Pensiero
Israele e Iran, guerra tra teocrazie. Nell’assenza dello Stato Cristiano
Qualcuno ha notato quanto bizzarra, e innaturale, fosse l’invocazione alla fine del video in cui Trump annunziava di aver bombardato i siti atomici dell’Iran. Su Renovatio 21, come abbiamo scritto, pensiamo che vi sarebbe un accordo di qualche tipo tra la Casa Bianca e Teheran, con il presidente intento – come già fece con l’assassinio di Soleimani – a placare la sete di sangue dell’«alleato» israeliano e del Deep State guerrafondaio.
Di fatto, si trattava dell’eliminazione delle motivazioni addotte dallo Stato degli ebrei – fruste, ripetute a loop e inflitteci per decenni come in un crossover tra Pierino e il lupo e Il giorno della marmotta: «l’Iran è a poche settimane dall’ottenere l’atomica!» – per una guerra più grande, nella quale, deve pensare Trump, e impossibile che Washington non sia risucchiata.
Non è andata benissimo: la tregua programmata è stata segnata da continui attacchi da ambo le parti, e Donaldo ha mollato una presidenziale F-bomb (cioè la parola «the fuck», che possiamo tradurre come «cazzo») a favore di stampa mondiale. Iran e Israele «non sanno che cazzo stanno facendo».
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Nel video di cui parlavamo sopra, con alle spalle Vance, Rubio e il segretario alla Difesa Hegseth, tutti con volto terreo (forse ciascuno per ragioni diverse…) c’era un riferimento meno prosaico: Trump aveva parlato, forse senza nemmeno troppa convinzione, di Dio.
«Dio benedica Israele, Dio benedica gli Stati Uniti» aveva concluso il biondo 45° e 47° presidente, con questa bizzarra, problematica anteposizione dello Stato Ebraico alla sua stessa Nazione, la superpotenza americana.
Trump ha capito che Dio c’entra con questa guerra, ma forse non ha compreso tutto-tutto.
Perché essenzialmente a chiunque serve tanta onestà intellettuale per inquadrare davvero la situazione. E cioè il fatto che la guerra tra Iran e Israele è una guerra tra due teocrazie.
Ebbene sì, cari miei. A noi cristiani, tra chiese vuote e vario immoralismo di Stato – più aborti, pornografie, multiculturalismi – è stata venduta l’idea del progresso che ha schiacciato la religione da ‘mo, viviamo in uno Stato «laico» (vabbè: i nostri lettori sanno che significa «massonico», cioè aderente ad un’ulteriore religione…), siamo cittadini del presente dove è in atto, è oramai ultimato quello che il sociologo Max Weber (1864-1920) chiamava Entzauberung der Welt, il «disincantamento del mondo».
L’umanità si affranca dalla religione e dalle sue irrazionalità «magiche» perché sempre più salda nella sua fede nella scienza, nella realtà cartesiana, misurabile, che domina il pensiero moderno occidentale. La tecnica vince sullo spirito: «Non occorre più ricorrere a mezzi magici per dominare gli spiriti o per ingraziarseli, come fa il selvaggio per il quale esistono potenze del genere. A ciò sopperiscono i mezzi tecnici e il calcolo razionale» scrive il Weber (che, poveretto, crede che il capitalismo venga dall’etica protestante, e con questo pensiero ha infettato l’universo) nel libro La scienza come professione (1919).
La religione è alle nostre spalle, dai, su, al punto che chi non è perfettamente ateo, nelle sinistre mondiali che costituiscono da decenni l’establishment occidentale, può definirsi, come faceva Romano Prodi, con l’espressione a luci rosse «cattolico adulto». La religione è un fenomeno selvaggio, dice Weber, o infantile, dicono i democristiani adiposi. Si può tollerare come residuo finito nella modernità, ma certo non si può assegnare ad essa alcun potere decisionale.
Ci dovrebbe sorprendere, quindi, che si stanno facendo la guerra due Stati retti tecnicamente sulla religione: Israele, Stato etnonazionalista basato sulla religione ebraica, e la Repubblica Islamica dell’Iran, fondata da una rivoluzione fatta da chierici sciiti.
Sì: una guerra fra teocrazie, e se qualcuno ha un modo diverso di definirla, o ha qualche argomento per obiettare, è libero di far partire la discussione.
