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Salute

L’attuale problema medico del papa è iatrogeno. Come i danni dei vaccini che ha promosso

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Papa Bergoglio è stato dimesso dal Policlinico Gemelli. È stata una lunga degenza. Qualcuno aveva parlato di operazione d’urgenza quando era stata ricoverato in rapidità il 7 giugno.

 

Il direttore della Sala Stampa Vaticane Matteo Bruni aveva precisato che «l’operazione, concertata nei giorni scorsi dall’equipe medica che assiste il Santo Padre, sì è resa necessaria a causa di un laparocele incarcerato che sta causando sindromi sub occlusive ricorrenti, dolorose e ingravescenti».

 

Il mondo si era precipitato a capire cosa fosse questo «Laparocele incarcerato», anche detto «ernia incisionale», di cui soffriva il papa.

 

Secondo l’ANSA; che ha intervistato un gastroenterologo romano, «il laparocele è un’ernia che si forma su una cicatrice dopo un intervento di chirurgia addominale e consiste nel passaggio degli organi interni attraverso le fasce muscolari addominali. A volte, per esser curato, richiede una laparotomia, o un’incisione sulla pancia».

 

Papa Francesco circa due anni si era sottoposto ad un altro intervento chirurgico addominale. Pare, dunque, che il problema presente sia iatrogeno: cioè, etimologicamente, un danno creato direttamente o indirettamente dalla medicina stessa.

 

«Quando si ha un intervento di chirurgia maggiore sull’addome può crearsi un luogo di minor resistenza dei tessuti attraverso cui possono “incastrarsi”, ovvero incarcerarsi in termini tecnici, parti dell’intestino, che in questo modo si strozzano, creando occlusioni» continuava a spiegare l’esperto sentito dall’ANSA. «Queste occlusioni intestinali possono essere dolorose e anche pericolose, se non si interviene prontamente: a causa della cattiva irrorazione sanguigna, infatti, si possono creare ischemie intestinali, che possono anche andare in necrosi».

 

Sul sito del chirurgo Dario Borreca leggiamo che «l’ernia incisionale è iatrogena e la sua incidenza è strettamente dipendente dal numero degli interventi chirurgici addominali».

 

La questione di questo «effetto collaterale» della chirurgia è conosciuta da almeno 200 anni.

 

«Lo sviluppo della chirurgia addominale nel diciannovesimo secolo – l’escissione di una cisti ovarica eseguita da McDowell nel 1809, la gastrectomia parziale di Billroth nel 1881, la colecistectomia di Langenbuch nel 1882 – è stato rapidamente seguito dall’ideazione di operazioni per gestire le ernie incisionali che sono comparse come complicanze».

 

In pratica: un’operazione che devi fare perché ti sei sottoposto ad un’altra operazione. Una «reazione avversa» del corpo alla chirurgia, che richiede altra chirurgia.

 

Inutile dire che la cifra iatrogena del problema del papa non è stata minimamente considerata dai giornali – che sappiamo, di medicina non sono curiosissimi, meno che mai quando si tratta di farsi qualche domanda in più rispetto alla narrazione che l’apparato industrial-sanitario ci scarica addosso da secoli.

 

Bisogna ricordare che un altro danno medico che è possibile definire «iatrogeno» è il cosiddetto «danno da vaccino», riconosciuto e indennizzato dalla legge italiana 210/92.

 

Il danno da vaccino è iatrogeno, perché la perdita della salute nel soggetto è cagionata dai medici e dalla medicina – universi in cui ricorre l’elemento greco ἰατρός, iatros, cioè «dottore»: ped-iatra, fis-iatra, psich-iatra etc.

 

Ora, ci chiediamo, quante migliaia, quanti milioni di problemi iatrogeni possiamo considerare dovuti al siero genico sperimentale di cui Bergoglio si è fatto inesausto promotore?

 

Quanti fedeli che si sono sottoposti alla siringa dopo averlo sentito parlare della vaccinazione come «atto d’amore» hanno avuto un malanno iatrogeno?

 

Quanto del personale vaticano, quanti giornalisti dei viaggi papali costretti a vaccinarsi dal pontefice stesso sono ora vittime di problemi iatrogeni?

 

Sulla responsabilità di Bergoglio di questo danno massivo – mondiale, universale  – Renovatio 21 ha scritto un articolo in cui si ricordava che, se è vero che il futuro Paolo VI poteva avere qualche responsabilità nell’aver fatto fallire la diplomazia che poteva evitare la bomba Hiroshima, è vero anche che Bergoglio ha partecipato attivamente alla diffusione urbi et orbi della bomba mRNA che ha colpito gran parte dell’umanità.

