Gender
La Chiesa anglicana spaccata dalle unioni gay
La decisione della «Chiesa d’Inghilterra» – il nome dato alla Chiesa anglicana nel Regno Unito – di benedire le unioni tra persone dello stesso sesso ha prodotto uno scisma nella Comunione anglicana mondiale. Un incontro internazionale di importanti leader anglicani non britannici, tenutosi in Ruanda, ha definito la mossa «pastoralmente fuorviante e blasfema».
I responsabili presenti all’incontro hanno approvato la loro rottura con l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e hanno invitato lui e la Chiesa d’Inghilterra a pentirsi della loro decisione. L’incontro, svoltosi a Kigali dal 17 al 21 aprile, ha riunito 1.302 delegati provenienti da 52 Paesi, di cui 315 vescovi, 456 sacerdoti e 531 laici. La sua dichiarazione finale è stata chiamata “l’impegno di Kigali”.
«Nonostante 25 anni di continui avvertimenti dalla maggior parte dei primati anglicani, le ripetute deviazioni dall’autorità della Parola di Dio hanno lacerato il tessuto della Comunione. Questi avvertimenti sono stati palesemente e volontariamente ignorati e ora, senza pentimento, questa lacerazione non può essere riparata», ha affermato in un comunicato del 21 aprile la quarta Global Anglican Future Conference (GAFCON) della World Fellowship of Confessing Anglicans (WFCA).
Lo scorso febbraio, il Sinodo generale della Chiesa d’Inghilterra ha votato a favore della benedizione delle coppie dello stesso sesso. La dichiarazione della GAFCON definisce la decisione «un ulteriore allontanamento» dall’autorità biblica che danneggia la Comunione anglicana.
«Noi e lo Spirito Santo siamo rattristati dal fatto che i capi della Chiesa d’Inghilterra siano determinati a benedire il peccato», hanno detto. «Poiché il Signore non benedice le unioni omosessuali, è pastoralmente ingannevole e blasfemo fabbricare preghiere che invocano la benedizione nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo», hanno spiegato.
Il comunicato ritiene che «le dichiarazioni pubbliche dell’arcivescovo di Canterbury a favore delle benedizioni omosessuali costituiscano un tradimento». Le osservazioni del primate anglicano contrastano anche con una risoluzione della conferenza di Lambeth del 1998, che dichiarava «la pratica omosessuale incompatibile con la Scrittura».
La dichiarazione afferma inoltre che i successivi arcivescovi di Canterbury «hanno fallito nel mantenimento della fede invitando a Lambeth i vescovi che hanno abbracciato o promosso pratiche contrarie alla Scrittura». La conferenza GAFCON ha affermato che questo «rende il suo ruolo di leadership nella Comunione anglicana completamente insostenibile».
I leader della Chiesa d’Inghilterra devono pentirsi delle loro azioni
«Attendiamo con impazienza questo pentimento, ma fino a quando non si pentiranno la nostra comunione con loro rimarrà interrotta», ha aggiunto la conferenza, poiché «coloro che rifiutano di pentirsi hanno abdicato al loro diritto alla leadership all’interno della Comunione anglicana».
Ai primati delle principali chiese GAFCON si sono uniti i primati della Global South Fellowship of Anglican Churches (GSFA). Secondo la Dichiarazione di Kigali, questi leader anglicani rappresentavano insieme circa l’85% degli anglicani nel mondo. La GSFA è presieduta dall’Arcivescovo Justin Badi Arama, Primate del Sud Sudan.
«I primati di GSFA e GAFCON condividono l’opinione che, a causa delle deviazioni sopra esposte, non possono più riconoscere l’arcivescovo di Canterbury come strumento di comunione», si legge nella dichiarazione della GAFCON.
Lo scisma intra-anglicano è quindi consumato per il momento, il che non è una sorpresa. C’è qualcosa di «sano» in questa rottura che si fa contro il riconoscimento delle unioni omosessuali e la possibilità di benedirle.
E va notato che è il continente africano il motore della difesa di questo tema morale.
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
Immagine di Ellif via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported (CC BY 3.0)
Gender
La prima donna primo ministro del Giappone si oppone al «matrimonio» omosessuale
La nuova prima ministra giapponese, Sanae Takaichi, prima donna a ricoprire questa carica, si oppone al «matrimonio» omosessuale.
Takaichi, insediatasi martedì, ha espresso durante un dibattito elettorale dello scorso mese la sua contrarietà al «matrimonio» omosessuale, pur definendo «giusta» una relazione omosessuale, secondo il sito di informazione LGBT Them.
Nel 2023, durante una riunione della commissione bilancio del governo, ha descritto la legalizzazione del «matrimonio» omosessuale come una «questione estremamente complessa», citando un articolo della costituzione giapponese che definisce il matrimonio come basato sul «consenso reciproco di entrambi i sessi».
Le posizioni di Takaichi sul «matrimonio» omosessuale, non legale in Giappone, sono in contrasto con l’opinione pubblica del Paese, prevalentemente laica. Un sondaggio Pew del 2023 ha rilevato che circa il 70% dei giapponesi sostiene il «matrimonio» omosessuale, il tasso di approvazione più alto tra i Paesi asiatici analizzati.
Diverse città e località giapponesi emettono «certificati di unione» per le coppie omosessuali. Ad esempio, nel 2015 il distretto di Shibuya a Tokyo ha approvato una normativa che riconosce le coppie omosessuali «come partner equivalenti a quelli sposati per legge».
