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Famiglia

La pandemia come distruzione della legge naturale

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Riceviamo una lettera da un lettore, che ci racconta l’esperienza sua e della sua famiglia con il COVID.

 

«Mia mamma ha cominciato a star male poco oltre la metà dicembre. Ho comperato i test domestici, di diversa marca. Negativi. Al terzo giorno, vedendo che la situazione peggiorava e che l’andamento della malattia non assomigliava all’influenza, l’ho portata a fare il tampone. Positiva».

 

Il lettore, ci fa sapere, non vive con la madre. Sta in un altro comune con moglie e figli piccoli.

Vogliamo andare più a fondo, e dire quello che rappresenta quindi la pandemia: essa è il più potente attacco mai visto alla legge naturale

 

«Pur sapendo come stanno le cose, abbiamo fatto le cose come credevamo andassero fatte per avere meno problemi possibili. Abbiamo chiamato il medico».

 

Non è stata una decisione priva di conseguenze.

 

«Il medico della mutua non ci ha praticamente mai visti, anche se da mesi ha preso il posto di quello che avevamo prima. Mia mamma lo ha visto una volta mesi fa, ovviamente la prima domanda era se fosse vaccinata, perché se non lo era avrebbe dovuto correre a casa a prenotare immediatamente la dose».

 

Questo dottore, ci dice, non concepiva nemmeno l’idea che le scelte mediche potessero essere discutibili. La cosa, tuttavia, si è estesa ben oltre la questione della salute.

 

«Mi resi conto che fino a quel momento non avevo mai capito veramente cosa significasse l’espressione “tirannia sanitaria”. Vuol dire che i medici hanno il potere. Hanno un potere autocratico, dispotico, che, come la tirannide, come ogni sistema non-democratico, non ammette repliche, non ammette partecipazione, o anche solo interlocuzione»

«Mia madre stava molto male. Stava a letto, incapace di alzarsi, incapace di parlare, perfino di aprire gli occhi. Sembrava gonfia, disperata. Il medico si fece dire al telefono – perché mai gli è saltato in mente di venire a visitare a domicilio – temperatura e ossigenazione. Non prescrisse nulla, subito. Però ad un certo punto chiese a mia madre chi c’era in stanza con lei. Lei, raccogliendo le forze, rispose con sincerità: c’è mio figlio che mi aiuta».

 

«Bene – disse il medico – da questo momento è in quarantena anche lui. Deve isolarsi. Non dovete vedervi per nessuna ragione. Se lui le prepara da mangiare, deve lasciarle il cibo fuori dalla porta della camera, lo stesso con i farmaci. Dovete vivere in stanze differenti. Non dovete avere contatti. Non dovete vedervi».

 

Il dottore si era fatto dare il nome e il cognome del lettore, presumibilmente segnandolo poi poi su un database.

 

«La prima sensazione, messa giù la telefonata, è stata di rabbia: ma come è possibile? Non mi ha nemmeno parlato. Cosa ne sapeva lui se, pur in casa con lei, ero stato in contatto con mia madre? Come poteva prendere una simile decisione senza sapere chi ero, cosa facevo? Come poteva cancellare con un click giorni e giorni di lavoro che avevo davanti? Come poteva mettermi, di fatto, agli arresti domiciliari? Come poteva privarmi della libertà? Con quali poteri? Con quale diritto? E i miei diritti?»

 

«Poi arrivò l’amarezza. Dieci giorni di quarantena significavano la cancellazione delle feste. Non avrei fatto il Natale come i miei figli. Non sarei stato con loro nemmeno a Santo Stefano, forse nemmeno a capodanno. Nel cuore cominciai a sentire un peso tremendo. Avrei passato il periodo più santo e più intimo dell’anno lontano dalla mia famiglia, per la decisione di un medico».

 

«Quando sono tornato a casa, ho trovato la cosa tremenda che mi aspettavo: i miei figli erano cresciuti. Nel mese in cui sono stato consegnato agli arresti domiciliari pandemici erano ovviamente diventati più grandi, con il ritmo con cui lo fanno i bambini piccoli: vertiginoso. Ho provato ancora rabbia, e vergogna. Come è possibile che ci si possa infliggere una cosa così?»

«Poi ancora, subentrò la razionalità: pensai, questo medico, che non mi ha mai visto, che non mi ha mai parlato, mi ha chiuso in casa con una persona positiva. Dal suo punto di vista, potrebbe avermi condannato a prendere il virus. Anche se ha deciso perfino in quale stanza della casa devo stare, la sua decisione, presa con automatica leggerezza, potrebbe aver sortito l’effetto opposto di quello desiderato: il contagio. Forse mi sbaglio, ma non perché egli desiderasse che mi contagiassi: sbaglio perché immagino che gli importi qualcosa di me, che possa dare la precedenza al suo paziente invece che alle “linee guida” emanate dal ministero».

 

Di fatto, ci racconta il lettore, il virus ha colpito anche lui. I giorni senza famiglia sono diventati praticamente 20. È «uscito» con tampone negativo dopo la Befana: un’altra festa fatta senza i figli.

 

«Quando sono tornato a casa, ho trovato la cosa tremenda che mi aspettavo: i miei figli erano cresciuti. Nel mese in cui sono stato consegnato agli arresti domiciliari pandemici erano ovviamente diventati più grandi, con il ritmo con cui lo fanno i bambini piccoli: vertiginoso. Ho provato ancora rabbia, e vergogna. Come è possibile che ci si possa infliggere una cosa così?»

 

La madre, ci racconta, fortunatamente, grazie alle cure giuste, è uscita prima di lui dalla malattia.