 

In un altro articolo lo avevamo chiamato «il papa del battesimo di Satana». Aggiungiamo allora anche questo titolo meno altisonante: «il papa del danno iatrogeno».

 

 

 

 

 

 

Immagine di Republic of Korea via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)

 

 

 

 

 

 

Essere genitori

Livelli pericolosamente elevati di metalli tossici nei giocattoli di plastica per bambini

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Un recente studio brasiliano ha rilevato concentrazioni allarmanti di metalli tossici nei giocattoli per bambini commercializzati nel Paese. Lo riporta Science Daily.

 

Ricercatori di due università brasiliane hanno esaminato un vasto campionario di giocattoli di plastica, sia di produzione nazionale che importati, conducendo l’indagine più completa mai realizzata sulla contaminazione chimica di questi articoli.

 

Il dato più inquietante riguarda il bario: in molti campioni la sua concentrazione è risultata fino a 15 volte superiore al limite di sicurezza previsto dalla normativa brasiliana. L’esposizione prolungata al bario è associata a gravi danni cardiaci e neurologici, inclusa la paralisi.

 

«Sono state rilevate anche elevate quantità di piombo, cromo e antimonio. Il piombo, associato a danni neurologici irreversibili, problemi di memoria e riduzione del QI nei bambini, ha superato il limite nel 32,9% dei campioni, con alcune misurazioni che hanno raggiunto quasi quattro volte la soglia accettata» scrive Science Daily. «L’antimonio, che può scatenare problemi gastrointestinali, e il cromo, un noto cancerogeno, erano presenti al di sopra dei livelli accettabili rispettivamente nel 24,3% e nel 20% dei giocattoli».

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Attraverso la spettrometria di massa al plasma, lo studio ha identificato ben 21 elementi tossici: argento (Ag), alluminio (Al), arsenico (As), bario (Ba), berillio (Be), cadmio (Cd), cerio (Ce), cobalto (Co), cromo (Cr), rame (Cu), mercurio (Hg), lantanio (La), manganese (Mn), nichel (Ni), piombo (Pb), rubidio (Rb), antimonio (Sb), selenio (Se), tallio (Tl), uranio (U) e zinco (Zn).

 

«Questi dati rivelano uno scenario preoccupante di contaminazione multipla e mancanza di controllo. Tanto che nello studio suggeriamo misure di controllo più severe, come analisi di laboratorio regolari, tracciabilità dei prodotti e certificazioni più stringenti, soprattutto per i prodotti importati», ha dichiarato uno degli autori principali della ricerca.

 

Gli studiosi hanno inoltre calcolato i tassi di rilascio delle sostanze: la percentuale che effettivamente passa dal giocattolo al bambino durante l’uso normale (inclusa la pratica di portarli alla bocca). I valori oscillano tra lo 0,11% al 7,33%, quindi solo una piccola parte del contaminante viene assorbita. Tuttavia, le elevatissime concentrazioni iniziali e l’esposizione quotidiana prolungata (per mesi o anni) rendono il rischio sanitario comunque significativo.

 

I ricercatori ritengono che i metalli pesanti entrino nei giocattoli soprattutto durante la produzione, in particolare con le vernici e i pigmenti utilizzati. Le correlazioni tra gli elementi rilevati suggeriscono, in molti casi, una fonte comune di contaminazione.

 

In studi precedenti, lo stesso gruppo aveva già documentato la presenza nei giocattoli di interferenti endocrini (sostanze che alterano l’equilibrio ormonale), associati a problemi di fertilità, disturbi metabolici e aumento del rischio oncologico.

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Salute

Le microplastiche potrebbero causare malattie cardiache

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Le microplastiche causano la formazione di placche arteriose nei topi, una condizione che porta a malattie cardiache. Lo riporta un nuovo studio.   Uno studio pubblicato sulla rivista Environment International ha rilevato un marcato aumento dell’accumulo di placca nelle arterie di topi maschi esposti a microplastiche, a dosi paragonabili a quelle riscontrabili nell’ambiente reale.   I ricercatori hanno inoltre osservato alterazioni a livello cellulare e nell’espressione genica direttamente associate alla formazione di placca.