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Inoltre, l’anno scorso un’Alta corte giapponese ha stabilito che il divieto del codice civile sul «matrimonio» omosessuale viola il principio costituzionale contro la discriminazione basata su «razza, credo, sesso, status sociale o origine familiare». Tuttavia, le Alte corti giapponesi non possono abrogare il divieto, rendendo la sentenza simbolica.
Paradossalmente, nonostante sia la prima donna a capo del governo giapponese, l’amministrazione di Takaichi è stata criticata dalla sinistra come un ostacolo per la «parità di genere» e i «diritti delle minoranze sessuali». L’emittente pubblica americana PBS News l’ha definita «non femminista».
Takaichi sostiene la successione esclusivamente maschile della famiglia imperiale, che ha un ruolo cerimoniale, e si oppone alla possibilità per le coppie sposate di mantenere cognomi separati, sostenendo che ciò potrebbe «minare la struttura sociale basata sulle unità familiari». Tuttavia, non insiste sul fatto che la donna debba adottare il cognome del marito. Curiosamente, il marito di Takaichi, il politico LDP Taku Yamamoto, ha preso il suo cognome quando si sono risposati, per cui ora legalmente si chiama Taky Takaichi
«La nascita della prima donna primo ministro giapponese è storica, ma (Takaichi) rappresenta un’ombra per la parità di genere e i diritti delle minoranze sessuali», ha dichiarato a PBS Soshi Matsuoka, attivista LGBT. «Le opinioni di Takaichi su genere e sessualità sono estremamente conservatrici e potrebbero costituire un grave ostacolo per i diritti, in particolare per le minoranze sessuali».
Il Giappone resta uno dei pochi Paesi sviluppati, insieme a Paesi come Corea del Sud e Repubblica Ceca, a non aver legalizzato il «matrimonio» omosessuale.
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Immagine di 内閣広報室|Cabinet Public Affairs Office via Wikimedia pubblicata su licenza Attribution 4.0 International
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Il Parlamento austriaco vieta il linguaggio «inclusivo di genere» nelle sue comunicazioni ufficiali
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Gender
Il transgenderismo è in declino tra i giovani americani: «una moda in declino»
Un recente rapporto indica un calo nell’identificazione transgender tra i giovani americani, dopo il picco registrato durante l’amministrazione Biden.
Il rapporto, intitolato «The Decline of Trans and Queer Identity among Young Americans», redatto dal professor Eric Kaufmann, analizza i dati di studenti universitari negli Stati Uniti attraverso sette fonti.
I risultati mostrano che l’identificazione transgender è scesa a circa la metà rispetto al massimo raggiunto nel 2023, passando dal 7% al 4%.
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Tra il 2024 e il 2025, meno studenti universitari del primo anno si sono identificati come «trans o queer» rispetto agli studenti dell’ultimo anno, invertendo la tendenza osservata nel 2022-2023.
Anche l’identificazione come «non binario» (né uomo né donna) è diminuita della metà in tre delle cinque fonti di dati dello studio. L’identificazione eterosessuale è in aumento, pur rimanendo inferiore rispetto al 2020, mentre quella gay e lesbica è rimasta stabile.
«Questo suggerisce che la non conformità di genere/sessuale continuerà a diminuire», ha scritto Kaufmann su X, commentando i risultati, definendo l’identità transgender e queer una «moda» ormai in declino.
«Il calo delle persone trans e queer sembra simile allo svanire di una tendenza», ha affermato, sottolineando che tale cambiamento è avvenuto indipendentemente dalle variazioni nelle convinzioni politiche o nell’uso dei social media, ma con un ruolo significativo del miglioramento della salute mentale.
«Gli studenti meno ansiosi e, soprattutto, meno depressi [sono] associati a una minore percentuale di identificazioni trans, queer o bisessuali», ha aggiunto.
Come riportato da Renovatio 21, gennaio, il presidente Trump – che prima di rientrare alla Casa Bianca aveva promesso di fermare la «follia transgender» dal primo giorno della sua presidenza –ha firmato un ordine esecutivo per vietare al governo federale di finanziare o promuovere la transizione di genere nei minori. «Questa pericolosa tendenza sarà una macchia nella storia della nostra nazione e deve finire», ha dichiarato.
Sono seguiti interventi dell’amministrazione Trump contro il reclutamento di trans nell’esercito (nonché la cacciata dei già recluati) e la partecipazione di transessuali maschi alle gare sportive delle donne. «la guerra allo sport femminile è finita» ha dichiarato il presidente americano.
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Secondo il Williams Institute, il 76% delle persone transgender (circa 2,8 milioni) ha meno di 35 anni, di cui il 25% (724.000) è tra i 13 e i 17 anni. Il rapporto evidenzia che la composizione razziale delle persone transgender riflette quella degli Stati Uniti. Circa un terzo si identifica come donna, un terzo come uomo e un terzo come non binario.
Dal 2022, il Williams Institute stima che il numero di persone transgender sia cresciuto da 1,6 milioni a 2,8 milioni, un aumento del 75% in tre anni.
Come riportato da Renovatio 21, due anni fa uno studio dell’ente americano Public Religion Research Institute (PRRI) aveva rivelato che più di un americano su quattro (28%) di età compresa tra 18 e 25 anni, nota come Generazione Z, si è identificato come LGBT.
La «moda» ora può essere finita. Tuttavia, ci chiediamo: quale ne è stato il prezzo?
Quanti ragazzi castrati per sempre? Quante ragazze mutilate dei seni? Quanti adolescenti intossicati di steroidi sintetici? Quante famiglie lacerate e distrutte?
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