Sport e Marzialistica
La palestra del campione MMA Khabib Nurmagomedov perquisita dalla polizia russa
![](https://www.renovatio21.com/wp-content/uploads/2024/07/Nurmagomedov-UFC-YT.jpg)
Le forze di sicurezza nella repubblica russa meridionale del Daghestan hanno fatto irruzione in una struttura di allenamento di proprietà della stella dell’UFC Khabib Nurmagomedov, ha riferito venerdì l’agenzia di stampa TASS, citando la polizia locale.
Sui social media sono state condivise riprese video che mostrano le forze di sicurezza che circondano la palestra nella capitale del Daghestan, Makhachkala.
La ricerca farebbe parte di un’indagine su una serie di attacchi terroristici in Daghestan all’inizio di questo mese. Secondo i media locali, durante i raid non sono stati effettuati arresti.
Russian security forces are raiding Khabib Nurmagomedov’s martial arts school in Makhachkala in connection with the recent terrorist attacks.
Conor Mcgregor accused Khabibs trainer in 2018 pic.twitter.com/L3JGxouKLM
— Sean (@Xcellent78) June 28, 2024
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I media russi hanno precedentemente affermato che l’ex combattente di arti marziali miste (MMA) Gadzhimurad Kagirov, cugino del pugile russo dei pesi supermassimi Magomed Omarov, ex capo del distretto Sergokalinsky del Daghestan, era tra un gruppo di uomini armati che hanno attaccato siti nella città di Derbent, ed è stato ucciso durante la successiva operazione antiterrorismo.
Il Kagirov si sarebbe allenato nella palestra perquisita. Anche il figlio e un nipote di Omarov erano tra gli aggressori.
Nurmagomedov ha negato che Kagirov fosse un membro del suo team, ma ha osservato che l’ex lottatore potrebbe essersi allenato in precedenza nella sua palestra per un paio di mesi. Il club oggetto del raid è stato chiamato così in onore del padre dell’ex campione dei pesi leggeri UFC Abdulmanap Nurmagomedov, in seguito alla sua morte per complicazioni da coronavirus nel 2020.
Il campione MMA, considerato come uno dei più grandi lottatori di tutti i tempi, è daghestano e musulmano, ed ha talvolta invocato Allah al termine dei suoi incontri.
Come riportato da Renovatio 21, durante un recente evento UFC – la principale lega MMA il candidato alla presidenza del 2024 Donald J. Trump aveva promesso a Nurmagomedov che fermerà la devastante guerra di Israele a Gaza.
Khabib: I know you will stop the war in Palestine.
Donald Trump: We will stop it. I will stop the war. pic.twitter.com/Ve7eshXF1B
— Globe Eye News (@GlobeEyeNews) June 2, 2024
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Nurmagomedov stato il campione dei pesi leggeri UFC più longevo di sempre, avendo detenuto il titolo da aprile 2018 a marzo 2021. Con 29 vittorie e nessuna sconfitta, si ritirò con un record imbattuto.
Due volte campione del mondo di Sambo da combattimento, Nurmagomedov ha esperienza nella lotta greco-romana, nel Judo e nel Sambo, che è una derivazione russa full contact del Judo.
Nel 2019, Forbes ha classificato Nurmagomedov come l’atleta russo di maggior successo. Nurmagomedov è anche in cima alla lista delle 40 personalità dello spettacolo e dello sport russo di maggior successo sotto i 40 anni.
Le sue vittorie, come quella contro il campione irlandese Conor MacGregor, sono state salutate anche dal presidente Putin che si congratulava di persona con Khabin e suo padre, il veterano dell’Armata Rossa Abdulamap Nurmagomedov, un judoka che lo ha cresciuto dentro il mondo delle arti marziali.
È circolato a lungo il video in cui un Khabib bambino combatte contro un orso.
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Atleta decorato e veterano dell’esercito sovietico, Abdulmanap aveva praticato la lotta fin dalla tenera età, prima di allenarsi nel judo e nel Sambo nell’esercito. Il Nurmagomedov senior aveva dedicato la sua vita ad allenare i giovani del Daghestan, nella speranza di offrire un’alternativa all’estremismo islamico comune alla regione
Nel 2001, la famiglia Nurmagomedov si è trasferita a Makhachkala, la capitale del Daghestan, dove il Khabib si è allenato nel wrestling dall’età di 12 anni e nel judo da 15. Ha ripreso ad allenarsi nel combattimento di Sambo, sotto suo padre, all’età di 17 anni.
