Alimentazione
L’agricoltura biologica crea una crisi alimentare il Sri Lanka
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews.
La decisione del governo di passare all’agricoltura biologica ha devastato la coltivazione di riso, riducendone la produzione fino al 50%. Il problema sta nella compatibilità tra sementi e fertilizzanti. La situazione è già critica per i consumatori a causa dei prezzi elevati dei beni essenziali.
Lo Sri Lanka sta affrontando una crisi alimentare per una carenza di riso diffusa in molte aree del Paese e che si prevede sarà ancora più acuta a marzo.
Gli agricoltori hanno coltivato meno durante la stagione Maha (quella dei monsoni del nord-est che va da settembre a marzo) a causa del problema dei fertilizzanti: non avendone ottenuto la quantità necessaria, il raccolto con ogni probabilità subirà una riduzione del 50% e la carenza di riso, verdura e frutta è ritenuta inevitabile.
Problema dei fertilizzanti: non avendone ottenuto la quantità necessaria, il raccolto con ogni probabilità subirà una riduzione del 50% e la carenza di riso, verdura e frutta è ritenuta inevitabile
Il passaggio non pianificato dall’agricoltura chimica a quella biologica, imposto senza considerare i costi tecnologici, ambientali ed economici, ha distrutto le colture e causato una perdita di circa un miliardo di dollari (920 milioni di euro).
Secondo diversi agricoltori dei distretti di Ampara e Moneragala (nella provincia orientale del Paese), i semi di riso che sono stati forniti sono sensibili ai fertilizzanti chimici, e se il governo vuole che coltivino con fertilizzanti biologici, devono essere forniti loro sementi compatibili.
Secondo gli osservatori questa situazione disastrosa è sorta perché non sono stati elaborati piani a lungo termine per la coltivazione biologica, e a causa di questa mancanza l’intera industria agricola è stata rovinata.
Gli esperti di agricoltura dubitano che ci sarà una produzione di riso per il primo trimestre del 2022, poiché non si può sapere se le piante cresceranno, portando a un’inevitabile carenza di cibo.
Al momento la maggior parte dei contadini impegnati nella coltivazione ha abbandonato il proprio lavoro aggravando ulteriormente la situazione.
Nel frattempo si prevede che il prezzo del riso salirà a 180-200 rupie (79-87centesimi di euro) al chilo entro marzo, e fino a 300 rupie (1,31 euro) in aprile. I prezzi dei prodotti di base sono già alle stelle in Sri Lanka e i consumatori stanno già avendo serie difficoltà.
Il passaggio non pianificato dall’agricoltura chimica a quella biologica, imposto senza considerare i costi tecnologici, ambientali ed economici, ha distrutto le colture e causato una perdita di circa un miliardo di dollari (920 milioni di euro)
Secondo i commercianti, il riso dei distretti di Ampara e Batticaloa dovrebbe essere disponibile sui mercati entro l’inizio di febbraio.
Da parte loro gli esperti di agricoltura sono dell’opinione che l’intero Paese soffrirà la fame durante il Nuovo Anno Sinhala (in aprile).
Anche se i deputati del partito al potere hanno dichiarato che in caso di crisi alimentare importerebbero riso, le scorte potranno essere trasferite solo dopo l’emissione di lettere di credito da parte delle banche, situazione dubbia a causa dell’attuale crisi valutaria nel Paese.
Secondo fonti del ministero delle Finanze, il costo totale sostenuto dal governo per la trasformazione dell’agricoltura chimica in biologica è stato di 1,8 miliardi di dollari (1,6 miliardi di euro). Se invece fosse stato importato il fertilizzante chimico, il governo avrebbe speso solamente 400 milioni di dollari (350 milioni di euro).
Da parte loro gli esperti di agricoltura sono dell’opinione che l’intero Paese soffrirà la fame durante il Nuovo Anno Sinhala (in aprile)
Si stima che il costo totale per l’importazione di riso sarà di 180 milioni di dollari (160 milioni di euro), che salirà a circa 650 milioni di dollari (575 milioni di euro) se il governo dovesse importare anche frutta e verdura.
Gli analisti sono del parere che la decisione di passare all’agricoltura biologica sia stata presa sotto la pressione economica dovuta alla diminuzione delle riserve di valuta estera, al deprezzamento della moneta locale e alla perdita di fonti di reddito.
Fonti ufficiali spiegano che nel frattempo il ministero delle Finanze e la Banca centrale sono costretti a fornire la valuta estera necessaria per importare riso e materie prime essenziali.
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Alimentazione
Un leader agricolo messicano assassinato in seguito allo sciopero nazionale
Bernardo Bravo Manríquez, presidente della principale associazione di agrumicoltori di Michoacán e membro del Fronte Nazionale per il Salvataggio della Campagna Messicana (FNRCM), il gruppo agricolo più attivo del Messico, è stato assassinato la mattina del 20 ottobre.
Bravo, alla guida degli Agrumicoltori della Valle di Apatzingán, aveva partecipato allo sciopero nazionale degli agricoltori del 14 ottobre, organizzato con successo dal FNRCM per sollecitare il governo a introdurre politiche a sostegno dell’agricoltura nazionale, minacciata da speculatori finanziari internazionali e dai loro cartelli.
Gli agrumicoltori avevano guadagnato l’attenzione nazionale gettando in strada circa due tonnellate di lime di alta qualità durante lo sciopero, permettendo alla gente di raccoglierli, per evidenziare che il prezzo pagato ai produttori per ogni chilo di lime è nettamente inferiore al costo di produzione.
