Pensiero
La menzogna della teoria dell’evoluzione: un libro per capire
Per i tipi delle Edizioni Piane è uscito un nuovo libro per orientarsi riguardo la fallacia della teoria dell’evoluzione, immane e contraddittoria menzogna ancora inflitta ai nostri figli a tutti i livelli delle scuole dell’obbligo. Si tratta di L’evoluzione in 100 domande e risposte di Dominique Tassot, un esperto del rapporto tra scienza e rivelazione.
Come scrive l’autore, «trasformando la visione che l’uomo ha di se stesso, e in particolare delle sue origini, l’evoluzione ha avuto ripercussioni su ogni aspetto delle nostre società. Ha dettato le grandi scelte delle ideologie politiche del XX secolo ed è servita da giustificazione tanto al liberismo economico che al collettivismo, entrambi attivi ancora oggi, con i loro eccessi e la conseguente disumanizzazione delle società».
Renovatio 21 ha intervistato il traduttore italiano dell’opera, Roberto Bonato, di cui in passato abbiamo pubblicato altri interventi e traduzioni.
Dottor Bonato, può raccontarci chi è l’autore del libro?
Dominique Tassot lo racconta nell’Introduzione: lui è un puro prodotto dell’educazione laïque et républicaine, un allievo dell’Ecôle des Mines, quella che in Francia forma dai tempi napoleonici l’élite ingegneristica nei campi della geologia, della fisica e della chimica: un po’ l’equivalente dei nostri politecnici.
Di estrazione cattolica, in gioventù subisce il fascino di Teilhard de Chardin e della sua «sintesi» tra la teoria dell’evoluzione e un fumoso misticismo pseudo-cristiano che vede in Cristo il «punto Omega» di un’evoluzione umana in perpetuo divenire.
In apparenza, tutto era in ordine, con scienza e fede a dividersi il campo della verità in ambiti ben delineati e incomunicabili. La fede, quello della realtà intima o psicologica (oggi diremmo del «benessere interiore»); la scienza ad occuparsi delle cose serie, delle verità oggettive: la traiettoria del tipico cattolico «adulto». Ma un giorno si imbatte in un libro dal titolo strano: L’evoluzione regressiva. Un testo che osa mettere in discussione il totem intoccabile della scienza moderna: la teoria dell’evoluzione. Scopre così che un certo numero di scienziati ha, da sempre, avanzato ottimi argomenti che smentiscono le affermazioni principali della teoria dell’evoluzione. Tassot non ha fatto che andare in fondo al ragionamento: se le basi di questa famosa teoria sono così traballanti, cos’è che la tiene in piedi?
La risposta è semplice, ma tremenda: l’odio per la Verità, l’odio per il dogma che ci rivela dalle pagine della Bibbia che siamo figli di un’Intelligenza Infinita, dell’Amore Infinito, e non del movimento casuale della materia che si sarebbe auto-organizzata o, ancora più assurdo, auto-creata.
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Per quali ragioni può essersi affermata la teoria dell’evoluzione?
Da un punto di vista storico, è bene ricordare qual era il contesto storico e sociale nel quale Darwin propose la sua teoria. Tanto il rapace capitalismo imperialista inglese (e francese, belga, tedesco, etc.), quanto il nascente socialismo, avevano bisogno di un paradigma intellettuale che giustificasse i loro peggiori eccessi, e che quindi potesse sbarazzarsi di diciotto secoli di morale cristiana.
L’uno e l’altro lo trovarono nella «lotta per la sopravvivenza»: perché se è questa la legge universale del progresso biologico, allora ogni mezzo diventa lecito (di più: inevitabile) per fare trionfare l’interesse superiore del «progresso della specie». Specie che, di volta in volta, sarà quella del laborioso colono inglese sul «primitivo» autoctono; quella del rispettabile borghese sull’analfabeta e malaticcio miserabile che affolla gli slums industriali che ha contribuito a creare; quella del forte proletario russo sull’imbelle capitalista sfruttatore e parassitario; o quella che, passando per il superuomo di Nietzsche, Hitler identificò nell’ariano germanico del suo Kampf (la lotta, per l’appunto) per lo «spazio vitale».
Non è un caso che, come documenta Tassot, Marx avesse chiesto a Darwin di scrivere la prefazione al Capitale (offerta che Darwin educatamente declinò), né che il primo libro del quale le Guardie Rosse cinesi imponessero la lettura nei villaggi occupati non fosse il Libro Rosso di Mao, ma L’origine delle specie. Nel mondo ottocentesco inebriato dai successi tecnologici dovuti alle nuove scoperte scientifiche, la teoria dell’evoluzione ne usurpò linguaggio e credibilità.
Ancora oggi la teoria dell’evoluzione è l’ampio paravento dietro al quale i padroni del discorso nascondono le loro mire inconfessabili, e la foglia di fico che copre le vergogne degli utili idioti al loro servizio: da quelli che difendono il diritto di fare a pezzi un bambino nel ventre della madre (il «grumo di cellule» è l’ultima metamorfosi linguistica della teoria – falsa – della «ricapitolazione evolutiva» attraverso la quale passerebbe il feto umano durante il suo sviluppo) a quelli che pensano che l’essere umano, animale come un altro, non valga di più di una mucca d’allevamento, e quindi vorrebbero obbligarlo a mangiare insetti, o, meglio ancora, a togliere il disturbo dalla faccia della terra: come per tutte le teorie false, se ne può trarre ogni sorta di conclusioni assurde.
Più in generale, penso che la sintesi più onesta del motivo principale all’origine del trionfo (molto più «mediatico» che scientifico) della teoria dell’evoluzione si trovi nel libro di uno dei suoi sostenitori più fanatici: L’orologiaio cieco del biologo Richard Dawkins, laddove questi afferma molto candidamente che la teoria dell’evoluzione ha fornito la giustificazione intellettuale che gli atei stavano aspettando.
Per la prima volta nella storia, sostenere che l’universo, quale l’esperienza e la vera scienza ce lo rivelano, sia frutto del caso, diventava intellettualmente rispettabile. Meglio: sofisticato e alla moda. Come direbbe Chesterton, lungi dall’essere un’idea nuova, la teoria dell’evoluzione è l’ennesimo, vecchio errore. Vecchio almeno di un paio di millenni: il materialista Epicuro ne parlava già intorno al III secolo a.C.
Ed esattamente come Epicuro, una tale teoria serve un unico fine: quello di liberarsi della presenza ingombrante di Dio. Perché se siamo figli del caso, non dobbiamo rispondere delle nostre azioni a nessuno: non serviam.
Come dicevo: niente di nuovo, ma solo la monotona, ripetitiva cantilena, ma ahimé quanto efficace, dai tempi di Adamo ed Eva.
Quali sono gli argomenti che ci spingono a confutarla?
C’è l’imbarazzo della scelta, e uno dei meriti del libro è quello di fornirne un elenco, implacabile quanto inoppugnabile, in tutti i campi, dalla fisica, alla paleontologia, alla teologia.
Per esempio: i famosi fossili dai quali Darwin aspettava ansiosamente la conferma dell’esistenza di anelli di congiunzione tra le specie, costituivano già ai suoi occhi un grosso ostacolo alla sua teoria, come ammetteva nella sua corrispondenza privata. I reperti disponibili ai suoi tempi raccontavano sempre una e una sola cosa: gli animali, anche quelli estinti, apparivano tutti perfettamente funzionanti, estremamente sofisticati, senza «mezze ali» o «proto-organi» che attestassero il passaggio attraverso remote fasi intermedie tra una specie e l’altra.
