capacità militari della Cambogia al livello minimo necessario per salvaguardare la sicurezza nazionale e proteggere i civili». Il portavoce del ministero della Difesa cambogiano, il tenente generale Maly Socheata, ha replicato domenica sera sostenendo che le truppe thailandesi hanno sferrato vari assalti contro le postazioni di Phnom Penh, utilizzando armi leggere, mortai e carri armati.   «Anche la parte thailandese ha accusato falsamente la Cambogia senza alcun fondamento, nonostante le forze cambogiane non abbiano reagito», ha dichiarato. Il dicastero ha altresì smentito le denunce thailandesi su un potenziamento delle truppe lungo il confine.   La contesa territoriale affonda le radici nell’epoca coloniale, quando la Francia – che dominò la Cambogia fino al 1953 – delimitò i confini tra i due paesi. Gli scontri di luglio provocarono decine di vittime e oltre 200.000 sfollati da ambo le parti.   Come riportato da Renovatio 21, la Thailandia aveva sospeso la «pace di Trump» quattro settimane fa.  

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