Nel corso della sua carriera, Nurmagomedov è diventato oggetto di numerose controversie per la stampa occidentale, tra cui un’affiliazione di lunga data con il leader ceceno, Ramzan Kadyrov.
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Immagine screenshot da YouTube
Sport e Marzialistica
Storia e aspetti del Systema, l’arte marziale russa
![](https://www.renovatio21.com/wp-content/uploads/2024/06/Systema-calcio.png)
«Non ti puoi rilassare senza respirare, non puoi raggiungere una postura naturale senza rilassamento e dopo che si è riusciti a raggiungere una buona postura ci si può iniziare a muovere nello spazio correttamente»
«Un vero guerriero è capace di difendere se stesso e gli altri ed è in grado di cambiare l’orgoglio, l’aggressività e la paura in umiltà, coraggio e forza»
«Nel Systema non esiste riscaldamento, tutto è Systema»
Vladimir Vasiliev
Il Systema (in russo: система) è il nome moderno di un’arte marziale sviluppata in ambito sovietico, ma derivata da tecniche e culture fiorite nell’ambito della lunga storia della Russia. Si dice che la disciplina del Systema abbia radici diverse, basate anche su antiche tradizioni russe, ma è stata aggiornata nel tempo fino a diventare quella che conosciamo oggi. Il Systema era utilizzato da alcune unità delle forze di sicurezza dell’Unione Sovietica, come il KGB, l’NKVD e l’Armata Rossa. L’arte marziale russa è comunemente associata a spie, polizia sotto copertura, guardie del corpo e unità speciali. Lo stile di combattimento del Systema non si basa su tecniche rigide, ma su principi come la respirazione, il movimento, il rilassamento e la postura. L’allenamento include vari esercizi per sviluppare abilità volte a massimizzare le possibilità di sopravvivenza in situazioni pericolose. I praticanti apprendono a pensare in modo ampio e a gestire situazioni impreviste. Si può combattere sia in piedi che a terra, utilizzando coltelli, armi da fuoco, manganelli o qualsiasi altra arma improvvisata.Iscriviti al canale Telegram
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- Gli sport popolari dell’antica Russia: Qui, il Systema ha acquisito la sua metodologia basata su esercizi per lo sviluppo delle abilità, simili ai giochi di combattimento. Questi erano importanti nell’antica Russia poiché la difesa del territorio richiedeva spesso l’impiego di milizie popolari, che necessitavano di un qualche tipo di addestramento per affrontare invasioni o conflitti territoriali.
- Prima metà del XX secolo: In questo periodo, il combattimento adattato al praticante venne sviluppato da Spiridonov e dal club Dinamo, con l’influenza delle arti marziali giapponesi che ampliò la conoscenza delle tecniche.
- Systema Kadochnikov: sviluppo che apportato significativi avanzamenti nel combattimento adattivo, in particolare nella biomeccanica applicata. Fine del XX secolo e XXI secolo: Apertura dell’arte marziale all’Occidente.
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- Il SAMBO (SAMozashchita Bez Oruzhiya): una tecnica inizialmente influenzata dal Judo, in seguito diviso in una versione sportiva per civili e una versione militare, includeva tecniche di combattimento contro avversari armati e disarmati.
- SAMOZ: Principalmente influenzato da Viktor Afanasievic Spiridonov (1882-1944), era riservato alle unità delle forze speciali e al personale militare. Spiridonov, ferito in un combattimento con baionetta, ideò un metodo di autodifesa adatto anche a persone ferite o deboli, sviluppando una metodologia adattata al praticante.
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Sport e Marzialistica
Il Ju-jitsu in Italia negli ultimi 35 anni: intervista ad un testimone dell’evoluzione della scena delle arti marziali
![](https://www.renovatio21.com/wp-content/uploads/2024/06/Ju-jitsu-incontro-flk.jpg)
Matteo Biscottini ha quarantanove anni, due figlie, ed un lavoro presso una multinazionale americana. Soprattutto, Matteo è un lottatore che ha seguito l’evolversi del Ju-jitsu e delle arti marziali quasi 35 anni. La sua conoscenza della storia del Ju-jitsu in Italia – una storia che al momento non ha ancora scritto nessuno – è quindi piuttosto approfondita, soprattutto per quanto riguarda le sensazioni, il clima del mondo della lotta che si viveva negli Novanta e Duemila. Un mondo che è cresciuto e cambiato. Renovatio 21 lo ha intervistato per avere uno scorcio della scena di questi ultimi decenni.