Darwin ne traeva la conclusione che all’epoca non si disponesse ancora di un numero sufficiente di testimonianze fossili. Sono passati 160 anni, e dei fossili delle forme di transizione continua a non trovarsi traccia. Questo è un fatto talmente incontrovertibile nell’ambito della paleontologia, che i rinomati evoluzionisti Jay Gould e Eldredge sono arrivati a formulare la teoria dell’evoluzione saltazionista o degli equilibri punteggiati: visto che dell’evoluzione non si trova traccia, significa che l’evoluzione avviene «a salti», per «botte di evoluzione», avvenute su tempi brevissimi, su popolazioni animali talmente ristrette, da non lasciare (guarda caso!) alcuna traccia documentata dal registro fossile.
Tutto molto scientifico. Come direbbe qualcuno: se i fatti contraddicono la teoria, tanto peggio per i fatti.
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Personalmente ricordo la mia modestissima, quanto tutt’ora inevasa, obiezione di studente prima al liceo, poi all’università, infine alla scuola di dottorato: com’è possibile che il secondo principio della termodinamica (anche noto come principio di entropia, o di Carnot), il principio più solido, più universalmente confermato di tutta la fisica, quello che ci insegna che ogni sistema naturale tende inevitabilmente verso uno stato di disordine progressivo, e che la teoria dell’evoluzione, quella che ci dice esattamente il contrario, ossia che il movimento aleatorio di atomi su durate sterminate di tempo produca ordine, organizzazione e informazione altamente strutturata, siano entrambi veri? Risposta: non è possibile.
Chieda pure a qualsiasi scienziato, o professore di scienze del liceo: immancabilmente bofonchierà qualcosa sui «sistemi aperti», e poi cambierà discorso. La realtà, ostinata, ci ripete sempre la stessa cosa, quella che le leggi della fisica formalizzano: il caos non produce l’ordine, checché ne dicano certi muratori in grembiule. O, come direbbe Tassot, il tempo non è causa di alcunché.
La teoria dell’evoluzione è incompatibile, prima ancora che con la fede cattolica, con la scienza empirica stessa.
A essere un po’ pedanti, si potrebbe dire che la teoria dell’evoluzione non può essere confutata, per il semplice motivo che non è scientifica nel senso popperiano del termine, ossia falsificabile. Ed è normale che sia così, perché Tassot mostra efficacemente in un altro suo libro che ho tradotto tempo fa (Il Darwinismo: un mito tenace smentito dalla scienza) che la teoria dell’evoluzione nasce molto prima di Darwin nel mondo della filosofia, della letteratura e dell’ideologia anti-cristiana: non è altro che la versione pseudo-scientifica del vecchio mito del progresso, quello che postula che ciò che viene «dopo» è necessariamente meglio di quello che c’era «prima».
Darwin le ha solo fornito una veste e una rispettabilità scientifica. E infatti questa favola per adulti, come ebbe a definirla il biologo Jean Rostand, poggia, non tanto su prove scientifiche, ma su narrazioni, veri e propri «miti» o «icone» che ormai hanno colonizzato l’immaginario collettivo: dalle falene di Manchester ai moscerini della frutta di Lansky; dalla sequenza evolutiva della balena o del cavallo, al collo della giraffa; dai batteri che «evolvono» per sopravvivere agli antibiotici, alla celeberrima sequenza che va dalla saltellante scimmietta Lucy al muscoloso homo sapiens.
Il tutto confondendo allegramente fenomeni accertati come adattamento e selezione, con il concetto totalmente ipotetico di evoluzione, estrapolando su durate di tempo sterminate fenomeni mai constatati su scala ridotta, avvitandosi in ragionamenti circolari nei quali si postula il fenomeno stesso che si dovrebbe dimostrare, o semplicemente inventando di sana pianta dati inesistenti, come accadde con i disegni di Haeckel sulla ricapitolazione evolutiva dell’embrione o frodi famose come quella del pitecantropo e dell’uomo di Java.
In cosa il pensiero del Tassot si distingue dagli altri?
Tassot non ha nessuna geniale, originalissima «sintesi» da proporre per «riconciliare scienza e fede». Perché, se per «scienza» si intende il Darwinismo, la fede cristiana non ha nessun bisogno di riconciliarsi con una falsità, tutt’altro.
Tassot non fa altro che ricordare e difendere la dottrina cattolica tradizionale sulla Creazione, quale è narrata nei primi capitoli della Genesi, e quale è costantemente confermata dall’esperienza empirica, che parla di specie stabili (per quanto non immutabili, anzi, talmente sofisticate da potersi adattare e differenziare rispetto a mutate condizioni ambientali), create per atto soprannaturale da un Creatore infinitamente intelligente, potente e amorevole.
Se c’è una particolarità di Tassot, è quella di avere la capacità, in quanto ingegnere e dottore in filosofia alla Sorbona, di analizzare il problema da tutte le angolazioni, e, nel corso degli anni, di aver saputo radunare attorno a sé e alla sua rivista Le Cep un gruppo di scienziati, storici e filosofi che combattono la stessa battaglia per la Verità. A questo unisce la verve del conferenziere consumato, capace di vivacizzare argomenti inoppugnabili con aneddoti storici, con un effetto di grande efficacia pedagogica.
L’evoluzione in 100 domande e risposte, strutturato in 10 capitoli che affrontano altrettanti aspetti del problema, è la sintesi di anni di lavoro e di contributi, e l’apparato bibliografico sarà utilissimo per approfondire i numerosi temi che per forza di cose possono essere affrontati, per quanto rigorosamente, solo per sommi capi.
Tassot si distingue per coerenza e onestà intellettuale anche dalla grande maggioranza degli scienziati «credenti»: quelli che, pur di salvare la propria rispettabilità di «scienziati seri» all’interno di istituzioni che pretendono fede assoluta nell’idolo evoluzionistico, ad esso devono inchinarsi, più o meno sinceramente, e dire che sì, che la teoria dell’evoluzione è vera, ma che tutte le sue innumerevoli contraddizioni sono risolte da un Dio che alla fine tira le fila dell’universo. Dicono di voler «conciliare scienza e fede», ma in realtà non fanno che stravolgere l’una e tradire l’altra, perché nel tentativo di salvare una teoria tanto mediaticamente trionfante, quanto scientificamente fallimentare, questi scienziati «concilianti» devono annacquare, «demitizzare» a tal punto la Rivelazione biblica e secoli di Tradizione, da rendere entrambe irrilevanti.
Come si evince dalla corrispondenza personale di padri dell’evoluzione come Darwin, Lyell, Huxley, Galton, essi vedevano in questo tipo di accomodamento teista all’evoluzionismo il loro alleato più prezioso, perché erano consapevoli che un Dio «evolutore» era perfettamente innocuo e funzionale alla loro agenda ideologica: il nemico da abbattere, ossia da sradicare dalle coscienze, era il Dio della Genesi, quello che si interessa alla sua creatura dal primo istante della sua esistenza terrena fino all’ultimo (e oltre), quello che crea l’universo intero per l’uomo.
A 160 anni dall’inizio ufficiale di questo attacco, possiamo ben dire: missione compiuta. Purtroppo.
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Oltre a quelle di Tassot, vi sono altre forme di opposizione alla teoria dell’evoluzione? Di recente contro di essa si sono mossi anche gli informatici…
Immagino che lei stia parlando del lavoro di William Dembsky. In quanto informatico, lo trovo estremamente interessante. Si tratta di una formalizzazione del concetto di «complessità irriducibile» introdotto per la prima volta da Michael Behe. L’esempio che si usa in questi casi è quello della trappola per topi, un congegno per il quale esiste un numero minimo di componenti indispensabili per svolgere la funzione, al di sotto del quale non si ha più una trappola: formaggio, molla, la barra che cala sul topo, etc.
