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Immigrazione

La poligamia islamica sta diventando legale in Italia?

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Gli atti matrimoniali ufficiali possono finire per assorbire la shari’a – la legge islamica – rendendo accettata dall’ordinamento italiano la poligamia. Lo riporta il quotidiano milanese La Verità, che riprende un’inchiesta del programma TV Fuori dal coro.

 

La trasmissione di Rete 4 ha intervistato Anna Cisint, sindaco di Monfalcone (provincia di Udine), che ha mostrato al pubblico un contratto registrato in Italia, segnato da vari omissis. Secondo la Cisint qui si celerebbe un’accettazione istituzionale della poligamia.

 

Tali carte «dovrebbero dettagliare le norme previste nei documenti originali, che regolano le nozze dei matrimoni musulmani, tradotti e vidimati» scrive La Verità. «Sono scartoffie che spesso giacciono impolverate negli archivi. E celano una sbalorditiva seria di misteriose mancanze».

 

«Tra le righe cassate, viene negato perfino il divorzio dalle donne islamiche. O meglio: è possibile se lo consentono i generosi sposi. “Se il marito ha conferito alla moglie di chiedere il divorzio” recita una delle imposizioni omesse. Oppure se “impotente, violento o in prigione”. Fino ad arrivare alla più magnanima delle concessioni: “la tortura”. Anche in questo caso, bontà loro, la sposa potrà sentirsi libera dal sacro vincolo».

 


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Non è chiaro come le femministe, che hanno crocifisso la scrittrice cattolica Costanza Miriano per il libro Sposati e sii sottomessa (titolo che viene dalle Sacre Scritture: «Ora come la chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli devono essere sottomesse ai loro mariti in ogni cosa», Efesini 5, 24) abbiano reagito ad una notizia come questa, e se stiano preparando una qualche forma di reazione – certo il momento, con le università e le piazze che ribollono di goscisti filo-palestinesi (e talvolta, forse sbadatamente, filo-Hamas, cioè filo-islamisti), è delicato assai.

 

«Questi contratti di matrimonio vengono quindi tradotti e registrati da Comuni e ambasciate, quando uno straniero diventa cittadino italiano e chiede la trascrizione dell’atto di nascita e di matrimonio» spiega il quotidiano milanese. «Quindi, dall’anagrafe passano allo stato civile. Per protocollare e validare i documenti non è possibile però trascrivere le parti in contrasto con la legge italiana».

 

«Così, al posto delle clausole sulla poligamia e sul divorzio, spuntano quegli omissis». Secondo il sindaco Cisint la procedura sarebbe nata da un’interpretazione dalla sentenza della Cassazione 1739/1999.

 

«Insomma, la sharia viene accolta nei documenti inviati poi allo Stato civile. È l’inconfessabile ammissione della poligamia, con tanto di timbro della nostra ambasciata che certifica quei certificati firmati all’estero».

 

«È quello che accade di regola», esclama la Cisint, che ora è candidata alle elezioni europee per la Lega.

 

«In Italia vivono famiglie che basano il loro rapporto su simili accordi. È la sottomissione della donna garantita dalla legge» si spinge a dire il sindaco di Monfalcone. «Le regole dell’islam contrarie alla nostra Costituzione sono accettate nei registri ufficiali della Repubblica».

 

Tutto questo avverrebbe all’ombra di una Repubblica che si definisce sempre più strutturalmente come «femminista», ma che al contempo, ipotizziamo, deve tenere conto del dogma migratorio.

 

E quindi: tra femminismo e immigrazione di massa, cosa può scegliere lo Stato moderno?

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Civiltà

L’anarco-tirannia uccide: ieri ad Udine, domani sotto casa vostra

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È morto Shinpei Tominaga, l’imprenditore giapponese – ma italiano d’adozione – colpito da un pugno a Udine mentre tentava di sedare una rissa.   L’uomo è mancato in ospedale dove era tenuto in vita dalle macchine. Il giapponese, che tentava di mettere fine ad un pestaggio che si stava consumando davanti ai suoi occhi, sarebbe stato colpito da un pugno sferrato da un 19enne veneto. Secondo quanto riportato, il ragazzo avrebbe confessato.   Il giovane veneto si sarebbe accompagnato da due amici, uno con un nome apparentemente nordafricano, un altro con un cognome che pare ghanese. Si tratta, secondo una TV locale, di una «banda ben nota», che «all’inizio era una baby gang che ora non è più così baby, anzi, ed è di una grande pericolosità per tutti i cittadini». Il trio si sarebbe scontrato «con due ucraini residenti a Pescara, in città per lavoro in un cantiere edile».

