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Geopolitica

L’ayatollah Khamenei parla delle sofferenze dei musulmani in India. Nuova Delhi reagisce

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Nuova Delhi ha dichiarato di «deplorare fermamente» i commenti della Guida suprema dell’Iran Sayyid Ali Hosseini Khamenei, dopo che quest’ultimo ha inserito l’India tra i luoghi in cui i musulmani stanno soffrendo.

 

In un post su X l’ayatollah Ali Khamenei aveva scritto che «i nemici dell’Islam hanno sempre cercato di renderci indifferenti riguardo alla nostra identità condivisa come Ummah islamica. Non possiamo considerarci musulmani se siamo inconsapevoli delle sofferenze che i musulmani stanno sopportando in Myanmar, Gaza, India o in qualsiasi altro posto».

 

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Il ministero degli Affari Esteri indiano ha definito i commenti «disinformati» e «inaccettabili», affermando che «si consiglia ai paesi che commentano le minoranze di esaminare la propria situazione prima di fare osservazioni sugli altri».

 

La disputa si verifica nonostante una relazione generalmente forte tra le due nazioni. Il ministro degli Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar ha visitato Teheran a gennaio di quest’anno e i paesi hanno firmato un importante accordo per lo sviluppo del porto di Chabahar nel sud-est dell’Iran.

 

Il progetto amplierebbe le opzioni di Nuova Delhi per spedire merci in Asia centrale, Russia ed Europa. Avrebbe anche un ruolo chiave nel corridoio di trasporto internazionale nord-sud che collega l’India con la Russia e la regione della CSI attraverso l’Iran, aggirando le zone volatili del Medio Oriente.

 

Non è la prima volta che il leader spirituale iraniano critica il trattamento dei musulmani in India. Nel 2020, durante le rivolte comunali a Delhi che uccisero almeno 53 persone e ne ferirono centinaia, Khamenei definì gli eventi un «massacro di musulmani». Invitò Nuova Delhi a «affrontare gli indù estremisti» per impedire «l’isolamento dell’India dal mondo dell’Islam».

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L’ayatollah Khamenei espresse «preoccupazione» anche nel 2019, quando l’India ha abolito l’articolo 370 della Costituzione, che garantiva privilegi speciali allo stato a maggioranza musulmana di Jammu e Kashmir.

 

Esiste in India una folta presenza sciita soprattutto nel distretto di Kargil nel Ladakh, parte orientale del Kashmir. Entrando nella città si può venire accolti da grandi ritratti di Khomeini e Khamenei. La zona, sono controllo indiano, fu oggetto di una piccola guerra con il Pakistan nel 1999.

 

Nuova Delhi ha regolarmente respinto le accuse internazionali secondo cui i musulmani sarebbero maltrattati dal governo del premier Narendra Modi. Il partito Bharatiya Janata Party (BJP) guidato da Modi è stato accusato di prendere di mira la minoranza musulmana per ottenere guadagni elettorali.

 

Il BJP è un partito della cosiddetta hindutva («induità»), che predica forme di supremazia delle religioni autoctone indiane – in ispecie l’induismo – sulle altre presenti nel subcontinente, in particolare l’Islam, che è la più grande minoranza nel Paese, ma anche il Cristianesimo: le storie di persecuzioni induiste contro chiese e comunità cattoliche in India sono spesso riportate da Renovatio 21.

 

All’inizio di quest’anno, l’India aveva respinto i risultati del rapporto sulla libertà religiosa del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti del 2023, che segnalava un «aumento preoccupante» delle leggi anti-conversione e dei «discorsi d’odio» nel Paese dell’Asia meridionale.

 

Il ministro degli Esteri indiano aveva descritto il documento come «profondamente di parte» e privo di comprensione del «tessuto sociale dell’India».

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Immagine di Khamenei.ir via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

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Geopolitica

La Tunisia dice che la Flottilla è presa di mira in un «attacco deliberato»

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Mercoledì, il ministero dell’Interno tunisino ha affermato che l’attacco recente contro una nave umanitaria in rotta verso Gaza, ormeggiata nel porto di Sidi Bou Said, è stato pianificato in anticipo.   La nave Alma, con bandiera britannica e parte della Global Sumud Flotilla (GSF), è stata bersagliata martedì da un drone mentre si trovava ancorata nelle acque territoriali tunisine.   La flottiglia civile, formata da circa 20 imbarcazioni, ha lasciato il porto spagnolo di Barcellona il 1° settembre con forniture umanitarie per Gaza. La Tunisia figurava tra le fermate previste della spedizione, prima di proseguire per recapitare gli aiuti tramite un corridoio umanitario ipotizzato.  

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In un comunicato ufficiale, il dicastero ha qualificato l’episodio come «un attacco preparato».   «Gli uffici del Ministero dell’Interno si faranno carico di condurre tutte le indagini e le perquisizioni necessarie per chiarire ogni dettaglio, affinché l’opinione pubblica, non solo in Tunisia ma a livello globale, conosca i responsabili della pianificazione di questo assalto, i complici e coloro che ne hanno diretto l’esecuzione», recita il testo.   Le telecamere di videosorveglianza sul luogo, a quanto consta, hanno immortalato alcune persone che puntavano al cielo esclamando «fuoco» pochi secondi prima che l’ordigno incendiario impattasse sull’imbarcazione.  

