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La guerra degli sciamani russi

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Dall’inizio della guerra in Ucraina nelle regioni di Buriazia, Tuva, Irkutsk, Altaj dove è diffuso lo sciamanesimo si sono moltiplicati invocazioni e sortilegi. E secondo quanto da loro stesso raccontato attualmente ci sarebbero 17 sciamani che partecipano alle azioni belliche, come volontari o coscritti.

 

Come documenta un servizio dell’agenzia Ljudjam Bajkala, in preparazione alle elezioni presidenziali, poi stravinte dal presidente Vladimir Putin, gli sciamani della Siberia hanno organizzato diversi riti propiziatori per sostenerlo.

 

Il primo è stato lo sciamano della città di Angarsk nella regione di Irkutsk, Artur Tsybikov, che già il 20 dicembre scorso aveva acceso un falò sulla strada principale, gettando in esso le offerte agli spiriti, dei biscotti mischiati a latte e vodka, raccontando che «dopo questo rituale mi è apparso dal cielo il dio buriato Bukhe Iojon, che ha assicurato di aver approvato il desiderio espresso per la vittoria di Putin».

 

Il giorno scelto per l’inizio di questi riti era quello del «Giorno dell’FSB» dedicato ai membri dei servizi di sicurezza, e anche perché «in questi giorni [il 18 dicembre] è nato Stalin».

 

Il 50enne Tsybikov è il presidente dell’associazione «Cielo sempre azzurro» (Večno sinee nebo), ed è uno degli sciamani più efficaci a livello mediatico di tutta la Russia. La sua popolarità si era diffusa dopo l’olocausto rituale di 5 cammelli ad Angarsk nel 2019, preventivamente uccisi e poi smembrati e gettati nel fuoco, un rito pensato «per rafforzare la Russia».

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Dall’inizio della guerra in Ucraina, queste invocazioni e sortilegi si sono ovviamente moltiplicati. Come egli stesso ha raccontato ai giornalisti, attualmente ci sono 17 sciamani che partecipano alle azioni belliche, come volontari o coscritti, anche se non ha rivelato i loro nomi, e solo uno di essi sarebbe morto al fronte, «probabilmente per mancanza di fede».

 

I parenti hanno sepolto il defunto «alla vecchia maniera», racconta Tsybikov, affossandolo direttamente sotto terra, mentre lui celebrava il rito di accompagnamento dell’anima al cielo, per «ricongiungersi agli avi» mentre si bruciavano al fuoco i suoi indumenti ed effetti personali. Ora lo sciamano trapassato «aiuta i suoi compagni direttamente dal cielo», e anche Artur con gli altri sciamani partecipa ai combattimenti agendo “a distanza».

 

«Quando mi chiamano al telefono sento le pallottole che fischiano, gridano di essere accerchiati e chiedono di essere salvati» – spiega Artur – «allora preghiamo e compiamo dei rituali, e creiamo così dei corridoi per farli uscire dall’assedio, i loro comandanti prendono la giusta decisione e se ne vanno senza alcuna perdita».

 

Le attività degli sciamani non servono soltanto ai singoli soldati, ma a tutto l’esercito russo, come quando a gennaio si decise di «celebrare un rito per Avdeevka, e gli spiriti ci hanno rivelato che ci sarebbe stata pioggia battente, poi la nebbia che avrebbe fermato i droni ucraini, e l’assalto ha avuto successo”. Gli sciamani sostengono la “operazione militare speciale» fin dall’inizio, ricordando l’appello dello sciamano supremo di Russia Kara-ool Dopčun-ool (figura riconosciuta dallo Stato), che già il 10 marzo 2022 chiese ai soldati russi di «essere intrepidi», e anche lo sciamano dell’Altaj, Artem Ignatenko, dichiarò che Vladimir Putin «si prende cura delle persone», e che l’operazione speciale «è iniziata proprio al momento opportuno».

 

Tra i mobilitati al fronte molti provengono dalle regioni dove è diffuso lo sciamanesimo, Buriazia, Tuva, Irkutsk, Altaj.