E quindi, alla faccia di tanti marxisti (tra cui vari nostri lettori, che salutiamo comunque con affetto) e soprattutto di tanti liberali (per i quali la religione è accettabile fino a che non si impiccia con il mercato e i suoi sfruttamenti padronali) vediamo come neanche qui non sia l’economia alla base della Storia: sotto a tutto la situazione, pare muoversi qualcosa di più grande ed incontrollabile del danaro.
Sotto a questo rivolgimento storico, si muove lo Spirito. Si combattono due Paesi retti da un’ideologia religiosa, o meglio, da una religione tout court. Intorno, non è che va meglio: le monarchie del Golfo, come quella Saudita, sono anche quelle in realtà teocrazie, Stati retti da una sorta di connubio tra trono e altare. Hamas, che altro non è che la proiezione palestinese dei Fratelli Musulmani – organizzazione da cui discende tutto l’islamismo e il jihadismo degli ultimi tre quarti di secolo – chiede, con grande semplicità, uno Stato Islamico al posto dello Stato Ebraico (ed è proprio in virtù di questa idea inaccettabile, per il momento inaccettabile, per la comunità mondiale che Israele l’ha in passato finanziata come nemico interno dell’OLP).
Amiamo ricordare come ad un certo punto nel decennio scorso, all’altezza del massimo vigore dell’ISIS, lo Stato Islamico, controllava zone della Siria a ridosso di Israele: lo Stato Islamico e lo Stato Ebraico confinavano, ma uno Stato Cristiano era impossibile da trovare sulla mappa. Interessante.
Direte: ma sono Paesi orientali. Sì? Israele possiamo definirlo come un Paese non-occidentale, quando in tantissimi hanno due passaporti (americano e israeliano, francese e israeliano, italiano e israeliano, etc.) e la quasi maggioranza della popolazione parla una lingua indoeuropea, il russo? E l’Iran, anche quello parla una lingua indoeuropea, il farsi, più simile alle nostre che a quella degli arabi, verso i quali gli iraniani provano un senso di distinzione totale… basta vedere, come accade spesso di recente, le foto di Teheran prima degli ayatollah, per capire che si tratta di un Paese che definire «occidentale» non sarebbe completamente folle (non lo stesso possiamo dire di Arabia Saudita, Pakistan, Dubai, e pure magari della Turchia che sta nella NATO e vuole stare nell’UE…)
Insomma, due Paesi dell’era moderna si fanno la guerra e sono entrambi nazioni fondate sulla religione. Strano? No, solo a noi può sembrar così, e non solo per l’overdose di illusione democratica iniettataci a forza dopo il 1945.
Il fatto che non riteniamo possibile che lo Stato moderno sia profondamente religioso è perché qualcuno ci ha vaccinati contro tale idea. Qualcuno ha imposto all’Europa (all’Italia, alla Germania, alla Francia) la convinzione che lo Stato deve essere «laico» e perfino mai nominare la divinità nelle sue carte: è il caso della nostra Costituzione – la più bella del mondo, no? – che i padri costituenti democristiani firmarono anche se mai conteneva la parola «Dio», cosa che sembra avesse irritato La Pira, il quale poi deve però essersene fatto una ragione.
Sta nella logica: i partiti democristiani, come evidente in Italia e Germania, servivano al contrario esatto di quello che dicevano voler fare. Servivano a tenere il Cristianesimo lontano dalla democrazia, o meglio, tenere Cristo totalmente fuori dallo Stato.
L’Iran è una Repubblica Islamica, Israele è lo Stato dei giudei: sulla scene si stanno scontrando, con tanto di tintinnio di sciabole atomiche, due monoteismi su tre. E il terzo? E quello più diffuso al mondo? Quello che negli ultimi secoli ha informato le nazioni più avanzate del pianeta?
No, il Cristianesimo non è contemplato sulla scena. Perché lo sforzo fatto con evidenza almeno dal 1789 in poi è quello di distruggere e impedire la rinascita dello Stato Cristiano, in qualsiasi forma. Uno Stato Cristiano manca – in Medio Oriente, in Europa, in America, in Asia, in Africa – perché è la cosa che i padroni del mondo vogliono evitare con ogni mezzo possibile.
Nella guerra presente tra la teocrazia islamica e quella ebraica, dovrebbe brillare, quindi, l’assenza di una nazione cristiana – qualcosa introvabile in qualsiasi punto dello scacchiere. Dovrebbe saltare agli occhi l’inesistenza, sulla scena mondiale, su questo piano storico, dello Stato Cristiano.