Se UNA SOLA viene a mancare, o è incompleta, il resto della struttura è perfettamente inutile. Fuor di metafora in ambito biologico: il reticolo intricatissimo della retina umana non serve a nulla, se al termine delle connessioni neurali dell’occhio non esistessero aree dedicate della corteccia cerebrale, infinitamente più complesse, che possano decodificare i segnali inviati.
Le due componenti avrebbero dovuto evolvere parallelamente, per milioni di anni, senza alcuna utilità, oppure servendo a fare tutt’altro (ai tempi del mio liceo il concetto alla moda era serendipicità) fino al momento fatidico nel quale si sarebbero collegate (sempre per puro caso) e, che combinazione! Ecco servita la visione.
La teoria dell’evoluzione, anche nella sua incarnazione moderna del neo-darwinismo, che vede nelle mutazioni aleatorie del codice genetico il motore dell’evoluzione, non ha la minima risposta a questo tipo di problemi, se non l’ennesimo mito: quello che dice che quanto è impossibile su un tempo a scala umana, diventa «praticamente certo» su durate di tempo «infinite» (non proprio: miliardi e miliardi di anni). La prova? Inesistente.
Il lavoro di Dembsky è fondamentale perché si attacca al fulcro metafisico della questione, che è il superamento definitivo del paradigma riduzionista che in questo momento paralizza il progresso delle scienze, e che passa per l’introduzione dell’informazione come principio fisico fondamentale accanto a «massa» ed «energia».
Per tornare alla questione dell’opposizione al darwinismo, mi sembra che l’unica degna di nota della quale sono a conoscenza viene dal mondo americano: essenzialmente protestante, ma, ed è stata per me una rivelazione recente, anche da un certo mondo cattolico. Spiace dirlo, ma è una realtà che l’eresia protestante del sola scriptura, se da un lato è all’origine dell’estrema frammentazione di quel mondo in migliaia di denominations, paradossalmente ha preservato un’opposizione tenace ed efficace al dominio totale del pensiero evoluzionista, nel nome di un’adesione intransigente al significato letterale della Bibbia.
Invece, la fedeltà del popolo cattolico ai propri pastori, se lo ha protetto per secoli da ogni sorta di deviazione dottrinale, ha anche fatto sì che, quando la gerarchia ha vacillato di fronte all’avanzata delle armate darwiniste, esso fosse molto più permeabile agli insegnamenti spuri che ne sono derivati.
Negli USA la vicinanza, spesso antagonista o per lo meno «competitiva», con i protestanti, ha costretto i cattolici (per lo meno quelli che hanno ancora a cuore l’ortodossia) ad affrontarli sul loro stesso terreno della conoscenza e della fedeltà alle Sacre Scritture. Già da alcuni anni tanto io che Tassot collaboriamo con il Kolbe Center for the Study of Creation. Si tratta di un apostolato impegnato a ristabilire la verità cattolica sulle origini del mondo e della vita, che poco tempo fa ha prodotto la straordinaria serie di documentari Foundations Restored (disponibile con sottotitoli in italiano), un’opera monumentale che in 13 episodi analizza tutti gli aspetti della questione avvalendosi dei contributi di una ventina di esperti in fisica, chimica, biologia, teologia, storia, filosofia: il tutto alla luce degli insegnamenti delle Scritture e della Tradizione della Chiesa cattolica.
Dettaglio toccante: il fondatore, Hugh Owen, è il figlio convertito al cattolicesimo di Sir David Owen, politico inglese a suo tempo attivo propugnatore di politiche eugenetiche, già primo Segretario Generale dell’International Planned Parenthood Federation. Per quanto minoritaria, si, la resistenza esiste, anche cattolica, e si sta organizzando.
Quando essa è penetrata davvero nell’istruzione pubblica? Ci sono forme di resistenza all’interno di essa?
Non si può resistere a qualcosa che non si percepisce nemmeno più come un problema.
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Fino a che punto le scuole sono state invase dal darwinismo? È possibile esonerare il proprio figlio dalle ore di lezione in cui viene impartito agli studenti?
Vivo in Francia ormai da 20 anni, ammetto di conoscere poco la situazione attuale della scuola pubblica italiana, che però immagino non molto diversa da quella francese, della quale eredita l’origine laïque. Penso che poco sia cambiato in Italia dai tempi nei quali, alle medie come al liceo, mi sono ritrovato a studiare la teoria dell’ontogenesi di Haeckel (il primo traduttore di Darwin in tedesco), quella secondo la quale un embrione umano, durante il suo sviluppo fetale, «ricapitola» tutte le fasi della sua storia evolutiva, passando attraverso una fase «pesce», «rettile», etc.
Questa teoria, screditatissima da almeno un secolo, come è ben documentato nel libro, era ancora presentata nella scuola media e superiore italiana degli anni ‘80 come una delle «prove» più convincenti della validità della teoria dell’evoluzione, e i disegnini inventati di sana pianta da Haeckel occupavano un paio di pagine del mio testo di scienze: poco importa che siano una frode conclamata riconosciuta da tempo.
Ma non è un problema solo italiano: nel 2017 Jonathan Wells ha intitolato il suo libro Zombie Science proprio in relazione ai famigerati disegni: come uno zombie che non vuol saperne di morire, questi disegni fraudolenti continuano ad infestare i libri di scienze.
Il tutto accanto al paragrafo sull’ennesimo mito della vulgata evoluzionista, quello degli “organi vestigiali”, come l’appendice o le tonsille, che non sarebbero che rimasugli di organi del passato dimenticati lì dall’evoluzione, inutili se non dannosi. Ma se di organi vestigiali se ne annoveravano un centinaio agli inizi del ‘900, attualmente si contano sulle dita di una mano, perché di tutti gli altri nel frattempo si sono scoperte funzioni e utilità, e tutto porta a ritenere che non ce ne sia nessuno.
È la dimostrazione che la teoria dell’evoluzione rappresenta un vero e proprio ostacolo alla scienza, con gravi ricadute per esempio in ambito medico. Perché nel frattempo si è scoperto che l’infiammazione delle tonsille è sintomo di problemi di sviluppo della mandibola indotti dall’eccesso di cibi molli, e che l’appendice non è affatto un rumine atrofizzato, ma una vitale riserva di batteri, utilissima per ri-colonizzare l’intestino dopo un problema digestivo o una malattia che ne avesse compromessa la flora, con buona pace per le migliaia di ablazioni «preventive» effettuate per decenni: solo uno dei tanti esempi delle conseguenze deleterie molto concrete dell’orgoglioso accecamento indotto da questa teoria, che ci fa ritenere inutile qualcosa che semplicemente non comprendiamo ancora.
A proposito, a più di 150 anni dall’Origine delle Specie, mi saprebbe citare una sola invenzione, una sola previsione utile che la teoria evoluzionista avrebbe apportato al genere umano?
Non mi risulta che le lezioni di darwinismo possano essere rifiutate, ma ritengo che il modo più efficace di combatterlo sarebbe quello di presentarlo in classe nel modo più scientifico e intellettualmente onesto possibile (come raccomandava Humani generis), comprese le ideologie mortifere e devastanti che ha contribuito a ispirare: comunismo, nazismo, eugenismo, cultura della morte abortista ed eutanasica. Ed è proprio per questo che ho voluto tradurre in italiano il libro di Tassot, che è concepito principalmente come un sussidio per studenti ed educatori cattolici.
Perché questo è il nodo del problema: i cattolici, preti e laici, devono riprendere coscienza dell’insegnamento perenne della Chiesa su questi temi, e proclamarlo senza complessi di inferiorità che non hanno alcuna ragione di sussistere: L’evoluzione in 100 domande e risposte e Foundations Restored sono lì per ricordarlo.