Hai fatto Ju-jitsu tradizionale o Brazilian Ju-Jitsu?
Ho iniziato a 15 anni con il Ju-Jitsu tradizionale che ho praticato a lungo. Dopo una pausa di un anno – una delusione amorosa – sono tornato alla disciplina scoprendo però che c’era dell’altro, così da avvicinarmi al Brazilian Ju-jitsu. Erano gli anni Novanta, il tempo dei primi UFC… Ecco che quindi mi sono avvicinato a quella che io chiamo semplicemente «lotta». La differenza tra un’arte e l’altra è fondamentalmente il regolamento a cui ti sottoponi per combattere a livello sportivo. Il corpo umano è uno: il braccio, se porti la mano al viso, si piega, al contrario va contro l’articolazione. Una leva è una leva: indipendentemente dal nome con cui la chiami. Può dire arm-bar, oppure ude-ishigi-jugi-gatame, sempre quello è.
Che cintura hai conseguito?
Non do molto valore alle cinture, sono pezzi di stoffa lunghi. Quello che è davvero conta è la persona che avvolgono. Ho un secondo Dan di Ju-jitsu tradizionale e sono una delle prime cinture nere di Brazilian Ju-jitsu in Italia. Nel 1999 ho preso il primo diploma dato in Italia per il corso istruttori tenuto dai fratelli Vacirca, una famiglia di brasiliani di stanza a Zurigo. Ho ricevuto il titolo di «Basic Instructor», all’epoca era per noi una cosa da non credere.
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Che altri maestri hai avuto?
Il maestro Fabio Tumazzo, ad oggi ancora una leggenda, uno dei maestri più preparati in Italia. Ai tempi non c’era nemmeno una vera specialità: andavamo e lottavamo, potevi chiamarlo grappling, o quello che ora si chiama «Ju-jitsu no gi». Tumazzo è maestro di Judo e di Sambo, un personaggio che ha una conoscenza talmente profonda che travalica quella che è un’arte marziale presa singolarmente. Frequentavo almeno tre volte alla settimana le sue lezioni alla vecchia Polisportiva Affori, a Milano.
E tu hai fatto il maestro?
Sì, ho insegnato per una decina di anni, assieme ad altre due persone. Abbiamo portato avanti un dojo al CUS [Centro Universitario Sportivo, ndr] di Como assieme a Luca Foggetta e a Roberto Sanavio, due amici fraterni colleghi insegnanti di arti marziali. Poi la palestra è chiusa per vicissitudini personali: io ad esempio mi sono trasferito per lavoro nel Regno Unito. Una cosa va detta: non abbiamo mai chiesto un soldo per insegnare. Le persone pagavano l’assicurazione e l’iscrizione alla palestra del CUS, ma il nostro corso era gratuito.
Che soddisfazioni ti ha dato gestire il dojo?
L’esperienza al CUS ci ha permesso di trasmettere la conoscenza, che è una delle cose più importanti nelle arti marziali: senza tradizione, non avremmo nessuna eredità, non avremmo Ju-jitsu, non avremmo Karate, Judo, Aikido… Non avremo niente. Abbiamo avuto il privilegio di poter decidere a chi insegnare e a chi non insegnare – le teste di c… le tenevamo lontane dalla palestra.
Racconta.
Ad esempio c’era un ragazzo che chiedeva di finire prima l’allenamento. Quando gli abbiamo chiesto perché ci ha risposto che aveva l’obbligo di firma: tornava in carcere. Con lui nessuna questione. Non abbiamo nessun problema di razza, religione, dimensioni, gusti sessuali: sul tatami si è tutti uguali… Non ci importava nulla. Bastava che si allenassero e si comportassero bene e come gli altri in allenamento. Non tutti però sono sempre stati così, Quelli che non si allineavano o che si comportavano in maniera inappropriata, sono stati messi alla porta. È capitato di avere allievi palesemente interessati alla violenza extra palestra, è in questi frangenti che preferisci non insegnare ed allontanare la persona.
Avete avuto qualche risultato agonistico?
Sì, c’è stata qualche vittoria a livello italiano ed Europeo, ma il nostro non è mai stato un corso finalizzato solo all’agonismo… Negli ultimi anni, il proliferare di numerose federazioni minori ha portato alla divisione degli atleti in molte sotto-categorie, regalando medaglie anche a chi non le avrebbe meritate. È un po’ come mia figlia, che al termine di un incontro di Judo a 7 anni, prendeva la medaglia come quelli che non avevano vinto.