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I lettori di Renovatio 21, hanno già sentito altre volte questo discorso, che riteniamo fondamentale per la nostra esistenza, quella dei nostri figli, per la sopravvivenza dell’umanità stessa. Senza uno Stato che torni ad essere morale, senza uno Stato Cristiano, siamo in balia della Necrocultura e della sua devastazione spirituale e biologica.
Di più: senza lo Stato Cristiano, saremo oggetto degli attacchi – manipolatori o perfino cinetici – degli Stati rimasti aderenti a religioni che, sì, in alcuni casi possono tollerare la violenza, pure in attacco. La religione giustifica tutto: il mondo del disincanto «laico» invece è talmente privo di motivazioni da produrre l’impotenza dei suoi uomini.
La guerra fra teocrazie dovrebbe insegnarci, quindi, che senza un ritorno dello Stato Cristiano siamo tutti in pericolo. Chi ora ridacchia, forse non vede cosa stanno diventando le nostre periferie, con i maranza che invocano Allah, e che, finita la sbornia dell’anarco-tirannia di cui sono agenti inconsapevoli pagati con canzonette trap e video Instagram, sappiamo potranno riciclare il loro risentimento in gruppi jihadisti pagati dalle teocrazie straniere.
Vogliamo andare fino in fondo, e dire un’altra cosa che molti possono ritenere folle, fantascientifica, inconcepibile: non solo senza lo Stato Cristiano non abbiamo alcun futuro, ma l’umanità intera non lo ha se Gerusalemme, la città di nostro Signore, non sarà riconquistata da chi è in grado di riportare la Pace fra i popoli, da chi professa la Pace come fine stesso del comportamento umano, come condizione a cui deve tendere l’anima e il mondo.
Chi ha orecchi da intendere, intenda.
Roberto Dal Bosco
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Immagine di Nick Leonard via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-SA 2.0
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Di tabarri e boomerri. Pochissimi i tabarri
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Pensiero
Trump e la potenza del tacchino espiatorio
Il presidente americano ha ancora una volta dimostrato la sua capacità di creare scherzi che tuttavia celano significati concreti – e talvolta enormi.
L’ultima trovata è stata la cerimonia della «grazia al tacchino», un frusto rito della Casa Bianca introdotto nel 1989 ai tempi in cui vi risiedeva Bush senior. Il tacchino, come noto, è l’alimento principe del giorno del Ringraziamento, probabilmente la più sentita ricorrenza civile degli americani, che celebra il momento in cui i Padri Pellegrini, utopisti protestanti, furono salvati dai pellerossa che indicarono ai migranti luterani come a quelli latitudini fosse meglio coltivare il granturco ed allevare i tacchini. Al ringraziamento degli indiani indigeni seguì poco dopo il massacro, però questa è un’altra storia.
Fatto sta che il tacchino, creatura visivamente ripugnante per i suoi modi sgraziati e le sue incomprensibili protuberanze carnose, diventa un simbolo nazionale americano, forse persino più importante dell’aquila della testa bianca, perché il rapace non raccoglie tutte le famiglie a cena in una magica notte d’inverno, il tacchino sì. Tant’è che ai due fortunati uccelli di quest’anno, Gobble e Waddle (nomi scelti online dal popolo statunitense, è stata fatta trascorrere una notte nel lussuosissimo albergo di Washington Willard InterContinental.
🦃 America’s annual tradition of the Presidential Turkey Pardon is ALMOST HERE!
THROWBACK to some of the most legendary presidential turkeys in POTUS & @FLOTUS history before the big moment this year. 🎬🔥 pic.twitter.com/QT2Oal12ax
— The White House (@WhiteHouse) November 24, 2025
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Da più di un quarto di secolo, quindi, eccoti che qualcuno vicino alla stanza dei bottoni si inventa che il commander in chief appaia nel giardino delle rose antistante la residenza e, a favore di fotografi, impartista una grazia al tacchino, salvandolo teoricamente dal finire sulla tavola – in realtà ci finisce comunque suo fratello, o lui stesso, ma tanto basta. Non sono mancati i momenti grotteschi, come quando il bipede piumato, dinanzi a schiere di alti funzionari dello stato e giornalisti, ha scagazzato ex abrupto e ad abundantiam lasciando puteolenti strisce bianche alla Casa Bianca.
