Geopolitica
Israele lancia un’operazione militare in Cisgiordania
Le forze di difesa israeliane e il servizio di sicurezza dello Shin Bet hanno lanciato un’offensiva su larga scala stamattina presto, cercando di «sventare la minaccia del terrorismo» in tutta la Cisgiordania.
L’operazione congiunta avrebbe preso di mira un quartier generale militante nel campo profughi della città di Jenin.
L’esercito israeliano ha confermato di aver colpito «infrastrutture terroristiche» nella città intorno alle 2 del mattino, sostenendo che il campo di Jenin si sarebbe trasformato in una «roccaforte terroristica».
L’esercito dello Stato ebraico ha affermato di aver fatto irruzione in un quartier generale congiunto di più gruppi armati che «serviva da posto di osservazione, luogo di ritrovo per terroristi armati prima e dopo atti terroristici, deposito di munizioni e bombe e centro di comunicazione».
«Non rimarremo inattivi mentre i terroristi continuano a danneggiare i civili usando il campo di Jenin come nascondiglio», ha aggiunto l’esercito israeliano in un breve comunicato stampa.
«Stiamo agendo per smantellare questo nido di calabroni», ha detto in un tweet un portavoce militare israeliano, il tenente colonnello Richard Hecht, affermando che «i siti operativi utilizzati dai terroristi» sono «situati accanto a scuole, un centro medico e case civili».
The Jenin Camp is a terrorist stronghold.
We will not standby idle while terrorists continue to harm civilians using Jenin Camp as a hideout. pic.twitter.com/iDcluNkmVP
— Israel Defense Forces (@IDF) July 2, 2023
Secondo il ministero della Salute palestinese, durante il raid almeno un cittadino è stato ucciso e un altro gravemente ferito.
Israele ha occupato la Cisgiordania durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967, iniziando a costruire nuovi insediamenti di coloni ebraici nel territorio. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha dichiarato che tali azioni non hanno «validità legale» e costituiscono «una flagrante violazione del diritto internazionale». Tuttavia, Israele contesta tale posizione.
I coloni negli scorsi giorni si sono resi protagonisti di disordini, al punto che le autorità israeliane sono arrivate a dover dire che metteranno un freno al «terrorismo ebraico».
La restante parte palestinese della Cisgiordania è formalmente sotto il controllo del presidente Mahmoud Abbas, ma Israele conduce regolarmente raid militari e di polizia nell’area con il pretesto di combattere l’estremismo e il terrorismo.
Il mese scorso, elicotteri israeliani hanno condotto un raid a Jenin, uccidendo sette palestinesi, tra cui due adolescenti.
In un incidente separato, otto soldati israeliani sono stati feriti da una bomba sul ciglio della strada durante gli scontri con militanti palestinesi armati.
Diversi giorni dopo, un drone israeliano ha colpito un’auto che trasportava tre palestinesi sospettati di aver attaccato un posto di blocco dell’esercito, nel primo caso di assassinio mirato in Cisgiordania dal 2006, secondo il Times of Israel.
Israele sta vivendo una cristi politica duratura, con proteste massive contro il governo di Benjamin Netanyahu ritornato per l’ennesima volta al potere – qualcuno dice, addirittura, che si tratterebbe di una «rivoluzione colorata» per detronizzare Bibi, inviso all’amministrazione Biden.
Nonostante le tensioni interne, le operazioni militari contro i palestinesi e contro la Siria (che subisce continui raid aerei, anche a poche ore dal terremoto) continuano senza requie.
Come riportato da Renovatio 21, in un’operazione di due mesi fa chiamata «Scudo e freccia» le forze israeliane avrebbero distrutto, secondo quanto hanno dichiarato, l’intero comando della Jihad islamica nella striscia di Gaza.
La situazione in Israele sta diventando problematica, inoltre, anche per i cristiani di vari denominazioni, che denunciano un aumento di episodi di discriminazione sociale ed istituzionale al limite del tollerabile.
Immagine di IDF Spokesperson’s Unit via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)
Geopolitica
Thailandia e Cambogia firmano alla Casa Bianca un accordo di cessate il fuoco
Cambogia e Thailandia hanno siglato un accordo di cessate il fuoco ampliato per porre fine a un violento conflitto di confine scoppiato a inizio anno. La cerimonia di firma, tenutasi domenica, è stata presieduta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che aveva mediato la tregua iniziale.
Le tensioni storiche tra i due Paesi del Sud-est asiatico, originate da dispute territoriali di epoca coloniale, sono esplose a luglio con cinque giorni di scontri armati, che hanno spinto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalla zona di confine. Un incontro ospitato dalla Malesia aveva portato a una prima tregua, segnando l’inizio della de-escalation.
Trump ha dichiarato di aver sfruttato i negoziati commerciali con entrambi i paesi per favorire una riduzione delle tensioni.