Quando ha iniziato a praticare Ju-jitsu?
Come ho detto, ho iniziato a 15 anni. Facevo sia Ju-jitsu, ma parallelamente mi sono allenato nel Judo. Ho fatto anche lotta greco-romana, pugilato, Thai Boxe, Kick Boxing… ne ho fatte tante e ne ho prese tante! Il Ju-jitsu mi aveva attirato perché mi ero documentato, avevo studiato – avendo sempre avuto passione per il Giappone – e avevo saputo che si trattava dell’arte di combattimento praticata dal Samurai quando non ha la spada a disposizione.
Che tipo di Ju-jitsu c’era all’epoca in Italia?
A quei tempi c’era il Ju-jitsu che chiamo «reale». Fino agli anni Novanta il Ju-jitsu le arti marziali erano irreali. Tori praticava l’attacco, Uke glielo lasciava fare. Erano d’accordo. Questo era irreale: ha reso persone sicure di sé quando non possono esserlo, mettendo a rischio la loro incolumità facendo loro credere di poter rispondere ad un’aggressione.
E poi?
Poi si è cominciato a rispondere alla domanda delle domande: qual è l’arte marziale più forte? La risposta cominciava ad arrivare dalle gabbie dell’UFC: un’arte marziale contro l’altra. Lì si è vista nascere l’evoluzione del Judo e del Ju-jitsu fatta dalla famiglia Gracie.
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Dove hai praticato?
A Milano, innanzitutto. Mi sono allenato tantissimo negli USA, dove per sette otto anni sono andato a praticare grappling e Brazilian Ju-jitsu per l’estate. Andavo in vacanza con la fidanzata dell’epoca, divenuta poi mia moglie, prendendo l’albergo di fianco alle palestre che mi interessavano. Sono stato alla Legends MMA di Los Angeles, dove ai tempi allenava Eddie Bravo, che è un personaggione. Mi porto ancora a spasso una tecnica che mi ha insegnato. Sono stato alla palestra Gracie di Miami. A New York sono stato ad allenarmi di recente alla Renzo Gracie Ju-jitsu a Wall Street.
Cosa ricordi dell’ambiente agli inizi?
Il primo Ju-jitsu era l’«UFC di casa nostra». Alla Polisportiva Affori arrivavano combattenti di tutte le discipline. C’era confronto, c’era curiosità, c’era apertura mentale nei confronti di tutte le tecniche che si potevano assimilare. Chiunque arrivasse ed avesse voglia di confrontarsi, era benvenuto. Dal ragazzo americano che faceva lotta libera, al ragazzo senegalese esperto di Laamb, ho combattuto contro chiunque. Era un ambiente pulito, dove ci si gonfiava di mazzate, ma si andava via sorridendo. Purtroppo questa situazione si è persa. Adesso ci sono palestre attrezzate ed insegnare è diventato un lavoro, la professionalità ha un po’ fatto perdere il romanticismo dei film di Van Damme che da ragazzini guardavamo con occhi sognanti.
Hai mai utilizzato le tecniche di Ju-jitsu fuori dal dojo?
Mi sono mantenuto l’università facendo il buttafuori e la guardia del corpo. È bene non usare le tecniche che si apprendono in palestra fuori dalla palestra. Tuttavia, se apprese in maniera corretta, possono tornare utili.
E recentemente?
Per soccorrere una donna e tre bambini che gridava aiuto sono stato aggredito da un signore nordafricano apparentemente ebbro che per fortuna ad un certo punto ha preferito me come obiettivo invece che la signora. Ho proiettato e controllato, immobilizzato: mai percosso. Poi sono arrivati i carabinieri, che avevo chiamato in precedenza. È importante che ognuno di noi intervenga in aiuto dei più deboli, quando necessario, e che non chiuda gli occhi davanti ad un sopruso.
Che consigli dai a chi può trovarsi in una situazione simile?
Ti rispondo in latino: «Aequam memento rebus in arduis servare mentem». Significa: mantenere sempre la mente lucida anche nelle situazioni più difficili. E poi consiglio una lettura: Onset Mindset: mentalità aggressiva in una società difensiva, di Alberto Gallazzi, probabilmente il più grande esperto italiano in sicurezza e close protection. È un bel libro che potrebbe essere utile a tante persone.