Come stupirsi se i giovani «perdono la fede» all’adolescenza? Non è forse a quell’età che a scuola imparano che la «scienza ci insegna che la teoria dell’evoluzione spiega le origini dell’uomo»? Non è forse a quell’età che il prof di religione (quando c’è) spiega tutto gongolante che sì, Dio ha detto delle cose vere «in un certo senso» all’inizio della Bibbia, ma voleva dire altro, o forse è Mosè che, poverino, non era abbastanza «evoluto» per capire, anzi no, Mosè è un personaggio mitico, o «composito», sono i rabbini durante la cattività babilonese che hanno inventato delle storie per ingannare il tempo, ma in ogni caso poco importa, perché si tratta di storie buone e giuste, «ispirate», e a noi cattolici adulti non importa tanto il «come», ma il «perché».
C’è veramente da stupirsi se un giovane, con il bisogno vitale di Verità e di Assoluto che solo un adolescente può avere, trarrà da tale insegnamento ondivago e contraddittorio la conclusione che, siccome i primissimi capitoli della Bibbia sono, nel migliore dei casi, un mito, e nel peggiore una presa in giro, forse lo sia anche tutto il resto, Incarnazione, Passione, Morte, Resurrezione e Transustanziazione comprese?
E che per le cose «vere» ci si possa fidare solo della Scienza.
Quella che insegna che un embrione umano è solo una specie di girino, che veniamo dal caso, e che i comportamenti omosessuali sono normali, e infatti «lo fanno anche le scimmie»?
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Qual è il quadro generale dell’antievoluzionismo?
È un argomento vasto al quale Tassot dedica tutto un capitolo del libro, nel quale traccia brevemente la storia dell’opposizione tanto religiosa quanto puramente scientifica alla teoria. Direi che attualmente ci sono due correnti principali. Da un lato quella del Disegno Intelligente, o Intelligent Design, che accoglie l’evoluzione come un fatto accertato, ma che, di fronte alle insanabili contraddizioni teoriche, e alla mancanza delle evidenze empiriche, evoca l’azione di un Dio che interverrebbe costantemente a forza di miracoli per «dirigere» l’evoluzione là dove, lasciata a se stessa, non andrebbe mai. È una corrente che ha gioco facile nell’indicare tutto quello che non funziona nel darwinismo, ma che pare ancora intenta a salvare le apparenze di una spiegazione puramente naturalista (per quanto guidata da Dio «da lontano»), dell’origine della vita, l’unica ormai comprensibile dal mondo moderno.
L’altra è quella del creazionismo «classico», che riconosce che i primi capitoli della Genesi descrivono in modo succinto, ma esatto, le fasi della creazione del mondo, che procedono da altrettanti atti soprannaturali del Dio Creatore che ha voluto rivelarSi, e rivelare l’origine dell’uomo senza finzioni né «allegorie». Ed è questa la posizione pressoché universale della Tradizione Cattolica, e di tutti i padri della Chiesa: Sant’Agostino compreso, proprio quello che tanto a sproposito viene arruolato, insieme alle sue «cause seminali», nei ranghi degli evoluzionisti. E questa è la posizione di Tassot.
Purtroppo si tratta di una posizione che viene spesso irrisa come ingenua o ispirata dal «letteralismo protestante»: come se il povero Mosè, un tipo capace di guidare un milione di persone nel deserto per 40 anni, non fosse in grado di afferrare concetti come «nato da una scimmia» o «milione di anni», mentre noi, suoi evolutissimi pronipoti debitamente istruiti dai documentari di Piero Angela, avessimo capito che i primi capitoli della Genesi non sono che un’allegoria, un racconto morale tipo Mille e una notte.
Eppure è a questa visione che dobbiamo il paradigma culturale che ha reso possibile la nascita della scienza, quella vera, nel mondo occidentale. Perché se altre culture hanno accumulato conoscenze ed osservazioni empiriche e soluzioni tecniche puntuali, è solo nell’Occidente irrigato dalla confluenza tra la nozione ebraica di Creazione con quelle di lex romana e di logos greco, che la scienza moderna è stata resa possibile: il mondo non è governato dai moti casuali ed imprevedibili della materia, né dai capricci di divinità riottose, ma è opera di un Creatore, che se ne cura fin dall’inizio continuamente, la cui infinita intelligenza traspare nella mirabile armonia di leggi regolari e conoscibili, pallido ma esatto riflesso della Sua gloria infinita.
Qual è lo stato dell’antievoluzionismo in Italia?
A mia conoscenza, si tratta di opposizioni isolate e assolutamente minoritarie. Esistono le lodevoli eccezioni rappresentate da intellettuali come Giuseppe Sermonti, autore del coraggioso Dimenticare Darwin, e tutta l’opera meritevole di padre Alberto Strumia.
Come in Francia, il paradigma evoluzionista è talmente penetrato nella cultura, tanto a livello accademico che popolare, da essere ormai implicito, e quindi invisibile. Si pensi solo a quando in una discussione si evoca l’Homo sapiens, o il Neanderthal, o si parla di «cervello rettiliano».
Io stesso ho conosciuto per caso l’opera di Tassot in Francia, in età relativamente avanzata, e non avevo nemmeno mai potuto concepire che esistesse un’opposizione fondata a quanto a scuola il mio insegnante di scienze mi presentava come una grande conquista dello spirito umano, e quello di religione come salutare lezione di (falsa) umiltà: sapere che siamo solo delle scimmie senza peli.
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La chiesa postconciliare ha oramai accettato la storia dell’uomo derivante dalla scimmia?
Nel quartiere dove vivo, a Nizza, dopo l’attentato del 14 luglio 2016, il prete di un’importante chiesa situata a due passi dal luogo del massacro ha raccolto dei fondi per «offrire a Dio» un nuovo portale. Risultato: vi figurano due orrendi scimmioni che si scambiano una mela. Incurante del fatto che il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che i nostri due progenitori, Adamo ed Eva, furono creati perfetti, in stato di grazia, con i doni dell’immortalità, dell’impassibilità, dell’integrità e della scienza infusa, come da millenaria Tradizione di Dottori, Confessori e Martiri (oltre che di un numero sterminato di santi preti), il parroco non ha trovato nulla da eccepire a che fossero raffigurati secondo una vulgata pseudo-scientifica ispirata da un naturalista inglese ateo e ferocemente anti-religioso, che contraddice platealmente il buon senso cattolico, prima ancora che la fede.
Direi che è un esempio che riassume bene la situazione della Chiesa su questo fronte: una debacle totale, una ritirata disordinata nelle retrovie dell’evoluzionismo teista, con effetti che sarebbero grotteschi, se non fossero blasfemi. È importante sottolineare che l’ultimo pronunciamento al più alto grado di autorità del Magistero cattolico sull’argomento fu quello di Humani Generis (1950), che si limita ad autorizzare la «discussione» sulle origini dell’uomo, ma giustamente impone di non presentare mai l’evoluzione come un fatto accertato, e raccomanda agli insegnanti cattolici, sotto pena di peccato grave, di non mancare di segnalarne i punti incompatibili con la dottrina.
Ricordo che prima di Humanae Vitae, anche Paolo VI aprì un «periodo di discussione» durante il quale era permesso per un cattolico dibattere sulla liceità della contraccezione: e sappiamo come quel periodo si è concluso. Il resto, ovvero le dichiarazioni di papi (o dei loro collaboratori) personalmente convinti, come la stragrande maggioranza del clero attuale, che la scienza abbia accertato oltre ogni margine di dubbio la realtà dell’evoluzione, non sono assolutamente vincolanti, e non faranno che dimostrare alle future generazioni di storici della Chiesa a che punto in questi tempi oscuri le mistificazioni di questa vasta impostura intellettuale saranno riuscite a confondere anche i gradi più elevati della gerarchia cattolica.