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Va sottolineato che i topi non hanno sviluppato né obesità né ipercolesterolemia, fattori classicamente legati alla patologia aterosclerotica; del resto, l’«ipotesi lipidica-cardiaca» che attribuisce al colesterolo il ruolo di causa principale delle malattie cardiovascolari è stata largamente screditata fin dagli anni Cinquanta.   Curiosamente, le topi femmine non hanno mostrato lo stesso effetto in presenza delle microplastiche. Gli autori ipotizzano che l’ormone estrogeno, tipico dell’organismo femminile, possa svolgere un ruolo protettivo contro la formazione di placca.   «Questo studio mette in evidenza l’urgenza di ridurre drasticamente l’esposizione umana alle microplastiche e di adottare misure concrete per limitarne la produzione», ha dichiarato Timothy O’Toole, professore associato di medicina presso l’Università di Louisville.   «Sebbene le microplastiche siano state già rilevate nei vasi sanguigni e nei cuori di pazienti malati, e i loro livelli risultino correlati alla gravità della malattia e al rischio di eventi futuri, il loro ruolo diretto nello sviluppo delle patologie cardiovascolari è rimasto finora incerto», ha aggiunto.   Si calcola che tra il 1950 e il 2017 siano state prodotte oltre nove miliardi di tonnellate di plastica, più della metà delle quali dopo il 2004. La quasi totalità di questa plastica finisce prima o poi nell’ambiente, dove si frammenta – per azione degli agenti atmosferici, dei raggi UV e degli organismi viventi – in particelle sempre più piccole: microplastiche e, successivamente, nanoplastiche.   All’interno delle nostre case, le principali fonti di microplastiche sono le fibre sintetiche di abbigliamento, mobili e tappeti: si accumulano nella polvere domestica, restano sospese nell’aria e vengono inalate quotidianamente.   Nuovi studi continuano a uscire con regolarità e collegano l’esposizione alle microplastiche a pressoché tutte le principali malattie croniche: dalla sindrome dell’intestino irritabile all’obesità, dall’autismo al cancro, fino ad Alzheimer e infertilità.   Come riportato da Renovatio 21, il tema dell’infertilità, come quello del cancro, era stato toccato da altri studi che investigavano le microplastiche presenti nell’inquinamento atmosferico.   Gli scienziati stanno trovando tracce della plastica in varie parti del corpo umano, compreso il cervello. Un altro studio ha provato la presenza di plastica nelle nuvole della pioggia.
Come riportato da Renovatio 21, uno studio di mesi fa ha collegato l’esposizione a microplastiche alle nascite premature. Uno studio sottoposto a revisione paritaria, pubblicato sulla rivista Toxicological Sciences a inizio anno aveva trovato nella placenta umana microplastiche dannose, alcune delle quali sono note per scatenare l’asma, danneggiare il fegato, causare il cancro e compromettere la funzione riproduttiva.

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Come riportato da Renovatio 21, quantità di microplastica avrebbero raggiunto i polmoni umani con l’uso delle mascherine imposto durante il biennio pandemico.   La microplastica nell’intestino è stata correlata da alcuni studi a malattie infiammatorie croniche intestinali. Altre ricerche hanno scoperto che le microplastiche causano sintomi simili alla demenza.   Come riportato da Renovatio 21un nuovo studio emerso mesi fa ha stabilito che le comuni bustine da tè realizzate in fibre polimeriche rilasciano enormi quantità di micro e nanoplastiche tossiche nel liquido durante l’infusione.   L’onnipresenza della microplastica è provata dalla presenza nei polmoni degli uccelli e persino strati di sedimenti non toccati dall’uomo moderno.   Secondo nuove ricerche, le microplastiche sarebbero in grado inoltre di rendere batteri come l’E.Coli più resistente agli antibiotici.

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Cancro

I tatuaggi collegati ad un rischio più elevato di cancro della pelle. Per il fegato chiedete alla Yakuza

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Un recente studio ha rilevato che chi porta tatuaggi corre un rischio del 29% superiore di ammalarsi di una variante aggressiva di tumore cutaneo.

 

Gli studiosi hanno indagato il nesso tra tatuaggi e melanoma cutaneo, una neoplasia che origina dalle cellule preposte alla produzione di melanina, il pigmento responsabile della colorazione di pelle, capelli e iride.

 

Il melanoma cutaneo è ritenuto la forma più insidiosa di cancro della pelle e, se non curato per tempo, può metastatizzare con rapidità ad altre zone del corpo. Pur potendo insorgere in qualunque distretto corporeo, tipicamente si manifesta nelle zone cutanee esposte ai raggi solari. I ricercatori hanno vagliato le cartelle cliniche di oltre 3.000 svedesi tra i 20 e i 60 anni, riscontrando un incremento del 29% nella probabilità di melanoma cutaneo tra i tatuati.

