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Geopolitica

La presidente georgiana chiede alle scuole di unirsi alla protesta antirussa. Tbilisi maidanizzata?

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La presidente georgiana Salome Zourabichvili ha invitato le scuole del Paese a sostenere le proteste pro-UE, dopo che centinaia di docenti universitari hanno espresso sostegno alle dimostrazioni in corso dopo la sospensione dei colloqui di adesione alla UE decisa dal governo di Tbilisi.

 

Non è chiaro se la Zourabichvili stia invitando i minori e gli adolescenti a scendere in piazza o le loro scuole a rilasciare una dichiarazione di sostegno.

 

La Zourabichvili si è rifiutata di lasciare l’incarico dopo che il primo ministro Irakli Kobakhidze ha congelato i colloqui di adesione all’UE.

 

«Dopo le università, tocca alle scuole esprimere la loro solidarietà alle proteste, in tutta la Georgia», ha scritto lunedì la Zourabichvili sui social media.

 

Il mese scorso, centinaia di docenti universitari hanno firmato una lettera in cui appoggiano le manifestazioni e incoraggiano i loro studenti a prendervi parte.

 


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Le proteste infuriano a Tbilisi da giovedì, quando Kobakhidze ha annunciato che avrebbe congelato i colloqui di adesione all’UE fino al 2028, a causa del «costante ricatto e manipolazione» da parte di Bruxelles della politica interna georgiana.

 

Il partito Sogno Giorgiano di Kobakhidze, che ha vinto quasi il 54% dei voti alle elezioni parlamentari di ottobre, è favorevole a relazioni stabili sia con l’UE che con la Russia. I partiti di opposizione filo-occidentali e Zourabichvili, nata in Francia, hanno rifiutato di riconoscere i risultati del voto. Il mandato della Zourabichvili termina questo mese, ma lei si è rifiutata di lasciare l’incarico fino a quando non si saranno ripetute le elezioni.

 

Oltre 200 persone sono state arrestate durante le proteste a Tbilisi, mentre oltre 100 poliziotti sono rimasti feriti, secondo il Ministero degli Interni georgiano. Durante una manifestazione fuori dagli edifici del parlamento domenica sera, i dimostranti hanno sparato fuochi d’artificio e lanciato molotov contro la polizia antisommossa pesantemente corazzata.

 

Kobakhidze ha criticato le manifestazioni definendole un «attacco all’ordine costituzionale del Paese» e ha attribuito la responsabilità dei disordini civili ai «politici dell’UE e ai loro agenti», accusando l’Occidente di aver tentato di orchestrare un colpo di stato simile alla rivoluzione di Maidan sostenuta dagli Stati Uniti che ha rovesciato il governo ucraino nel 2014.

 


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Anche il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha paragonato le proteste al colpo di Stato di Maidan, dicendo ai giornalisti lunedì che Mosca vede un «parallelo diretto» tra gli eventi. Le dimostrazioni, ha aggiunto, hanno «tutti i segnali di un tentativo di realizzare una “rivoluzione arancione”», riferendosi a un precedente schema sostenuto dagli Stati Uniti per ribaltare i risultati delle elezioni in Ucraina.

 

Commentando gli eventi in Georgia, Peskov ha affermato che «c’è un evidente tentativo di destabilizzare la situazione» e che eventi simili hanno avuto luogo in «diversi Paesi» negli ultimi anni. «Il parallelo più diretto che si può tracciare sono gli eventi del Maidan in Ucraina”, ha detto Peskov, riferendosi al colpo di stato sostenuto dall’Occidente a Kiev nel 2014 che ha estromesso il presidente democraticamente eletto del paese e ha precipitato l’attuale conflitto tra Russia e Ucraina.

 

Gli Stati Uniti hanno risposto al congelamento dei colloqui di adesione da parte di Kobakhidze annullando la partnership strategica di Washington con Tbilisi, mentre l’Alto rappresentante per la politica estera dell’UE, l’estone Kaja Kallas (noto falco antirusso), ha avvertito che Bruxelles sta valutando sanzioni contro la Georgia.

 

Un anno fa il Servizio di Sicurezza dello Stato della Georgia (SSS) aveva pubblicato un comunicato il 18 settembre in cui affermava che il Paese si trova ad affrontare la minaccia di violenti disordini orchestrati dalla cerchia ristretta dell’ex presidente Mikheil Saakashvili e «attraverso il coordinamento e il sostegno finanziario dei Paesi esteri». La Sicurezza di Stato georgiana precisava che i golpisti pianificano, nei prossimi tre mesi, il «rovesciamento violento» del governo georgiano, usando come modello il colpo di Stato ucraino di Maidan del 2014.

 

L’opposizione accusa da tempo il governo di sabotare i negoziati volti a far entrare la Georgia nell’UE, in corso dalla metà degli anni 2000. La Zourabichvili ha denunciato l’azione del governo come «un colpo di Stato incostituzionale» e ha invitato i suoi sostenitori a «resistere». Negli scorsi mesi la Zurabishvili, nata a Parigi ed arrivata in Georgia dopo il crollo del muro, si è opposta al risultato elettorale, arrivando a suggerire che la Georgia era diventata «vittima di un’operazione speciale russa».

