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La Santa Messa tradizionale sarà proibita dal 16 luglio?

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Varie voci si rincorrono nell’ambiente cattolico tradizionalista e non solo: la Santa Messa in rito antico, detta talvolta «Messa in Latino» starebbe per essere proibita una volta per tutta dal Vaticano bergogliano.

 

Secondo scrive LifeSite citando fonti, vi sarebbe anche una data per la svolta epocale: si tratterebbe del giorno del 16 luglio, giorno dopo il quale la «Messa di sempre» verrebbe annientata.

 

«Si sta tentando di attuare, al più presto possibile, un documento vaticano con una soluzione rigorosa, radicale e definitiva che vieti la messa latina tradizionale», ha riferito lunedì scorso il noto blog cattolico Rorate Caeli, che ha attribuito la notizia alle «fonti più credibili, in diversi continenti», anche da «circoli vicini» al cardinale Arthur Roche, prefetto del Dicastero per il Culto Divino.

 

Secondo quanto riferito, queste fonti sono «proprio le stesse… che per prime hanno rivelato che sarebbe arrivato un documento come Traditionis Custodes», ossia il motu proprio che ha pesantemente limitato la Messa tradizionale in tutto il mondo, di fatto annullando il motu proprio Summorum Pontificum (2007) di papa Ratzinger che le aveva «liberalizzate» consentendone l’uso e la diffusione.

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Le fonti del blog hanno quindi «rivelato a Rorate che il Vaticano aveva inviato un sondaggio ai vescovi» sulla loro attuazione della Messa tradizionale a seguito del Summorum Pontificum.

 

Rorate Coeli dice che coloro che pianificano questa soppressione «definitiva» della messa antica sarebbero «frustrati» dai «risultati apparentemente lenti» di Traditionis Custodes di papa Francesco, in particolare negli Stati Uniti e in Francia, dove le messe vetus ordo non accennano a diminuire, anzi, non fanno che aumentare i fedeli.

 

Perciò tali prelati, incluso il papa, «vogliono vietare e spegnere ovunque e immediatamente» la Santa Messa tradizionale. Essi desiderano rendere questo divieto della messa in latino «il più ampio, definitivo e irreversibile possibile».

 

Il cardinale Raymond Burke aveva recentemente sottolineato il fatto che il Traditionis Custodes in un certo senso si è rivelato un fallimento, perché ha intensificato e moltiplicato l’attrazione per la Messa dei Secoli.

 

«Se con l’ultima legislazione Traditionis Custodes e con gli altri documenti che l’hanno seguita l’intento era quello di scoraggiare o diminuire il fascino della sacra liturgia secondo l’usus antiquior, si è ottenuto, direi, l’effetto esattamente opposto» ha affermato il cardinale americano. «Ciò non dovrebbe sorprendere. Bisogna pensare che una forma del rito romano che ha nutrito così profondamente e prodotto tanti santi, santi dichiarati, anche diciamo santi nascosti, non è possibile che questo rito venga cancellato, che venga eliminato dalla vita dei la Chiesa».

 

Seguendo Traditionis Custodes, il cardinale Burke ha affermato che la liturgia tradizionale non è qualcosa che si possa escludere dalla «valida espressione della lex orandi». «Si tratta di una realtà oggettiva della grazia divina che non può essere modificata da un mero atto di volontà anche della più alta autorità ecclesiastica», scriveva il cardinale ancora nel 2021.

 

Bisogna tenere a mente, sempre, che il rito cattolico è immutabile ed inviolabile, come scrive la bolla Quo primum tempore di san Pio V che approvò il Messale romano in esecuzione di quanto stabilito al Concilio di Trento.

 

«In virtú dell’Autorità Apostolica, Noi concediamo, a tutti i sacerdoti, a tenore della presente, l’Indulto perpetuo di poter seguire, in modo generale, in qualunque Chiesa, senza scrupolo veruno di coscienza o pericolo di incorrere in alcuna pena, giudizio o censura, questo stesso Messale, di cui dunque avranno la piena facoltà di servirsi liberamente e lecitamente: così che Prelati, Amministratori, Canonici, Cappellani e tutti gli altri Sacerdoti secolari, qualunque sia il loro grado, o i Regolari, a qualunque Ordine appartengano, non siano tenuti a celebrare la Messa in maniera differente da quella che Noi abbiamo prescritta, né, d’altra parte, possano venir costretti e spinti da alcuno a cambiare questo Messale».

