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Geopolitica

Istanbul, il Museo Karye Cami di Chora (monastero di Cristo Salvatore) verrà trasformato in moschea

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews.

 

 

Il decreto di Erdogan pubblicato oggi sulla gazzetta ufficiale. Stesso destino della basilica di Santa Sofia. Il monastero di Chora, raro esempio dell’arte bizantina, è un punto di riferimento del patrimonio culturale mondiale anche per gli storici turchi.

 

Le «arroganti ambizioni del presidente turco», che mescola politica, ideologia e cultura. L’occidente preferisce tollerare e continuare il suo commercio.

 Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha deciso di trasformare in moschea lo splendido museo Kariye Cami, conosciuto anche come monastero di Cristo Salvatore a Chora

 

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha deciso di trasformare in moschea lo splendido museo Kariye Cami, conosciuto anche come monastero di Cristo Salvatore a Chora. La sua decisione è stata pubblicata oggi sulla gazzetta ufficiale.

 

Il decreto di Erdogan si basa sulla decisione presa dal Consiglio di Stato nel novembre 2019, secondo cui l’uso dell’edificio come museo era «contrario alla legge».

 

Nel maggio scorso, lo stesso Consiglio, aveva provveduto a dare il nulla osta a Erdogan per trasformare in moschea il museo di Santa Sofia.

L’occidente preferisce tollerare e continuare il suo commercio

 

Il museo Kariye Cami si trova nel quartiere di Fatih, il più popoloso e confessionale di Istanbul.

 

Con questa decisione, il museo passa alle competenze della potentissima Direzione degli Affari religiosi (Diyanet), che provvederà ai lavori per la sua trasformazione in moschea.

 

Tale atto è ritenuto un insulto al patrimonio culturale dell’umanità, ancor più di quello subito per Santa Sofia

Il monastero è stato costruito nel 534, durante il periodo bizantino. Le mura interne, i pilastri e le cupole sono interamente coperte da mosaici ed affreschi che sono datate attorno all’XI secolo.

 

Dopo la conquista di Costantinopoli da parte degli Ottomani (1453), il monastero è stato trasformato in moschea nel 1511, in una maniera molto simile al destino di Santa Sofia. Nel 1945, il Consiglio dei ministri della Repubblica di Turchia ha convertito la moschea in un museo.

 

Il monastero di Chora costituisce uno dei più rari esempi dell’arte bizantina in fatto di mosaici e affreschi, un punto di riferimento del patrimonio culturale mondiale

Tale atto è ritenuto un insulto al patrimonio culturale dell’umanità, ancor più di quello subito per Santa Sofia. Il monastero di Chora costituisce uno dei più rari esempi dell’arte bizantina in fatto di mosaici e affreschi, un punto di riferimento del patrimonio culturale mondiale, come lo ha definito il grande storico turco Llber Ortalyi.

 

Parte dei suoi splendidi affreschi e mosaici – che alla sua trasformazione in moschea nel XVI secolo erano stati coperti da un intonaco – sono stati riportati alla luce nel 1958, dopo l’accurato lavoro della scuola archeologica americana, con il contributo di alcuni studiosi turchi.

 

Alcuni diplomatici fanno notare che la decisione di Erdogan rientra nelle arroganti ambizioni del presidente turco, ad uso e consumo della sua politica, che continua a mescolare e confondere convinzioni politiche, ideologiche e cultura.

Una larga tolleranza da parte dei politici dei cosiddetti Paesi civili occidentali, dediti a curare più i loro interessi economici e finanziari che la dignità della persona umana

 

Essa trova purtroppo una larga tolleranza da parte dei politici dei cosiddetti Paesi civili occidentali, dediti a curare più i loro interessi economici e finanziari che la dignità della persona umana.

 

Alcuni osservatori citano ad esempio il fatto che in Turchia operano 6.000 industrie tedesche e non solo, mentre il presidente Usa Donald Trump esalta il «condottiero» Erdogan. E aggiungono: “Che Allah salvi la Turchia!”.