HISTORIC PEACE BETWEEN THAILAND & CAMBODIA.
President Trump and Malaysia’s Prime Minister Anwar Ibrahim hosted the Prime Ministers of Thailand and Cambodia for the signing of the ‘Kuala Lumpur Peace Accords’—a historic peace declaration. pic.twitter.com/BZRJ2b2KLY
— The White House (@WhiteHouse) October 26, 2025
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Durante il 47° vertice dell’ASEAN in Malesia, il primo ministro cambogiano Hun Manet e il primo ministro thailandese Anutin Charnvirakul hanno firmato l’accordo, che amplia la tregua di luglio.
Il documento stabilisce un piano per ridurre le tensioni e assicurare una pace stabile al confine, prevedendo il rilascio di 18 soldati cambogiani prigionieri da parte della Thailandia, il ritiro delle armi pesanti, l’avvio di operazioni di sminamento e il contrasto alle attività illegali transfrontaliere.
Dopo la firma, il primo ministro thailandese ha annunciato l’immediato ritiro delle armi dal confine e il rilascio dei prigionieri di guerra cambogiani, insieme a un’intesa commerciale congiunta. Il primo ministro cambogiano ha lodato l’accordo, impegnandosi a rispettarlo e ringraziando Trump per il suo ruolo, proponendolo come candidato al Premio Nobel per la Pace del prossimo anno.
Trump ha definito l’accordo «monumentale» e «storico», sottolineando il suo contributo e descrivendo la mediazione di pace come «quasi un hobby». Dopo la cerimonia, ha firmato un accordo commerciale con la Cambogia e un importante patto minerario con la Thailandia.
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Immagine da Twitter
Geopolitica
La Cina snobba il ministro degli Esteri tedesco
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Geopolitica
Vance in Israele critica la «stupida trovata politica»: il voto di sovranità sulla Cisgiordania è stato un «insulto» da parte della Knesset
La proposta di applicare la sovranità israeliana sulla Cisgiordania occupata, considerata da molti come un’equivalente all’annessione totale del territorio palestinese, ha suscitato una forte condanna internazionale, incluso un netto dissenso da parte degli Stati Uniti.
Il disegno di legge ha superato di stretta misura la sua lettura preliminare martedì, con 25 voti a favore e 24 contrari nella Knesset, composta da 120 membri. La proposta passerà ora alla Commissione Affari Esteri e Difesa per ulteriori discussioni.
Una dichiarazione parlamentare afferma che l’obiettivo del provvedimento è «estendere la sovranità dello Stato di Israele ai territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania)».
Il momento del voto è stato significativo e provocatorio, poiché è coinciso con la visita in Israele del vicepresidente J.D. Vance, impegnato in discussioni sul cessate il fuoco a Gaza e sul centro di coordinamento gestito dalle truppe statunitensi e dai loro alleati, incaricato di supervisionare la transizione di Gaza dal controllo di Hamas. Vance ha percepito la tempistica del voto come un gesto intenzionale, accogliendolo con disappunto.
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Anche il Segretario di Stato Marco Rubio, in visita in Israele questa settimana, ha espresso critiche prima di lasciare il Paese mercoledì, dichiarando che il disegno di legge sull’annessione «non è qualcosa che appoggeremmo».
«Riteniamo che possa rappresentare una minaccia per l’accordo di pace», ha detto Rubio, in linea con la promozione della pace in Medio Oriente sostenuta ripetutamente da Trump. «Potrebbe rivelarsi controproducente». Vance ha ribadito che «la Cisgiordania non sarà annessa da Israele» e che l’amministrazione Trump «non ne è stata affatto soddisfatta», sottolineando la posizione ufficiale.
Vance, considerato il favorito per la prossima candidatura presidenziale repubblicana dopo Trump, probabilmente ricorderà questo episodio come un momento frustrante e forse irrispettoso, specialmente in un contesto in cui la destra americana appare sempre più divisa sulla politica verso Israele.
Si dice che il primo ministro Netanyahu non sia favorevole a spingere per un programma di sovranità, guidato principalmente da politici oltranzisti legati ai coloni. In una recente dichiarazione, il Likud ha definito il voto «un’ulteriore provocazione dell’opposizione volta a compromettere i nostri rapporti con gli Stati Uniti».
«La vera sovranità non si ottiene con una legge appariscente, ma con un lavoro concreto sul campo», ha sostenuto il partito.
Tuttavia, è stata la reazione di Vance a risultare la più veemente, definendo il voto una «stupida trovata politica» e un «insulto», aggiungendo che, pur essendo una mossa «solo simbolica», è stata «strana», specialmente perché avvenuta durante la sua presenza in Israele.
Come riportato da Renovatio 21, Trump ha minacciato di togliere tutti i fondi ad Israele in caso di annessione da parte dello Stato Giudaico della West Bank, che gli israeliani chiamano «Giudea e Samaria».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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