Secondo Aristegui News, l’associazione di Bravo ha spiegato la partecipazione allo sciopero con la richiesta di istituire una banca per lo sviluppo agricolo con crediti agevolati e tassi bassi, per rilanciare le campagne. I coltivatori di lime hanno anche proposto concessioni idriche, protezione della filiera produttiva e prezzi equi.
Gli agricoltori hanno chiarito ai legislatori di non volere sussidi, ma misure per affrontare «le cause strutturali» della crisi che colpisce il settore, chiedendo «un solido quadro giuridico che ci protegga da speculazioni e abusi». L’articolo ha inoltre riportato che Bravo, come leader del settore, aveva denunciato estorsioni da parte di gruppi criminali organizzati e l’assenza di sicurezza per i coltivatori di lime.
A febbraio, Bravo aveva segnalato di aver ricevuto minacce, annunciando la chiusura degli uffici amministrativi della sua azienda. Nella dichiarazione rilasciata il giorno del suo assassinio, il FNRCM ha chiesto al governo di indagare sull’omicidio, ma ha anche criticato «l’indifferenza» del governo alle richieste di dialogo, che crea «condizioni di vulnerabilità per i produttori». La dichiarazione ha evidenziato l’esclusione, da parte del Segretario dell’Agricoltura Julio Berdegué, di due leader del FNRCM, Baltazar Valdez Armentía di Sinaloa e Yako Rodríguez di Chihuahua, da un incontro del 17 ottobre con i leader agricoli, nonostante l’approvazione del Ministero del Governo.
Il FNRCM ha avvertito che il governo dovrebbe collaborare con il movimento per «costruire un’alleanza con lo Stato per salvare le campagne e l’economia nazionale». Ha inoltre denunciato le pressioni del governo statunitense e delle sue entità, che cercano di «aggravare la polarizzazione sociale e l’ingovernabilità per giustificare interventi». In questo contesto, il governo non dovrebbe adottare «gesti divisivi e discriminatori contro i produttori nazionali», ha concluso il FNRCM.
È noto che i cartelli della droga abbiano anche interessi agricoli, soprattutto nel campo dell’avocado, frutto divenuto particolarmente popolare negli USA con le ultime generazioni per le sue proprietà nutritizie.
Alimentazione
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Alimentazione
Un terzo dei Paesi è afflitto da prezzi alimentari «anormalmente alti»: rischio di disordini sociali
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) lancia l’allarme: i prezzi dei prodotti alimentari restano eccezionalmente elevati in tutto il mondo, e in molti Paesi sono aumentati fino a cinque volte rispetto ai livelli medi del decennio scorso. Un’escalation che, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, rischia di alimentare nuovi disordini sociali, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo o politicamente instabili.
«Le condizioni attuali ricordano i periodi che hanno preceduto la Primavera Araba e la crisi alimentare del 2007-2008», si legge nel rapporto diffuso in questi giorni. E il messaggio è chiaro: le turbolenze globali, legate alla sicurezza alimentare, «sono tutt’altro che finite».
Un’analisi di BloombergNEF, basata sui dati FAO, evidenzia come il quadro sia il risultato di una combinazione di fattori: eventi meteorologici estremi, tensioni geopolitiche e politiche monetarie espansive. L’aumento dei prezzi di gasolio e benzina – spinti anche dai conflitti in corso e dalle restrizioni commerciali – ha fatto lievitare i costi di produzione e di trasporto dei beni agricoli.
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A questo si aggiunge il fattore monetario: l’eccessiva stampa di denaro da parte di molte economie avanzate ed emergenti durante e dopo la pandemia ha rappresentato, secondo gli analisti, il principale motore dell’inflazione globale.
Secondo la FAO, nel 2023 il 50% dei Paesi del Nord America e dell’Europa ha registrato prezzi alimentari «anormalmente elevati» rispetto alla media del periodo 2015-2019. L’organizzazione definisce «anormale» un livello di prezzo superiore di almeno una deviazione standard rispetto alla media storica per ciascuna merce e regione, spiega Bloomberg.
La tendenza, tuttavia, non riguarda solo l’Occidente: anche in Asia, Africa e America Latina l’impennata dei prezzi sta riducendo l’accesso ai beni di prima necessità, colpendo le fasce più vulnerabili della popolazione.
La FAO richiama nel suo rapporto due momenti emblematici della storia recente che mostrano il legame diretto tra caro-viveri e instabilità politica.
Un esempio è la cosiddetta «Primavera araba» (2010-2011): il forte aumento dei prezzi del grano e del pane, dovuto alla siccità e ai divieti di esportazione imposti dalla Russia, contribuì a scatenare proteste in Tunisia, Egitto, Libia e Siria. L’inflazione alimentare fu un fattore chiave, che si sommò al malcontento politico e sociale.
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Un ulteriore caso è quello della crisi alimentare del 2007-2008: in quel periodo, i picchi dei prezzi globali dei cereali provocarono rivolte in oltre 30 Paesi, tra cui Haiti, Bangladesh, Egitto e Mozambico, dove i beni di prima necessità divennero inaccessibili per ampie fasce della popolazione.
Gli analisti concordano sul fatto che quando «l’inflazione alimentare supera la crescita del reddito», si innesca una spirale pericolosa che può condurre a crisi sociali e politiche.
Con l’aumento dei costi dei beni di base e la perdita di potere d’acquisto, cresce la pressione sui governi, già provati da crisi energetiche, conflitti regionali e tensioni valutarie.
In breve, il mondo potrebbe trovarsi di fronte a «una nuova stagione di rivolte per il pane».
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