Politica
La paura del popolo. Da Jefferson a Gheddafi
La distanza tra il genitivo soggettivo e il genitivo oggettivo può coprire quella tra la tirannide e la libertà.
Il classico esempio della pagina di grammatica latina con cui vi stiamo tediando è l’espressione metus hostis, «la paura del nemico». Se si tratta di un genitivo soggettivo, significa «la paura che il nemico ha», magari di noi. Se si tratta di un genitivo oggettivo, il significato diventa la paura che abbiamo noi del nemico. Possiamo dire in ambo i casi «la paura del nemico».
Ora, queste due righe per introdurre l’analoga espressione, di estrema importanza nell’ora presente, «paura del popolo».
«Quando il popolo ha paura del governo, c’è tirannia. Quando il governo ha paura del popolo, c’è libertà».
«Quando il popolo ha paura del governo, c’è tirannia. Quando il governo ha paura del popolo, c’è libertà».
Si fa risalire a Tommaso Jefferson (1743-1826), terzo Presidente degli Stati Uniti d’America, questo aforisma lucidissimo. Alcuni sostengono che Jefferson in realtà queste parole non le abbia mai pronunziate, proverebbero da un oscuro autore radicale di inizio Novecento. Ci sembra tuttavia che contengano bene quel fenomeno unico nel suo genere del secondo emendamento della Costituzione Americana:
«Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben organizzata milizia, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto».
In pratica, sulla carta il governo USA deve dovrebbe paura del popolo. Genitivo oggettivo: deve proprio sognarsi i cittadini e temerli. Questo semplice assetto socio-emotivo, secondo la massima dello pseudo-Jefferson, era la garanzia di libertà per i cittadini d’America.
Lo saprete, è il motivo per cui negli USA qualsiasi cittadino può scendere al negozio, o perfino al supermercato, e portarsi a casa un fucile d’assalto: l’incredibile, bizzarra, unica onestà dei Padri Fondatori degli USA li aveva portati a immaginare un governo che dovesse temere i suoi cittadini. Una milizia popolare armata, infatti, non solo doveva servire a respingere venturi attacchi da parte della Corona spagnuola e di quella di Londra: il popolo doveva essere in grado anche di cacciare un eventuale governo tirannico installatosi a Washington.
In pratica, sulla carta il governo USA dovrebbe avere paura del popolo. Genitivo oggettivo: deve proprio sognarsi i cittadini e temerli. Questo semplice assetto socio-emotivo, secondo la massima dello pseudo-Jefferson, era la garanzia di libertà per i cittadini d’America.
Impossibile, specie nell’ora presente, non vedere che viviamo nella prospettiva specularmente rovesciata: in Italia e altrove, il governo vive incutendo timore sul suo popolo. Bombarda il popolo di statistiche terroristiche, di dati di apocalisse biologica. Ha piegato l’elettore con mesi di arresti domiciliari, con ipertecnologiche Forze di Polizia (volanti, droni, elicotteri, quad, perfino robot) pronte ad intervenire in caso di sospetta passeggiata in spiaggia – e ora pensa pure di ripetere.
Viviamo in una prospettiva totalmente rovesciata: in Italia e altrove, il governo vive incutendo timore sul suo popolo. Bombarda il popolo di statistiche terroristiche, di dati di apocalisse biologica. Ha piegato l’elettore con mesi di arresti domiciliari, con le forze di polizia (volanti, droni, elicotteri, quad) pronte ad intervenire in caso di sospetta passeggiata in spiaggia – e ora pensa pure di ripetere
La paura del popolo è arrivata a prendere le forme dei raid domestici anti-cene-fra-amici, complice la delazione del vicino malefico: era la proposta sul tavolo, poi bloccata, a quanto sembra, dagli stessi vertici della Polizia di Stato, increduli dinanzi a tale progetto di governo. Questa è paura del popolo in genitivo soggettivo: la gente terrorizzata, prostrata, offesa, sfiancata, impaurita.
Ora, gli sviluppi delle ultime ore, con varie città italiane che scendono in piazza contro il nuovo lockdown softcore (pronto a diventare hardcore al prossimo DPCM in ora di digestione del pranzo domenicale), ci testimoniano che la situazione potrebbe ribaltarsi. La paura del popolo rispetto alla repressione potrebbe esaurirsi del tutto: credo sia successa una cosa del genere anche nel 1989 a Berlino, quando una sera gli abitanti della DDR presero a camminare in massa verso l’Ovest, improvvisamente incuranti dei VoPos armati e del filo spinato.