 

«Similmente decretiamo e dichiariamo che le presenti Lettere in nessun tempo potranno venir revocate o diminuite, ma sempre stabili e valide dovranno perseverare nel loro vigore».

 

«Nessuno dunque, e in nessun modo, si permetta con temerario ardimento di violare e trasgredire questo Nostro documento: facoltà, statuto, ordinamento, mandato, precetto, concessione, indulto, dichiarazione, volontà, decreto e inibizione. Che se qualcuno avrà l’audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell’indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo».

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Lo sviluppo del possibile divieto assoluto di Messa in Latino arriva preannunziato da una costellazione di fatti.

 

Bergoglio varie volte ha attaccato la Tradizione cattolica, come parlando con i colleghi gesuiti a Budapest. «Ci vuole un secolo perché un Concilio sia assimilato, dicono. E so che le resistenze sono terribili» disse il romano pontefice. «C’è un restaurazionismo incredibile. Quello che io chiamo “indietrismo”, (…). Il flusso della storia e della grazia va da giù in su come la linfa di un albero che dà frutto. Ma senza questo flusso tu rimani una mummia».

 

Poi c’è stata l’incredibile rivelazione che l’FBI stava cercando di monitorare, ed infiltrare, le messe in latino negli USA, considerandole come possibili fucine di terroristi domestici. Davanti a tale sconvolgente enormità, che attua davvero un principio di persecuzione anticristiana totalitaria, il Vaticano pare non aver detto praticamente nulla.

 

Più di recente, tornando ad usare la parola «frociaggine», papa Francesco pochi giorni fa avrebbe attaccato, oltre alla presenza dei gay nei seminari (cosa che, abbiamo detto, considerando le sue frequentazioni con monsignor McCarrick e i dossier consegnatigli sul caso non può davvero turbarlo), anche i tradizionalisti.

 

«In Vaticano c’è aria di frociaggine» avrebbe detto il sommo pontefice a inizio mese dopo aver già usato la parola, tipica del gergo della sottocultura uranista, per poi dichiarare che anche i tradizionalisti «non vanno bene». Negli scorsi mesi aveva continuato a difendere le restrizioni del Traditionis Custodes invitando i critici a leggersi il motu proprio.

 

L’accostamento tra il tema dell’omosessualità nella Chiesa e quello del tradizionalismo trova il suo compimento nell’altro sconvolgente fatto della settimana: l’accusa di scisma a monsignor Carlo Maria Viganò, il quale nel 2018 aveva fatto esplodere lo scandalo della lobby gay e dell’allora cardinale McCarrick, raccontando di avere parlato di dossier sul personaggio direttamente con il papa appena eletto nel 2013, solo per vederlo subito dopo inviato in Cina per procedere l’accordo sino-vaticano (McCarrick, si dice, dormiva in un seminario della Chiesa Patriottica, il facsimile della Chiesa cattolica – chiaramente non scismatico, quello, no – sotto il comando diretto del Partito Comunista Cinese che rapisce, tortura ed uccide i cattolici sotterranei)

 

Dall’altra parte, monsignor Viganò è si è posto negli ultimi anni come campione del ritorno alla Santa Messa in rito antico e del rifiuto del Concilio Vaticano II, definito anche nel suo ultimo comunicato come un «cancro della Chiesa».

 

Ci chiediamo quindi: la tempistica con cui il Vaticano ha colpito Viganò con il processo stragiudiziale ha a che fare con la data fatidica di luglio, quando verrà messa al bando in toto la Messa antica ed ogni dubbio sul Concilio?

 

Colpiscono Viganò per farne un esempio da mostrare a qualsiasi altro prelato voglia opporsi all’agenda di Bergoglio e dei suoi pupari modernisti e mondialisti?

 

Colpiscono un Viganò per educare altri cento, mille vescovi e sacerdoti che in cuor loro hanno capito che l’unica via per il mondo è quella di ritornare alla Santa Messa tradizionale?

 

Roberto Dal Bosco

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