 

In Turchia operano 6.000 industrie tedesche e non solo

 

NAT da Polis

 

 

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Geopolitica

Trump: Zelens’kyj deve essere «realista»

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Il presidente statunitense Donald Trump ha dichiarato che Volodymyr Zelens’kyj deve fare i conti con la realtà del conflitto contro la Russia e con l’urgenza di indire nuove elezioni.

 

Il mandato presidenziale quinquennale di Zelens’kyj è scaduto a maggio 2024, ma il leader ucraino ha sempre escluso il voto per via della legge marziale in vigore. Vladimir Putin ha più volte sostenuto che lo Zelens’kyj non può più essere considerato un interlocutore legittimo e che la sua posizione renderebbe giuridicamente problematico qualsiasi accordo di pace.

 

Mercoledì Trump ha affrontato la questione Ucraina in una telefonata con i leader di Regno Unito, Francia e Germania. «Ne abbiamo parlato in termini piuttosto netti, ora aspettiamo di vedere le loro risposte», ha riferito ai giornalisti alla Casa Bianca.

 

«Penso che Zelens’kyj debba essere realista. Mi domando quanto tempo passerà ancora prima che si tengano le elezioni. Dopotutto è una democrazia… Sono anni che non si vota», ha aggiunto Trump, sottolineando che l’Ucraina sta «perdendo moltissima gente».

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Il presidente americano ha poi sostenuto che l’opinione pubblica ucraina sia largamente favorevole a un’intesa con Mosca: «Se guardiamo i sondaggi, l’82 % degli ucraini vuole un accordo – è uscito proprio un sondaggio con questa cifra».

 

Trump ha insistito sulla necessità di chiudere rapidamente il conflitto: «Non possiamo permetterci di perdere altro tempo».

 

Secondo Axios e RBC-Ucraina, Kiev ha trasmesso agli Stati Uniti la sua ultima proposta di pace. Zelens’kyj , che fino a ieri escludeva elezioni in tempo di legge marziale, ha dichiarato mercoledì di essere disposto a indire il voto, a patto però che Stati Uniti e alleati europei forniscano solide garanzie di sicurezza.

 

Il consenso verso Zelens’kyj è precipitato al 20 % dopo uno scandalo di corruzione nel settore energetico che ha travolto suoi stretti collaboratori e provocato le dimissioni di diversi alti funzionari. Trump ha più volte invitato il leader ucraino a tornare alle urne, ribadendo che la corruzione endemica resta uno dei problemi più gravi del paese.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Geopolitica

Gli Stati Uniti sequestrano una petroliera al largo delle coste del Venezuela

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Il procuratore generale statunitense Pam Bondi ha annunciato il sequestro di una petroliera sospettata di trasportare greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran.   L’operazione, condotta al largo delle coste venezuelane, si inserisce in un’escalation delle attività militari americane nella regione, unitamente a raid contro quelle che Washington qualifica come imbarcazioni legate ai cartelli della droga.   «Oggi, l’FBI, la Homeland Security Investigations e la Guardia costiera degli Stati Uniti, con il supporto del Dipartimento della Difesa, hanno eseguito un mandato di sequestro per una petroliera utilizzata per trasportare petrolio greggio proveniente dal Venezuela e dall’Iran», ha scritto Bondi su X mercoledì.   Ha precisato che la nave era stata sanzionata «a causa del suo coinvolgimento in una rete di trasporto illecito di petrolio a sostegno di organizzazioni terroristiche straniere».   Nel video diffuso da Bondi si vedono agenti delle forze dell’ordine, pesantemente armati, calarsi dall’elicottero sulla tolda della nave. Secondo il portale di tracciamento MarineTraffic e vari media, l’imbarcazione è stata identificata come «The Skipper», che batteva bandiera della Guyana. Fonti come ABC News riportano che la petroliera, con una capacità fino a 2 milioni di barili di greggio, era diretta a Cuba.  