Non si capisce cosa esattamente questo rituale rappresenti, se non la ridicolizzazione del potere del presidente di comminare grazie per i reati federali, tema, come sappiamo quanto mai importante in quest’ultimo anno alla Casa Bianca, visti le inedite «grazie preventive» date al figlio corrotto di Biden Hunter, al plenipotenziario pandemico Anthony Fauci, al generale (da alcuni ritenuto golpista de facto) Mark Milley. Sull’autenticità delle firme presidenziali bideniane non solo c’è dibattito, ma l’ipostatizzazione del problema nella galleria dei ritratti dei presidenti americani, dove la foto di Biden, considerato in istato di amenza da anni, è sostituita da un’immagine dell’auto-pen, uno strumento per automatizzare le firme forse a insaputa dello stesso presidente demente.
Ecco che Donaldo approffitta della cerimonia del pardon al tacchino per lanciare un messaggio preciso: appartentemente per ischerzo, ma con drammatico valore neanche tanto recondito.
Trump si mette a parlare di un’indagine approfondita condotta da Bondi e da una serie di dipartimenti su di « una situazione terribile causata da un uomo di nome Sleepy Joe Biden. L’anno scorso ha usato un’autopsia per concedere la grazia al tacchino».
«Ho il dovere ufficiale di stabilire, e ho stabilito, che le grazie ai tacchini dell’anno scorso sono totalmente invalide» ha proclamato il presidente. «I tacchini conosciuti come Peach and Blossom l’anno scorso sono stati localizzati e stavano per essere macellati, in altre parole, macellati. Ma ho interrotto quel viaggio e li ho ufficialmente graziati, e non saranno serviti per la cena del Ringraziamento. Li abbiamo salvati al momento giusto».
La gente ha iniziato a ridere. Testato il meccanismo, Trump ha continuato quindi ad usare i tacchini come veicoli di attacco politico.
«Quando ho visto le loro foto per la prima volta, ho pensato che avremmo dovuto mandargliele – beh, non dovrei dirlo – volevo chiamarli Chuck e Nancy», ha detto il presidente riguardo ai tacchini, facendo riferimento ai politici democratici Chuck Schumer e Nancy Pelosi. «Ma poi ho capito che non li avrei perdonati, non avrei mai perdonato quelle due persone. Non li avrei perdonati. Non mi importerebbe cosa mi dicesse Melania: ‘Tesoro, penso che sarebbe una cosa carina da fare’. Non lo farò, tesoro».
Dopo che il presidente ha annunciato che si tratta del primo tacchino MAHA (con tanto di certificazione del segretario alla Salute Robert Kennedy jr.), l’uso politico del pennuto è andato molto oltre, nell’ambito dell’immigrazione e del terrorismo: «invece di dar loro la grazia, alcuni dei miei collaboratori più entusiasti stavano già preparando le carte per spedire Gobble e Waddle direttamente al centro di detenzione per terroristi in El Salvador. E persino quegli uccelli non vogliono stare lì. Sapete cosa intendo».
Tutto bellissimo, come sempre con Trump. Il quale certamente non sa che l’uso del tacchino espiatorio non solo non è nuovo, ma ha persino una sua festa, in Alta Italia.
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Parliamo dell’antica Giostra del Pitu (vocabolo piementose per il pennuto) presso Tonco, in provincia di Asti. La ricorrenza deriverebbe da usanze apotropaiche contadine, dove, per assicurarsi il favore celeste al raccolto, il popolo scaricava tutte le colpe dei mali che affligevano la società su un tacchino, che rappresentava tacitamente il feudatario locale. Secondo la leggenda, questi era perfettamente a conoscenza della neanche tanto segreta identificazione del tacchino con il potere, e lasciava fare, consapevole dello strumento catartico che andava caricandosi.
Tale mirabile festa piemontese va vanti ancora oggi, anticipata da un corteo storico che riproduce la visita dei nobili a Gerardo da Tonco, figura reale del luogo e fondatore dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni in Gerusalemme, poi divenuto Sovrano Militare Ordine di Malta.
Subito dopo il gruppo che accompagna Gerardo avanza il carro su cui troneggia il tacchino vivo, autentico protagonista della celebrazione. Seguono quindi i giudici e i carri delle varie contrade del paese, che mettono in scena, con grande realismo, momenti di vita contadina tradizionale. Il passaggio del tacchino è tra ali di folla che non esitano ad insultare duramente il pennuto sacrificale.
Il clou dell’evento è il cosiddetto processo al Pitu, arricchito da un vivace botta-e-risposta in dialetto piemontese tra l’accusa pubblica e lo stesso Pitu, il quale tenta inutilmente di difendersi. Dopo la inevitabile condanna, il Pitu chiede come ultima volontà di fare testamento in pubblico, dando vita a un nuovo momento di ilarità.