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Secondo RaiNews, il GIP «ha convalidato l’arresto per rissa aggravata di tutti e cinque i partecipanti».   La dinamica dei fatti sarebbe stata ricostruita dalla Questura «grazie ai testimoni e alle telecamere, pubbliche e private», scrive il sito della radiotelevisione pubblica italiana.   «Poco dopo le 3, due dei ragazzi veneti fumano per strada, conversando tranquillamente con i due ucraini. Sopraggiunge il terzo amico e cerca subito uno scontro fisico. Seguono degli spintoni». Uno degli ucraini «viene colpito con un pugno, rovina a terra, dove viene picchiato con pugni, calci e con la sedia di un bar».   «Uno dei tre corre a prendere un coltello da cucina nel bed and breakfast in cui alloggiavano, poco distante».   «Interviene una donna di passaggio, termina la prima fase dell’aggressione. I due ucraini si rifugiano nel vicino ristorante kebab. Vengono inseguiti dai tre ventenni».   È qui che avviene l’incontro fatale con l’imprenditore giapponese.   «Tominaga chiede loro di stare tranquilli, lasciar perdere. Un pugno al volto, e il 56enne cade per terra e sbatte violentemente la testa, finendo in arresto cardiaco». Non basta: sarebbero stati «aggrediti – anche con uno sgabello – i due amici che erano con Tominaga».   «I tre avevano già precedenti, a vario titolo, per rapina, lesioni e minacce».   Per quanto riguarda invece gli ucraini, «niente misura cautelare in carcere. Per uno di loro disposto il divieto di dimora in Friuli Venezia Giulia».   A parte il ragazzo che avrebbe sferrato il cazzotto fatale, parrebbe quindi una rissa tra immigrati. Una delle tante che si consumano, finendo al massimo in un trafiletto di cronaca locale (ma spesso neanche quello), in aree urbane oramai divenute preda della prepotenza dei «migranti» – le zone, in cui, generalmente, abbondano di kebabbari.   Stavolta però la notizia sta avendo eco nazionale, perché c’è scappato il morto, sul quale vogliamo dire due parole.

