Pensiero
Israele e la guerra atomica dell’Armageddon per istituire il governo mondiale
William Cooper (1943-2001) è stato per decenni uno dei punti di riferimento di chi volveva vedere negli eventi del mondo qualcosa di più di quanto detto da giornali e libri dell’establishment – in pratica, quello che chiamavano e continuano a chiamare, con disprezzo, un teorico del complotto.
Cooper, che aveva trascorsi militari, è conosciuto soprattutto per un libro autopubblicato nel 1991, Behold a Pale Horse (dal Libro dell’Apocalisse, 6, 2: «E vidi apparire un cavallo bianco»), che descrive lo stato delle cose in modo radicalmente diverso – coinvolgendo, tra i tanti filoni discussi, anche gli UFO – e che fu bollato come «il manifesto del movimento delle milizie», ossia delle organizzazioni paramilitari americane, che negli USA sono legali e perfino auspicate dallo stesso Secondo Emendamento della Costituzione.
Cooper rappresenta l’arcaico nume tutelare (perché gli anni Ottanta e Novanta, per chi si occupa di queste cose, sono vera preistoria) dell’apocalittica del Nuovo Ordine Mondiale.
Negli ultimi mesi ha preso a circolare un segmento di circa 30 secondi in cui, probabilmente a inizio anni Novanta – cioè, tre decadi fa – parla della guerra in Israele.
Israele e la guerra atomica dell’Armageddon per istituire il governo mondiale: parla lo scrittore e conduttore radiofonico William Cooper, circa 1992 pic.twitter.com/y0AWbAjkVh
— Renovatio 21 (@21_renovatio) May 17, 2024
«Quale ruolo gioca Israele in Medio Oriente in tutto questo?» chiede un anonimo intervistatore al Cooper.
La replica è immediata e semplice:
«Israele è stato creato come lo strumento per portare avanti la battaglia dell’Armageddon e il compimento della profezia, una guerra così terribile, dove saranno usate bombe nucleari, così che i cittadini americani e gli altri popoli del mondo, si metteranno in ginocchio e imploreranno perché non ci siano più guerre».
«E qual è la risposta a questo? Gli sarà detto che l’unico modo di garantire niente più guerre è se distruggiamo la sovranità delle nazioni e ci uniamo come una sola umanità in un unico governo mondiale».
In un momento in cui ministri israeliani e persino politici americani parlano apertamente di nuclearizzare Gaza, e voci israeliane sussurrano dell’atomo anche guardando all’Iran, vale la pena di meditare queste parole.
Perché ricordiamo che il Cooper, il 28 giugno 2001, disse agli ascoltatori della sua trasmissione Hour of the Time che Osama bin Laden – all’epoca uno sconosciuto per la popolazione mondiale – stava per essere accusato di «un grave attacco» contro una grande città. In pratica, aveva preconizzato l’11 settembre, e quello che ne sarebbe seguito.
Il giorno dopo che ciò accadde, con il crollo delle Torri Gemelle, Cooper aveva avvertito che il prezzo della sua intuizione sarebbe stato la sua stessa vita. «Verranno qui nel cuore della notte e mi spareranno a morte, proprio davanti alla mia porta», aveva dichiarato.
Il 5 novembre 2001 anche questo si avverò. Il 5 novembre 2001, agenti dello sceriffo della contea di Apache tentarono di arrestare Cooper nella sua casa di Eagar, in Arizona, con l’accusa di aggressione aggravata con un’arma mortale e pericolo derivante da controversie con i residenti locali. Dopo uno scambio di colpi di arma da fuoco durante il quale Cooper sparò alla testa a uno dei vicesceriffi, Cooper fu colpito a morte.
Di lui ci resta qualche libro, qualche registrazione audio del suo programma radio, e questi video sgranati e impresentabili. Che, però, chissà quanta verità indicibile contengono.
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Bioetica
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Pensiero
Sulle cose che ci-non-sono
Renovatio 21 pubblica questo scritto di Giorgio Agamben apparso sul sito dell’editore Quodlibet su gentile concessione dell’autore.
Cristina Campo ha scritto una volta: «che altro veramente esiste in questo mondo se non ciò che non è di questo mondo?». Si tratta verisimilmente di una citazione da Giov.18, 36, dove Gesù dichiara a Pilato: «Il mio regno non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei inservienti avrebbero combattuto per me, affinché non fossi consegnato ai Giudei. Ora il mio regno non è qui».
Decisivo è allora interrogarsi sul significato e sul modo di esistenza di ciò che è non di questo mondo. È quello che fa Pilato, che, quasi volesse comprendere lo statuto di questa speciale regalità, subito gli chiede: «Dunque tu sei re?».
La risposta di Gesù, per chi la sa intendere, fornisce una prima indicazione sul senso di un regno che esiste, ma non è di qui: «Tu lo dici che io sono re. Io sono nato per questo e per questo sono venuto al mondo: per testimoniare della verità».
E a questo punto Pilato pronuncia la famigerata domanda, che Nietzsche ha definito «la battuta più sottile di tutti i tempi»: «che cos’è la verità?».
Il regno che non è di questo mondo esige che noi testimoniano per la sua verità e quello che Pilato non riesce a capire è che qualcosa possa essere vero senza esistere nel mondo. Che ci siano, cioè, delle cose che in qualche modo esistono, ma non possono essere oggetto di un giudizio giuridico di verità o non verità fattuale, come quello che è in questione nel processo che Pilato sta conducendo.