 

«Il giorno del suo tampone negativo chiamai  il medico della mutua per dirgli che era guarita. Se voleva, dissi, gliela avrei passato. Lui urlò: no! Dovete stare in stanze separate! Io non capivo, mia madre era guarita, aveva quindi gli anticorpi, certamente dello stesso virus che avevo, in forma sempre più calante, io. Eppure, dava ancora ordini, ancora aveva il potere di dirci come vivere, addirittura in quale stanza stare. È pazzesco».

 

«Mi resi conto che fino a quel momento non avevo mai capito veramente cosa significasse l’espressione “tirannia sanitaria”. Vuol dire che i medici hanno il potere. Hanno un potere autocratico, dispotico, che, come la tirannide, come ogni sistema non-democratico, non ammette repliche, non ammette partecipazione, o anche solo interlocuzione: il medico ci chiamava sempre da un “numero sconosciuto”, così che non avessimo modo di telefonargli. Ci aveva detto che se proprio volevano parlargli, dovevamo chiamare negli orari dell’ambulatorio, che sono qualche mattina e qualche pomeriggio della settimana, no festivi e no prefestivi».

 

«No, l’espressione “dittatura sanitaria” la usano un po’ tutti, un po’ ovunque, ma non so quanti l’abbiano capita: in questo momento un medico può davvero privarti la libertà, senza processo, senza guardarti in faccia, senza che tu abbia nemmeno il diritto di replicare»

«No, l’espressione “dittatura sanitaria” la usano un po’ tutti, un po’ ovunque, ma non so quanti l’abbiano capita: in questo momento un medico può davvero privarti la libertà, senza processo, senza guardarti in faccia, senza che tu abbia nemmeno il diritto di replicare. La tirannia medica è qualcosa di reale, che investe le nostre vite nel concreto. Qualcosa che ha distrutto il mio Natale. Qualcosa che ha fatto crescere i miei figli lontano da me».

 

«Tuttavia, ora che stiamo tutti meglio, mi pongo questa domanda, che mi ha spinto a scrivervi: se non avessi curato io mia madre, con il mio corpo e la mia presenza, disobbedendo ovviamente al protocollo tachipirina e vigile attesa, chi lo avrebbe fatto? Quando non riusciva ad alzarsi, chi l’avrebbe portata in bagno? Quando non riusciva nemmeno a respirare, chi avrebbe  fatto da mangiare? Quando non riusciva nemmeno a parlare, chi l’avrebbe imboccata? Quando non riusciva nemmeno a rimanere sveglia, le avrebbe fatto le punture di eparina? Quando non sapeva nemmeno tenere in mano la cornetta del telefono, chi avrebbe organizzato le cure? Chi le avrebbe misurato la febbre? Chi le avrebbe infilato sul dito il saturimetro?  Chi le sarebbe stato vicino in quello che potenzialmente era il momento più fatale della sua vita?»

 

«La risposta è: suo figlio. Il parente più stretto che le è rimasto, carne della sua carne. Io non ho nemmeno dovuto pensarci, ed è stato tremendo capire che per molte persone non è così: mia mamma ha il coronavirus, io sto con lei a curarla fino alla fine, ma scherziamo, quali alternative ho? Per questo penso ogni giorno agli ordini del medico ministeriale: come poteva ordinarmi di stare lontano da mia madre? Come poteva impedirmi di curarla? Come poteva impedire l’amore filiale?».

Nel diritto positivo pandemico, e nei suoi servi sentimentali, noterete come non ci via più uno straccio di umanità. La trattoria appende un cartello che sa di nazismo. I chirurghi lasciano i malati senza cure. Il reparto cure palliative non consente a chi muore di farlo stringendo la mano alla prole

 

La lunga lettera di questo lettore apre una questione immensa.

 

Di fatto, le domande che si pone se le stanno facendo a tutte le latitudini.

 

L’altro giorno la giornalista della testata americana The Hill, la bella Kim Iversen, ha confessato in diretta che era in quarantena a curare un parente. Si è sentita come tantissimi: abbandonata. Nemmeno in USA ci sono linee guida su farmaci e terapie, e anche laggiù la raccomandazione – anche per chi ha già avuto il COVID – è di stare lontani dai contagiati, quindi i famigliari devono stare in stanze diverse. La Iversen schiuma di rabbia, e comincia a parlare di «crimine contro l’umanità» di Fauci e compagni.

 

Il termine «crimine contro l’umanità» è piuttosto adatto: perché quello che vediamo trasformata qui è l’umanità stessa delle persone, l’essenza dell’essere umani. È disumano che un figlio non possa, a costo della sua salute, curare la madre. È disumana la separazione introdotta tra persone – madri e figli, padri e figli, mariti e mogli, fratelli e sorelle – che esistono per servirsi a vicenda, per sacrificarsi l’uno per l’altro.

 

L’umanità – la maternità, la paternità, l’essere figli – è deformata, è divenuta irriconoscibile – per legge.

E invece, come scritto in un articolo di qualche giorno fa, abbiamo madri che, per paura del contagio, richiudono i figli nel capanno degli attrezzi o nel bagagliaio dell’auto: stanno seguendo anche loro, come i medici, le «linee guida». E non è uno scherzo: la signora texana che aveva chiuso il figlio positivo nel vano posteriore è stata infatti prosciolta dal giudice.

 

L’umanità – la maternità, la paternità, l’essere figli – è deformata, è divenuta irriconoscibile – per legge.

 

Vogliamo andare più a fondo, e dire quello che rappresenta quindi la pandemia: essa è il più potente attacco mai visto alla legge naturale.