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Gli Stati Uniti avevano sanzionato la The Skipper già nel 2022, accusandola di aver contrabbandato petrolio a beneficio del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniana e del gruppo militante libanese Hezbollah.   Un gruppo di parlamentari statunitensi ha di recente sollecitato un’inchiesta sugli attacchi condotti su oltre 20 imbarcazioni da settembre, ipotizzando che possano configurare crimini di guerra.   Il senatore democratico Chris Coons, intervistato martedì su MSNBC, ha accusato Trump di «trascinarci come sonnambuli verso una guerra con il Venezuela». Ha argomentato che l’obiettivo reale del presidente sia l’accesso alle risorse petrolifere e minerarie del paese sudamericano.   Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha rigettato le affermazioni di Trump sul presunto ruolo del suo governo nel narcotraffico, ammonendo Washington contro l’avvio di «una guerra folle».   Il Venezuela ha denunciato gli Stati Uniti per pirateria di Stato dopo che la Guardia costiera americana, coadiuvata da altre forze federali, ha abbordato e sequestrato una petroliera sanzionata nel Mar dei Caraibi.   Caracas ha reagito con durezza, definendo l’intervento «un furto manifesto e un atto di pirateria internazionale» finalizzato a sottrarre le risorse energetiche del Paese.   «L’obiettivo di Washington è sempre stato quello di mettere le mani sul nostro petrolio, nell’ambito di un piano deliberato di saccheggio delle nostre ricchezze», ha dichiarato il ministro degli Esteri Yvan Gil.   Il governo venezuelano ha condannato gli «arroganti abusi imperiali» degli Stati Uniti e ha giurato di difendere «con assoluta determinazione la sovranità, le risorse naturali e la dignità nazionale».   Da anni Caracas considera le sanzioni americane illegittime e contrarie al diritto internazionale. Il presidente Nicolas Maduro le ha definite parte del tentativo di Donald Trump di rovesciarlo e ha respinto come infondate le accuse di legami con i narcos, avvertendo che qualsiasi escalation militare condurrebbe a «una guerra folle».  

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Immagine screenshot da Twitter

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Geopolitica

Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino

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La Russia porterà a compimento tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale in Ucraina, ha dichiarato il presidente Vladimir Putin.

 

Tra gli scopi principali enunciati da Putin nel 2022 vi sono la protezione degli abitanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk dall’aggressione delle forze di Kiev, nonché la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina.

 

«Naturalmente porteremo a termine questa operazione fino alla sua logica conclusione, fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale», ha affermato Putin in videocollegamento durante la riunione del Consiglio presidenziale per i diritti umani di martedì.

 

Il presidente russo quindi ricordato che il conflitto è scoppiato quando l’esercito ucraino è stato inviato nel Donbass, regione storicamente russa che nel 2014 aveva respinto il colpo di Stato di Maidan sostenuto dall’Occidente. Questo, secondo il presidente, ha reso inevitabile l’intervento delle forze armate russe per porre fine alle ostilità.

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«Si tratta delle persone. Persone che non hanno accettato il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 e contro le quali è stata scatenata una guerra: con artiglieria, armi pesanti, carri armati e aviazione. È lì che è iniziata la guerra. Noi stiamo cercando di mettervi fine e siamo costretti a farlo con le armi in pugno».

 

Putin ha ribadito che per otto anni la Russia ha cercato di risolvere la crisi per via diplomatica e «ha firmato gli accordi di Minsk nella speranza di una soluzione pacifica». Tuttavia, ha aggiunto la settimana scorsa in un’intervista a India Today, «i leader occidentali hanno poi ammesso apertamente di non aver mai avuto intenzione di rispettarli», avendoli sottoscritti unicamente per guadagnare tempo e permettere all’Ucraina di riarmarsi.

 

Mosca ha accolto positivamente il nuovo slancio diplomatico impresso dal presidente statunitense Donald Trump, che ha proposto il suo piano di pace in 28 punti come base per un’intesa.

 

Lunedì Trump ha pubblicamente invitato Volodymyr Zelens’kyj ad accettare le proposte di pace, lasciando intendere che il leader ucraino non abbia nemmeno preso in esame l’ultima offerta americana.

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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