Internet
La Nuova Zelanda approva l’estradizione negli USA per Kim Dotcom
Il noto imprenditore e personaggio di internet Kim Dotcom ha dichiarato che non se ne andrà dopo che giovedì il ministro della Giustizia della Nuova Zelanda ha dichiarato che verrà estradato negli Stati Uniti con l’accusa di aver agito in relazione al suo sito web di condivisione file Megaupload.
Il ministro della Giustizia Paul Goldsmith ha annunciato di aver firmato un ordine di estradizione per l’uomo di origini finnico-tedesche, dichiarando: «Ho valutato attentamente tutte le informazioni e ho deciso che il signor Dotcom debba essere consegnato agli Stati Uniti per essere processato (…) Come prassi comune, ho concesso al signor Dotcom un breve periodo di tempo per riflettere e ricevere consigli sulla mia decisione».
L’ordine di estradizione arriva 12 anni dopo un raid ordinato dall’FBI nella sua villa di Auckland. Nel 2017, l’alta corte della Nuova Zelanda ha approvato per la prima volta la sua estradizione, con una corte d’appello che ha riconfermato la sentenza nel 2018. Nel 2020, la corte suprema del paese ha nuovamente confermato la sentenza, ma ha anche lasciato la porta aperta a un’ulteriore revisione giudiziaria.
Il Dotcom ha risposto alla decisione, pubblicando martedì che «l’obbediente colonia statunitense nel Pacifico meridionale ha appena deciso di estradarmi per ciò che gli utenti hanno caricato su Megaupload».
Purtuttavia, in post successivo ha detto «Amo la Nuova Zelanda. Non me ne vado», per poi aggiungere di avere «un piano».
Oops ???? Don’t worry I have a plan ???? pic.twitter.com/1ow9drHcfv
— Kim Dotcom (@KimDotcom) August 15, 2024
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Secondo le autorità statunitensi, il Dotcom – nato a Kiel come Kim Schmitz nel 1974, ma il nome sarebbe ora cambiato all’anagrafe – e altri tre dirigenti di Megaupload sono costati agli studi cinematografici oltre 500 milioni di dollari USA incoraggiando le persone a conservare e condividere materiale protetto da copyright, generando oltre 175 milioni di dollari USA per il suo sito web. Deve inoltre affrontare accuse di riciclaggio di denaro e associazione a delinquere.
L’imprenditore dell’internet afferma che non dovrebbe essere ritenuto personalmente responsabile per le violazioni del copyright commesse sul suo sito.
«La legge neozelandese sul copyright (92b) chiarisce che un ISP non può essere ritenuto penalmente responsabile per le azioni dei propri utenti», ha osservato il Dotcommo nel 2017 in seguito alla decisione dell’Alta corte. «A meno che tu non sia Kim Dotcom?»
Megaupload aveva sede a Hong Kong fino al 2012, quando gli Stati Uniti sequestrarono il dominio e chiusero il sito. Rilanciato nel 2013 come Mega, con un nome di dominio neozelandese, Dotcom non ha avuto alcun coinvolgimento nella società almeno dal 2015. Il direttore marketing della società, Finn Batato, e il direttore tecnico e co-fondatore, Mathias Ortmann, entrambi tedeschi, insieme a un terzo dirigente, l’olandese Bram van der Kolk, sono stati arrestati ad Auckland con Dotcom nel 2012, secondo il giornale britannico Guardian.
Ortmann e Van der Kolk sono stati condannati a pene detentive nel 2023 in base a un patteggiamento che ha evitato l’estradizione, mentre Batato è morto nel 2022 in Nuova Zelanda.
Kim Dotcom si è fatto notare in questi anni per le sue posizioni anti-vaccino, anti-guerra ucraina, pro-Trump e pro-Putin. Ha avuto un ruolo precipuo nella diffusione di varie notizie nel giro dell’anti-establishment globale.
L’uomo vive in quella che era descritta come la villa più costosa della Nuova Zelanda, e – non differentemente da Elone Musk, che egli dice di amare – ha almeno cinque figli ottenuti con la riproduzione artificiale da due mogli differenti. Prima del suo arresto in Nuova Zelanda, era il giocatore numero uno al mondo di Call of Duty: Modern Warfare 3 su oltre 15 milioni di giocatori online.