 

L’idea per cui nella natura, e nel cuore degli uomini, siano scritte le leggi morali dell’universo è stata devastata dal potere pandemico. Ciò che è giusto non è più ciò che sembra sensato, ciò che ci è stato tramandato come giusto, naturalmente giusto: ciò che giusto è ciò che decide il CTS

L’idea per cui nella natura, e nel cuore degli uomini, siano scritte le leggi morali dell’universo è stata devastata dal potere pandemico. Ciò che è giusto non è più ciò che sembra sensato, ciò che ci è stato tramandato come giusto, naturalmente giusto: ciò che giusto è ciò che decide il CTS.

 

Il diritto naturale viene spazzato via dal diritto positivo pandemico, che è una sorta di «diritto sentimentale»: facciamo così perché è giusto fare così, perché la pandemia è così, ci sentiamo di fare così, e non ci importa delle leggi.

 

Così, senza badare a Costituzioni e leggi – nemmeno quelle illiberali ed anticostituzionali sfornate ogni settimana dal governo pandemico – ognuno agisce secondo il «sentimento pandemico»: il ristorante piazza fuori il cartello «Ingresso riservato ai soli vaccinati», l’ospedale rifiuta di operare i non vaccinati, l’hospice pretende che chi vuole andare a dire addio al genitore morente debba essere tassativamente vaccinato con tre dosi.

 

Nel diritto positivo pandemico, e nei suoi servi sentimentali, noterete come non ci via più uno straccio di umanità. La trattoria appende un cartello che sa di nazismo. I chirurghi lasciano i malati senza cure. Il reparto cure palliative non consente a chi muore di farlo stringendo la mano alla prole.

 

È crudele, è spietato, è incredibile. È immotivato, viene da dire. È impensabile. Come si può essere arrivati a tanta violenza? Antigone è morta e sepolta. Creonte, con la FFP2, regna incontrastato – su pile di cadaveri e masse di emarginati sempre più disperati.

 

Distruggere la famiglia è sempre stato il desiderio delle forze oscure. Perché senza famiglia  c’è perdizione, e disperazione – quante persone sole lo sanno. Senza famiglia, soprattutto, non c’è riproduzione umana – non c’è continuazione sulla terra dell’Imago Dei.

La legge naturale è infranta. E quindi, non stupiamoci se viene meno la famiglia, uno dei veri obbiettivi di questa guerra.

 

La famiglia è così connessa alla legge naturale che la principale religione mondiale – e con essa tantissime altre religioni minori – basa la divinità su di essa. Da una famiglia procede il sacro. Millenni di tentativi, ma nessuno, nonostante tutto, era riuscito a scalfire la forma primaria di associazione umana.

 

Il potere pandemico, invece, ci è riuscito. L’integrità famigliare è stata disintegrata: dalle leggi australiane per togliere i bambini ai genitori che non seguono le linee guida sanitarie del governo ai recenti  sondaggi USA dove «il 29% degli elettori democratici sosterrebbe la rimozione temporanea della custodia dei figli da parte dei genitori se i genitori si rifiutano di fare il vaccino contro il COVID-19», è chiarissimo che tra il COVID e la famiglia, per lo Stato, e per lo strato di volonterosi carnefici che lo sostengono, il COVID vincerà sempre.

 

Distruggere la famiglia è sempre stato il desiderio delle forze oscure. Perché senza famiglia  c’è perdizione, e disperazione – quante persone sole lo sanno. Senza famiglia, soprattutto, non c’è riproduzione umana – non c’è continuazione sulla terra dell’Imago Dei.

 

Senza famiglia, i (pochi) bambini sono in balia di qualsiasi cosa: senza un padre, senza una madre a proteggerli, possono essere vittima di qualsiasi predatore.

 

La famiglia è stata abolita dal virus e dalle sue leggi. Non è un’iperbole: è la realtà delle storie che ci raccontano ogni giorno, delle storie che stanno avvenendo in tutto il mondo in questo stesso momento

Senza famiglia, ciascuno diventa manipolabile: perché alla famiglia si sostituisce, come volevano fare Sparta e l’Unione Sovietica (entrambe, fallendo) un’altra istituzione, il Partito, l’Esercito, l’azienda, la squadra di calcio, la marca del telefonino, qualsiasi cosa pur di dare all’uomo un senso di appartenenza.

 

Senza famiglia, la civiltà collassa. Alla catastrofe di Roma antica, degradata da decadenza libertina e invasa dai barbari, sopravvisse solo quella società di uomini che onoravano il senso della famiglia: i cristiani.

 

Quindi, se siete di quelli che pensavano che il matrimonio gay fosse il definitivo attacco al concetto di famiglia, se pensavate che il gender e l’aborto fossero bombe atomiche in grado di provocare una mutazione antropologica disperante, ripetendo il mantra «ma-dove-andremo-a-finire» strappandovi i capelli cattolici rimastivi, beh, non avevate visto niente, avevate capito ancora meno.

 

La famiglia è stata abolita dal virus e dalle sue leggi. Non è un’iperbole: è la realtà delle storie che ci raccontano ogni giorno, delle storie che stanno avvenendo in tutto il mondo in questo stesso momento.

 

Madri separate dai figli. Quante sono morte perché i figli hanno obbedito al tiranno, e le hanno chiuse in stanza, o lasciate in un’altra casa?

 

Quanti anziani hanno visto la loro malattia accelerata fino alla morte, oltre che da questo virus che aderisce così bene alle cellule umane, anche dal crepacuore?

 

La legge naturale è stata distrutta dal COVID: e sappiamo bene cosa stanno mettendo al suo posto – la Cultura della Morte. Cioè la legge della degradazione permanente dell’essere umano, dell’annichilimento della sua dignità

Quante famiglie sono ferite, spazzate via? Il pensiero non può che andare a Bergamo 2020, dove, ci è stato detto, tanti morti sono stati cremati per direttissima. Persone che vengono bruciate, incenerite, senza che i loro famigliari possano dire qualcosa. Senza, soprattutto, che abbiano potuto stringere quelle mani prima che si spegnessero – e venissero date alle fiamme.