 

L’antropologo di Mosca Dmitrij Doronin spiega che «la comunità sciamanica è molto più diffusa e complessa di quanto appare sulla stampa», e raramente gli sciamani intervengono in questioni politiche; per lo più guariscono dalle malattie, aiutano i clienti a decidere come spendere i soldi, a quale università iscriversi o quale automobile acquistare. «Noi come razionalisti europei vorremmo che tutto fosse messo a verbale, anche le posizioni politiche, ma non è questo che ci si deve attendere dagli sciamani, essi sentono lo spirito delle persone e del popolo, e agiscono in suo favore».

 

Il 36enne sciamano di Ulan-Ude, Enkhe Tsydenov, afferma che «si rivolgono a noi i parenti dei soldati, ci chiedono di compiere rituali per loro… le persone non hanno voglia di combattere e morire, la guerra è una cosa terribile, ma si deve fare, perché non si può andare contro chi detiene il potere». Per cui «i nostri compatrioti non hanno alcuna colpa, e noi possiamo soltanto pregare per loro»; anche nei riti sciamanici, come in quelli della Chiesa ortodossa russa, sono state introdotte le preghiere «per la Vittoria».

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Immagine di Dr. Andreas Hugentobler via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Germany 

 

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Mons. Viganò: «non c’è paradiso per i codardi!»

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Renovatio 21 pubblica questo intervento di monsignor Carlo Maria Viganò.    

Non c’è paradiso per i codardi!

La Vittoria della Lega Santa a Lepanto Intervento al Convegno dell’Associazione culturale «Veneto Russia» Settimo di Pescantina (VR), 11 Ottobre 2025

     

Salve, Regina, rosa de spina, rosa d’amor, Madre del Signor. Fa’ che mi no mora e che no mora pecador, che no peca mortalmente e che no mora malamente.

Preghiera del marinaio, recitata da tutta la flotta veneziana prima di muovere battaglia nelle acque di Patrasso.

  Cari Amici,
 
consentitemi di ringraziare gli organizzatori di questo evento e di porgere il mio saluto a tutti i partecipanti. È per me un piacere potermi unire a voi nel celebrare l’anniversario della Vittoria di Lepanto, prendendo parte alla nona edizione del Convegno che quest’anno ha come tema il paradosso di un’Europa laicista, liberale e massonica che muove guerra alla Russia cristiana e antiglobalista.
 
Viviamo ormai negli ultimi tempi, in cui lo scontro tra Cristo e Anticristo impone a tutti noi di schierarci sotto le insegne del nostro Re divino e della Sua augustissima Madre, nostra Regina, memori delle parole del Signore: Chi non è con Me, è contro di Me (Mt 12, 30).
 
Il 7 Ottobre 1571, nel Golfo di Patrasso, la flotta della Lega Santa schiacciava vittoriosa l’orgoglio ottomano, rallentando l’espansione islamica nel Mediterraneo occidentale. Un’espansione che non si è mai fermata con il «dialogo» tra Croce e Mezzaluna, ma con l’uso della forza militare, il sacrificio di tante vite umane e la protezione soprannaturale che la Regina delle Vittorie e Mediatrice di tutte le Grazie ha spiegato come un manto sulla Cristianità minacciata dall’Islam.

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Anche alle porte di Vienna, il 12 Settembre 1683 – ossia solo 112 anni dopo Lepanto – il Turco venne sconfitto dalle armate cattoliche, sotto il patrocinio del Santo Nome di Maria. Temibile e terribile come un esercito schierato in ordine di battaglia: solo al pronunciare queste parole, sentiamo un nodo alla gola, nella commozione di contemplare la nostra Augusta Regina a capo delle schiere angeliche e terrene.
 
Ella era apparsa in simili sembianze anche il 7 Agosto 626, quando Costantinopoli era assediata dagli Avari, dagli Slavi e dai Persiani Sassanidi e il popolo cristiano riunito nella chiesa delle Blacherne invocava il Suo intervento. Sfolgorante di luce e con Gesù Bambino tra le braccia, la Vittoriosa Condottiera – come è chiamata nell’Inno Akatisto – aveva sbaragliato i nemici, meritando alla Capitale dell’Impero il titolo di «città di Maria».
 