Sei stato ad allenarti in Giappone?
Sì, mi sono allenato al Takada Dojo, a Tokyo.
E quindi hai incontrato Kazushi Sakuraba, il cosiddetto «Gracie Killer»?
No, lui in quel periodo non c’era. Però ho lottato con Gengo Tanaka, uno dei suoi sparring partner. Una bella lotta interessante. Abbiamo finito 1-1. A quei tempi ero forte. No gi. [significa combattimento senza l’abito tradizionale giapponese, ndr]
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Sei tra quelli che ritengono il Judo una disciplina da seguire, e da temere, anche per chi fa Ju-jitsu?
Il Judo va sempre bene. Se hai un giorno libero dagli allenamenti in settimana, vai a fare Judo. Se hai un bambino, mandalo a fare Judo. Puoi essere un fighter di MMA, di Ju-jitsu, ma se ti fai un po’ di Judo va sempre bene.
In Giappone hai visto cosa succede anche al Kodokan, il quartier generale mondiale del Judo dove insegnava il fondatore Jigoro Kano…
Il Kodokan è un altro mondo. Si respira tradizione. Sinceramente, per il mio livello di Judo, non ho avuto il coraggio di allenarmi: ero in Giappone per lavoro e non potevo rischiare. Avevo trovato un signore fuori che mi ha invitato a vedere una gara. È stato impressionante. Erano tutti ragazzi giovani che combattevano puliti, avevano un Judo bello, non quello agonistico fatto soprattutto di grande forza.
Chi ammiri nel panorama del Ju-jitsu oggi?
Nel panorama di Ju-jitsu in realtà nessuno. Nel panorama della lotta ho due riferimenti: il primo è sempre Kazushi Sakuraba, che con la sua fantasia rende ogni incontro divertente, oltre che marzialisticamente efficace. Il secondo è Josh Barnett, detto «Warmaster», grande atleta di catch wrestling, discendente della scuola del «catch as catch can» (prendi come riesci a prendere») di Karl Gotch. Il 22 di giugno a Tokyo ci sarà un meraviglioso evento chiamato Bloodsport Bushido dove combatteranno sia Barnett che Sakuraba.
Dove ti alleni ora?
Adesso mi alleno alla Grappling Varese dai fratelli Fabrizio e Tommaso Foresio, due fortissimi agonisti del team Stance di Milano. Qui un gruppo agonistico di giovani permette ad un vecchietto come me di sorridere ancora facendolo lottare e facendolo gioire nel vedere l’evoluzione dell’arte marziale.
Come sono i giovani che oggi trovi nei dojo di Ju-jitsu?
Ce ne sono di due tipi: quelli che sanno soffrire e quelli che non sanno soffrire. I primi faranno strada, i secondi devono imparare a soffrire per fare strada e migliorarsi. Trovo comunque che sia una generazione più preparata fisicamente. Si tratta di un Ju-jitsu che si è evoluto e richiede una fisicità maggiore di quello di una volta.
Che consiglio daresti loro dopo 35 anni di pratica?
Se dovessi dare un consiglio direi: restate sempre cinture bianche, non abbiate paura di imparare anche dall’ultimo arrivato in palestra!
Quanto è cambiata la scena da vent’anni a questa parte?
La scena è varia. Il Ju-jitsu permette a tutti di praticare, perché può essere praticato anche in maniera non esageratamente violenta. Anche chi è un po’ più timoroso riesce ad affacciarsi in palestra. Questo lo ho visto negli ultimi anni. È comunque lo sport con maggiore crescita negli ultimi due decenni.
Quali sono i motivi dell’esplosione di interesse nei confronti del Ju-jitsu?
Sicuramente la moda fa la sua parte. Tuttavia credo che la base di questo successo sia la possibilità di confrontarsi in un mondo dove il confronto è messo al bando.
Parliamo di cosa ti ha spinto verso le arti marziali. Sulla custodia del tuo telefono è stampata l’immagine de L’Uomo Tigre…
Non c’è solo lui. Sono stato spinto a fare arti marziali da Naoto Date, certo, ma c’era anche Kenshiro, di cui sto ancora studiando la tecnica degli tsubo, ma non sono ancora riuscito a far esplodere nessuno…
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Immagine di Earl Walker via Flickr pubblicata su licenza CC BY-ND 2.0.
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Ricordo di un vero maestro della Boxe italiana
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