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Questo episodio segue un analogo di martedì precedente, riguardante la Family, un’altra unità della stessa flottiglia con bandiera portoghese.   L’accaduto, verificatosi nella tarda serata di lunedì vicino allo stesso scalo, era stato in un primo momento archiviato dalle autorità tunisine come un rogo fortuito, con i funzionari che attribuivano l’incendio a un innesco casuale e negavano ogni coinvolgimento esterno.

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  Immagine screenshot da Twitter  
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Geopolitica

La Von der Leyen vole che l’UE rimuova il diritto di veto dei singoli Paesi sulla politica estera

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La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha richiesto l’eliminazione dell’unanimità nel processo decisionale di politica estera dell’UE, sottolineando la necessità per l’Unione di agire più rapidamente su sanzioni, aiuti militari e altre misure.

 

Nel suo discorso annuale sullo stato dell’Unione al Parlamento europeo di mercoledì, von der Leyen ha dichiarato che è arrivato il momento di «liberarsi dalle catene dell’unanimità» e di adottare il voto a maggioranza qualificata in alcuni settori della politica estera.

 

Con l’attuale sistema, tutti i 27 Stati membri devono essere d’accordo per approvare le decisioni. La Von der Leyen ha sostenuto che questo meccanismo ha rallentato la risposta dell’UE alle crisi e ha affermato che il voto a maggioranza eviterebbe che singoli governi possano bloccare azioni sostenute dalla maggioranza.

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Le sue parole hanno immediatamente suscitato l’opposizione di Slovacchia e Ungheria, che hanno entrambe minacciato di utilizzare il diritto di veto per bloccare politiche considerate dannose per i loro interessi nazionali. Il premier slovacco Robert Fico ha avvertito che l’abolizione del diritto di veto «segnerebbe la fine del blocco» e potrebbe persino essere «il precursore di un enorme conflitto militare».

 

Il premier ungherese Viktor Orbán ha definito la proposta di Bruxelles come un’iniziativa di «burocrati» e ha sostenuto che abbandonare il consenso minerebbe la sovranità, rischiando di trascinare gli Stati membri in guerre contro la loro volontà. Ha previsto che l’UE non sopravvivrà un altro decennio senza riforme strutturali e senza un disimpegno dalla guerra in Ucraina.

 

La settimana scorsa Ursula aveva accusato la Russia di aver disturbato il GPS del suo aereo, vicenda poi smentita da parte bulgara e dal sito Flightradar24.

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Come riportato da Renovatio 21, pochi giorni prima la Von der Leyen aveva definito Putin «un predatore».

 

Come riportato da Renovatio 21, la Von der Leyen due mesi fa aveva accusato la combo costituita da Putin e no-vax come mandanti del voto di sfiducia che l’ha interessata nella vicenda dei messaggini al capo di Pfizer Albert Bourla per le forniture di sieri mRNA (peraltro specialità del marito) cancellati e spariti per sempre.

 

La Von der Leyen chiede un ingresso accelerato di Kiev in Europa, a cui si oppone il premier ungherese Vittorio Orban sostenendo che ciò trascinerebbe in guerra l’intero blocco.

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Immagine di European Commission via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

 

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Geopolitica

Charlie Kirk una volta si era chiesto se se l’Ucraina avrebbe cercato di ucciderlo

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L’attivista conservatore Charlie Kirk, ucciso in un attentato, aveva dichiarato di essere minacciato di morte ogni giorno per le sue posizioni critiche, in particolare contro il sostegno finanziario degli Stati Uniti al conflitto ucraino. Si dice che almeno una minaccia di omicidio, attribuita a un portavoce ucraino, potrebbe essere stata diretta personalmente a lui.   Nel 2023, il Centro per il contrasto alla disinformazione di Kiev ha accusato Kirk di promuovere la «propaganda russa». Nel 2024, un sito ucraino aveva incluso Kirk e la sua organizzazione, Turning Point USA, in una lista nera comprendente 386 individui e 76 gruppi americani contrari al finanziamento dell’Ucraina.   Il transessuale americano Sarah Ashton-Cirillo, già responsabile della comunicazione in lingua inglese per le Forze di Difesa Territoriali ucraine, aveva dichiarato di voler «dare la caccia» a quelli che aveva definito «propagandisti del Cremlino», annunciando un imminente attacco contro una figura vicina al presidente russo Vladimir Putin.   Aveva in seguito minacciato anche giornalisti americani, e dichiarato che «i russi non sono esseri umani».    

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«Proveranno a uccidere Steve Bannon, Tucker Carlson o forse me?» si era chiesto Kirk, citando altre note figure conservatrici dei media americani.   «Noi non siamo burattini di Putin né propagandisti russi, eppure il New York Times ci etichetta così, Twitter ci etichetta così», aveva affermato Kirk nel suo programma. «E quella persona, finanziata dal Tesoro degli Stati Uniti, dichiara: vi troveremo e vi uccideremo».   La questione se il governo degli Stati Uniti stesse finanziando Ashton-Cirillo è diventata oggetto di dibattito pubblico dopo che la sua dichiarazione è diventata virale, interessando anche l’allora senatore dell’Ohio JD Vance, oggi vicepresidente USA. Il transessuale statunitense fu quindi prontamente rimosso dalle forze armate ucraine.   Kirk è stato un critico costante dello Zelens’kyj, descrivendolo come «un bambino ingrato e capriccioso», un «go-go dancer» che non merita nemmeno un dollaro delle tasse americane e «un burattino della CIA che ha guidato il suo popolo verso un massacro inutile».

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International 
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