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Con Shinpei – che i giornali chiamano Shimpei, con la «m»: nella lingua giapponese il suono «mp» non esiste, ma non è escluso che se lo fosse italianizzato lui stesso – il nostro Paese non perde poco.   Innanzitutto, ricordiamo il suo lavoro: export di mobili verso il Giappone. Il mobile, in particolare la sedia, trova in Friuli un distretto di eccellenza, distrutto negli ultimi due decenni dalla concorrenza cinese. Tuttavia chi cerca la qualità della manifattura non si può far incantare dalla merce a buon mercato dei mandarini: il popolo del Sol Levante è noto per la sua appassionata pignoleria, da cui proviene il suo rispetto per l’Italia.   Shinpei, quindi, per l’Italia faceva un lavoro inestimabile: teneva in vita l’economia del prodotto di qualità, di per sé una vera resistenza alla globalizzazione, cioè alla cinesizzazione, che ha devastato la piccola e media impresa dell”Alta Italia consegnandoci all’incubo di disintegrazione della classe media e di deindustrializzante che stiamo vivendo.   Di più: Shinpei, che aveva la famiglia in Giappone, in realtà l’Italia la conosceva bene, e con probabilità l’amava davvero. Era cresciuto a Roma, dove il padre Kenichi Tominaga commercializzava i cartoni giapponesi divenuti centrali per l’infanzia di tanti italiani: con Orlando Corradi aveva fondato una casa di distribuzione chiamata Doro TV Merchandising, la cui sigla con il cagnolino è nei ricordi di moltissimi, che vendeva gli anime ai network televisivi pubblici e privati italiani. Goldrake e Conan li ha portati da noi il babbo di Shinpei.   Pezzi di storia, pezzi di relazioni vere, e profonde, tra due Paesi sviluppati, l’Italia e il Giappone, terminati dalla barbarie presente, che ora tocca senza problemi anche le città di provincia.   No, non si è al sicuro anche nella tranquilla cittadina a statuto speciale, nemmeno se sei con tre amici per strada, nemmeno se ti offri di aiutare un ragazzo insanguinato. Quello che ti aspetta, uscito di casa nell’Italia contemporanea, è la morte – un sacrificio gratuito sorto dalla fine della civiltà in Europa.   Su Renovatio 21 abbiamo adottato il concetto, introdotto nei primi anni Duemila dallo scrittore statunitense Samuel Todd Francis (1947-2005), chiamato «anarco-tirannia», cioè quella sorta di sintesi hegeliana in cui lo Stato moderno regola tirannicamente o oppressivamente la vita dei cittadini – tasse, multe, burocrazia – ma non è in grado, o non è disposto, a far rispettare le leggi fondamentali a protezione degli stessi. La rivolta etnica delle banlieue francesi della scorsa estate ne sono l’esempio lampante, lo è anche, se vogliamo, il grottesco e drammatico video in cui il poliziotto tedesco attacca il connazionale che stava tentando di contrastare un immigrato armato di coltello, il quale per ringraziamento pugnala e uccide lo stesso poliziotto.   C’èst à dire: nella condizione anarco-tirannica, il fisco ti insegue ovunque, la giustizia ti trascina in tribunale perché non portavi la mascherina o perché hai espresso idee dissonanti, ma se si tratta di fermare il ladro, il rapinatore, etc., non sembra che nessuno, viste le percentuali di reati rimasti impuniti, faccia davvero qualcosa. E qualora prenda il criminale, ben poco viene fatto perché il crimine non sia ripetuto. Nel caso presente, i tre fermati, ribadiamo, «avevano già precedenti, a vario titolo, per rapina, lesioni e minacce».   La legge, le forze dell’ordine, lo Stato non sembrano aver fatto moltissimo per fermare il crimine, e convertire il criminale, che prosegue ad agire come in assenza di un potere superiore a lui – appunto, l’anarchia. Anarchia per i criminali, tirannide per i cittadini comuni, incensurati, onesti, contribuenti. Va così.   Al di là dell’amarezza, è il caso di comprendere cosa significa materialmente – cioè, biologicamente – l’avvio dell’anarco-tirannia per le vostre vite. L’anarco-tirannide produce giocoforza la vostra insicurezza, perché minaccia direttamente i vostri corpi. Lo stato di anarchia è quello in cui, non valendo alcuna autorità, la violenza non può essere fermata.   Se ci fate caso, in tanti teorici dell’anarchia spunta ad un certo punto quest’idea del mondo che va portato verso il baccanale dionisiaco, con l’orgia e la violenza come grottesco strumento per testimoniare la supposta libertà dell’essere umano, slegato da ogni legge anche morale. Non è il caso che gli scritti di uno massimi teorici dell’anarchismo odierno, siano stati accusati di essere pedofili.