Ma se l’aiuto divino e l’intercessione potentissima della Semprevergine Madre di Dio hanno portato a compimento in modo miracoloso e certamente soprannaturale vittorie umanamente difficili se non impossibili, non possiamo non ricordare che questi prodigiosi e provvidenziali interventi, queste irruzioni della potenza del Deus Sabaoth nelle umane contingenze, si rendono possibili solo dove questo tutto inarrivabile e divino è preceduto dal nulla della nostra cooperazione all’opera della Redenzione.
 
In virtù dell’Incarnazione della Seconda Persona della Santissima Trinità, infatti, l’Uomo-Dio prende possesso dell’umanità di cui per divinità, per stirpe e per diritto di conquista Egli è costituito Signore e Re. Ma questo consorzio della natura divina del Figlio di Dio con la natura umana di Gesù Cristo, attuato dall’Unione ipostatica, fa sì che anche ogni membro del Corpo Mistico possa unirsi alla Passione di Cristo Capo, completando nella propria carne quello che manca ai patimenti di Cristo, per il bene del Suo corpo che è la Chiesa (Col 1, 24). E nell’economia della salvezza, ogni uomo è chiamato a contribuire all’opera della Redenzione attivamente, senza cercare in un fatalismo ben poco cattolico un alibi alla propria ignavia.
 
Ma nel rievocare Lepanto, non possiamo non ricordare anche la figura eroica di Marcantonio Bragadin, nobile veneziano e governatore di Famagosta, a Cipro, durante l’assedio ottomano del 1570-1571. La città cadde nell’agosto 1571, e Bragadin negoziò una capitolazione onorevole con il comandante ottomano Lala Mustafa Pascià, che promise salva la vita ai difensori. I Turchi però, venendo meno alla parola data, violarono l’accordo: Bragadin fu torturato e sottoposto a una morte brutale; venne scorticato vivo e la sua pelle fu riempita di paglia e inviata come trofeo al sultano Selim II.
 
Questo orribile crimine suscitò sdegno nei membri della Lega Santa e la vittoria di Lepanto fu vista anche come una vendetta per l’assedio di Cipro, le atrocità subite da Bragadin (1) e come una punizione per la slealtà dei Turchi, inconcepibile per un cavaliere Cristiano.
 
L’eroismo di Bragadin trovò emuli anche nel golfo di Patrasso: don Giovanni d’Austria, Comandante supremo della Lega Santa a soli ventiquattr’anni e grande stratega, fu uomo di fede. Durante la battaglia incoraggiava i rematori e i soldati al grido: Non c’è paradiso per i codardi!
 
Sebastiano Venier, Capitano generale veneziano e veterano di settantacinque anni, si distinse per coraggio e ardore, incitando i suoi compagni: Chi non combatte non è Veneziano. Il suo eroismo gli meritò l’elezione a Doge nel 1577.
 
Il comandante veneziano Agostino Barbarigo morì in battaglia dopo essere stato colpito da una freccia a un occhio ed aver continuato a comandare l’ala sinistra della flotta, contribuendo così alla vittoria finale. Marcantonio Colonna, Ammiraglio pontificio, si distinse per il suo impegno nel soccorrere i feriti e nel garantire che i prigionieri ottomani fossero trattati con umanità, coerentemente con i valori cristiani che la Lega Santa professava.

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Fu il loro coraggio, la loro abnegazione, ma soprattutto la loro fede sincera e virile a costituire quel nulla che il Signore attende da noi prima di scendere in campo al nostro fianco e darci una vittoria altrimenti impensabile. Il Suo tutto, il nostro nulla. Il nulla di chi, sulle facciate dei palazzi, non si vergognava di incidere Non nobis Domine non nobis, sed nomini tuo da gloriam. Di chi, costituito in autorità e membro del Serenissimo Senato, non esitò ad attribuire la Vittoria della flotta cristiana non alla potenza navale, né alla forza delle armi, ma all’intercessione della Beata Vergine del Rosario, che San Pio V – il Papa di Lepanto – aveva ordinato di invocare recitando la santa Corona.
 