La storia della famosa dichiarazione di Giovanni Paolo II sull’evoluzione «più che un’ipotesi» (che il Papa non scrisse di suo pugno, e che probabilmente neanche lesse) è molto istruttiva in questo senso, e meriterà un capitolo a parte, forse proprio dalle colonne di Renovatio 21.
D’altra parte, già nel 1907, nella Pascendi Dominici Gregis, il nostro conterraneo San Pio X, che univa il buon senso del parroco di campagna alla chiaroveggenza di un profeta dell’Antico Testamento, nel denunciare il modernismo aveva fatto «nomi e cognomi»:
«È lor [dei modernisti, ndr] principio generale che in una religione vivente tutto debba essere mutevole e mutarsi di fatto. Di qui fanno passo a quella che è delle principali fra le loro dottrine, vogliam dire all’evoluzione».
Ecco quella che mi sembra una buona definizione del modernismo: la teoria dell’evoluzione applicata alla teologia.
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Necrocultura
La generazione perduta nel suo egoismo
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Pensiero
Miseria dell’ora legale, contro Dio e la legge naturale
Ho un argomento molto metafisico, e al contempo concretissimo, per combattere l’abominio dell’ora legale. Un argomento che sono persino in grado di visualizzare.
Ci sono, certo i numeri: ci dicono che risparmieremo 300 gigawattora. Quando stanotte mi sono svegliato ad un orario innaturale, nella confusione inevitabile di non sapere se è troppo presto o troppo tardi, ho ripensato ad un altro dato: quante persone, in questi giorni, moriranno negli incidenti stradali dovuti ai colpi di sonno? Non credo che nessuno abbia mai fatto questo calcolo, che sarebbe più importante che qualsiasi discorso sparagnino.
Ma a chi importa? L’ora legale, teorizzata da Beniamino Franklin che, democraticamente, voleva piazzare un cannone in ogni via per svegliare la popolazione all’ora che diceva lui per risparmiare in candele, in Italia fu adottata nel 1916, in piena Prima Guerra Mondiale: i nostri ragazzi andavano verso l’inutile strage, il potere pensava a cambiargli l’orologio. Non sono in grado di calcolare l’effetto che l’ora legale può aver avuto sulle trincee, e non ho voglia nemmeno di chiedermelo.
Tuttavia non è questo pensiero di morte – diligente e terminale conseguenza dell’azione dello Stato moderno, che è macchina antiumana – che mi spinge a vedere nell’ora legale un’aberrazione satanica.
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Ho, negli occhi, e nel cuore, un’immagine invincibile, quella della chiesetta dove assisto alla Santa Messa, ovviamente in rito tridentino. Molti lettori già la conoscono, perché ho usato la sua foto in vari articoli.
Andò più o meno così: oramai sette anni fa, trovammo questa chiesetta – dell’estrema nobiltà della proprietà che ce la concesse parlerò altrove. Si tratta di un oratorio che risale al XII secolo, ma notizie certe in merito non si hanno, e mi piace pensare che vi sia davvero un millennio di storia lì.
La chiesa sta fuori dalla città, sopra un borghetto che sa ancora di medioevo, su una collina di boschi e pareti di roccia. L’oratorio stesso sembra posato su un’enorme roccia, anzi sembra esservi stato scolpito, sottratto una scalpellata dopo l’altra da quantità di mani laboriose e fedeli vissute in secoli dimenticati.
Arrivati al nostro secolo, arrivati a noi, c’era pronto tutto quello che serviva: il luogo era stato restaurato, nessuno vi aveva introdotto il tavolone-alare conciliare, a poca distanza c’era tanto parcheggio… per i tanti che, non solo dalla provincia, finalmente potevano avere a portata la Messa in latino.
Iniziarono così le celebrazioni del rito antico, tuttavia ottenemmo dai sacerdoti, impegnati a dire Messe in tanta parte della regione ed oltre, un orario pre-serale, alle 18.
D’inverno, a quell’ora è il buio. Nella scala di pietra mettevamo delle candeline, e lo facciamo ancora oggi in caso di celebrazione notturna. L’effetto è abbastanza magico, tuttavia nulla ha a che fare con quanto avremmo scoperto più avanti.

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Anni dopo, a fronte di una comunità di fedeli sempre più vasta e persistente (unita davvero, come dimostrò la solidarietà in pandemia…) aumentarono il numero di Sante Messe, e fu concessa quindi una celebrazione la domenica mattina, alle 11:00.
Saltò così fuori il fenomeno che ancora mi stupisce, mi commuove. Ci accorgemmo che, precisamente a mezzogiorno – ora nella quale si ha, con la messa iniziata alle 11, la consacrazione eucaristica, un raggio di luce entra dalla finestra a lato e colpisce esattamente il centro dell’altare, dove è posato il tabernacolo.
L’incenso aiuta a vederlo, tuttavia a volte può capitare di notarlo anche in assenza di fumo. È impressionante. Tendo a sospettare di quanti vedono questa cosa e non restano sbalorditi. Le immagini che vedete qui sotto non sono ritoccate in nessun modo. Anzi, ad occhio nudo l’effetto è ancora più forte.



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È interessante notare che lo abbiamo riscoperto noi a Messa, ma da qualche parte l’eco di questo miracolo luminoso risuonava ancora. Una signora della Pro Loco, che ha stampato un libro sulla chiesetta, mi aveva domandato se mai fosse vera una leggenda locale secondo cui nel giorno del Santo patrono dell’oratorio un raggio di luce colpisce l’altare. Ho risposto invitandola a Messa la domenica successiva, dove ha fatto tante foto con il telefonino, e compreso che la leggenda conteneva una realtà ancora più stupefacente: quel raggio si produce ogni giorno.
Il fenomeno impone tanti pensieri. Il primo, è che le mani che hanno eretto questa chiesa sapevano fare cose che i moderno non sono in grado di fare. Di più: chi l’ha costruita, l’ha basata su principi che sono sconosciuti all’architettura moderna. Per fare una chiesa, bisogna orientarla, cioè l’abside deve dare ad orientem (come il sacerdote prima del Concilio), ma non solo.
Ho l’idea che chi ha costruito la chiesetta lo abbia fatto proprio a partire da quel raggio, alla faccia di quanti ne osservino gli elementi (scala esterna, portone, altare) e li considerino disallineati. Ossia, l’intera chiesa è concepita a partire dal rapporto del Cielo con la Terra, cioè di Dio con l’uomo – questo è un senso ultimo della religione cristiana, quella della divinità che si fa essere umano, del Dio del Cielo che scende sulla Terra, del Cielo che nutre la Terra con la sua luce, il suo calore la sua grazia.

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Quel raggio, che casca durante la Santa Messa esattamente nel momento più alto, significa in maniera incontrovertibile l’armonia tra il Cielo e la Terra. L’accordo, nella bellezza, accordato all’uomo da un Dio buono, un Dio che è luce, che è amore.
Questo è l’ordine celeste, infinito, stupendo. Questo è il logos. Questo è il cosmos.
Non ci sono voluti tanti mesi per capire che, a parte il cattivo tempo, c’era solo una cosa in grado di distruggere il nostro raggio divino: l’ora legale. Come a marzo si cambia l’ora, quella luce svanisce, si fa più tenue, fino a sparire, facendo capolino, forse, solo dopo la Messa, quando qualcuno si attarda ad una confessione fuori tempo ed altri (io) rassettano prima di chiudere.
Di fatto, poi, il fascio luminoso scompare del tutto, dalla vista come dai cuori. Fine della magia, per ordine dello Stato moderno.

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Ho sempre preso questo fatto come la prova definitiva della nequizia dell’ora legale – del suo essere un invento contronatura, e quindi contro Dio.