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Non è emersa alcuna correlazione tra l’estensione del tatuaggio e un pericolo accresciuto di insorgenza tumorale. «I tatuaggi policromi, sia isolati sia abbinati a neri o grigi, paiono legati a un lieve innalzamento del rischio di melanoma cutaneo», hanno osservato gli autori. «Non si è rilevato che i tatuati con forte esposizione ai raggi UV manifestino un pericolo maggiore di melanoma cutaneo rispetto a quelli con minor irraggiamento. Dunque, i nostri risultati indicano che la scomposizione accelerata dei pigmenti indotta dai raggi UV non amplifica il rischio di melanoma oltre quello intrinseco all’esposizione ai tatuaggi stessi».

 

La ricerca ha pure evidenziato che il picco di vulnerabilità si registra tra chi esibisce tatuaggi da 10 a 15 anni.

 

L’inchiostro tatuato è percepito dal corpo come un corpo estraneo, scatenando una reazione immunitaria: i pigmenti vengono racchiusi dalle cellule del sistema immunitario e convogliati ai linfonodi per lo stoccaggio.

 

Secondo i dati disponibili, il numero di italiani tatuati sarebbe stimato intorno ai 7 milioni, pari a circa il 12,8-13% della popolazione over 12 anni. Questa cifra proviene principalmente da un’indagine condotta dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) nel 2015, su un campione di oltre 7.600 persone rappresentative della popolazione italiana dai 12 anni in su, e confermata in report successivi di altri enti. Se si includono gli “ex-tatuati” (chi ha rimosso il tatuaggio), la percentuale sale al 13,2%.

 

In Italia le donne sono leggermente più tatuate (13,8%) rispetto agli uomini (11,7-11,8%). I minorenni (12-17 anni) costituirebbero circa il 7,7-8% dei tatuati, con l’età media del primo tatuaggio intorno ai 25 anni. La fascia d’età in cui il tattoo è più diffuso è quella dei 35-44 anni (23,9% tra i tatuati).

 

Alcuni articoli e sondaggi parlano di un 48% della popolazione tatuata, che renderebbe l’Italia il paese più tatuato al mondo, prima di Svezia 47% e USA 46%. Tuttavia alcuni non ritengono questa cifra attendibile.

 

Secondo quanto riportato solo il 58,2% degli italiani è informato sui rischi (infezioni, allergie, ecc.). Il 17-25% dei tatuati vorrebbe rimuoverlo, per un totale di oltre 1,5 milioni di potenziali rimozioni.

 

La categoria sociale più vastamente tatuata del mondo è probabilmente quella dei mafiosi giapponesi, i famigerati Yakuza. Secondo varie fonti storiche, giornalistiche e culturali, i membri di alto livello della Yakuza (i cosiddetti oyabun o boss) soffrono spesso di problemi epatici gravi, come cirrosi o insufficienza epatica, e i tatuaggi tradizionali (irezumi) sono considerati un fattore contributivo importante

 

I tatuaggi Yakuza sono estesi (coprono spesso schiena, braccia, petto e gambe in un «body suit» completo) e realizzati con tecniche tradizionali manuali (tebori), usando aghi di bambù o metallo e inchiostri a base di carbone (sumi). Ciò può portare al blocco delle ghiandole sudoripare, con la densità dell’inchiostro e le cicatrici multiple impediscono al sudore di evaporare normalmente dalla pelle. Il sudore aiuta a eliminare tossine (come alcol e metaboliti), quindi il fegato deve «lavorare di più» per processarle, accelerando il danno epatico. Questo è un problema comune tra i boss anziani, che hanno tatuaggi completati in anni di sessioni dolorose.

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Vi sarebbe inoltre il rischio di infezioni e epatite C: gli aghi non sterilizzati (comuni nelle sessioni tradizionali) trasmettono facilmente virus come l’epatite C, che attacca direttamente il fegato causando infiammazione cronica e cirrosi. Molti boss hanno contratto l’epatite proprio durante i tatuaggi, e questo è un fattore dominante nei casi documentati.

 

Infine, la tossicità dell’inchiostro: i pigmenti tradizionali possono causare febbri sistemiche e accumulo di metalli pesanti (come piombo o cromo), che sovraccaricano il fegato nel tempo, specialmente con un abuso di alcol (comune nella Yakuza per «festeggiamenti» e rimedio allo stress).

 

L’esempio più noto è quello di Tadamasa Goto (ex-boss del clan Goto-gumi, noto come «il John Gotti del Giappone»): nel 2001, a 59 anni, ha dovuto volare negli USA per un trapianto di fegato al UCLA Medical Center, saltando una lista d’attesa di 80 persone – secondo quanto scrissero i media, pagando 1 milione di dollari e fornendo info all’FBI. La sua cirrosi era dovuta a epatite C da tatuaggi non sterili, alcolismo e stile di vita.

 

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