 

La legge naturale è, secondo il pensiero giusnaturalista, quella che ci è stata consegnata da Dio stesso. È ovvio che chi odia Dio, odia il creato – e odia la famiglia, che vuole mettere al rogo.

 

La legge naturale è stata distrutta dal COVID: e sappiamo bene cosa stanno mettendo al suo posto – la Cultura della Morte. Cioè la legge della degradazione permanente dell’essere umano, dell’annichilimento della sua dignità.

 

La legge per cui l’uomo va umiliato e ucciso, preferibilmente in grandi numeri, la legge per cui l’uomo va privato della sua umanità.

 

Questa è la battaglia primaria da fare: quella contro la Necrocultura. Perché, se perderemo, dovremo dire addio non solo alla libertà. Dovremo dire addio ai nostri figli. Dovremo dire addio ai nostri genitori. Dovremo dire addio all’amore e al sacrificio, al collante fondamentale delle comunità umane.

Questa è la battaglia primaria da fare: quella contro la Necrocultura.

 

Perché, se perderemo, dovremo dire addio non solo alla libertà. Dovremo dire addio ai nostri figli. Dovremo dire addio ai nostri genitori. Dovremo dire addio all’amore e al sacrificio, al collante fondamentale delle comunità umane.

 

Dovremo dire addio all’umanità.

 

Perché la pandemia questo è: la distruzione delle cose umane, la disumanizzazione dell’universo.

 

La distruzione della legge naturale.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

 

 

 

 

Famiglia

Finte nozze tra una sposa bambina a Euro Disneyland: arresti e indagini

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Due persone sono state interrogate dalla polizia francese dopo che il personale di DisneyLand Paris ha espresso preoccupazione per una presunta finta cerimonia nuziale, a cui avrebbe preso parte una bambina ucraina di nove anni.

 

L’incidente è stato riportato per la prima volta dal giornale parigino Le Parisien, secondo cui un uomo aveva affittato il complesso di Disneyland Paris diverse settimane prima per un evento privato del costo di 130.000 euro.

 

La prenotazione era stata programmata al di fuori degli orari di apertura del parco e la cerimonia, presumibilmente, si sarebbe svolta sabato mattina presto.

 

Secondo quanto riferito, il personale e la sicurezza hanno dato l’allarme quando hanno notato che una ragazza vestita da sposa sembrava essere minorenne. Dopo l’intervento della polizia sul posto, la procura di Meaux ha dichiarato che il «matrimonio» era una messa in scena.

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«Quindi non si è trattato di un matrimonio, ma di una messa in scena filmata con un centinaio di comparse. Hanno privatizzato Disneyland Paris, fingendo che fosse un vero matrimonio», ha detto il magistrato all’AFP.

 

Quattro persone sono state inizialmente arrestate dalla polizia, mentre due sono rimaste sotto interrogatorio domenica con l’accusa di frode e riciclaggio di denaro. Tra loro c’era un ventiduenne, presumibilmente britannico, che si sarebbe spacciato per lo sposo e avrebbe organizzato l’evento, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa AFP. Anche una ventiquattrenne lettone è stata interrogata.

 

«Le indagini, compreso l’esame medico della minorenne, cittadina ucraina, hanno rivelato che non era stata sottoposta ad alcuna violenza o atto coercitivo e che l’evento si è rivelato una montatura, con gli invitati stessi come comparse», ha affermato la procura di Meaux in una nota.

 

Secondo quanto riferito, la madre 41enne della bambina e un uomo lettone di 55 anni sono stati rilasciati dopo essere stati interrogati.

 

Una delle comparse assunte per presenziare a quello che credeva essere un vero matrimonio ha dichiarato alla radio France Inter: «ho visto il panico dei ragazzi della Disney, poi, attraverso la finestra, ho visto una bambina con un abito da sposa. Una donna la teneva in braccio ed è stato allora che ho capito che la bambina era davvero piccola», ha riportato il Guardian, citando l’emittente francese.

 

Disneyland Paris ha comunicato alla stazione: «un evento privato prenotato presso la nostra destinazione è stato immediatamente annullato dal nostro personale dopo aver riscontrato delle irregolarità. La polizia è stata chiamata ed è intervenuta rapidamente».

 

Il motivo per cui è stato organizzato il finto matrimonio e l’esatto ruolo della bambina nell’evento rimangono poco chiari. Il parco ha dichiarato di collaborare con le autorità e di aver presentato una propria denuncia.

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Immagine di flightlohg via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Famiglia

Lettera del Superiore Generale FSSPX agli amici e benefattori

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Renovatio 21 pubblica la lettera n.94 del Superiore Generale della Fraternità San Pio X (FSSPX) don Davide Pagliarano agli amici e benefattori, apparsa su FSSPX.News.  

Il ruolo del padre nel favorire le vocazioni.

Cari fedeli e, in particolare, cari padri di famiglia,   Come sapete, abbiamo voluto dedicare questo Anno Santo alle preghiere e agli sforzi necessari per implorare dal cielo la grazia delle vocazioni. E non si può parlare della nascita di una vocazione senza evocare il ruolo della famiglia.   Nostro Signore stesso, sacerdote per eccellenza fin dal momento dell’incarnazione, ha voluto crescere in una famiglia per santificarla in un modo particolare ed esemplare. Va da sé che l’esempio delle virtù domestiche è, in un certo senso, il primo seminario e noviziato di ogni anima che Dio chiama al suo servizio.