Certo, dall’altra parte, nell’establishment di coloro che si possono permettere la clausura ad oltranza, vi sono già coloro che chiedono di sparare – letteralmente – ai dimostranti. Sì, come Bava Beccaris: ecco l’assessore comunale che chiede alle Forze dell’Ordine di tirare sui napoletani in protesta; ecco il celerino che in un video sembra dire che se si avvicinano sparano; ecco il giornalista di regime che condivide il pensiero per cui «fossi in Conte, adotterei le stesse misure anticovid della Svezia e farei selezione negli ospedali come la Svizzera. Poi, mi preparerei 20 kg di popcorn e 10 casse di birra e mi godrei lo spettacolo di vedervi morire come mosche».
Pare chiaro che una porzione molto ampia dell’establishment la paura non sa proprio cosa sia
Proprio così: «20 kg di popcorn e 10 casse di birra e mi godrei lo spettacolo di vedervi morire come mosche».
Pare chiaro che una porzione molto ampia dell’establishment la paura non sa proprio cosa sia. Magari ha mille altre nevrosi, ma si sente decisamente inscalfibile rispetto a quel sentimento di ansia e terrore che l’uomo comune sa invece ancora sperimentare, in ispecie in questo momento.
Cosa abbia portato queste persone a questa impermeabilità alla paura non ci è dato sapere del tutto: lo stare troppo davanti al PC? I Social Media? La magistratura amica? La rendita di posizione foraggiata dallo Stato? L’infantilismo? La chiusura mentale? La mancanza di empatia? La morte della morale cristiana e l’avvento di un nichilismo disperato? Il quoziente intellettivo? La democrazia parlamentare?
Non lo sappiamo.
«Nonostante io ami la comunità come io amo mio padre, la temo come temo lui (…) Così io amo le masse e le temo proprio come amo e temo il mio stesso padre. Nel momento della gioia, di quanta devozione esse sono capaci! E come abbracciano alcuni dei loro figli! (…) e quanta crudeltà hanno poi dimostrato nel momento dell’ira!»
Tuttavia, a costoro, ricordiamo le parole immortali, e ben più sagge di quelle dello pseudo-Jefferson.
«Quanto amo la libertà collettiva, la sua esplosione incontrollata dopo aver spezzato le proprie catene, mentre canta e salmodia dopo essersi lamentata e aver a lungo sospirato: eppure io la temo e sono diffidente nei suoi riguardi! Nonostante io ami la comunità come io amo mio padre, la temo come temo lui (…) Così io amo le masse e le temo proprio come amo e temo il mio stesso padre. Nel momento della gioia, di quanta devozione esse sono capaci! E come abbracciano alcuni dei loro figli! Hanno sostenuto Annibale, Pericle, Savonarola, Danton, Robespierre, Mussolini, Nixon e quanta crudeltà hanno poi dimostrato nel momento dell’ira!»
Si tratta delle parole – bellissime – scritte da Gheddafi al principio di un suo libro di novelle pubblicato anche in Italia, Fuga all’Inferno.
Il governo è padre del popolo, ma il Padre del governo è il popolo
Mu’ammar Gheddafi (1942-2011), sedicente realizzatore della «democrazia diretta» (ve la ricordate? Vi ricordate Grillo e il M5S?) che lui chiamò Jamahiriya, scrisse questa tragica e lucidissima auto-profezia. L’inferno, il tiranno Gheddafi lo trovò davvero. Le masse, che per decenni lo avevano temuto come un padre, ad un certo punto non ebbero più paura di lui. Magari eran armate e sobillate da poteri stranieri , ma si trattava proprio di quel popolo di cui avere paura come del proprio padre.
Il governo è padre del popolo, ma il Padre del governo è il popolo. Un abisso edipico chirale, il cui paradosso Gheddafi pagò con la vita. Il popolo-padre lo trovò nel deserto e lo ammazzò come un cane, e scactenando quel caos libico che ancora non si è riassorbito.
Un monito per chiunque, specie per coloro che si riempiono la bocca della parola «democrazia». Lo Stato deve tornare a capire che può continuare ad esistere solo in un equilibrio di rispetto e timore: ciò che sta fuori da esso è propriamente tirannide.
Lo Stato deve aver paura del suo popolo. Ripristiniamo questa legge del cosmo, prima che divampi il caos
Lo Stato deve aver paura del suo popolo. Ripristiniamo questa legge del cosmo, prima che divampi il caos.
Roberto Dal Bosco
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Politica
Trump: Zelens’kyj deve indire le elezioni
Il presidente statunitense Donald Trump ha invitato l’Ucraina a convocare elezioni, mettendo in dubbio le autentiche prerogative democratiche del Paese in un’intervista a Politico diffusa martedì.
