Spirito
Io difendo Ambrogio. Perché Ambrogio difende me

Fu Penelope, una ragazza greca, a mostrarmelo per la prima volta.
In realtà mi porse una cartolina. La foto di un mosaico: un uomo dell’antichità, con la barba i baffi e i capelli corti. Un volto semplice, immerso in paramenti che invece parevan importanti. Sopra questa figura c’era scritto solo «AMBROSIVS».
«È Ambrogio. È il protettore di Milano. Tenete questa foto con voi».
«È Ambrogio. È il protettore di Milano. Tenete questa foto con voi».
Ciò accadeva, a Milano, quasi una ventina di anni fa. Per me, più di un’era geologica. Un altro pianeta, un’altra vita.
Si era, appunto, nei giorni di Sant’Ambrogio. Vivevo a Milano da un anno ma io mai avevo sentito il bisogno di sapere chi fosse Ambrogio. Mai avevo avvertito la necessità di guardarlo in faccia. Del resto, una faccia non poteva averla. Sant’Ambrogio era una festa, non una persona.
Eppure, pure in quella passata incarnazione del mio essere in cui la Fede era remota, avevo compreso che il gesto di Penelope aveva un valore inusuale. Non mi aveva passato un disco (allora c’erano) e neppure un libro (di quelli che non leggi e non restituisci). Sentivo che voleva trasmettermi qualcosa di speciale. Quasi un oggetto magico, un talismano: all’epoca le mie categorie cerebrali erano quelle.
Penelope aveva studiato negli anni Novanta con quella che allora era la mia fidanzata, una ragazza tedesco-americana.
Un qualcosa che allora non potevo sapere come chiamare, ma ora sì: devozione
Avevano studiato quella cosa che si chiama «design», che allora era quasi una cosa seria. Lo avevano fatto a Londra, al tempo centro di rimescolamento della intraprendenza giovanile mondiale, quel tipo di frullatore dove gli ingredienti erano americani, giapponesi, libanesi, russi, austriaci, coreani, fiamminghi, croati, i cui schizzi ormai apolidi si riversavano ad ondate nelle case di moda o negli studi pubblicitari di Milano. Erano giorni corruschi e distratti.
Niente di quel mondo poteva portarmi a pensare a quella inspiegabile scintilla che vedevo negli occhi di Penelope, un qualcosa che allora non potevo sapere come chiamare, ma ora sì: devozione. Penelope aveva ritrovato la Fede proprio in quel bailamme di colore e nichilismo che immergeva la nostra giovinezza.
Era cristiana ortodossa, anche questo scuoteva la mia ignoranza. Ma come, una ortodossa che mi parla di un santo cattolico?
«I santi venuti prima dello scisma sono santi per tutti» mi edusse con quell’accento soave. Io mica lo sapevo.
Devozione
Fu con quella cartolina in tasca che un pomeriggio d’inverno, senza saper neanche bene perché, entrai per la prima volta nella Basilica di Sant’Ambrogio.
Ero entrato nella cripta. Non ero preparato: non mi aspettavo di trovare, in quel cunicolo buio sotto l’altare, tre scheletri — gli unici punti illuminati — e una grande cancellata di metallo a dividermi da essi.
Vagai per la navata, che rispetto a quella del Duomo, notai, era più luminosa, e non so quanto la cosa mi piacesse. Osservai quella colonna stranissima che si erge a metà chiesa, che sopra monta un serpente di bronzo. Ero confuso.
C’era pace. Quello, sì, lo sentivo distintamente. Non passò molto prima di venir magnetizzato verso il fondo della Basilica. E di lì, giù per quella mezza manciata di scalini.
Ero entrato nella cripta.
Non ero preparato: non mi aspettavo di trovare, in quel cunicolo buio sotto l’altare, tre scheletri — gli unici punti illuminati — e una grande cancellata di metallo a dividermi da essi.
Di quella prima volta, conservo il ricordo nitido di una sola figura umana che stava dinanzi a me. Una ragazzina, che non arrivava ai vent’anni. Composta, nel suo cappottino elegante, stivali alti, gli occhi azzurri, che potevo scorgere con un bagliore proveniente dall’esterno, trasmettevano fierezza, ma non solo quella. Era in ginocchio davanti alla cancellata, rivolta verso i Santi. Le mani erano giunte in preghiera. Con le stesse, poi si aggrappava alle barre di metallo. Come se fossero le inferriate di un carcere, come se ardesse per liberare se stessa o qualcos’altro, tenuto appena oltre quelle sbarre.