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Vorremmo dedicare queste brevi riflessioni al ruolo più specifico del padre di famiglia. Nel mondo moderno, tutto contribuisce a distruggere la sua autorità; ma ancor più oggi, sono la sua responsabilità e la sua missione a essere sempre più distorte a causa di ciò che potremmo definire, in parole povere, il «wokismo» contemporaneo. Oggi, uomini e donne, mariti e mogli, sembrano avere ruoli identici e responsabilità equivalenti: questo crea una confusione totale e un’atmosfera corrotta.   Le prime vittime di questa terribile confusione sono coloro che dovrebbero essere educati a diventare adulti e ad assumere un giorno, a loro volta, responsabilità. Anche in questo caso, solo il Vangelo può ristabilire l’ordine che la modernità ha distrutto.  

Il punto di partenza

Quali consigli possiamo quindi dare a un padre che vuole educare bene i suoi figli e, se è volontà di Dio, far sbocciare una o più vocazioni nella sua famiglia? Innanzitutto, non si tratta semplicemente di fare questo o quello, o di evitare questo o quello. Si tratta innanzitutto di vivere abitualmente in uno spirito di fede e di carità, perché la vocazione è una risposta alla chiamata di Dio, che presuppone una prospettiva soprannaturale e, allo stesso tempo, una generosità senza limiti per dare tutto ciò che siamo a Dio. Da queste disposizioni abituali scaturiranno naturalmente atti e comportamenti corrispondenti.   San Paolo ci fornisce la chiave per capire da dove cominciare. È dovere del marito amare la sposa con lo stesso amore che nostro Signore ha mostrato verso la sua Chiesa: «Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato sé stesso per lei, per santificarla, dopo averla purificata con il battesimo d’acqua mediante la parola di vita, e presentarla a sé stesso come una Chiesa gloriosa, senza macchia né ruga o altro, ma santa e immacolata» (Ef 5,25-27).   Va da sé che l’amore per la propria sposa ha un impatto diretto anche sui figli. Innanzitutto osservando come il padre ama e tratta la madre, un adolescente scopre – molto più di quanto possiamo immaginare – quale sia l’immagine della generosità e dell’amore di Nostro Signore sulla terra. Se un giorno Dio lo chiamerà al suo servizio, egli stesso dovrà essere, in modo ancora più grande e a un titolo differente, l’immagine dello stesso amore e della stessa autorità. Cerchiamo allora di cogliere cosa significhi l’amore del padre in relazione alla sposa e a Dio.   Il vero amore, che è alla base del grande ideale che Nostro Signore comunica a ogni padre, può essere ricondotto a tre atti fondamentali, ai quali tutti gli altri possono essere assimilati. Innanzitutto, l’amore presuppone che si conosca a fondo la persona amata: la si vede, la si contempla, la si ammira. In secondo luogo, l’amore condiziona completamente il modo in cui trattiamo la persona amata: suscita un profondo rispetto, proporzionato al grado di amore. Infine, il vero amore ci porta ad agire con assoluta dedizione e spirito di servizio.  
 

Ammirazione

Innanzitutto, il marito deve ammirare la sposa come colei che Dio ha voluto e scelto per lui, per essere la madre dei suoi figli e l’aiuto unico e insostituibile per sostenerlo, sia nella sua missione di capo famiglia che nella santificazione della sua anima. La moglie è vista e ammirata innanzitutto come un dono di Dio, dotata delle qualità che le permettono di svolgere la sua missione di sposa e madre al suo fianco.   Così, attraverso di lei, l’ammirazione del marito si estende naturalmente al piano di Dio per la famiglia, alle leggi divine e infine a Dio stesso e alla sua saggezza. Questa prospettiva trascendente deve essere approfondita sempre di più con il passare degli anni.   Nulla lascia un’impronta più profonda nell’anima di un bambino o di un adolescente che crescere con questo esempio davanti agli occhi: lo aiuta a diventare sempre più consapevole del posto che occupa nel piano di Dio, umile e dipendente, e a capire che è comunque chiamato da Dio a grandi cose, proprio in ragione di questa dipendenza.   Certamente questa dimensione di ammirazione deve essere comunicata al bambino non solo in ambito naturale, in relazione alla grandezza e alla perfezione delle leggi della creazione, ma soprattutto in tutto ciò che riguarda i misteri di Dio e della religione. Tocchiamo qui direttamente il frutto della grazia sacramentale del matrimonio, che conferisce al matrimonio cristiano una dimensione del tutto superiore al matrimonio puramente naturale.   Molto spesso i misteri di Dio e i doveri della religione diventano stantii, perché sono vissuti in modo ripetitivo e passivo, senza alcuno sforzo di penetrazione da parte del padre. Non deve sorprendere che la stessa passività e mancanza di entusiasmo si riscontrino poi nei figli. La mancanza di ammirazione ci impedisce di avere un vero ideale e di essere in grado di comunicarlo. Ciò che dovrebbe essere un ideale diventa allora qualcosa di astratto, un’altra nozione da imparare e memorizzare, ma senza la capacità di metterci il cuore, occupato altrove.   Un padre che conosce e vive le verità della fede, che parla ai suoi figli del catechismo, dell’esempio dei santi, dell’amore di Nostro Signore, alimenta costantemente in sé e intorno a sé l’ideale a cui tutto deve essere ricondotto. In questo modo, troverà facilmente argomenti di conversazione sempre interessanti e aiuterà i suoi figli a sfuggire alle onnipresenti insidie della banalità e della volgarità.   Ma ancora una volta, è estremamente suggestivo vedere come, a una sposa cristianamente ammirata, corrisponda un Dio ricercato e contemplato: non c’è nulla di più efficace per la formazione morale di un adolescente che vedere questi due atti d’amore completarsi armoniosamente nella persona del padre.

