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Politica

La Scozia verso il suo primo premier musulmano

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Humza Yousaf ha vinto il concorso per la leadership del Partito Nazionale Scozzese e succederà all’uscente Nicola Sturgeon come Primo Ministro della Scozia.

 

Yousaf, 37 anni, di origini pakistane, è attualmente ministro della Sanità della Scozia, e secondo un sondaggio popolare non è amato almeno da metà della popolazione: mentre è apprezzato dagli elettori del partito, è disprezzato dalla totalità degli elettori, con solo il 22% dell’elettorato scozzese che ne ha un’opinione favorevole, mentre il 42% lo detesta attivamente.

 

Lo Yousaf diventerà il primo musulmano a ricoprire il ruolo avendo battuto di poco la collega e Kate Forbes – devota membra degli evangelici della Free Church of Scotland – dal 52% al 48% una volta contati i secondi voti di preferenza dopo che l’outsider Ash Regan è stato eliminato al terzo posto.

 

Il politico musulmano dovrebbe prestare giuramento formale come sesto primo ministro scozzese mercoledì presso la Court of Session di Edimburgo, previa votazione parlamentare procedurale martedì.

 

Yousaf ha incassato il supporto dei colleghi parlamentari, i quali invece non hanno risparmiato attacchi contro la cristiana praticante Forbes, soprattutto su due temi che sembrano definire la politica moderna e la possibilità di accesso al potere dei candidati: il matrimonio omosessuale e l’aborto.

 

A differenza della Forbes, Yousaf aveva affermato di essere un sostenitore del matrimonio gay, mantenendosi in linea con la gerarchia liberale dello Scottish National Party che sosteneva la sua candidatura, nonostante si fosse effettivamente astenuto dal voto finale sulla questione nel Parlamento scozzese nel 2014.

 

«Credo che il matrimonio delle persone, se sono gay e sono sposati, che il loro matrimonio non sia più inferiore, o valga meno, del mio matrimonio come individuo eterosessuale. Quindi no, non sottoscrivo questa visione», aveva detto lo Yousaffo, riferendosi all’idea che sia un peccato.

 

Al contrario, Kate Forbes aveva dichiarato che la sua religione le avrebbe impedito di sostenere il progetto di legge. Yousaf invece ha proclamato di «non fare leggi in base alla fede».

 

Yousaf ha fatto diverse osservazioni controverse durante il suo periodo nel gabinetto scozzese, in particolare sulla razza, incluso un famigerato sproloquio in Parlamento in cui ha affermato che la Scozia ha troppi bianchi che occupano ruoli chiave.

 

«Per il 99% delle riunioni a cui vado, sono l’unica persona non bianca nella stanza» aveva dichiarato nel 2020. «Ogni poltrona di ogni ente pubblico è bianca. Questo non è abbastanza buono».

 

La piattaforma del SNP, anche sotto Yousaf, rimane l’indipendenza dal Regno Unito. «Saremo la generazione che vincerà l’indipendenza per la Scozia», ​​ha detto Yousaf dopo che i risultati sono stati dichiarati lunedì al Murrayfield Stadium di Edimburgo, definendo il successo elettorale «il più grande onore e privilegio» della sua vita.

 

Da giovane Yousaf è stato il portavoce volontario dei media per l’organizzazione benefica Islamic Relief, un’organizzazione caritatevole musulmana Britannica, accusata nel tempo di essere legata ai Fratelli Musulmani.

 

Nell’ambito del rimpasto del secondo governo di Nicola Sturgeon nel 2018, Yousaf è stato promosso al governo come segretario alla Giustizia, ruolo da cui introdotto il controverso disegno di legge sui crimini ispirati dall’odio.

 

Nel 2021, Yousaf è stato nominato segretario alla salute durante l’ultima fase della pandemia di COVID-19 ed è stato responsabile del lancio del programma di vaccinazione di massa iniziato sotto il suo predecessore. Anche la Scozia fu teatro di incredibili intromissioni della polizia pandemica nella vita privata dei cittadini, arrivando a intervenire, dietro delazione dei vicini, ad una festa di compleanno di una bambini di 10 anni.

 

Un giornale scozzese arrivò a chiedere ai lettori se il Paese dovesse introdurre campi di concentramento COVID.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Scozia è stata colpita da un’ondata di morti neonatali, ma le autorità hanno escluso dall’indagine le ricerche sullo stato di vaccinazione della madre.

 

 

La Scozia è altresì un Paese che sta per legalizzare l’eutanasia.

 

 

Immagine di Scottish Government via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

 

 

 

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Politica

I detenuti minacciano Sarkozy e giurano vendetta vera per Gheddafi

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Un video girato con un cellulare nella prigione parigina La Santé sembra mostrare che i detenuti hanno minacciato l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy di vendicare la morte del defunto leader libico Muammar Gheddafi.