Passarono gli anni, passarono le fidanzate, le fortune, le sventure, gli studi, i lavori, le gioie, le disgrazie, i sindaci e i governi: eppure mi ritrovai sempre, e sempre più spesso, immerso in quella cripta
Cosa stava facendo? Perché una ragazza così — una ragazza di buona famiglia, che trovavo anche carina — aveva bisogno di fare una cosa simile? Pregare con tutto lo spirito uno scheletro?
La risposta è in qualcosa che imparai a comprendere tempo dopo: devozione.
La devozione era, in realtà, quella fierezza che avevo fugacemente letto negli occhi di Penelope, e che ora veniva irradiata da questa ragazzina. Una devozione speciale, personale, locale: quella fanciulla stava pregando il protettore della città. Il difensore proprio di quella città specifica.
Passarono gli anni, passarono le fidanzate, le fortune, le sventure, gli studi, i lavori, le gioie, le disgrazie, i sindaci e i governi: eppure mi ritrovai sempre, e sempre più spesso, immerso in quella cripta. Con il tempo, mi ritrovai ad emulare quella ragazzina che non vidi mai più: in ginocchio, le mani a stringere forte quella grata, di cui anche ora che scrivo percepisco il freddo del metallo mentre tocca i miei palmi.
In ginocchio, a parlare con il Patrono. A chiedergli di proteggermi, e di proteggere tutta la città dove vivevo. Proteggere Milano, perché a Milano, talvolta a distanza talvolta no, avevo visto ogni sorta di cosa
A volte, su quella grata appoggio anche la testa, così, tra una sbarra e l’altra, nell’impossibilità di fare passare attraverso il mio cranio, così, in quello che è anche un appoggio di sollievo, sempre con il ferro gelido a toccarmi fino alle ossa. In ginocchio, a parlare con il Patrono. A chiedergli di proteggermi, e di proteggere tutta la città dove vivevo. Proteggere Milano, perché a Milano, talvolta a distanza talvolta no, avevo visto ogni sorta di cosa.
Avevo visto la gente brutalizzarsi nel modo più abietto; avevo visto la cattiveria dei potenti; avevo visto la cattiveria degli impotenti; avevo visto uomini combattersi e ammalarsi; avevo visto amici accumulare danari perdendo l’umanità e anche la famiglia; avevo visto un uomo spararsi davanti all’ex fidanzata nel bar sottocasa; avevo visto coetanei inghiottiti da abissi notturni per non riemergere più; avevo visto la droga (sia quella illegale che quella legale) consumare le menti di una o due generazioni per non lasciare niente; avevo visto una bella conterranea fucilata dal convivente impasticcato psichiatricamente, un’altra fu squartata dal rampollo suo convivente; avevo visto luoghi di perdizione vera, che ancora oggi mi chiedo come facciano ad esistere; avevo visto il crimine convivere tranquillo con la quotidianità; avevo visto l’ambizione delle persone renderle squallide, mostruose, deformi; avevo visto tradimenti, adulterii, ogni sorta di sovversione sessuale e morale; avevo visto ragazze rifiutare i propri figli, e ucciderli; altre ne avevo viste uccidere in provetta quantità indefinite di bambini per alla fine averne uno solo in braccio.
Perversione, decadenza, morte. Milano è davvero una metropoli.
Come non invocare la protezione di Ambrogio? La cosa mi era impensabile.
Perversione, decadenza, morte. Milano è davvero una metropoli. Come non invocare la protezione di Ambrogio? La cosa mi era impensabile. Come non immaginare, mentre stringo quelle sbarre, che egli stenda un manto santo sopra la città? Che blocchi il Male che correva libero per quelle strade?
Come non immaginare, mentre stringo quelle sbarre, che egli stenda un manto santo sopra la città?
Che blocchi il Male che correva libero per quelle strade?
Finii col credere fermamente che Ambrogio fosse ciò che tratteneva Milano dallo sprofondare in quell’Inferno di fuoco che avrebbe inghiottito quell’inferno umano che registravo con i miei occhi.
Per questo, la preghiera in quella cripta divenne per me assidua.
Tales ambio defensores
Non posso enumerare le volte in cui sono finito davanti alle spoglie mortali di Ambrogio, Gervaso e Protaso. Per dei periodi, è stato un affare quotidiano.