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Rispetto

In secondo luogo, il vero amore genera rispetto. Un figlio rispetterà sua madre se vedrà suo padre fare lo stesso. Questo rispetto da parte del padre permea tutti i suoi rapporti con la moglie, il modo in cui le parla, parla di lei, la considera e la tratta. Non si tratta di una questione puramente e semplicemente di buone maniere o di una sorta di educazione coniugale puramente formale.   È piuttosto l’espressione esterna di un amore profondo che condiziona spontaneamente ogni relazione. È evidente che questo profondo rispetto trova il suo fondamento e la sua massima espressione nella purezza. È impossibile amare la propria sposa come Nostro Signore ha amato la sua Chiesa se innanzitutto non lo si fa nella purezza. Non c’è nulla come questa virtù che renda sana la vita matrimoniale e manifesti infallibilmente il rispetto dovuto al coniuge. Essa condiziona il linguaggio e gli atteggiamenti quotidiani; spinge il padre a vigilare per tenere fuori dalla casa tutto ciò che potrebbe in qualche modo offuscare quest’atmosfera di rispetto e purezza.   Tutto questo, ovviamente, deve essere a maggior ragione alla base del rapporto della famiglia con tutto ciò che è sacro: la legge di Dio, le sue esigenze, i doveri che ne derivano e soprattutto il rapporto con le persone consacrate. Non c’è nulla di più efficace per distruggere le vocazioni future della mancanza di rispetto per le cose e le persone sacre. La Rivoluzione ha sempre cercato di screditare la Chiesa e di ridicolizzare i suoi misteri sfruttando al massimo le mancanze dei suoi membri. È una tattica che purtroppo funziona ancora.   Deve la sua efficacia a questa diabolica e accattivante associazione tra il sacro e ciò che è riprovevole negli esseri umani. Non dobbiamo cedere a questa tentazione, scivolando in uno spirito di critica che causerà ferite nascoste ma irreparabili nei figli. Queste ferite alimenteranno l’indifferenza o la diffidenza.   Mantenere il rispetto per tutto ciò che è sacro – persone e cose – non significa giustificare le debolezze e le disfunzioni. Significa semplicemente amare la Chiesa come la ama Nostro Signore: per ciò che è e per ciò che in lei continua a santificare e salvare le anime, nonostante i difetti inevitabili dei suoi membri e nonostante gli sforzi dei suoi nemici per ostacolare la sua opera. Questo punto è estremamente importante e delicato: su di esso un padre deve sempre vigilare ed esaminare se stesso.   Naturalmente, rispettare tutto ciò che è sacro non significa semplicemente astenersi dal criticarlo o disprezzarlo; per un padre, significa mostrare positivamente un’obbedienza incondizionata, gioiosa e sincera alle leggi di Dio e della Chiesa, eco fedele di Nostro Signore che obbedisce al Padre sempre e in tutto. Inoltre, non si tratta solo di dare l’esempio, ma di guidare paternamente gli altri membri della famiglia all’obbedienza.   La sua autorità gli è affidata a questo scopo: far rispettare l’ordine sacro stabilito da Dio, con dolce intransigenza, sapendo che così facendo sarà all’altezza della missione che gli è stata affidata.

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Dedizione

Infine, il vero amore porta alla dedizione. Nel pieno senso cristiano del termine, dedizione significa qualcosa di molto specifico: il dono di se stessi. Ecco a cosa conduce. Ancora una volta, è prima di tutto nei confronti della sposa che ci si aspetta che un padre mostri questa generosità.   Non fa calcoli, si dedica volentieri a colei che gli è stata affidata, accetta generosamente i suoi limiti, i suoi difetti, le sue debolezze, senza cadere nell’amarezza e nella recriminazione. Nulla nella vita familiare porta alla delusione, perché tutto è accettato e vissuto come un dono di Dio. Amore ed egoismo sono due termini che si escludono a vicenda. Anche in questo caso, Nostro Signore è l’esempio perfetto dello Sposo che per primo ha amato la Chiesa, senza alcun calcolo e senza altro scopo che quello di purificarla, arricchirla moralmente e salvarla.   Nella vita di tutti i giorni, questa dedizione assumerà mille forme diverse in una grande varietà di circostanze, ma sempre in nome della stessa carità.   È chiaro che questa generosità del padre di famiglia deve riflettersi negli atti propri alla virtù di religione, sia all’interno che all’esterno della famiglia. Le applicazioni sono molteplici, e vorremmo sottolinearne una in particolare: pregare insieme in famiglia. Troppo spesso questo dovere viene trascurato. Troppo spesso si ritiene che sia principalmente un compito della madre, a cui si associano gli altri membri della famiglia. Questo è sbagliato e rappresenta una grave mancanza per un padre.   Non c’è nulla di più necessario e più coinvolgente per un bimbo che vedere il padre tornare a casa dal lavoro e inginocchiarsi in mezzo ai suoi figli con il rosario in mano. Naturalmente, sarà spinto a seguire il suo esempio per tutta la vita, soprattutto in mezzo alle prove e nei momenti di fatica. Se Dio lo chiama, sarà pronto a rispondere.  
 

Lo spirito di sacrificio

Non si può perseverare nella preghiera quotidiana in famiglia senza un vero spirito di sacrificio. La sera, tutti hanno ancora qualcosa da fare e sono stanchi, tranne forse i più piccoli che non sanno ancora pregare, ma corrono fino all’ora di andare a letto. In un buon padre prevale lo spirito di sacrificio. Ama troppo la sua sposa, i suoi figli e il suo Dio per lasciarsi andare. Non accetta di arrendersi.   La sua generosità lo porta a fare il possibile per sostenere la parrocchia e, più in generale, tutti coloro che può aiutare, anche al di fuori della sua famiglia. Non si tratta di intraprendere grandi opere. Si tratta semplicemente di essere pronti a offrire un po’ del proprio tempo e dei propri talenti, spesso in modo discreto. Inevitabilmente, i primi a beneficiare di questa generosità al di fuori della famiglia sono i figli stessi. Hanno davanti agli occhi l’esempio di un buon padre che, senza far mancare loro nulla, trova le risorse per fare del bene e spendersi anche al di fuori della famiglia. Questo esempio li prepara a praticare la stessa generosità, qualunque sia la strada che Dio ha scelto per loro.