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E quindi, uscire di casa, per un bicchiere con gli amici, è di per sé un’azione pericolosa. La strada, la vita quotidiana stessa, diventa una minaccia. È già così in tante aree cittadini: circolarvi di notte è qualcosa di pericoloso. Ecco la formazione delle no-go zones, che sono – se mai ce n’era ulteriore bisogno – la dimostrazione fisica della possibilità di lasciare che si neghi la Costituzione, la nel suo articolo 16 prevede la libera circolazione dei cittadini su tutto il suolo nazionale.   Qui, nel contesto di aggressioni continue e randomatiche, non vi è solo la vostra incolumità fisica, in gioco: c’è la vostra natura morale ad essere pervertita, perché – come nella tragedia di Udine – le virtù cristiane, come tentare di terminare un conflitto o aiutare qualcuno in difficoltà, viene punita con il sangue.   È la fine dello stato di diritto, e al contempo della legge naturale, della fibra morale che unisce la società. È l’instaurazione del regime del più forte, trionfo ideale del nazismo, dove il debole deve accettare di essere sacrificato dall’aggressore vittorioso. È un’espressione che forse avete sentito dire a qualche bullo delle medie quando, oltre che l’obbiettivo, finiva per picchiare qualcun altro: «si è messo in mezzo».   Nel mondo nuovo, decristianizzato dall’immigrazione, dallo Stato e dal papato stesso, chi fa da paciere può finire ucciso. Quindi, meglio farsi gli affari propri, non intromettersi…   «Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinunzino all’azione», è un aforisma falsamente attribuito al filosofo settecentesco Edmund Burke, che tuttavia contiene una verità incontrovertibile. In una situazione di rischio fatale, chi mai ha voglia di fare la cosa giusta, e aiutare il prossimo?   Ecco raggiunto il vero scopo del processo dell’anarco-tirannide. Una società atomizzata, dove la paura costante del prossimo, dove l’ansia primaria per la sopravvivenza previene la possibilità della coesione sociale, così da lasciar liberi i padroni del vapore di far quel che vogliono senza timore di resistenza popolare.   Una società divenuta preda del malvagio è una società che può essere manipolata a piacimento. Nessun gruppo umano si oppone ai comandi del vertice, per quanto soverchianti e contraddittori: e lo abbiamo visto in pandemia. Quindi l’anarco-tirannia è, diciamo, una fase del Regno Sociale di Satana.   E quindi, cosa dobbiamo fare?   Quale politica per prevenire che le nostre vite divengano incubi?   Facciamo qualche semplice proposta.   Innanzitutto, si deve andare oltre al rifiuto più assoluto l’immigrazione: si deve chiedere, secondo una parola sempre più usata nel mondo germanofono, la remigrazione. Milioni e milioni di migranti, portati qui per infliggerci questa ingegneria sociale del male, vanno espulsi dal Paese, e questo a costo di svuotare interni quartieri.   Secondo: si deve istituire una forma di punizione dura al punto da essere considerata un vero deterrente: la galera, al momento, non lo è. Ricordiamo che, per quanto possano aver detto preti e papi postconciliari, la pena di morte non è contraria alla dottrina cattolica. E ricordiamo che i lavori forzati, che aiuterebbero economicamente il Paese, darebbero finalmente un senso all’esistenza dei carcerati: in passato si è detto che non è possibile farli lavorare davvero perché nella Costituzione, segnata dalla mentalità sovietica dei padri costituenti PCI permessa dai padri costituenti DC – c’è scritto che il lavoro va retribuito. Noi qui rammentiamo che anche quel tabù lo abbiamo perso: la Costituzione, negli ultimi anni, è stata violata in ogni modo.   Terzo: è necessario che qualcuno si intesti davvero il discorso politico sul porto d’armi inteso come nel concetto americano di carry: vi sono stati americani in cui si ha l’open carry, ossia la possibilità di circolare per strada visibilmente armati, in altri si ha il concealed carry, dove l’arma può essere portata seco quando nascosta. È inutile evitare il pensiero, nella giungla anarco-tirannica, l’unica deterrenza, e oltre l’unica forma di difesa, potrebbe divenire l’essere armati sempre ed ovunque – cosa triste ed orrenda, forse, ma anche qui, va così.   Purtroppo, causa di recenti incresciosi episodi consumatisi nel capodanno di parlamentari di Fratelli d’Italia, è difficile che il governo Meloni voglia avventurarsi in questa direzione, che pure dovrebbe essere la sua. C’è da ringraziare chi, secondo quanto ricostruito, avrebbe avuto l’idea geniale di tirare fuori una pistola in pubblico…   Quanto ai tempi che ci aspettano, abbiamo iniziato a scriverne un paio di anni fa. Quando terminerà la guerra ucraina, una quantità di veterani di Kiev, tra cui i molti tatuati neonazisti, potrebbero finire da noi. Forse esiliati, forse solo in tour a trovare la mamma, la zia, la sorella badante. Difficile che, a questo punto, quei ragazzi non si raggrupperanno in bande amalgamate da lingua, storia, esperienza (chi ha fatto la guerra insieme, non si molla mai) e credenza fanatico-religiosa nell’ideale ucronazista.