Solo il mondo moderno poteva pensare di alterare persino il tempo: l’uomo si sente in grado di modificare l’immutabile, l’uomo introduce il suo artificio in un sistema la cui complessità ha milioni di anni. Non è diverso per tante altre questioni: ad esempio, i vaccini, la fecondazione in vitro, la bioingegneria…
L’uomo-dio crede di poter mettere mano su qualsiasi cosa, devastando le leggi stesse della creazione, disintegrando quindi l’equilibrio del Cielo e della Terra – una realtà conosciuta dalla saggezza cinese: «l’uomo si conforma alla Terra / La Terra si conforma al Cielo / il Cielo si conforma al Tao» (Tao Te King, XXV). Era chiaro, agli antichi cinesi, che il Cielo è legato alla morale: «Sotto il cielo tutti / sanno che il bello è bello, / di qui il brutto, sanno che il bene è bene, / di qui il male» (Tao Te King, II).
Ora, nel Cristianesimo l’armonia tra la Terra e il Cielo è in realtà una vera alleanze tra persone, cioè tra gli uomini e Dio – e questa nuova alleanza è il Cristo risorto.
Alterare il tempo significa frantumare la relazione naturale con il Cielo. Adulterare la luce del sole significa quindi andare contro il divino, contro la legge naturale, contro Dio.
Non poteva essere altrimenti: il mondo moderno odia, più ancora dell’uomo, Nostro Signore, che vuole sostituire con l’essere umano ubriacato di hybris satanica, l’umanità onnipotente che, apoteosi del non serviam, si crede capace di cambiare le leggi del cosmo.
Ecco perché combatto l’ora legale: perché, ve ne rendiate conto o no, fa parte della macchina in atto per distruggere la presenza di Dio sulla Terra.
E quel raggio magnifico me lo ha ricordato anche domenica scorsa: sì, tornata l’ora del Sole, l’ora vera, è tornato. E con lui è venuta ancora da noi questa immagine potente di reincanto del mondo, di bellezza divina, di armonia cosmica, questa visione sacra che vale più di qualsiasi risparmio.
Vale tutto. Vale il senso vero dell’esistenza e dell’universo.
Roberto Dal Bosco
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Immagini dell’autore
Pensiero
Mons. Viganò: dissonanza cognitiva e rivelazione del metodo, il colpo da maestro di Satana
Ex fructibus igitur eorum cognoscetis eos.
Mt 7, 20
Premessa
La crisi nella Chiesa è di natura teologica, non canonica. Non solo: questa non è una crisi tra le tante, ma la crisi dell’Autorità, perché è appunto l’Autorità ad essere oggetto di un sovvertimento che fino a sessant’anni fa non era nemmeno immaginabile in seno alla Chiesa Cattolica. Se infatti l’Autorità, quando è esercitata per il bene, è certamente lo strumento più idoneo ad assicurare il buon governo dell’istituzione che presiede, così essa si può mutare in uno strumento altrettanto efficace per distruggerla, nel momento in cui chi la ricopre rescinde il proprio vincolo di obbedienza verso Dio, che dell’Autorità è supremo garante (1).
Questo hanno fatto i Giacobini nel 1789, questo hanno ripetuto i fautori della rivoluzione conciliare nel 1965: appropriarsi illegittimamente dell’Autorità per costringere i sudditi ad accettare di obbedire a ordini iniqui, finalizzati ad un piano eversivo. E tanto i Giacobini quanto i Modernisti si sono avvalsi non solo della collaborazione attiva dei propri complici e dell’inazione dei codardi, ma anche del consenso di coloro che obbedivano in buona fede e da una massa progressivamente indotta ad accettare in nome dell’obbedienza qualsiasi cambiamento (2).
L’idealizzazione dell’autorità
Nelle scorse settimane «conservatori» come Riccardo Cascioli, Luisella Scrosati, Daniele Trabucco e Giovanni Zanone hanno sostenuto che laici e chierici, dinanzi alla crisi della Gerarchia cattolica, non dovrebbero adottare forme di resistenza nei confronti di cattivi Superiori; né dovrebbero mettere in discussione la loro Autorità, dal momento che essa promana direttamente da Nostro Signore.
Costoro affermano che l’indegnità di un vescovo o del papa non inficia la legittimità della loro autorità, ma questo può essere vero nel caso di un’indegnità personale che non coinvolge l’esercizio dell’autorità stessa. L’autorità, tuttavia non può essere esercitata legittimamente al di fuori dei confini che le sono dati né tantomeno contro i propri fini o contro la volontà del divino Legislatore. Un vescovo che coopera consapevolmente ad uno scopo iniquo con atti di governo, inficia la legittimità di quegli atti e la sua stessa autorità, proprio perché sono posti in fraudem legis.(3)
La visione idealista e sconnessa dalla realtà degli Autori citati, secondo la quale l’Autorità non perderebbe la propria legittimità nemmeno quando i suoi ordini sono volti al male, rende evidente il cortocircuito logico tra la realtà di papi e vescovi eretici – formali o materiali, poco importa: è comunque una cosa inaudita – e la teoria di un’Autorità immune dall’eresia e dalle cattive intenzioni di chi ricopre quell’Autorità.
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Una crisi sistemica
Chi si ostina a giudicare i singoli fatti prescindendo dall’evidente coerenza che li lega tra loro e dal quadro complessivo che se ne evince, falsifica la realtà dandone una rappresentazione ingannevole. Questa è una crisi che dura da sessant’anni, sempre nella medesima direzione, sempre con la connivenza dell’Autorità, sempre contraddicendo gli stessi articoli di Fede e sostenendo i medesimi errori già condannati.
I responsabili di questa crisi sono tutti accomunati dalla volontà eversiva di appropriarsi e mantenere il potere per raggiungere gli scopi che si prefiggono. E a riprova che deep state e deep church agiscono di concerto, basti vedere come gli artefici di questa sovversione in campo ecclesiastico agiscono specularmente ai loro omologhi nella sfera civile, giungendo a mutuarne il lessico e le tecniche di manipolazione di massa. L’evidenza dei risultati disastrosi ottenuti dai papi e dai vescovi conciliari non li ha indotti a tornare sui propri passi e a riparare al danno compiuto, ma al contrario li vediamo proseguire ostinatamente sulla medesima linea, confermando dolo e premeditazione, ossia la mens rea. (4)
Ci troviamo in una situazione di gravissimo conflitto istituzionale, dal quale emerge che la maggior parte dei vescovi costituiti in Autorità – senza alcuna ombra di dubbio – agisce con l’intenzione determinata e volontaria di commettere atti illeciti contro il bene della Chiesa e delle anime, nella consapevolezza delle loro conseguenze.
Se in costoro non vi fosse intenzione di compiere il male – se, cioè, essi fossero in buona fede – non si ostinerebbero a ripetere i medesimi errori, nel perseguimento dei medesimi risultati. Né cercherebbero con ogni mezzo di indurre fedeli e sacerdoti a rinnegare ciò che la Santa Chiesa ha insegnato per secoli, facendo loro abbracciare quanto essa condannava e puniva con le pene più severe.
L’accettazione della frode
Abbiamo dunque una Gerarchia composta da vescovi e papi traditori che pretende dai propri fedeli non solo il silenzio inerte dinanzi ai peggiori scandali dei suoi membri, ma anche l’entusiastica accettazione e condivisione di questo tradimento, secondo quel principio esoterico che il satanista Aleister Crowley aveva così riassunto agli inizi del Novecento: «Il male deve nascondersi alla luce del sole, poiché le regole dell’universo impongono che chi viene ingannato acconsenta al proprio inganno».