Perché vi fu un’epoca in cui gli uomini erano uomini, e uomini di valore, uomini di parola, uomini di guerra, uomini di fede. Peccatori certamente, ma coraggiosi, disposti a morire per difendere la Santa Chiesa e ricacciare gli idolatri invasori nelle loro plaghe remote. Ut Turcarum et hæreticorum conatus ad nihilum perducere digneris: Te rogamus, audi nos! Così pregarono a Costantinopoli, così pregavano a Lepanto, così hanno pregato a Vienna: sempre fiduciosi che l’aiuto di Dio sarebbe giunto nel momento in cui esso si mostrava inequivocabilmente divino e soprannaturale, e sempre con la mediazione della Madre di Dio, l’onnipotente per Grazia.
 
Il nostro Dio è un Dio geloso: geloso del Suo popolo e geloso della propria Signoria su di noi, che non permette sia usurpata da alcuno e che vuole condividere con la propria Santissima Madre, nostra Signora e Regina. Egli è Re e come Re vuole regnare: oportet illum regnare, è necessario che Egli regni. E quando regna Cristo, si compie il voto del Salmista: Beatus populus, cujus Dominus Deus ejus (Ps 143, 15), beato il popolo del quale è Signore il suo Dio.
 
Quanto tempo è passato dalla Vittoria di Lepanto! Cinquecentocinquantaquattro anni: oltre mezzo millennio. Ed oggi, in un mondo che guarda con incomprensione e disprezzo all’eroismo dei caduti di Lepanto e alla loro Fede, considerandoli pericolosi fanatici, le orde islamiche non solo non sono respinte ai nostri confini, ma sono accolte e ospitate e nutrite e curate e lasciate libere di delinquere e di trasformare la nostra Patria in una nazione islamica.
 
Trecentonovantun anni dopo Lepanto, il primo «concilio» della «nuova chiesa» – il Vaticano II di cui ricorre oggi l’anniversario dell’apertura – teorizzò quell’ecumenismo sincretico condannato dai Romani Pontefici che nell’arco di pochi anni avrebbe condotto Paolo VI, il 19 gennaio 1967 (2), a restituire lo stendardo che Mehmet Alì Pascià aveva issato sulla sua ammiraglia, la Sultana. In quel gesto sconsiderato Paolo VI umiliava la Chiesa e il suo Predecessore San Pio V, al quale quel vessillo era stato donato da Sebastiano Venier che lo aveva conquistato eroicamente arrembando la Sultana.
 
A dispetto delle smanie ecumeniche dei papi conciliari e sinodali, noi conserviamo ancora il gonfalone che San Pio V benedisse e fece issare al pennone della Reál, l’ammiraglia delle ammiraglie della flotta cristiana: un drappo di seta porpora bordata d’oro, al cui centro campeggia l’immagine del Santissimo Redentore, affiancata dai Santi Apostoli Pietro e Paolo, e il motto In hoc signo vinces. Fu Marcantonio Colonna a riportarlo a Gaeta, come voto fatto a Sant’Erasmo, patrono dei marinai (3). In quell’immagine e in quel motto si riassume il senso della vita cristiana, valido ai tempi gloriosi di Lepanto come nei tempi presenti di apostasia.
 
In nome di un distorto concetto di accoglienza e di inclusività, milioni di islamici sono traghettati e accompagnati nelle nostre città e villaggi, dove le chiese ormai vuote diventano moschee. In molti luoghi il suono sacro e solenne delle campane tace, ma vi risuona la voce del muezzìn che chiama alla preghiera i seguaci di Maometto. Se questo è oggi non solo possibile, ma addirittura incoraggiato e celebrato come conquista di civiltà, lo dobbiamo alla Rivoluzione: alla rivoluzione francese, per l’attacco alla monarchia cattolica nella sfera civile; alla rivoluzione conciliare e sinodale, per l’attacco alla sacra monarchia del Papato nella sfera ecclesiastica. Democrazia e sinodalità sono due facce della stessa falsa moneta. Su un lato campeggia l’emblema del liberalismo massonico, sull’altro quello dell’ecumenismo sincretista irenista.

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L’Europa è tornata da decenni ad essere terra di conquista e sarà presto a maggioranza islamica, specialmente in nazioni ribelli come la Gran Bretagna, la Francia e la Germania. Il loro tradimento di Nostro Signore Gesù Cristo e i loro crimini contro la Legge di Dio gridano vendetta al Cielo e non rimarranno impuniti. Ma anche l’Italia non è meno colpevole, dimentica dell’eredità gloriosa di cui è stata custode e che si fonda sulla Civiltà Cattolica, sulla Regalità di Cristo, su un ordine cosmico che pone al centro il Dio che si è fatto uomo, e non l’uomo che si fa dio. Come sempre è avvenuto nel corso della Storia, saranno i nemici di Dio a punire i Suoi figli ribelli.
 