Durante la lettura del testamento, infatti, egli si vendica della sentenza rivelando, sempre in stretto dialetto, vizi grandi e piccoli dei notabili e dei personaggi più in vista della comunità. Fino al 2009, al termine del testamento, un secondo tacchino (già macellato e acquistato regolarmente in macelleria, quindi comunque destinato alla tavola) veniva appeso a testa in giù al centro della piazza. Dal 2015, purtroppo, il tacchino è stato sostituito da un pupazzo di stoffa, così gli animalisti sono felici, ma il tacchino in zona probabilmente lo si mangia lo stesso.
Ci sarebbe qui da lanciarsi in riflessioni abissali sulla meccanica del capro espiatorio di Réné Girard, ma con evidenza siamo già oltre, siamo appunto al tacchino espiatorio.
Il tacchino espiatorio diviene il dispositivo con cui è possibile, se non purificare, esorcizzare, quantomeno dire dei mali del mondo.
Ci risulta a questo punto impossibile resistere. Renovatio 21, sperando in una qualche abreazione collettiva, procede ad accusare l’infame, idegno, malefico tacchino, che gravemente nuoce a noi, al nostro corpo, alla nostra anima, al futuro dei nostri figli.
Noi accusiamo il tacchino di rapire, o lasciare che si rapiscano, i bambini che stanno felici nelle loro famiglie.
Noi accusiamo il tacchino di aver messo il popolo a rischio di una guerra termonucleare globale.
Noi accusiamo il tacchino di praticare una fiscalità che pura rapina, che costituisce uno sfruttamento, dicevano una volta i papi, grida vendetta al cielo.
Noi accusiamo il tacchino di essere incompetente e corrotto, di favorire i potenti e schiacciare i deboli. Noi accusiamo il tacchino di essere mediocre, e per questo di non meritare alcun potere.
Noi accusiamo il tacchino di aver accettato, se non programmato, l’invasione sistematica della Nazione da parte di masse barbare e criminali, fatte entrare con il chiaro risultato della dissoluzione del tessuto sociale.
Noi accusiamo il tacchino di favorire gli invasori e perseguitare gli onesti cittadini contribuenti.
Noi accusiamo il tacchino di aver degradato la religione divina, di aver permesso la bestemmia, la dissoluzione della fede. Noi accusiamo il tacchino di essere, che esso lo sappia o meno, alleato di Satana.
Noi accusiamo il tacchino di operare per la rovina dei costumi.
Noi accusiamo il tacchino per la distruzione dell’arte e della bellezza, e la sua sostituzione con bruttezza e degrado, con la disperazione estetica come via per la disperazione interiore.
Noi accusiamo il tacchino di essere un effetto superficiale, ed inevitabilmente tossico, di un plurisecolare progetto massonico di dominio dell’umanità.
Noi accusiamo per la strage dei bambini nel grembo materno, la strage dei vecchi da eutanatizzare, la strage di chi ha avuto un incidente e si ritrova squartato vivo dal sistema dei predatori di organi.
Noi accusiamo il tacchino del programa di produzione di umanoidi in provetta, con l’eugenetica neohitlerista annessa.
Noi accusiamo il tacchino di voler alterare la biologia umana per via della siringa obbligatoria.
Noi accusiamo il tacchino di spacciare psicodroghe nelle farmacie, che non solo non colmano il vuoto creato dallo stesso tacchino nelle persone, ma pure le rendono violente e financo assassine.
Noi accusiamo il tacchino per l’introduzione della pornografia nelle scuole dei nostri bambini piccoli. Noi accusiamo il tacchino per la diffusione della pornografia tout court.
Noi accusiamo il tacchino per l’omotransessualizzazione, culto gnostico oramai annegato nello Stato, con i suoi riti mostruosi di mutilazione, castrazione, con le sue droghe steroidee sintetiche, con le sue follie onomastiche e istituzionali.
Noi accusiamo il tacchino di voler istituire un regime di biosorveglianza assoluta, rafforzato dalla follia totalitaria dell’euro digitale.
Noi accusiamo il tacchino, agente inarrestabile della Necrocultura, della devastazione inflitta al mondo che stiamo consegnando ai nostri figli.
Tacchino maledetto, i tuoi giorni sono contati. Sappi che ogni giorno della nostra vita è passato a costruire il momento in cui, tu, tacchino immondo, verrai punito.
Roberto Dal Bosco
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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