Questo è il modus operandi del demonio e dei suoi servi, che troviamo confermato dalla narrazione delle tentazioni cui Satana sottopone Nostro Signore nel deserto: «Tutto questo io ti darò – dice il Maligno a Cristo – se prostrato mi adorerai» (Mt 4, 9). Nel pretendere di essere adorato come Dio, Satana chiede anzitutto l’accettazione della frode, ossia della premessa – Tutto questo io ti darò – che è assolutamente falsa, in quanto Satana non può cedere ciò che non gli appartiene. Se per assurdo Nostro Signore si fosse prostrato a Satana adorandolo, Egli non avrebbe avuto da lui nemmeno un granello di polvere del deserto e questo baratto si sarebbe rivelato una frode.
er questo il Signore gli risponde «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto» (ibid., 10). Con queste parole Nostro Signore svela l’identità del tentatore e i suoi inganni. Anche nell’Eden, tentando Eva, il Serpente aveva prospettato ai Progenitori di diventare sicut dii (Gen 3, 5).
Essi sapevano benissimo che Satana non sarebbe stato in grado di renderli come dèi e che avrebbero dovuto rispondere a Dio della loro orgogliosa disobbedienza, ma nonostante questo hanno consentito alla menzogna del Maligno come se fosse vera, rendendosi responsabili del sovvertimento di Bene e Male e agendo come se Dio non fosse onnipotente e in grado di punirli. È questa, in definitiva, la ὕβρις, la superbia che spinge l’uomo a sfidare Dio scegliendo di compiere il peccato, che ha come conseguenza la νέμεσις, ossia la punizione inevitabile che colpisce chi ha violato l’ordine divino oltrepassando i limiti imposti da Dio.
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La «Rivelazione del Metodo»
Lo storico ed esperto di ingegneria sociale Michael A. Hoffman ha affrontato il medesimo tema da una prospettiva differente, identificando un’élite nascosta che usa tecniche di manipolazione per controllare le masse. Essa non vuole solo conquistare il potere, ma intende condurre una guerra psicologica che trasforma la realtà in un rituale magico, alchemico (e in questo coincide con le parole di Crowley).
Questa élite non nasconde più tutto, ma rivela deliberatamente parti del suo piano (da qui la Rivelazione del Metodo), come atto di umiliazione dei sudditi e di affermazione della propria supremazia. Gli studi di psicologia sociale confermano che questo gioco crudele per soggiogare e dominare le vittime serve a provocare la dissonanza cognitiva, ossia quello stato di disagio psicologico che si verifica quando ci troviamo dinanzi a due affermazioni o fatti in conflitto tra loro, come ad esempio è avvenuto quando le autorità sanitarie sostenevano, mentendo, che il siero genico sperimentale fosse «sicuro ed efficace» ma allo stesso tempo chiedevano lo scudo penale per i medici inoculatori; o quando abbiamo sentito affermare da Jorge Bergoglio che «Dio non è cattolico».
Questa dissonanza cognitiva, questa percezione di una contradictio in terminis è voluta, perché ci demoralizza (siamo consapevoli della nostra impotenza), perché ci induce ad un consenso implicito (un consenso passivo, come dire: «Ti mostro cosa faccio, e tu non fai nulla, quindi acconsenti») e infine perché ci porta all’accettazione di un potere dispotico (anche se esso sbeffeggia le masse, rafforzando su di noi il proprio controllo psicologico).(5)
La «dissonanza cognitiva» e il «gaslighting» dei conservatori
Non ci deve dunque stupire se queste tecniche di manipolazione di massa sono usate anche nella sfera ecclesiastica, allo scopo di provocare la stessa dissonanza cognitiva nei fedeli, la stessa demoralizzazione, lo stesso consenso estorto, la medesima accettazione dell’autorità che ostenta la contraddizione ma pretende obbedienza. Pensiamo al paradosso di Leone che dichiara la libertà religiosa un diritto umano sulla base del Vaticano II e allo stesso tempo canonizza il Beato Bartolo Longo, che nei suoi scritti condanna l’indifferentismo religioso e il concetto di libertà religiosa (6); o che presiede incontri ecumenici con gli islamici, ma canonizza il Beato Ignazio Choukrallah Maloyan, vescovo armeno martirizzato dai maomettani per essersi rifiutato di apostatare la vera Fede.
Non ci deve stupire nemmeno che la Nuova Bussola si comporti esattamente come previsto in questi casi dai manuali di psicologia sociale, negando ostinatamente la contraddizione ancorché evidente, in un’operazione di vero e proprio gaslighting (7): «Ciò che hai visto non è mai successo».
Anche il ricorso a video o immagini generate dall’AI diventa strumento di destabilizzazione, perché queste contribuiscono a erodere la base sensibile della conoscenza della realtà, rendendo impossibile distinguere il vero dal falso e di fatto cancellando la nozione stessa di «reale» mediante la sua sostituzione con il «verosimile».
L’apparenza prende così il posto della sostanza, solo perché essendo veicolata dall’immagine che appare sul cellulare o sul computer noi non sappiamo se ciò che ci sembra vero lo è davvero o lo sembra soltanto. Come non vedere in questo nuovo fenomeno un attacco con cui Satana sfida con i suoi artifici teatrali e con i suoi effetti speciali la verità di Dio che è simplex, senza pieghe?
Questi sono test di massa per mettere alla prova la devozione alla religione sinodale, esattamente come in ambito civile avviene con la religiones anitaria o la religione green. E non è diverso chiedere al fedele di accettare la messa protestantizzata di Paolo VI se vuole avere il permesso di assistere alla Messa tridentina, che del Novus Ordo è l’antitesi.
Anche la «scomunica» che Jorge Bergoglio mi ha inflitto palesa una enorme contraddizione: da un lato io sono stato dichiarato scismatico per aver denunciato gli stessi errori che tutti i Papi fino a Pio XII incluso hanno condannato; dall’altro i veri eretici e scismatici sono ammessi alla communicatio in sacris con chi mi condanna, senza alcuna conseguenza canonica. Il messaggio è chiaro: «Possiamo mostrarti la contraddizione tra le nostre parole e le nostre azioni, e tu non farai nulla. Accetterai sia la menzogna che la prova di essa».
Ogni assurdità accettata indebolisce la capacità di discernimento dei fedeli e del Clero, per poter responsabilmente obbedire ai propri Pastori. Se la nostra Fede non è forte e convinta, questo ci porta ad una forma di apatia verso ogni nuova provocazione. È una forma di umiliazione rituale che funziona non più attraverso la segretezza, ma attraverso una sfacciata ostentazione, specialmente quando l’obbedienza all’Autorità che imparte ordini abusivi e addirittura criminali è richiesta come un sacrificio della propria razionalità, come un’immolazione della volontà mediante un concetto pervertito di autorità e di obbedienza.
Se l’Autorità della Gerarchia, fino ai suoi massimi vertici, si rende responsabile di questa manipolazione psicologica dei fedeli finalizzata a perpetuare il proprio potere per demolire la Chiesa, a chi dovrebbero rivolgersi, sacerdoti e laici, per veder condannati i colpevoli di tanto tradimento? A quegli stessi eretici manipolatori, incistati a Roma e in tutti gli organi e le istituzioni della Chiesa Cattolica?
Non stupisce che troppe vocazioni sacerdotali si perdano e che molti fedeli si rassegnino o abbandonino la pratica religiosa. È il risultato voluto e pianificato di questo crudele stillicidio.
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Il «colpo da maestro» di Satana
Il demonio vuole ottenere la nostra adesione al male non per inganno, ma portandoci ad accettare la menzogna con la quale egli definisce bene il male, e ad accettare la finzione mediante la quale ci presenta il bene come un male. Il colpo da maestro di Satana consiste in questo: nell’ottenere da noi un assenso irrazionale, pur dinanzi all’evidenza della frode e del sovvertimento che riconosciamo per tali ma che, in un atto di folle annientamento suicida, accettiamo come se fossero verità divinamente rivelate. Per il Cattolico la Fede non è mai irrazionale: rationabile sit obsequium vestrum, dice San Paolo (Rom 12, 1), perché Dio è autore della Fede e della ragione, e non vi può essere contraddizione nella Verità.