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Cosa dice il Magistero della Chiesa

Papa Pio XI, più di ogni altro, ha saputo sottolineare il ruolo insostituibile della famiglia nel favorire le vocazioni. Ecco, a mo’ di conclusione, quanto ci ha insegnato nella sua enciclica Ad catholici sacerdotii del 20 dicembre 1935:   «Il primo e più naturale giardino, dove devono quasi spontaneamente germinare e sbocciare i fiori del santuario, è sempre la famiglia veramente e profondamente cristiana. La maggior parte dei Santi Vescovi e Sacerdoti, “le cui lodi celebra la Chiesa” (Eccli 44,15), devono l’inizio della loro vocazione e della loro santità agli esempi ed insegnamenti di un padre pieno di fede e di maschia virtù, di una madre casta e pia, di una famiglia in cui regnava sovrana con la purezza dei costumi la carità di Dio e del prossimo».   «Quando in una famiglia i genitori, ad esempio di Tobia e di Sara, domandano a Dio una prole numerosa “nella quale venga benedetto in eterno il nome del Signore” (Tb 8,9), e la ricevono con gratitudine come dono celeste e come prezioso deposito, e si sforzano di instillare ai figli fin dai primi anni il santo timor di Dio, la pietà cristiana, una tenera devozione a Gesù Sacramentato e alla Vergine Immacolata, il rispetto e la venerazione per i luoghi e le persone sacre; quando il figli vedono nei genitori il modello di una vita onesta, laboriosa e pia; quando li vedono amarsi santamente nel Signore, li scorgono spesso accostarsi ai Santi Sacramenti, obbedire non solo alle leggi della Chiesa circa l’astinenza e il digiuno, ma anche allo spirito della mortificazione cristiana volontaria; quando li vedono pregare anche in casa, riunendo intorno a sé tutta la famiglia perché la preghiera comune s’innalzi più gradita al cielo; quando li sanno compassionevoli alle miserie altrui e li vedono dividere coi poveri il molto o il poco che posseggono, è ben difficile che, mentre tutti cercheranno di emulare gli esempi paterni, qualcuno almeno di tali figli non senta nell’animo suo l’invito del divino Maestro: “Vieni dietro a me” (Mt 19,21) e “Io ti farò diventare pescatore di uomini” (Mt 4,19)».   Dio vi benedica!   Don Davide Pagliarani Superiore Generale FSSPX   Menzingen, 8 giugno 2025, festa di Pentecoste

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  Articolo previamente apparso su FSSPX.News  
  Immagine da FSSPX.News

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Civiltà

La Civiltà è amare i nostri nonni

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Francesco Rondolini è collaboratore e «complice» di Renovatio 21 da tantissimi anni. Francesco in questi giorni ha perso la nonna – a lui vanno le nostre più sentite condoglianze. Ci ha mandato questo testo sull’importanza dei nostri vecchi. Lo ripubblichiamo pensando a quanto sia vero, e giusto: il valore dei nonni – loro che hanno curato noi, noi che ora curiamo loro – non va dimenticato. Mai. Perché la Civiltà stessa dipende dall’amore che abbiamo per loro, e loro per noi.

 

Da sempre ho vissuto con i nonni e i genitori accompagnandoli fino all’ultimo giorno nelle loro rispettive sofferenze. Oggi siamo rimasti io e mia mamma.

 

Mia nonna, ultima rimasta, all’alba dei quasi cento anni se n’è andata serenamente. D’ora in poi mancherà quella routine giornaliera fatta di faccende domestiche in compagnia dei miei cari fino all’ultimo dei loro giorni, di concerto con il mio lavoro. Accudire e coccolare una persona anziana e bisognosa, è stato un privilegio raro che mi obbliga a ringraziare Dio ogni giorno per il miracolo che mi ha concesso di poterci convivere per oltre quarant’anni.

 

Un tempo speso per accumulare tradizione, sapienza, affetto, amore, coccole, gioie, ma anche dolori e difficoltà. La missione che mi sono trovato è stata senza apparente scelta: rimanere al fianco delle persone a me più care.

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Dopo la perdita di mia nonna, molte cose sono cambiate in un attimo, primo fra tutte, la fine di un’era della vita. Gli scherzi, i dialoghi mattutini dicendosi sempre le stesse cose, il prendersi cura, l’affetto reciproco, davano quello che è l’essenza stessa della vita, ossia la vicinanza sentimentale, la presenza, la condivisione di un qualcosa che con altri è impossibile condividere.

 

Una ricorrenza edificata dagli stessi gesti che dettano le giornate e danno un senso profondo alla quotidianità. Il valore prezioso dei nonni, tanto più se vivono nella stessa casa, è incommensurabile. La crescita, l’educazione impartita, in taluni casi persino il lavoro in condivisione, sono tasselli che si aggiungono ad una crescita formativa e spirituale.

 

In una società utilitaristica come quella in cui viviamo, troppe volte gli anziani appaiono come un peso, un ostacolo ai nostri desideri, un impiccio alla soddisfazione dei nostri effimeri egoismi. L’egoismo come ragion d’essere; «io voglio vivere la mia vita», «pretendo di vivere la mia vita», oscurati da qualsiasi afflato di bontà e carità verso il prossimo.