Finii col credere fermamente che Ambrogio fosse ciò che tratteneva Milano dallo sprofondare in quell’Inferno di fuoco che avrebbe inghiottito quell’inferno umano che registravo con i miei occhi
Mi sono aggrappato a quelle sbarre migliaia di volte; spesso sono stato mandato via dal solerte signore filippino (credo) che arriva con l’enorme, tintinnante mazzo di chiavi per chiudere tutta la basilica.
Ho fatto ogni sorta di meravigliosi incontri in quel luogo santo.
Ricordo quando, inciampandole addosso, dissi «izvinite» («mi scusi») a una anziana signora velata. Si faceva multipli segni della croce ed era, chiaramente, una delle tante signore ortodosse — per lo più immagino badanti, ma vi sono talvolta anche veri e propri gruppi di pellegrini — che vanno ad omaggiare Ambrogio.
La signora, usciti dalla cripta, volle scambiare quattro chiacchiere con me, entusiasta del misero russo che stavo studiando. Pretese che salissi immediatamente con lei in metropolitana fino al Duomo, dove mi schiuse le porte di una chiesa ortodossa, che prima di allora mai avevo saputo esistere, appena dietro la cattedrale. La visita ad Ambrogio era una fermata che ella faceva prima di andare nella sua chiesa. C’erano tante signore (moldave, ucraine, bielorusse, russe, kazake…), alcune ho pensato fossero impiegate nell’assistenza di malati o anziani, altre, più giovani ed eleganti, lavoravano chiaramente nella moda; altre ancora, più formose e appariscenti, probabilmente si occupavano di altro – tutte, però, portavano il velo. C’erano i pope con barbe e vesti scure e lunghissime, le candele, l’iconostasi immensa con i suoi bagliori dorati. Tutto sembrava solenne anche se non vi era una funzione in corso. Anche la signora moldava, come Penelope, mi passò una cartolina, e cioè quel che poteva donarmi di più vicino ad una icona.
Mi sono aggrappato a quelle sbarre migliaia di volte; spesso sono stato mandato via dal solerte signore filippino (credo) che arriva con l’enorme, tintinnante mazzo di chiavi per chiudere tutta la basilica
Capii di essere finito un’altra volta in un circuito invisibile il cui termine era sempre e comunque Ambrogio. La devozione.
Sì, il circuito della devozione, la cui fermata principale era quella cripta, in cui sono finito non perché ho letto un libro (ignoravo, e tuttora ignoro tutto del Santo!) ma perché sospinto da questo flusso intangibile che scorreva a Milano attraverso perfino i cuori degli stranieri.
In quella cripta ho portato tutto: dalle gioie dei primi (piccoli) incassi per i lavori compiuti alla morte di un genitore, dalla speranza di prosperità alla frantumazione del mio essere che a volte gli eventi milanesi potevano cagionare.
Soprattutto, ho portato la mia pochezza. Il mio bisogno di essere protetto, difeso.
Capii di essere finito un’altra volta in un circuito invisibile il cui termine era sempre e comunque Ambrogio. La devozione
«Tales ambio defensores» disse Ambrogio quando rinvenne i corpi dei due martiri Gervaso e Protaso che ora giacciono con lui (fu l’esito di uno scavo che egli volle commissionare guidato da un presagio interiore; l’evento gli permise di vincere definitivamente il cuore di Milano, che all’epoca contava molti eretici ariani).
Me lo sono ripetuto anche io tante volte: «Tali difensori io desidero».
Nemici di Ambrogio
Al contempo, mi sento in dovere di difendere Ambrogio. Perché, per quanto possa sembrare incredibile, Ambrogio ha dei nemici.
Forze che bramano la distruzione di Ambrogio e di quel fiume invisibile che mi ha portato da lui.
Nel 1799 i napoleonici della Repubblica Cisalpina vollero che la Basilica venisse trasformata in un ospedale militare.
In quella cripta ho portato tutto: dalle gioie dei primi (piccoli) incassi per i lavori compiuti alla morte di un genitore, dalla speranza di prosperità alla frantumazione del mio essere che a volte gli eventi milanesi potevano cagionare. Soprattutto, ho portato la mia pochezza. Il mio bisogno di essere protetto, difeso
Altre forze figlie della Rivoluzione — i nostri «liberatori» angloamericani — bombardarono vigliaccamente dal cielo Sant’Ambrogio nel 1943.