Tornare a Lepanto? Ricostituire una Lega Santa contro i nemici della Cristianità?
 
La Provvidenza saprà indicarci la via al momento opportuno. Ma in qualsiasi frangente noi dovessimo trovarci, qualsiasi avversità, qualsiasi minaccia alla nostra Fede e alla nostra identità possa incombere su di noi, una sola cosa non dobbiamo dimenticare, delle ragioni della Vittoria: non sottrarci al nostro dovere di testimoniare la Fede che professiamo, il Battesimo nel quale siamo stati incorporati a Cristo, la Tradizione alla quale apparteniamo. Non trovare pretesti per rimanere inerti a guardare i nemici di Cristo mentre demoliscono la Santa Chiesa, soprattutto quando questi traditori sono ai vertici della Gerarchia. Non usare l’obbedienza come una coltre sotto cui nascondere l’ignavia e la mediocrità che la società contemporanea ci addita come modelli di tranquillizzante conformità al pensiero unico.
 
Facciamo la nostra parte, col coraggio e la fortezza dei soldati di Cristo: e Nostro Signore farà la Sua, con l’onnipotenza di Dio.
  + Carlo Maria Viganò Arcivescovo   7 Ottobre MMXXV Maria Santissima Regina delle Vittorie, Madonna delle Grazie   NOTE 1)  La sua pelle fu successivamente recuperata dai Veneziani e portata a Venezia, dove è conservata nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo come reliquia. Bragadin divenne un simbolo del sacrificio veneziano contro l’espansione ottomana. 2) Paolo VI, Discorso al nuovo Ambasciatore di Turchia accreditato presso la Santa Sede, 19 Gennaio 1967. Cfr. https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1967/january/documents/hf_p-vi_spe_19670119_ambasciatore-turchia.html: «Poiché Noi stessi desideravamo manifestare in qualche modo i Nostri sentimenti, con un gesto che potesse essere gradito alle Autorità della Turchia contemporanea, è stata per Noi una gioia restituire un antico stendardo, preso al tempo della battaglia di Lepanto, che, da allora, si conservava nelle collezioni del Vaticano». 3 ) Conservato dapprima in un bauletto, nel Settecento fu disteso e incorniciato, così da poter essere esposto al pubblico. Nel ’43 una bomba tedesca lo danneggiò, anche se non irreparabilmente. Restaurato nel dopoguerra, oggi lo Stendardo di Lepanto è conservato – e visibile al pubblico – nel Museo Diocesano della cittadina laziale.

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  Immagine di Andrea Vicentino (1542–1618), Battaglia di Lepanto (tra il 1571 e 1600), Museo Correr, Venezia Immagine di Didier Descouens via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International  
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Il cardinale Müller avverte che la Chiesa non deve essere sfruttata per l’ideologi» sotto la bandiera dell’«inclusività»

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Il cardinale Gerhard Müller ha messo in guardia dagli eccessi nell’enfatizzare l’«inclusione» e ha commentato le controversie sulla messa latina tradizionale in un’intervista del 6 ottobre a Il Giornale.

 

Müller, prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha affermato che la Chiesa non deve essere strumentalizzata a fini ideologici, rifiutando quella che ha definito la politicizzazione della fede sotto la bandiera dell’inclusività.

 

«Tanti vogliono che la Chiesa parli solo di questioni della vita sociale, della politica. Certo, anche questi sono temi della missione, ma la sua missione primaria è predicare il Vangelo della salvezza e la vita eterna per tutti gli uomini»

 

Alla domanda sulle lettere di protesta indirizzate a Papa Leone XIV contro il cosiddetto «Giubileo LGBTQ», la risposta del cardinale è stata inequivocabile.