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C’è da dire che forse arriveranno anche armati, perché la quantità di armi inviate da USA e Paesi NATO – già finite a mafie in Finlandia, in Spagna, ai narcos in Messico, ai terroristi in Siria – è talmente vasta che qualcosa resterà con loro. A differenza del tranquillo contribuente italiano, la futura banda post-bellica – fenomeno cui abbiamo assistito negli anni Novanta con i gruppi di veterani della guerra di Bosnia che assaltavano le ville – sarà armata fino ai denti.   La situazione che si ingenererà per la giungla fuori da casa vostra ha un nome: gli strateghi dell’ISIS, nel loro mirabile manuale, la chiamavano Idarat at-Tawahhus, cioè «gestione della barbarie», o «gestione della ferocia».   I jihadisti teorici dello Stato Islamico concepivano il crollo di uno Stato come l’apertura di possibilità immani: dopo una prima fase che definivano «vessazione e potenziamento» – dove si estenua la popolazione di un territorio con estrema violenza e paura – si fa partire una seconda fase, dove, sulla scia del crollo dell’ordine dello Stato e l’instaurazione di una «legge della giungla» sempre più belluina, prevale tra i sopravvissuti pronti ad «accettare qualsiasi organizzazione, indipendentemente dal fatto che sia composta da persone buone o cattive».   Appunto: «fatti gli affari tuoi». «Non ti immischiare».   Siamo davvero disposti ad accettare la trasformazione della società in un incubo satanico?   Davvero vogliamo assistere alla fine della civiltà guardando inani dalla finestra, e pregando che il caos non arrivi a trucidare anche noi ed i nostri cari?   Quali gruppi umani possono davvero opporsi a questo processo di morte e distruzione?   Domande a cui bisogna rispondere quanto prima. Nel frattempo, le brave persone, gli innocenti, i virtuosi, vengono ammazzati, sacrificati all’altare dell’anarco-tirannide progettata per sottomettervi.   Roberto Dal Bosco

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Immigrazione

Il capo dell’associazione degli insegnanti tedeschi avverte: il sistema educativo è sopraffatto dai migranti

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Il presidente dell’Associazione degli insegnanti tedeschi ha avvertito che il sistema educativo del paese è sopraffatto dagli studenti migranti, molti dei quali sono analfabeti e parlano a malapena la lingua. Lo riporta il sito Remix News.

 

«A causa dell’immigrazione nel 2015, della guerra in Ucraina e di altre forme di immigrazione, nuove persone entrano costantemente nel sistema, ma il sistema è lento a tenere il passo perché si muove troppo velocemente», ha detto Stefan Düll all’agenzia stampa DTS.

 

Düll avverte che gli educatori gravano pesantemente sul fatto che molti bambini parlano poco o per nulla il tedesco. «Dopotutto non parlano né farsi né ucraino. Come dovrebbero insegnarglielo?» ha chiesto.

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Dato che circa un quarto degli studenti della quarta elementare nel paese non sanno parlare tedesco, Düll ha affermato che l’elevato numero di bambini immigrati significa che «il gruppo di analfabeti sta diventando più grande».

 

«Più alta è la percentuale di immigrati, più difficile è motivare la classe», ha aggiunto.

 

Anche Susanne Lin-Klitzing, presidentessa dell’Associazione tedesca dei filologi, ha sottolineato come: «alla fine, la mancanza di capacità di lettura mette in pericolo non solo la partecipazione sociale di molte persone ma anche la Germania nel suo insieme come piazza economica».

 

La preside di scuola Norma Grube in un’intervista dell’anno scorso con Die Welt sottolineava come la diversità non sia affatto un punto di forza se si considera l’enorme numero di studenti provenienti da diversi paesi che affluiscono nel sistema.

 

«Nel cortile della scuola si incontrano ventitré nazioni diverse, alcune delle quali non si capiscono affatto e talvolta provengono da regioni ostili, come Russia e Ucraina. Abbiamo bisogno di molti colloqui tra genitori e insegnanti, che si svolgono principalmente con interpreti. E questo ci porta ad uno dei motivi per cui la professione dell’insegnante è diventata sempre meno attraente: lo stress psicologico è enorme ed è aumentato notevolmente».

 

La dislocazione sociale causata dai giovani migranti non integrati sta portando anche a un enorme aumento degli scontri violenti nelle scuole, con un numero maggiore di insegnanti che subiscono abusi e attacchi. A Berlino, nel 2023 la polizia ha dovuto essere chiamata nelle scuole in media cinque volte al giorno.

 

«A Berlino, il 40% degli studenti non parla tedesco come lingua madre, e in città come Amburgo la maggior parte degli studenti ha un background migratorio. Nel complesso, un sorprendente 38% di tutti i bambini delle scuole elementari in Germania provengono da un contesto migratorio», riferisce Remix News.

 

Il sindaco indipendente di Tubinga Boris Palmer ha osservato che molti tedeschi si rivolgono al partito di destra AfD perché «sperimentano quotidianamente cosa significa l’immigrazione irregolare».