 

In precedenza, la Zurabishvili aveva sostenuto anche altre proteste in Georgia, tra cui quelle contro le leggi sugli «agenti stranieri» e sulla «propaganda LGBT», da lei definite «in stile russo».

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Come riportato da Renovatio 21, due settimane fa centinaia di dimostranti filo-occidentali sono scesi in piazza nella capitale georgiana di Tbilisi per protestare contro la ratifica delle recenti elezioni parlamentari.

 

Pesanti proteste, dentro e fuori dal Parlamento, si sono consumate a Tbilisi negli ultimi mesi a seguito dell’approvazione delle legge sugli agenti stranieri. L’UE ha aggiunto il carico sospendendo la candidatura della Georgia al blocco bruxellita.

 

Come riportato da Renovatio 21, mesi fa era emersi che gli europei avevano fatto pressione sulla Georgia affinché inviasse mercenari in Ucraina. Settimane fa, tuttavia, l’ex primo ministro georgiano Bidzini Ivanishvili aveva dichiarato che Tbilisi chiederà scusa per aver scatenato la guerra antirussa del 2008, una guerra condotta dall’allora presidente Mikhail Saaskahvili arrivato al potere con la rivoluzione colorata del 2003 (finanziata, secondo varie fonti, anche dagli enti di George Soros) e poi fuggito in Ucraina per poi finire nelle carceri georgiane.

 

Come riportato da Renovatio 21, il premier Irakli Kobakhidze ha dichiarato quest’estate che la Georgia non verrà «ucrainizzata».

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Geopolitica

Turchia, effigie di Netanyahu appesa a una gru: «pena di morte»

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Un’effigie raffigurante il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stata avvistata appesa a una gru edile nel Nord-Est della Turchia, suscitando forte indignazione in Israele.   Secondo la stampa turca, l’episodio si è verificato sabato in un cantiere nella città di Trebisonda, sul Mar Nero. L’iniziativa sarebbe stata organizzata da Kemal Saglam, docente di comunicazione visiva presso un’università locale. Saglam ha dichiarato ai media turchi che il gesto aveva un intento simbolico, volto a denunciare le violazioni dei diritti umani a Gaza.   Le immagini, diffuse viralmente e riportate anche dal quotidiano turco Yeni Safak, mostrano la figura sospesa alla gru, accompagnata da uno striscione con la scritta: «Pena di morte per Netanyahu».   Il ministero degli Esteri israeliano, tramite un post su X, ha condiviso un video dell’incidente, accusando un accademico turco di aver creato l’effigie «con il fiero sostegno di un’azienda statale». Il ministero ha condannato l’atto, sottolineando che «le autorità turche non hanno denunciato questo comportamento scandaloso».  

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Le autorità turche non hanno ancora fornito una risposta ufficiale.   I rapporti diplomatici tra Israele e Turchia sono tesi da anni e si sono ulteriormente deteriorati dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha accusato Netanyahu di aver commesso un «genocidio» a Gaza.   La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.   Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.   Come riportato da Renovatio 21, i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.   Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.   La Turchia ha avuto un ruolo attivo nei recenti negoziati per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, con diversi rapporti che indicano come l’influenza di Ankara su Hamas abbia facilitato il rilascio degli ostaggi nell’ambito del piano in 20 punti del presidente statunitense Donald Trump.   Venerdì, Erdogan ha dichiarato alla stampa che gli Stati Uniti dovrebbero intensificare le pressioni su Israele, anche attraverso sanzioni e divieti sulla vendita di armi, per garantire il rispetto degli impegni presi nel piano di Trump.   Domenica, Netanyahu ha annunciato che Israele deciderà quali forze straniere potranno partecipare alla missione internazionale proposta per Gaza, prevista dal piano di Trump per garantire il cessate il fuoco. La settimana precedente, aveva lasciato intendere che si sarebbe opposto a qualsiasi coinvolgimento delle forze di sicurezza turche a Gaza.  

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Droga

Trump punta ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela

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Il presidente statunitense Donald Trump sta esaminando proposte per operazioni militari americane contro presunte «strutture per la produzione di cocaina» e altri bersagli legati al narcotraffico all’interno del Venezuela. Lo riporta la CNN, che cita fonti anonime.

 

Due funzionari non identificati hanno dichiarato alla rete che Trump non ha scartato l’ipotesi di un negoziato diplomatico con Nicolás Maduro, nonostante recenti indicazioni secondo cui gli Stati Uniti avrebbero interrotto del tutto i colloqui con Caracas, mentre valutano una possibile campagna per destituire il leader venezuelano.

 

Tuttavia, una fonte della CNN ha precisato che «ci sono piani sul tavolo che il presidente sta esaminando» per azioni mirate all’interno del Venezuela. Un terzo funzionario ha indicato che l’amministrazione Trump sta considerando varie opzioni, ma al momento si concentra sulla «lotta alla droga in Venezuela».

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A giudizio di alcuni esponenti dell’amministrazione statunitense, una campagna antidroga nel Paese sudamericano potrebbe accrescere la pressione per un cambio di regime a Caracas. Trump ha pubblicamente smentito l’intenzione di rimuovere Maduro dal potere.