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Immagine di Robert O’Neill via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Geopolitica
Elon Musk chiede l’abolizione dell’UE «Quarto Reich»
;The tyrannical, unelected bureaucracy oppressing the people of Europe are in the second picture https://t.co/j6CFFbajJa
— Elon Musk (@elonmusk) December 7, 2025
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In precedenza, Musk aveva bollato l’UE come un «mostro burocratico», accusandone la dirigenza di «soffocare lentamente l’Europa fino alla morte». Il miliardario, che ha spesso denunciato l’iper-regolamentazione bruxellese, ha invocato lo smantellamento completo dell’Unione. «L’UE dovrebbe essere abolita e la sovranità restituita ai singoli paesi, in modo che i governi possano rappresentare meglio i loro cittadini», ha scritto. Anche l’ambasciatore statunitense presso l’UE Andrew Puzder ha condannato l’iniziativa europea, precisando che Washington «si oppone alla censura e contesterà le gravose normative che prendono di mira le aziende statunitensi all’estero». Ciononostante, l’UE difende la decisione: la vicepresidente esecutiva della Commissione per la sovranità tecnologica, la sicurezza e la democrazia, Henna Virkkunen, ha puntualizzato che la responsabilità ricade unicamente sulla piattaforma di Musk e che «ingannare gli utenti con segni di spunta blu, oscurare informazioni sulle pubblicità ed escludere i ricercatori non è consentito online nell’UE». Come riportato da Renovatio 21 il tema delle euromulte contro Musk è risalente. Brusselle aveva valutato l’ipotesi di multe contro X da quando l’ex commissario alla tecnologia UE, Thierry Breton, aveva accusato la piattaforma di non aver controllato adeguatamente i contenuti illegali e di aver violato il Digital Services Act (DSA) dell’UE del 2022. La decisione se penalizzare X spetta ora alla commissaria UE per la concorrenza, Margrethe Vestager. Come noto al lettore di Renovatio 21, Elone per qualche ragione è assai inviso all’oligarchia europea e a tanta politica continentale, come hanno dimostrato i discorsi del presidente italiano Sergio Mattarella, che pareva attaccare proprio Musk e le sue ambizioni sui social e nello spazio.Pretty much https://t.co/0hspV4roFj
— Elon Musk (@elonmusk) December 7, 2025
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Internet
L’UE attacca le piattaforme che si rifiutano di censurare la libertà di parola: il fondatore di Telegram
L’Unione Europea sta ingiustamente prendendo di mira le piattaforme social che tollerano discorsi dissidenti o critici, ha dichiarato Pavel Durov, fondatore di Telegram.
La sua affermazione è arrivata in risposta a un post del 2024 di Elon Musk, proprietario di X, che accusava la Commissione Europea di aver proposto alla piattaforma un patto segreto per eludere sanzioni in cambio della censura di certi contenuti. Il giorno precedente, l’UE aveva inflitto a X una multa da 120 milioni di euro (circa 140 milioni di dollari).
Durov ha spiegato che Bruxelles sta applicando alle società tech norme severe e impraticabili proprio per colpire quelle che rifiutano di praticare una moderazione occulta dei contenuti.
«L’UE impone regole impossibili per poter punire le aziende tecnologiche che si oppongono a una censura silenziosa della libertà di espressione», ha postato Durov sabato su X.
Il Pavel ha inoltre richiamato la sua detenzione in Francia dell’anno scorso, che ha descritto come motivata da ragioni politiche. Secondo lui, in quel frangente il capo dei servizi segreti francesi gli avrebbe chiesto di «bannare le voci conservatrici in Romania» in vista delle elezioni – un’ipotesi smentita dalle autorità transalpine. Durov ha aggiunto che gli agenti di Intelligence gli avrebbero offerto assistenza in cambio della rimozione discreta dei canali legati alle elezioni in Romania.
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Queste stesse accuse sono state ribadite nel suo intervento recente, in cui ha qualificato l’inchiesta come «un’indagine penale priva di fondamento», seguita da tentativi di pressione per limitare la libertà di parola in Romania e Moldavia.
Più tardi, sempre sabato, Durov ha aggiunto: «L’UE prende di mira esclusivamente le piattaforme che ospitano discorsi scomodi o dissenzienti (Telegram, X, TikTok…). Le piattaforme che, tramite algoritmi, mettono a tacere le persone rimangono sostanzialmente intatte, nonostante problemi ben più gravi di contenuti illegali».
L’anno scorso, Elon Musk aveva rivelato che la Commissione Europea aveva proposto a X «un accordo segreto illegale» per censurare i contenuti in modo discreto. «Se avessimo censurato silenziosamente i contenuti senza dirlo a nessuno, non ci avrebbero multato. Le altre piattaforme hanno accettato quell’accordo. X no», aveva scritto.
Venerdì, il portavoce della Commissione Europea Tom Rainier ha precisato che la sanzione a X ammontava a 120 milioni di euro per violazioni del Digital Services Act, sottolineando che non aveva legami con la censura e che si trattava della prima applicazione concreta della normativa. Il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha aspramente criticato la decisione, definendola «un attacco a tutte le piattaforme tech americane e al popolo statunitense da parte di governi stranieri».
Tanto Durov quanto Musk hanno subito pressioni da parte dei regolatori UE in base al DSA, in vigore dal 2023. Questa legge obbliga le piattaforme a eliminare celermente i contenuti illegali, sebbene i detrattori sostengano che possa essere impiegata per reprimere opinioni legittime.
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Immagine screenshot da YouTube
Internet
L’UE multa X di Musk per 120 milioni di euro. Gli USA: «attacco al popolo americano»
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