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Furio Jesi, interrogandosi sulla realtà del mito, ha suggerito una formula che può qui essere utile riprendere: se le cose che sono in questione in quella che chiama la macchina mitologica «ci sono, sono però in un “altro mondo”: ci-non-sono». E aggiunge subito: «non vi è fede più esatta verso un “altro mondo” che ci-non-è della dichiarazione che tale “altro mondo” non è». Si comprende, allora, che cosa Gesù intenda affermando che il suo regno non è di questo mondo. Il suo regno ci-non-è, ma non è, per questo, privo di significato. Al contrario, egli è venuto in questo mondo per testimoniare di ciò che non è di questo mondo, delle cose che ci-non-sono. E questo è precisamente quanto doveva avere in mente Cristina Campo: veramente urgenti e importanti sono per la sua vita in questo mondo soltanto le cose che in questo mondo non ci sono, o, piuttosto, ci-non-sono.
È bene riflettere con speciale cautela, proprio oggi che l’esigenza della verità sembra sia stata cancellata dal mondo, sul particolare statuto delle cose che, pur non essendo di questo mondo, ci stanno veramente a cuore e orientano il nostro pensiero e la nostra azione in questo mondo.
Come Jesi suggerisce, sarebbe infatti un imperdonabile errore confondere le cose che ci-non-sono con quelle che ci sono, fingere che esse semplicemente ci siano. La loro differenza emerge con chiarezza nella distinzione fra rivolta e rivoluzione, che Jesi cerca puntualmente di definire.
La rivoluzione è la meta che si prefiggono coloro che credono solo nelle cose di questo mondo e pertanto si occupano delle circostanze e dei tempi della loro possibile realizzazione nel tempo storico secondo i rapporti di causa ed effetto.
La rivolta implica invece una sospensione del tempo storico, l’impegno intransigente in un’azione di cui non si sanno né si possono prevedere le conseguenze, ma che, per questo, non scende a patti e compromessi col nemico. Mentre coloro che non vedono al di là di questo mondo badano soltanto ai rapporti di forza in cui si trovano e sono pronti a mettere da parte senza scrupoli le loro convinzioni, gli uomini della rivolta sono gli uomini del ci-non-è, che hanno sospeso una volta per tutte il tempo storico e possono per questo agire in esso incondizionatamente.
Proprio perché le cose che ci-non-sono non rappresentano per essi un futuro da realizzare, ma un’esigenza presente di cui sono obbligati in ogni istante a testimoniare, tanto più inesorabilmente la loro azione agirà sull’accadere storico, spezzandolo e annichilendolo.
A coloro che cercano oggi con tutti i mezzi di vincolarci a una pretesa realtà fattuale che non consente alternative, occorre opporre innanzitutto il pensiero, cioè la visione limpida e perentoria delle cose che ci-non-sono. Solo a chi senza farsi illusioni sa che il suo regno non è di questo mondo, ma nondimeno è qui e ora a suo modo irrevocabilmente presente, è data la speranza, che non è altro che la capacità di smentire ogni volta la menzogna brutale dei fatti che gli uomini costruiscono per rendere schiavi i loro simili.
Giorgio Agamben
3 giugno 2024
Immagine di Antonio Ciseri, Ecce Homo (circa 1860-1880), Galleria d’Arte Moderna, Firenze.
Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Gender
L’Italia è ora una grande discoteca gay. Ma quanto durerà ancora la musica?
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La faccenda è che, parrebbe, la faccenda potrebbe non durare. Un signore, padre di famiglia ed investitore famigliare, ha vergato pochi giorni fa un lungo post su Twitter, raccontando di aver notato come Greenport, un ricco paesino turistico della costa di Long Island, si è svuotato dal flusso di famiglie allegre ed altri visitatori. Come mai? Lui fa capire che è perché una serie di negozi hanno esposto la bandiera omotransessuale, e le famiglie in USA cominciano a non sentirsi più sicure davanti a questo segno.Joe Biden appears to freeze during White House Juneteenth celebration 🤦♂️
pic.twitter.com/TQH2mJOkCf — Clown World ™ 🤡 (@ClownWorld_) June 11, 2024
To whom it may concern,
There is a small town on the North Fork of Long Island in New York called Greenport. It’s wine country and has been booming for the last couple of decades and really exploded during Covid. Always used to be filled with bachelorette parties, families and… pic.twitter.com/doicpcusvC — Petey B (@realpeteyb123) June 30, 2024
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I gay lo hanno capito? Gli oligarchi, loro creatori, pure? Probabilmente no, non ancora. È l’atteggiamento classico di chi sa che qualcosa di fondamentale esiste – tipo: Dio, la natura, la morale, la coscienza, etc. – ma preferisce far finta di niente e ignorare tutto. Fino al «ritorno del rimosso», un altro concetto del Freud ora in via di divieto totale. Cioè, fino a che la realtà, la verità, non torna in superficie, e ti esplode in faccia. Ma, con questo ritmo che pompa, qualcuno si preoccupa? Per il momento, tutti in strada a ballare. Perché l’Italia, l’Europa, il mondo, è una grande discoteca gay. One-Big-Gay-Disco. Il problema è che la musica potrebbe finire prima di quello che pensano. Roberto Dal BoscoWest Virginia State Police are actively investigating a driver who, while driving a red van, left burn marks and tire marks on LGBT graffiti painted on the road with taxpayer money a few days ago. pic.twitter.com/ONcqAyAl8S
— S p r i n t e r F a m i l y (@SprinterFamily) June 15, 2024
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