Poi, il 28 giugno 2000 il Male e la sua manovalanza terrena passano all’attacco diretto, penetrando sino al cuore ambrosiano. Nascondono in un inginocchiatoio della nostra cripta uno zaino con due bottiglie contenenti benzina, collegate a un innesco chimico alimentato da una pila. Una bomba incendiaria. (Bruciare Ambrogio e il suo tempio, lo dirò più sotto, potrebbe avere un suo significato di nemesi precisa). L’ordigno è trovato dalla Digos, perché un quotidiano riceve un volantino di rivendicazione. Gli esecutori dovrebbero essere gli anarchici della sigla «Solidarietà Internazionale»; protesterebbero per una cerimonia della polizia penitenziaria.
Io in realtà so che, da secoli, vogliono colpire qualcosa di più grande, qualcosa di fondamentale per l’equilibrio di tutta la città – e della mia vita.
Vogliono colpire Ambrogio.
Vogliono colpire la sua devozione.
Per quanto possa sembrare incredibile, Ambrogio ha dei nemici. Vogliono colpire Ambrogio. Vogliono colpire la sua devozione.
Perché so tutto questo, non mi son sorpreso quando qualche anno fa uscì sotto forma di libro un attacco ad Ambrogio.
Il libro, incensato dall’intero arco delle gazzette nazionali, da Il Sole 24 ore a Il Manifesto, portava la firma di una vecchia conoscenza, diciamo così, tale Franco Cardini.
Il titolo non è molto sibillino: Contro Ambrogio.
Don Ricossa mi ricorda, con tanto di documentazione, «che Cardini è stato membro del comitato scientifico della rivista massonica Ars Regia; che Cardini ha ricevuto e accettato un’onorificenza dal Grand’Oriente d’Italia; che Cardini ha scritto la prefazione ad un libro sui Templari del figlio dell’allora Gran Maestro della Massoneria Raffi, con i proventi del libro che vanno all’opera massonica degli Asili notturni; che Cardini ha partecipato a un convegno della Gran Loggia d’Italia, obbedienza di piazza del Gesù; che Cardini si riconosce nella Leggenda medioevale dei tre anelli, ripresa dal massone Lessing, e nell’idea di cristiani, ebrei e musulmani “fratelli in Abramo”; che per Cardini ha ragione Gad Lerner nel dire che Gesù Cristo non è cristiano ma ebreo, essendo il Cristianesimo una invenzione di Saulo di Tarso; che per Cardini non è neppure storicamente certo che Gesù Cristo sia esistito; che per Cardini il film su Ipazia, martire pagana vittima dei cristiani, è storicamente ineccepibile, e che d’altronde il Cristianesimo si è imposto con la violenza ben più che l’Islam. Per cui non stupiamoci se le preferenze di Cardini vadano a preti come don Gallo: “posso attestare che pochi come lui nella storia del cristianesimo sono stati altrettanto fedeli al messaggio del Cristo e alla missione della Chiesa nel mondo”».
«Quando ero vice presidente del CNR — mi dice Roberto de Mattei — organizzai a Roma un seminario internazionale sulle Crociate, ma ritenni di non invitare il professor Cardini, perché il suo è un lavoro di decostruzione dell’idea di Crociata, incompatibile con i risultati della più recente e accreditata letteratura scientifica. Cardini mi telefonò furioso e lo giudicai una mancanza di stile».
Lo stesso lavoro demolitorio e desacralizzante il Cardini lo porta su Ambrogio.
Nel 388, a Callinicum (ora Raqqa, l’ex-capitale dell’ISIS), una sinagoga fu data alla fiamme. Il governatore romano locale, sostenuto da Teodosio, decise che a pagare la ricostruzione dovesse essere il vescovo locale, ritenuto sobillatore degli incendiari.
L’episodio che dà l’avvio all’elezione di Ambrogio all’episcopato, e cioè il bambino che urla in Chiesa «Ambrogio Vescovo!» trascinando con sé tutta Milano, è per Cardini una «messinscena», un «ben architettato episodio di organizzazione del consenso», un evento da spin doctor in cui la «spontaneità popolare è accuratamente pilotata».
Tuttavia è la sottomissione di Teodosio che infastidisce di più il professore, «l’Augusto, da principe aureolato di autorità sacrale qual era sempre stato, da vicario del Cristo in terra, era sceso al livello di un semplice fedele, pronto ad umiliarsi per ricevere il perdono».