 

«Soprattutto i giovani arrivati ​​soli stanno cambiando l’ambiente di vita dei giovani. Nel parco, nel club, per strada, sull’autobus, alla stazione ferroviaria, nel cortile della scuola», ha detto il Palmer.

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Strano come invece la scuola tedesca sia stata particolarmente attenta, nel biennio pandemico, a far indossare a tutti gli studenti, anche quelli più piccoli, mascherine inutili e dannose, procedendo ad un vero apartheid nei confronti delle famiglie non vaccinate, con bambini sottoposti a rituali umilianti nelle ore di scuola.

 

Strano pure come la scuola tedesca venga ora approntata per il conflitto imminente con la Russia: i bambini «devono essere preparati alla guerra», ha detto pubblicamente tre mesi fa il ministro dell’Istruzione Bettina Stark-Watzinger.

 

Ad ogni modo, citare in pubblico i numeri della catastrofe migratorio-scolastica abbattutasi sulla Germania potrebbe essere rischioso.

 

Come riportato da Renovatio 21, una giovane esponente di AfD è stata condannata dal tribunale per aver semplicemente riportato i dati ufficiali governativi sul numero degli stupri commessi da gruppi immigrati.

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Immigrazione

Immigrazione, l’amministratore delegato di Ryanair: «è una truffa completa, queste persone non sono rifugiati»

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L’amministratore delegato di Ryanair, Michael O’Leary, ha affermato che il sistema di asilo è «una truffa completa» e che tali individui «non sono rifugiati» perché arrivano da Paesi sicuri e poi gettano i loro passaporti nel water.   L’O’Leary, noto per le sue uscite fumantine, ha fatto i commenti durante un’apparizione alla stazione radio Newstalk.   Al capo della popolare compagnia aerea è stato chiesto come facciano le persone ad arrivare in Irlanda con i voli Ryanair senza un’adeguata documentazione o senza essere in grado di dimostrare la propria identità.   «Sì, perché li scaricano nel WC, arrivano all’aeroporto di Dublino e li scaricano nel WC», ha risposto il CEO della celebre aerolinea irlandese.  

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O’Leary ha detto che i visitatori extracomunitari in Irlanda dovrebbero farsi fotografare i passaporti al banco di controllo delle frontiere in modo che i dettagli potessero essere inviati al governo, ma che questo era impossibile con i «migranti economici».   «Si presentano qui… è una truffa completa e questi non sono rifugiati, una delle cose che mi fa impazzire in Irlanda è che trattiamo le persone come rifugiati che provengono dal Regno Unito o dalla Francia», si è lamentato il noto manager.   «Nessuno è arrivato in Irlanda dall’Afghanistan o dal Kenya o dalla Nigeria o dalla Siria con un volo diretto perché non ce ne sono, quindi non stai fuggendo dalle persecuzioni nel Regno Unito o in Germania», ha aggiunto l’O’Leary.   «Dovremmo prenderci cura dei rifugiati, ho grande simpatia per gli ucraini, ma le persone che arrivano qui dal Regno Unito, dalla Francia o da altri Paesi dell’UE, dovremmo rimandarle indietro dicendo, qui, nei paesi dell’UE da cui provieni».   L’O’Leary ha quindi affermato che è difficile rintracciare su quale volo si trovassero i migranti o in quale posto fossero seduti «perché strappano o gettano la documentazione nei WC, e tutti loro hanno la documentazione quando salgono sul volo Ryanair dall’altro volo».   L’immigrazione ha travolto anche l’Irlanda, e la popolazione ha dato segno di tensione, come nelle rivolte a Dublino dopo che un immigrato aveva accoltellato una donna e dei bambini.   Come riportato da Renovatio 21, l’episodio aveva portato alla possibilità che il lottatore MMA Conor McGregor, critico vocale della situazione, venisse attaccato con un’indagine delle autorità per discorso d’odio. Lui ha risposto ventilando la possibilità di candidarsi a Taoiseach, cioè primo ministro del Paese.   Nel frattempo, secondo i dati diffusi in Germania dall’Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati, il 57% dei richiedenti asilo non ha documenti che dimostrino la propria identità, età o Paese di origine, una cifra del 2023 in aumento rispetto al 48% del 2018, scrive Summit News.

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Immagine di World Travel and Tourism Council via Flickr pubblicata su licenza  
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