 

«Non so se il Papa dirà qualcosa, ma la situazione è molto chiara, non si può strumentalizzare l’Anno Santo e la Porta Santa per un’ideologia di questo tipo» ha dichiarato il porporato. «La Chiesa, in nome di Gesù Cristo, accetta tutti gli uomini e i loro problemi, ma Dio ha creato uomo e donna e solo questo matrimonio è l’unica possibilità di vivere coniugalmente. La Porta Santa non può essere usata per questioni politiche».

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Interrogato sull’adesione di Papa Leone al motto di Francesco «Todos, todos, todos» («tutti, tutti, tutti»), il cardinale Müller ha messo in guardia dall’uso improprio di questa frase come licenza morale.

 

«Tutti gli uomini sono chiamati a trovare Gesù Cristo, unico salvatore del mondo, ma con un cambiamento della propria vita. Il problema è che molti vogliono intendere questo tutti, tutti, tutti, come l’accettazione di uno stile di vita che va contro lo stile della vita cristiana», ha affermato il cardinale.

 

Passando alle controversie liturgiche, Müller ha affermato che la questione della Messa in latino non può essere risolta «risolvere con autoritarismo». Una soluzione, ha insistito, deve essere fondata sulla fede piuttosto che sulla politica. «Serve una riflessione chiara, teologica e non solo politica».

 

Il porporato ha anche messo in guardia dal trattare il papato come una performance o un ufficio politico. «Il Papa come Vescovo di Roma non è isolato come un autocrate, ma ha un collegio di cardinali che è il suo senato. I consigli che danno i cardinali sono molto importanti, non per i propri interessi, ma per aiutare intellettualmente e moralmente il Papa e la sua missione».

 

« Il Papa non è una figura per l’interesse pubblico, non si presenta secondo le regole di una star di Hollywood, ma come un buon pastore, che dà la sua vita per le pecore di Cristo».

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Stato USA non applicherà la legge che obbliga i sacerdoti a violare il segreto confessionale

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Lo stato di Washington ha ufficialmente accettato di abbandonare ogni tentativo di far rispettare una legge che minacciava i sacerdoti cattolici e ortodossi di carcere e multe per non aver violato il sigillo della confessione. Lo riporta LifeSite.   Il disegno di legge 5375 del Senato è stato l’ultimo tentativo del senatore democratico Noel Frame di costringere sacerdoti e altri funzionari religiosi a denunciare alle forze dell’ordine i penitenti che confessavano presunti abusi. La violazione del segreto confessionale è un reato passibile di scomunica nella Chiesa cattolica. Sia Frame che il governatore democratico liberale Bob Ferguson hanno citato la loro fede cattolica professata durante il dibattito sul disegno di legge.   Tuttavia, la legge è stata definitivamente annullata dall’estate scorsa dalla Corte distrettuale occidentale di Washington, a seguito di un ricorso presentato dai vescovi cattolici. Le chiese ortodosse hanno intentato una causa simile contro la legge presso la Corte distrettuale orientale di Washington.   Queste cause legali sono culminate in accordi, annunciati oggi dall’Alliance Defending Freedom (ADF) e dal Becket Fund for Religious Liberty, che pongono fine in modo permanente a qualsiasi azione esecutiva da parte dei procuratori statali e della contea.

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Oltre alle due cause legali, la legge ha dovuto affrontare una forte pressione legale. Allo stesso modo , il Dipartimento di Giustizia federale ha chiesto di intervenire nel caso e ha annunciato un’indagine sullo Stato per aver approvato la legge.   I vescovi cattolici avevano chiarito che non avrebbero rispettato la legge.   Nel corso del dibattito sulla legge, che negli ultimi anni ha conosciuto diverse versioni, i promotori e i sostenitori hanno ignorato i numerosi avvertimenti sui problemi di libertà religiosa lanciati da un vescovo cattolico, da ministri protestanti e da giuristi.   Come riportato da Renovatio 21, il segreto confessionale è minacciato in varie parti del mondo, dallo Stato americano del Delaware a Hong Kong ora sotto il tallone della Cina comunista.   In Australia tre anni fa è entrata in vigore, sempre con la scusa della pedofilia, una legge contro il segreto confessionale.   Si tratta di un fronte ben definito di attacco alla religione cristiana, contro la quale la persecuzione è presente in ogni terra dove vige lo Stato moderno.  

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Immagine dall’interno della Cattedrale di Tolosa. Immagine di Didier Descouens via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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