Il famoso episodio in cui il vescovo Ambrogio piega l’Imperatore inducendolo alla penitenza rappresenta per l’autore qualcosa di intollerabile, perché emblema perfetto di un «progetto di delegittimazione totale e irreversibile dei ceti diversi da quello cristiano niceno in tutto l’impero».
In breve, quel che il Cardini non può sopportare è il primato della Chiesa sul mondo. Teodosio costretto alla penitenza dal vescovo Ambrogio per la strage di Tessalonica (Salonicco, in Grecia…) è per il vecchio studioso la base «di un lungo e complesso itinerario che in vario modo, attraverso l’agostinismo politico, la riforma della Chiesa dell’XI secolo e il monarchismo pontificio» ha delineato quella Tradizione «che in ambito cattolico — una volta battute le eresie e isolati come eretici o comunque pericolosi molti movimenti “non conformisti” medievali — solo il conciliarismo quattrocentesco, in una certa misura il Vaticano II e, oggi, le scelte innovatrici di Papa Francesco, hanno teso in qualche modo a limitare e a correggere».
Comprendete? Papa Francesco — in effetti, il Papa più sottomesso all’Impero, l’Impero del Male — come antidoto ai danni provocati da Ambrogio.
Ambrogio scrisse all’Imperatore il suo dissenso: «Io dichiaro di aver dato alle fiamme la sinagoga. Sì, sono stato io che ho dato l’incarico, perché non ci sia più nessun luogo dove Cristo venga negato»
La Chiesa non deve demandare al potere la penitenza se questo commette ingiuste stragi: capite l’attualità di questa richiesta?
Una Chiesa assoggettata al potere (come quella che stiamo vedendo oggi) è per il toscano la condizione giusta per la sposa di Cristo: «il liberare e il mantener libero il clero dai controlli e dai condizionamenti di qualunque autorità terrena — ben al di là se non al contrario di quanto Gesù dichiara esplicitamente a Pilato — sarebbe stata condizione necessaria e sufficiente per salvarlo dalle tentazioni terrene», tuttavia «l’intera storia della Chiesa dimostra l’opposto»
Insomma, «forse senza di lui non avremmo avuto un conflitto tra mondo cattolico e modernità».
Tradotto: senza Ambrogio il cattolicesimo sarebbe naturaliter modernista.
Prendo questi virgolettati, che in me sortiscono l’effetto di amar ancora di più il mio Santo, da un articolone celebrativo che al libercolo in questione dedicò il Paolo Mieli sul primo quotidiano nazionale.
Ambrogio, a differenza dei democristiani e dei loro patti con le potenze infernali, non faceva compromessi.
Una di quelle doppie paginate, sempre dense ed interessantissime a dire il vero, che una volta alla settimana consentono al pluri-ex-direttore del Corrierone di recensire qualche testo più o meno revisionista.
Il Mieli, a dire il vero, potrebbe aver qualche cavallo coinvolto nella corsa. Egli è figlio dell’ex agente del Psychological Warfare Branch dei servizi segreti britannici Ralph Merrill (all’anagrafe egiziana Renato Mieli) poi direttore dell’ANSA e de L’Unità finito però, poco dopo, ad esaltare l’ultraliberismo di Hayek e Von Mises (e per questo i fondi di Confindustria non gli sono mancati); soprattutto, possiamo dire che il Mieli Paolo è, come il padre, di origine ebraica.
Mai vorrei che vi fosse, in questo petardino editoriale contro Ambrogio, l’antico pregiudizio che vede il Santo come antisemita. Perché Ambrogio affrontò a testa alta l’Imperatore Teodosio anche un’altra volta.
Nel 388, a Callinicum (ora Raqqa, l’ex-capitale dell’ISIS), una sinagoga fu data alla fiamme. Il governatore romano locale, sostenuto da Teodosio, decise che a pagare la ricostruzione dovesse essere il vescovo locale, ritenuto sobillatore degli incendiari.
Ambrogio scrisse all’Imperatore il suo dissenso:
Anche a secoli di distanza, come pensate che lo possano perdonare Ambrogio ebrei, falsi cristiani, servi degli dèi della morte?
«Il luogo che ospita l’incredulità giudaica sarà ricostruito con le spoglie della Chiesa? (…) Questa iscrizione porranno i giudei sul frontone della loro sinagoga: Tempio dell’empietà ricostruito col bottino dei cristiani (…) Il popolo giudeo introdurrà questa solennità fra i suoi giorni festivi?»