 

Nelle scorse settimane, le forze armate americane hanno condotto vari raid contro imbarcazioni sospettate di narcotraffico e, secondo Washington, collegate al Venezuela, causando decine di vittime.

 

 

Giovedì, Trump – che aveva già confermato l’autorizzazione di operazioni della CIA in Venezuela – ha dichiarato che gli Stati Uniti potrebbero estendere la loro campagna antidroga dal mare alla terraferma, senza entrare in dettagli. Inoltre, la portaerei USS Gerald R. Ford è stata inviata nei Caraibi per sostenere l’operazione antidroga.

 

Maduro ha respinto ogni legame del suo governo con il traffico di stupefacenti, insinuando che gli Stati Uniti stiano usando le accuse come copertura per un cambio di regime. Dopo le notizie sul dispiegamento della portaerei, il presidente venezuelano ha accusato Washington di perseguire «una nuova guerra eterna».

 

Secondo un reportaggio del New York Times, Maduro stesso avrebbe proposto agli Stati Uniti significative concessioni economiche, inclusa la possibilità per le aziende americane di acquisire una quota rilevante nel settore petrolifero, durante negoziati segreti durati mesi. Tuttavia, Washington avrebbe rifiutato l’offerta, con il futuro politico del presidente Nicolas Maduro come principale ostacolo.

 

Un precedente articolo del quotidiano neoeboraceno riportava che Trump avesse ordinato l’interruzione dei colloqui con il Venezuela, «frustrato» dal rifiuto di Maduro di cedere volontariamente il potere. Il giornale suggeriva anche che gli Stati Uniti stessero pianificando una possibile escalation militare.

 

Nel frattempo, Maduro ha avvertito che il Venezuela entrerebbe in uno stato di «lotta armata» in caso di attacco, aumentando la prontezza militare in tutto il Paese.

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Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso, gli Stati Uniti hanno inviato almeno otto navi della Marina, un sottomarino d’attacco e circa 4.000 soldati vicino alla costa venezuelana, dichiarando che la missione mirava a contrastare i cartelli della droga. Washington ha sostenuto che l’armata ha affondato tre imbarcazioni venezuelane, senza però fornire prove che le persone a bordo fossero criminali.

 

La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Carcas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma, sebbene Maduro si sia mostrato pronto a dialogare con le delegazioni diplomatiche americane sulla questione.

 

Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno Maduro aveva dichiarato che Washington ha aperto il suo libretto degli assegni a una schiera di truffatori e bugiardi per destabilizzare il Venezuela, quando gli Stati Uniti si sono rifiutati di riconoscere le elezioni del 2024 in Venezuela.

 

Secondo Maduro, almeno 125 militanti provenienti da 25 Paesi sono stati arrestati dalle autorità venezuelane. Aveva poi accusato Elone Musk di aver speso un miliardo di dollari per un golpe in Venezuela. Negli stessi mesi si parlò di un piano di assassinio CIA di Maduro sventato.

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Geopolitica

Thailandia e Cambogia firmano alla Casa Bianca un accordo di cessate il fuoco

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Cambogia e Thailandia hanno siglato un accordo di cessate il fuoco ampliato per porre fine a un violento conflitto di confine scoppiato a inizio anno. La cerimonia di firma, tenutasi domenica, è stata presieduta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che aveva mediato la tregua iniziale.   Le tensioni storiche tra i due Paesi del Sud-est asiatico, originate da dispute territoriali di epoca coloniale, sono esplose a luglio con cinque giorni di scontri armati, che hanno spinto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalla zona di confine. Un incontro ospitato dalla Malesia aveva portato a una prima tregua, segnando l’inizio della de-escalation.   Trump ha dichiarato di aver sfruttato i negoziati commerciali con entrambi i paesi per favorire una riduzione delle tensioni.  

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Durante il 47° vertice dell’ASEAN in Malesia, il primo ministro cambogiano Hun Manet e il primo ministro thailandese Anutin Charnvirakul hanno firmato l’accordo, che amplia la tregua di luglio.   Il documento stabilisce un piano per ridurre le tensioni e assicurare una pace stabile al confine, prevedendo il rilascio di 18 soldati cambogiani prigionieri da parte della Thailandia, il ritiro delle armi pesanti, l’avvio di operazioni di sminamento e il contrasto alle attività illegali transfrontaliere.   Dopo la firma, il primo ministro thailandese ha annunciato l’immediato ritiro delle armi dal confine e il rilascio dei prigionieri di guerra cambogiani, insieme a un’intesa commerciale congiunta. Il primo ministro cambogiano ha lodato l’accordo, impegnandosi a rispettarlo e ringraziando Trump per il suo ruolo, proponendolo come candidato al Premio Nobel per la Pace del prossimo anno.   Trump ha definito l’accordo «monumentale» e «storico», sottolineando il suo contributo e descrivendo la mediazione di pace come «quasi un hobby». Dopo la cerimonia, ha firmato un accordo commerciale con la Cambogia e un importante patto minerario con la Thailandia.

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