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Geopolitica

La Repubblica Democratica del Congo ripristina la pena di morte

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La Repubblica Democratica del Congo ha revocato la moratoria sulla pena di morte in vigore da oltre due decenni, in risposta ai ricorrenti conflitti armati e agli attacchi dei militanti.

 

La decisione, annunciata venerdì dal Ministero della Giustizia del paese centrafricano, afferma che la sospensione della pena capitale dal 2003 ha garantito l’impunità ai trasgressori.

 

La parte orientale della Repubblica Democratica del Congo è afflitta da decenni di conflitto, legato a dozzine di gruppi armati, tra cui l’M23, i cui attacchi mortali nelle ultime settimane hanno provocato lo sfollamento di migliaia di persone. Secondo quanto riferito, il gruppo guidato dai tutsi ha posto sotto assedio diverse comunità nella regione travagliata, controllando circa la metà della provincia del Nord Kivu.

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Le autorità congolesi, un gruppo di esperti delle Nazioni Unite e i governi occidentali, compresi gli Stati Uniti, hanno accusato il Ruanda di armare i ribelli dell’M23 per combattere nella Repubblica Democratica del Congo, un’affermazione che il Paese dell’Africa orientale ha costantemente negato.

 

La pena di morte viene spesso comminata nella Repubblica Democratica del Congo, ma nessun colpevole è stato giustiziato da oltre 20 anni e le loro condanne sono generalmente commutate in ergastolo. Lo scorso ottobre, un tribunale militare dell’ex colonia belga ha condannato a morte Edouard Mwangachuchu, membro dell’Assemblea nazionale, con l’accusa di tradimento e coinvolgimento nel movimento ribelle M23.

 

Annunciando il ripristino della pena di morte la scorsa settimana, il ministro della Giustizia congolese Rose Mutombo ha affermato che le ostilità interne sono «spesso orchestrate da stati stranieri, che a volte beneficiano della complicità di alcuni dei nostri compatrioti».

 

La ripresa delle esecuzioni consentirà alle autorità di liberare «l’esercito dei traditori del Paese, da un lato, e di arginare la recrudescenza di atti di terrorismo e banditismo urbano», ha scritto il ministro.

 

Secondo la dichiarazione, la pena capitale sarà imposta agli individui accusati di spionaggio, partecipazione a gruppi vietati o movimenti di insurrezione, tradimento o genocidio, tra gli altri crimini.

 

La decisione ha suscitato una diffusa condanna, con il movimento locale per i diritti umani Lucha che la definisce «incostituzionale» e sostiene che «apre un corridoio verso esecuzioni sommarie» in un paese con un sistema giudiziario «difettoso».

 

Tigere Chagutah, direttore regionale di Amnesty International per l’Africa orientale e meridionale, ha affermato che il ripristino delle esecuzioni nella Repubblica Democratica del Congo è una «grossolana ingiustizia» nei confronti dei condannati a morte e dimostra un «insensibile disprezzo» per il diritto alla vita.

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Come riportato da Renovatio 21, lo scorso giugno si era avuto un massacro in un campo di sfollati nella provincia di Ituri perpetrato dal gruppo della Cooperativa per lo Sviluppo del Congo (CODECO), una milizia che opera nell’est del Paese, che è devastato dalla violenza. Il gruppo è anche definito come setta del «Sacrificatore», dal nome che ha la guida spirituale del CODECO. Le vittime sono state 46.

 

Poco dopo, a luglio, si era avuto l’assassinio di un ex ministro congolese, Cherubin Okende, portavoce dell’opposizione politica del Paese, ritrovato crivellato di proiettili nella sua auto nella capitale Kinshasa il giorno dopo la denuncia della sua scomparsa.

 

Tre anni fa si era avuto invece il barbaro omicidio dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio, per il quale un missionario comboniano, parlando con la stampa, ha accusato macchinazioni politiche provenienti dal Ruanda.

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Geopolitica

«Può combattere fino a consumare il suo piccolo cuore»: Trump sul possibile rifiuto di Zelens’kyj agli accordi

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Il presidente statunitense Donald Trump ha dichiarato che il leader ucraino Volodymyr Zelens’kyj è libero di «continuare a combattere con tutte le sue forze» nel caso in cui rifiuti il piano di pace avanzato per chiudere il conflitto con la Russia.   Questa settimana Washington ha consegnato a Kiev una bozza aggiornata di proposta per porre fine alle ostilità, esortando la dirigenza ucraina ad approvarla entro giovedì prossimo. Secondo i media, il documento in 28 punti contempla diverse clausole finora respinte da Kiev e dai suoi alleati europei occidentali, tra cui l’abbandono delle ambizioni NATO e il taglio drastico delle forze armate ucraine.   Trump ha espresso questa posizione sabato, conversando con i reporter fuori dalla Casa Bianca, in risposta a una domanda su cosa accadrebbe in caso di rifiuto da parte di Zelens’kyj.   «Allora potrà continuare. Potrà continuare a combattere con tutto il suo cuore» («fight his little heart out»), ha replicato il presidente USA.

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Le sue parole riecheggiano quanto affermato venerdì, quando Trump aveva sostenuto che Zelens’kyj «dovrà accettare qualcosa» prima o poi, avvertendo che l’Ucraina si avvia verso un «inverno freddo» con le sue infrastrutture energetiche «sotto attacco, per usare un eufemismo».   «Dovrà piacergli e se non gli piace, allora, sai, dovrebbero semplicemente continuare a combattere, immagino», ha aggiunto riferendosi al piano.   Sempre secondo fonti giornalistiche, Washington ha già brandito la minaccia di sospendere gli aiuti militari e lo scambio di intelligence se Kiev respingesse la bozza. All’inizio dell’anno, gli Stati Uniti avevano impiegato la medesima strategia per convincere l’Ucraina ad accettare l’accordo di Trump sulle terre rare.