 

Sarkozy, 70 anni, ha iniziato a scontare la sua condanna a cinque anni martedì, dopo che un tribunale di Parigi lo ha dichiarato colpevole di associazione a delinquere finalizzata a finanziare la sua campagna presidenziale del 2007 con denaro di Gheddafi, contro il quale in seguito guidò un’operazione di cambio di regime sostenuta dalla NATO che distrusse la Libia e portò alla morte di Gheddafi.

 

Martedì hanno iniziato a circolare video ripresi da La Sante, in cui presunti detenuti minacciavano e insultavano Sarkozy, che sta scontando la sua pena nell’ala di isolamento del carcere.

 

«Vendicheremo Gheddafi! Sappiamo tutto, Sarko! Restituisci i miliardi di dollari!», ha gridato un uomo in un video pubblicato sui social media. «È tutto solo nella sua cella. È appena arrivato… se la passerà brutta».

 

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Il ministro degli Interni francese Laurent Nunez ha sottolineato che, a causa del pericolo, due agenti di polizia della scorta di sicurezza assegnata agli ex presidenti saranno di stanza in modo permanente nelle celle adiacenti a quella di Sarkozy.

 

«L’ex presidente della Repubblica ha diritto alla protezione in virtù del suo status. È evidente che sussiste una minaccia nei suoi confronti, e questa protezione viene mantenuta durante la sua detenzione», ha dichiarato Nunez mercoledì alla radio Europe 1.

 

Sarkozy, che ha guidato la Francia tra il 2007 e il 2012, ha negato tutte le accuse a suo carico, sostenendo che siano di matrice politica. Il suo team legale ha presentato una richiesta di scarcerazione anticipata, in attesa del procedimento di appello.

 

L’inchiesta su Sarkozy è iniziata nel 2013, in seguito alle affermazioni del figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, secondo cui suo padre aveva fornito alla campagna dell’ex presidente circa 50 milioni di euro.

 

A dicembre 2024, la Corte Suprema francese ha confermato una condanna del 2021 per corruzione e traffico di influenze, imponendo a Sarkozy un dispositivo elettronico per un anno. È stato anche condannato per finanziamento illecito della campagna per la rielezione fallita del 2012, scontando la pena agli arresti domiciliari.

 

Nel 2011, Sarkozy ha avuto un ruolo di primo piano nell’intervento della coalizione NATO che ha portato alla cacciata e alla morte di Gheddafi, facendo sprofondare la Libia in un caos dal quale non si è più risollevata.

 

Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del 2025 gli era stata revocata la Legion d’Onore. In Italia alcuni hanno scherzato dicendo che ora «Sarkozy non ride più», un diretto riferimento a quando una sua risata fatta con sguardo complice ad Angela Merkel precedette le dimissioni del premier Silvio Berlusconi nel 2011 e l’installazione in Italia (sotto la ridicola minaccia dello «spread») dell’eurotecnocrate bocconiano Mario Monti.

 

 

Nell’affaire Gheddafi finì accusata di «falsificazione di testimonianze» e «associazione a delinquere allo scopo di preparare una frode processuale e corruzione del personale giudiziario» anche la moglie del Sarkozy, l’algida ex modella torinese Carla Bruni, la quale, presentatole il presidente dall’amico comune Jacques Séguela (pubblicitario autore delle campagne di Mitterand e Eltsin) secondo la leggenda avrebbe confidato «voglio un uomo dotato della bomba atomica».

 

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Il Giappone elegge una donna conservatrice come primo ministro

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Sanae Takaichi è diventata la prima donna Primo Ministro del Giappone, vincendo le elezioni parlamentari di Tokyo martedì. Esponente di lungo corso del Partito Liberal Democratico (LDP), nota come la «Lady di Ferro» del Giappone per la sua ammirazione verso l’ex primo ministro britannico Margaret Thatcher, Takaichi è riconosciuta per il suo conservatorismo sociale, il nazionalismo e il sostegno a un ruolo più ampio per le forze armate giapponesi.   A 64 anni, Takaichi ha sostenuto la revisione della clausola pacifista della costituzione postbellica del Giappone e il riconoscimento ufficiale delle Forze di autodifesa come esercito nazionale. Ha inoltre appoggiato un aumento della spesa per la difesa e una maggiore cooperazione militare con gli Stati Uniti.   Le sue posizioni sulla sicurezza nazionale richiamano le politiche dell’ex premier Shinzo Abe, di cui è considerata una protetta e con cui aveva stretti legami politici.   Frequente visitatrice del Santuario Yasukuni di Tokyo, che rende omaggio ai caduti giapponesi, inclusi criminali di guerra della Seconda Guerra Mondiale, Takaichi è stata spesso criticata dai Paesi vicini per quello che considerano revisionismo storico. Ha difeso le sue visite come atti di rispetto personale, sostenendo che i crimini di guerra dei soldati giapponesi siano stati esagerati.