 

La disumanità che ci vede lasciare «i fragili» abbandonati a loro stessi, senza una telefonata, senza una visita, senza una carezza, senza una parola di conforto. Tutto questo in una società «moderna e inclusiva» è del tutto inaccettabile, ma evidentemente l’inclusività non deve ledere la mia libertà personale, le mie abitudini, la mia palestra, i miei aperitivi, le mie notti in discoteca, perché «ho bisogno dei miei spazi e devo godermi la vita».

 

L’effimero che sovrasta il sacrificio della sostanza, un vizio perverso di questo secolo.

 

Nella «demenza pandemica» dei distanziamenti sociali ci hanno detto che per preservare i nostri nonni dovevamo stargli lontano, isolarli, come dichiarò il capo della sanità dello Stato australiano del Queensland ha detto ai nonni di «non avvicinarsi ai propri nipoti».

 

Come aveva riportato questo sito, in Giappone uno studio accademico aveva registrato un omicidio ogni otto giorni, spesso accompagnato dal suicidio dal coniuge o del figlio che forniva assistenza domiciliare all’anziano. L’isolamento da COVID portò all’esplosione del problema. Il nodo della carenza di personale qualificato in grado di offrire sostegno, ha sottolineato la difficoltà nel reperire badanti o personale disposto ad aiutarci nella gestione dei nostri cari. 

 

 

 

Mi aveva impressionato, sempre su Renovatio 21, la storia di Yusuke Narita, assistente professore di economia a Yale , che ha lanciato una sua proposta per risolvere il problema dell’invecchiamento della popolazione giapponese: bassissimo tasso di nascite (come l’Italia) e il più alto debito pubblico nel mondo sviluppato portano il Paese alla prospettiva di non poter reggere il peso delle pensioni. «Sento che l’unica soluzione è abbastanza chiara. Alla fine, non può essere il suicidio di massa e il seppuku di massa degli anziani?»

 

Il Seppuku è un atto di sventramento rituale che era un codice tra i samurai disonorati nel XIX secolo. Per qualche ragione, in occidente lo chiamiamo harakiri, parola che è scritta con gli stessi ideogrammi ma è di letta in altro modo: il significato è lo stesso, il taglio della pancia, l’autosbudellamento rituale, quello che un po’ in tutto il mondo si conosce come peculiarità del Giappone con i suoi infiniti sensi del dovere.

 

Sempre qui abbiamo parlato degli abusi e delle violenze tanto che secondo una ricerca dell’Australian Institute of Family Studies (AIFS), quasi un anziano australiano su sei (14,8%) riferisce di aver subito abusi negli ultimi 12 mesi e solo circa un terzo di loro ha cercato aiuto.

 

L’utilitarismo nel tempo pandemico è arrivato al punto da sostenere che a fronte di un lieve aumento dei casi COVID, in Svizzera – in cui il suicidio assistito è cosa possibile – si tornò a parlare del protocollo medico per affrontare un eventuale sovraffollamento delle terapie intensive. Tale procedura avrebbe provveduto, in caso di scarsità di posti letto, che il medico competente poteva decidere di non accogliere «persone che avevano un’età superiore agli 85 anni» e persone con un’età superiore ai 75 anni che presentavano una di queste patologie: cirrosi epatica, insufficienza renale cronica al 3º stadio, insufficienza cardiaca di classe NYHA superiore a 1 e un tempo di sopravvivenza stimato meno di 24 mesi.

 

La solitudine e l’abbandono degli anziani è un altro annoso problema. I dati ufficiali del governo canadese mostrano che circa la metà delle persone che non sono malati terminali, desideravano porre fine alla propria vita tramite il suicidio assistito di Stato

 

L’Europa, l’ex culla della civiltà e della cristianità, per bocca del presidente del più grande fondo sanitario belga, Christian Mutualities (CM), ha chiesto una soluzione radicale al problema dell’invecchiamento della popolazione. Il politico Luc Van Gorp dichiarò ai media belgi che alle persone stanche della vita dovrebbe essere permesso di porvi fine.

 

La chiesa, la quale dovrebbe difendere e diffondere certi valori che inneggiano alla vita, spesso è assente e conforme allo spirito del tempo, anzi, a volte pare complice di certe «pratiche necroculturali» tanto che il Vaticano sembra aver spalancato definitivamente le porte all’eutanasia.

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Fortunatamente non tutti i porporati sono silenti su tali argomenti. L’arcivescovo Nikola Eterovic, nunzio apostolico in Germania, ha messo in guardia dal «suicidio» dell’Europa dovuto alla promozione dell’aborto, dell’eutanasia e dell’ideologia di genere. Monsignor Eterovic ha lanciato l’allarme durante un sermone nel suo paese d’origine, la Croazia, in merito alla grave crisi demografica che sta attraversando la civiltà occidentale, aggiungendo che l’Europa è afflitta da una «Cultura della morte» dovuta all’aborto e all’eutanasia. Vede il crollo demografico nella maggior parte dei paesi europei come un «segno di suicidio».

 

«La morte, preceduta dai dolori della malattia e dagli spasimi dell’agonia, è la separazione dell’anima dal corpo. Con la morte cessa il tempo della prova e comincia l’eternità», ci ricorda il bellissimo catechismo di San Pio X.

 

La vita è anche sofferenza e dolore. Non lasciamo i nostri anziani nel dolore dell’animo e della solitudine, non macchiamoci del peccato dell’indifferenza e dell’abbandono.

 

Io, con la mia nonna, ho fatto quanto dovevo – e non è stato nemmeno un sacrificio. Perché, in ultima, è facile capirlo: la civiltà si fonda davvero sull’amore. Anche quello per i nostri nonni.

 

Francesco Rondolini

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