Trump ha lanciato una nuova provocazione a Volodymyr Zelens’kyj, il cui quinquennio presidenziale è terminato a maggio 2024, ma che ha declinato di indire consultazioni elettorali presidenziali, invocando la legislazione di emergenza bellica.
Lo Zelens’kyj era stato scelto alle urne nel 2019 e, a dicembre 2023, ha annunciato che Kiev non avrebbe proceduto a elezioni presidenziali o legislative fintantoché perdurasse lo stato di guerra. Tale regime è stato decretato in seguito all’acutizzazione dello scontro con la Russia a febbraio 2022 e, da allora, è stato prorogato più volte dall’assemblea nazionale.
Trump ha dichiarato a Politico che la capitale ucraina non può più addurre il perdurante conflitto come pretesto per rinviare il suffragio. «Non si tengono elezioni da molto tempo», ha dichiarato Trump. «Sai, parlano di democrazia, ma poi si arriva a un punto in cui non è più una democrazia».
Rispondendo a un quesito esplicito sull’opportunità di un voto in Ucraina, Trump ha replicato «è il momento» e ha insistito che si tratta di «un momento importante per indire le elezioni», precisando che, pur «stiano usando la guerra per non indire le elezioni», gli ucraini «dovrebbero avere questa scelta».
Come riportato da Renovatio 21, il presidente della Federazione Russa Vladimiro Putin ha spesse volte dichiarato di considerare illegittimo il governo di Kiev, sostenendo quindi per cui firmare un accordo di pace con esso non avrebbe vera validità.
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Politica
Tentativo di colpo di Stato in Benin
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— Gouvernement du Bénin 🇧🇯 (@gouvbenin) December 7, 2025
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Politica
Studenti polacchi pestano i compagni di classe ucraini
Alcuni studenti polacchi di un istituto tecnico di Słupsk, nel nord della Polonia, hanno aggredito e picchiato diversi compagni ucraini dopo che un docente li aveva apostrofati come «feccia», ha riferito martedì il portale Onet.
L’episodio si è verificato in una scuola professionale dove sono iscritti numerosi adolescenti ucraini in corsi di formazione. L’avvocato Dawid Dehnert, contattato dai familiari delle vittime, ha citato una registrazione in cui l’insegnante avrebbe definito gli ucraini «feccia» e li avrebbe minacciati di farli bocciare «perché vi farò vedere cosa significa essere polacchi».
I genitori dei ragazzi aggrediti hanno raccontato ai media che uno studente polacco era solito riprodurre in aula il rumore di bombe e razzi, rivolgendosi ai compagni ucraini con frasi come «è ora di nascondervi», senza che il docente intervenisse. «L’atteggiamento del professore ha non solo danneggiato gli studenti ucraini, ma ha anche incoraggiato e tollerato atteggiamenti xenofobi negli altri», ha commentato Dehnert.
Brutalny atak na Ukraińców w Słupsku?
Świadkowie relacjonują, że 17.11.2025 r. w pobliżu szkoły „Budowlanka” kilku starszych chłopaków miało brutalnie pobić ukraińskich nastolatków, krzycząc w ich kierunku obraźliwe hasła. Atak przerwała dopiero kobieta wzywająca policję #słupsk pic.twitter.com/GigFwc4tYv
— Aktualny Spotted Słupsk (@ASpottedSlupsk) November 30, 2025
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La situazione è precipitata al termine delle lezioni, quando i giovani ucraini sono stati assaliti fuori dall’edificio da coetanei polacchi più grandi. «Uno degli aggressori ha prima sputato in faccia a un ragazzo ucraino gridando “in testa, puttana ucraina” e poi lo ha colpito con pugni», ha riferito l’avvocato.
A seguito del pestaggio, un sedicenne ucraino ha riportato la frattura della clavicola e un altro una sospetta commozione cerebrale. Un video circolato sui social riprende parzialmente la rissa, mostrando tre studenti che infieriscono su uno di loro fino a scaraventarlo a terra.
L’aggressione si è interrotta solo quando una passante ha minacciato di chiamare la polizia. Una madre ha dichiarato a Onet di essersi recata immediatamente alla stazione più vicina per denunciare i fatti, ma di essere stata respinta perché «non c’era nessun agente disponibile» e di aver potuto formalizzare la querela solo il giorno successivo.
L’episodio si colloca in un contesto in cui la Polonia resta una delle principali mete UE per gli ucraini in fuga dal conflitto: secondo Statista, quasi un milione di cittadini ucraini risultano registrati nel Paese sotto regime di protezione temporanea.
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Immagine screenshot da Twitter
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