Satana, al contrario, essendo menzognero e padre della menzogna (Gv 8, 44) non può non dissimulare i propri inganni con la frode, per i quali pretende da noi non un’adesione razionale, ma un consenso superstizioso, un atto di fede al contrario, nel quale l’assenso dell’intelletto a errori e eresie evidenti è motivato non dall’autorità di un Dio verace, ma dall’usurpazione di quell’autorità da parte di una creatura ribelle, bugiarda e che sappiamo che ci vuole ingannare e perdere.
Satana vuole che abdichiamo alla ragione e allo stesso sensus fidei, trasformando l’atto di fede in una folle apostasia.
L’assolutizzazione dell’obbedienza
Assolutizzare l’obbedienza, scardinandola dalla necessaria coerenza che essa presuppone tra tutti i soggetti del corpo gerarchico in cui essa viene esercitata,[8] significa consegnare nelle mani dell’autorità vicaria della Gerarchia un potere che il supremo Legislatore non le ha mai concesso, ossia la facoltà di poter legittimamente legiferare contro la volontà del Legislatore stesso e in danno dei fedeli.
Qui non stiamo parlando di ordini incidentalmente sbagliati, o di singoli vescovi che abusano della propria autorità in un contesto ecclesiale in cui la Virtù è incoraggiata e il peccato condannato e punito. Qui stiamo parlando di un intero sistema gerarchico che è riuscito – nella Chiesa Cattolica come nella cosa pubblica – ad impossessarsi del potere, ottenendo riconoscimento e obbedienza dai sottoposti mediante l’uso di mezzi coercitivi.
Non solo: l’assolutizzazione dell’obbedienza nei riguardi dell’autorità finisce anche con l’essere deresponsabilizzante: un comodo alibi offerto ai tanti, troppi don Abbondio in veste filettata o in clergyman, ben attenti a non dispiacere ad alcuno, ad «evitare polarizzazioni» – secondo l’auspicio di Leone – a beneficiare dei favori del potente che si conosce come iniquo ma a cui si presta ossequio per viltà o interesse.
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Conclusione
La Sacra Scrittura, i Padri, i mistici e la stessa Vergine Maria a Fatima ci hanno messi in guardia su un’apostasia che la Chiesa dovrà affrontare negli ultimi tempi. Come possiamo pensare che questa apostasia si concretizzi, se non attraverso falsi pastori al posto di buoni pastori, e di pseudocristi e falsi profeti al posto di Cristo e dei Profeti? Come potrebbero gli eletti essere tratti in inganno dagli eretici e dagli scismatici (Mt 24, 24), se non nel momento in cui questi ricoprono ruoli d’autorità nella Chiesa? Ma la Chiesa è indefettibile, ripetono alcuni con petulanza.
E lo è davvero: nonostante la stragrande maggioranza dei suoi vescovi infierisca su di essa e agisca di concerto con nemici di Cristo. La Chiesa Cattolica è indefettibile nel senso che essa non può mai venir meno nella sua missione di custodire e trasmettere la Verità rivelata da Dio, né può cadere in errore definitivo nella sua Fede e nella sua Morale. E questo di fatto non accade nemmeno quando una Gerarchia eretica e corrotta cerca di oscurare o di sfigurare il sacro Deposito della Fede. Non dimentichiamo che la Chiesa non è solo quella militante su questa terra (hic) e oggi (nunc), ma è anche quella penitente in Purgatorio e trionfante in Paradiso.
La sua compagine celeste è garanzia di quell’indefettibilità che il suo divino Fondatore le ha promesso e che lo Spirito Santo le assicura. E se la chiesa conciliare-sinodale che oggi si presenta come militante contraddice quella di ieri, spezzando la continuità e l’unità nella Professione dell’unica Fede che la rende una e apostolica anche nel fluire del tempo e non solo nella sua diffusione nello spazio, essa non è più la stessa Chiesa.
Per questo il Signore non manca di suscitare una vox clamantis in deserto che rompa il muro di silenzio e di complicità dei congiurati: mi riferisco ai “dottori degli ultimi tempi” cui accenna Augustin Lémann (9) nel suo saggio L’Anticristo. Sono i nuovi Sant’Atanasio imprigionati, esiliati, perseguitati ma infine risarciti dalla Giustizia divina con la proclamazione della loro santità. Ecco come il grande Vescovo di Alessandria e Dottore della Chiesa si rivolge ai fedeli durante la grande eresia ariana (10):
Che Dio vi consoli! (…) Quello che rattrista (…) è il fatto che gli altri hanno occupato le chiese con violenza, mentre in questo periodo voi vi trovate fuori. È un dato di fatto che hanno la sede, ma voi avete la Fede apostolica. Possono occupare le nostre chiese, ma sono al di fuori della vera Fede. Voi rimanete al di fuori dei luoghi di culto, ma la Fede abita in voi. Vediamo: che cosa è più importante, il luogo o la Fede? La vera Fede, ovviamente. Chi ha perso e chi ha vinto in questa lotta – quella che mantiene la sede o chi osserva la Fede? È vero, gli edifici sono buoni, quando vi è predicata la Fede apostolica; essi sono santi, se tutto vi si svolge in modo santo… Voi siete quelli che sono felici, voi che rimanete dentro la Chiesa per la vostra Fede, che mantenete salda nei fondamenti come sono giunti fino a voi dalla Tradizione apostolica, e se qualche esecrabile gelosamente cerca di scuoterla in varie occasioni, non ha successo. Essi sono quelli che si sono staccati da essa nella crisi attuale. Nessuno, mai, prevarrà contro la vostra Fede, amati fratelli, e noi crediamo che Dio ci farà restituire un giorno le nostre chiese. Quanto più i violenti cercano di occupare i luoghi di culto, tanto più essi si separano dalla Chiesa. Essi sostengono che rappresentano la Chiesa, ma in realtà sono quelli che ne sono a loro volta espulsi e vanno fuori strada. Anche se i Cattolici fedeli alla Tradizione sono ridotti a una manciata, sono loro che sono la vera Chiesa di Gesù Cristo.
L’accusa ricorrente che tanto i Conservatori e i Sinodali rivolgono a chi rimane saldo nella Fede e denuncia i loro errori è di volersi creare una propria chiesa, separandosi con lo scisma dalla Chiesa Cattolica, visibile e gerarchica, di cui essi si sono però impossessati con un vero e proprio golpe e nella quale pretendono di esercitare una legittima Autorità per gli scopi opposti a quelli che Nostro Signore le ha affidato.
Ma non sono stati forse costoro, con i loro errori condannati da tutti i Papi preconciliari, a crearsi una chiesa parallela che contraddice il Magistero immutabile e sovverte il Papato? Come può un’autorità ribelle a Cristo Capo del Corpo Mistico pretendere di esercitare l’Autorità di Cristo per contraddire la Sua Parola?
Come può chi si è separato dalla comunione ecclesiale con la vera Chiesa Cattolica Apostolica Romana accusare di scisma chi le rimane fedele?
+ Carlo Maria Viganò
Arcivescovo
Il Canonico Augustin Lémann, ebreo francese, si convertì al Cattolicesimo insieme al fratello Joseph. Divenuti amici di Pio IX, furono entrambi consultori del Concilio Vaticano I.
10) Sant’Atanasio, Epistolæ festales, Lettera XXIX, in: Coll. Selecta SS. Eccl. Patrum, a cura di Caillaud e Guillon, vol. 32, pagg. 411-412.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
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