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Geopolitica

Wargame USA sulla cacciata di Maduro: il risultato è un «caos a lungo termine»

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Un’esercitazione ufficiale statunitense, condotta nel 2019, per rovesciare il presidente venezuelano Nicolás Maduro, ha concluso che, indipendentemente dal fatto che il rovesciamento fosse ottenuto tramite un colpo di stato militare, una rivolta popolare o un’azione militare statunitense, avrebbe prodotto «caos per un periodo di tempo prolungato senza possibilità di porvi fine». Lo riporta il New York Times.

 

L’esercitazione del 2019 ha coinvolto «funzionari di tutto il governo degli Stati Uniti, inclusi quelli del Pentagono e del Dipartimento di Stato». Il riassunto dell’esito dell’esercitazione citato è tratto dal rapporto non classificato sull’esercitazione del 2019, scritto per i funzionari del Pentagono dell’epoca dal consulente per la sicurezza nazionale ed ex reporter del Washington Post Douglas Farah, scrive il giornale neoeboraceno.

 

Il Farah, non considerabile come pro-Maduro, aveva partecipato all’esercitazione mentre era ricercatore presso la National Defense University. «Non si può avere un immediato cambiamento epocale» nel governo del Paese senza conseguenze, ha detto il giornalista, ​«non si avrebbe alcun comando e controllo sull’esercito e nessuna forza di polizia. Ci sarebbero saccheggi e caos. Qualsiasi dispiegamento militare statunitense volto a stabilizzare il Paese richiederebbe probabilmente decine di migliaia di soldati».

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Il New York Times ricorda che l’intervento militare statunitense ad Haiti nel 1994 per deporre la giunta militare richiese circa 25.000 uomini, e «il Venezuela è circa 33 volte più grande di Haiti, o circa il doppio della California». Allo stesso modo, George H.W. L’invasione di Panama da parte di Bush nel 1989 per rovesciare Manuel Noriega richiese 27.000 soldati statunitensi per «un Paese grande meno di un decimo del Venezuela».

 

 

Giorni fa il Segretario del dipartimento della Guerra Pete Hegseth ha elogiato la designazione, da parte del dipartimento di Stato, del cosiddetto «Cartel de los Soles» come “Organizzazione Terroristica Straniera» (FTO), una designazione che entrerà in vigore il prossimo 24 novembre. L’amministrazione Trump sostiene che il «cartello dei Soli», la cui esistenza non è mai stata provata, sia guidato da Nicolas Maduro e coinvolga i suoi massimi funzionari militari e di gabinetto.

 

La designazione FTO «apre un sacco di nuove opzioni» per le azioni contro i cartelli, sia via terra che via mare, che l’esercito statunitense può offrire al presidente, ha dichiarato Hegseth a One America News Network (OAN) in un’intervista andata in onda il 20 novembre. «Quindi nulla è escluso, ma nulla è automaticamente sul tavolo».

 

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Fico: la Russia emergerà come «vincitrice assoluta» nel conflitto in Ucraina

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Il primo ministro slovacco Robert Fico ha previsto che la Russia emergerà come «vincitrice assoluta» dal conflitto ucraino, qualora venisse approvato il piano di pace proposto dal presidente statunitense Donald Trump.   Questa settimana gli USA hanno consegnato a Kiev l’ultima bozza di intesa per porre fine alle ostilità con Mosca: un documento in 28 punti che, secondo i media, contempla numerose concessioni finora respinte da Kiev e dai suoi alleati occidentali, tra cui il rifiuto dell’adesione alla NATO, il dimezzamento delle forze armate ucraine e il ritiro delle truppe dalle porzioni del Donbass russo ancora controllate da Kiev.   Venerdì, in una conferenza stampa a Bratislava, Fico ha espresso il proprio appoggio alla proposta, definendola «sensazionale». Ha poi sferrato un duro attacco ai «falchi» europeisti pro-Kiev, accusando la «politica estera zero» dell’UE di aver condotto l’Ucraina alla sua attuale situazione drammatica.   «Con questo accordo, la posizione ucraina è cento volte peggiore rispetto ad aprile 2022», ha dichiarato Fico, alludendo all’intesa preliminare emersa dai negoziati di Istanbul all’inizio del conflitto, da cui Kiev si era ritirata unilateralmente.

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«Chi tra quei guerrafondai lo ammetterà nell’Unione Europea? Chi confesserà di aver sostenuto con tanto vigore la guerra, l’invio di armi, il divieto di tregue? Chi oggi riconoscerà i propri errori?», ha proseguito il premier slovacco.   Pur riconoscendo il fallimento dei piani per «distruggere» la Russia, Fico ha sostenuto che Mosca ne uscirà trionfante e irrobustita.   «Se questo piano verrà firmato, la Russia lascerà la guerra come vincitrice assoluta, rafforzata in modo straordinario sia dal punto di vista morale che economico», ha concluso.   I sostenitori occidentali di Kiev, secondo fonti giornalistiche, considerano la bozza una vera «capitolazione» ucraina, e ora i leader UE pro-guerra starebbero correndo ai ripari per modificarla, adducendo il pretesto di «aggiornamenti costruttivi».   Mosca ha confermato di aver ricevuto il documento americano, precisando che non è stato ancora esaminato «in dettaglio». «Potrebbe costituire la base per un accordo di pace definitivo», ha commentato il presidente russo Vladimir Putin.    

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
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