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A livello interno, Takaichi si oppone al matrimonio tra persone dello stesso sesso, sostiene la successione imperiale esclusivamente maschile e ha criticato le proposte di cognomi separati per le coppie sposate.   La Takaicha ha inoltre appoggiato il rafforzamento dei confini e politiche migratorie più rigide, chiedendo misure contro i visti non concessi, il turismo eccessivo e l’acquisto di terreni da parte di stranieri, soprattutto vicino a risorse strategiche.   In politica estera, la Takaichi ha definito la crescente potenza militare della Cina una «seria preoccupazione», proponendo misure di deterrenza, tra cui un patto di sicurezza con Taiwan.   Si ritiene che Takaichi non intenda perseguire un significativo riavvicinamento con la Russia, avendo ripetutamente rivendicato la sovranità sulle isole Curili meridionali, annesse dall’Unione Sovietica nel 1945 come parte degli accordi postbellici.   Takaichi assume la carica in un momento critico per il Giappone, che affronta un tasso di natalità ai minimi storici, un rapido invecchiamento della popolazione, un’inflazione persistente e il malcontento pubblico per gli scandali politici che hanno eroso la fiducia nel PLD, il partito al governo.  

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Immagine di 内閣広報室|Cabinet Public Affairs Office via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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Elezioni in Bolivia, il Paese si sposta a destra

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Domenica si è svolto in Bolivia il ballottaggio per le elezioni presidenziali, che ha visto contrapporsi due candidati di destra: il senatore centrista Rodrigo Paz Pereira e l’ex presidente conservatore Jorge Quiroga.

 

I risultati preliminari indicano che Paz ha ottenuto il 54,6% dei voti, mentre Quiroga si è fermato al 45,4%. Sebbene sia prevista un’analisi manuale delle schede, è improbabile che il risultato definitivo differisca significativamente dal conteggio iniziale, basato sul 97% delle schede scrutinate.

 

Le elezioni segnano la fine del ventennale dominio del partito di sinistra Movimiento al Socialismo (MAS), che ha subito una pesante sconfitta nelle elezioni di fine agosto. Il presidente uscente Luis Arce – che ha recentemente accusato gli USA di controllare l’America latina sotto la maschera della «guerra alla droga» – non si è ricandidato, e il candidato del MAS, il ministro degli Interni Eduardo del Castillo, ha raccolto solo il 3,16% dei voti, superando di poco la soglia necessaria per mantenere lo status legale del partito.

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Nel primo turno, la destra ha dominato: Paz ha ottenuto il 32,1% dei voti e Quiroga il 26,8%. Il magnate di centro-destra Samuel Doria Medina, a lungo favorito nei sondaggi, si è classificato terzo con il 19,9% e ha subito appoggiato Paz per il ballottaggio.

 

Entrambi i candidati hanno basato la loro campagna sullo smantellamento dell’eredità del MAS, differendo però nei metodi. Paz ha promesso riforme graduali, mentre Quiroga ha sostenuto cambiamenti rapidi, proponendo severe misure di austerità per affrontare la crisi.

 

Il MAS non si è mai ripreso dai disordini del 2019, quando l’ex presidente Evo Morales fu deposto da un colpo di Stato subito dopo aver ottenuto un controverso quarto mandato. In precedenza, Morales aveva perso di misura un referendum per modificare la norma costituzionale che limita a due i mandati presidenziali e vicepresidenziali. Più di recente, Morales ha accusato tentativi di assassinarlo ed è entrato in sciopero della fame, mentre i suoi sostenitori hanno dato vita ad una ribellione. Il Morales, recentemente accusato anche di stupro (accuse che lui definisce «politiche»), in una lunga intervista aveva detto che dietro il suo rovesciamento nel 2019 vi erano «la politica dell’impero, la cultura della morte» degli angloamericani.

 

Il colpo di Stato portò al potere la politica di destra Jeanine Áñez, seconda vicepresidente del Senato. Tuttavia, il MAS riconquistò terreno nelle elezioni anticipate dell’ottobre 2020, mentre Áñez fu incarcerata per i crimini commessi durante la repressione delle proteste seguite al golpe.

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Il passaggio storico è stato definito da alcuni come la prima «guerra del litio», essendo il Paese ricco, come gli altri Stati limitrofi, della sostanza che rende possibile la tecnologia di computer, telefonini ed auto elettriche.

 

Come riportato da Renovatio 21, un tentato colpo di Stato vi fu anche l’anno scorso quando la polizia militare e veicoli blindati hanno circondato il palazzo del governo nella capitale La Paz.

 

Sotto il presidente Arce la Bolivia si era avvicinata ai BRICS e aveva iniziato a commerciare in yuan allontanandosi dal dollaro.

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