Ambrogio aveva centrato già allora tutta la questione dell’incompatibilità tra Stato e Chiesa quando per lettera chiese a Teodosio: «che cosa dunque è più importante, l’idea di disciplina [cioè, del mantenimento dell’ordine pubblico, ndr] o il motivo della religione?».
È la medesima domande che si pose Andreotti quando capì che se non votava la legge sul libero aborto in Italia il suo governo sarebbe caduto. Sappiamo come si rispose. Lo sanno anche i 6 milioni di bambini ammazzati da quella legge, più aggiungiamo magari qualche milionata di vittime della conseguente pratica genocida della fecondazione assistita, che per ogni bambino sintetico nato ne ammazza almeno una ventina — quindi, altri milioni, molti di più, seguiranno.
Ambrogio, a differenza dei democristiani e dei loro patti con le potenze infernali, non faceva compromessi.
«Io dichiaro di aver dato alle fiamme la sinagoga — scrisse in un’altra epistola all’Imperatore — sì, sono stato io che ho dato l’incarico, perché non ci sia più nessun luogo dove Cristo venga negato».
Il mio disgusto per i ciellini (e il loro vescovoni trombati e infelici) che cianciano di «libertà religiosa» quando il Santo della loro capitale ne è stato il più acerrimo nemico, e su di essa — in ispecie contro i pagani — ha combattuto una guerra infuocata, e l’ha vinta
Rileggete: «perché non ci sia più nessun luogo dove Cristo venga negato».
Anche a secoli di distanza, come pensate che lo possano perdonare ebrei, falsi cristiani, servi degli dèi della morte?
Tradidi quod et accepi
Voglio concludere.
Molto ci sarebbe da dire, come per esempio il mio disgusto per i ciellini (e il loro vescovoni trombati e infelici) che cianciano di «libertà religiosa» quando il Santo della loro capitale ne è stato il più acerrimo nemico, e su di essa — in ispecie contro i pagani — ha combattuto una guerra infuocata, e l’ha vinta.
Qualcuno mi accuserà: perché parli, sei uno storico? Un teologo? Un sapiente?
No, non lo sono. Sono un uomo ignorante, e l’unica storia che conosco davvero, riguardo Ambrogio, è quella che mi ha portato a lui. Sono solo una persona che riesce ancora a struggersi davanti alla devozione; qualcuno di così ottuso da stupirsi del fatto che esiste ancora; qualcuno di così scemo da credere che la devozione sia non solo necessaria, ma perfino «efficace».
Questo è il mio microscopico contributo alla Tradizione: ho tramandato la devozione che ho ricevuto, ho mandato ad Ambrogio qualcuno, come vi ero stato mandato io
Sono un peccatore: sono uno che ad Ambrogio chiede aiuto. Non ci ho scritto libri, non ho studiato a fondo la sua vita e le sue opere.
Una cosa però l’ho fatta.
Ho portato ad Ambrogio una ragazza, Sophia. Tedesca, come Ambrogio.
Sophia aveva un problema, non riusciva più ad entrare in chiesa senza avere un attacco di pianto. Il motivo, ho ipotizzato, era legato a delle vicende personali. La sua famiglia ha attraversato momenti bui, in parte irrisolti, in parte risolti, che hanno lasciato un segno sul suo spirito. In chiesa, mi ha poi spiegato, non riusciva ad entrare perché «non mi sentivo pura a sufficienza», anche se Sophia è una delle persone più pure che conosco a Milano.
Ho fatto fatica. Le prime volte, trascinarla era un vero esercizio di violenza psicologica. «Io vado dentro, devi proprio fare queste scene?». Seguivano occhi sgranati, afasie, imbarazzi paralizzanti, lacrime.
Ho iniziato così pian piano a portarla alla messa della domenica sera. Nella pratica, è vero che qualche volta è svenuta, subito soccorsa da fedeli circostanti. Ma ora è tutto alle spalle. Mi esprime, anche troppo spesso, la sua gratitudine per la mia ostinazione. È amica dei sacerdoti come degli altri fedeli, è assidua.
Si chiede spesso perché io abbia spinto tanto: il perché lo sa Ambrogio, io sono solo la nanometrica parte del suo circuito invisibile.
Ho conservato, e tramandato, la devozione al cuore di Milano e della vera Cristianità
Qualche giorno fa, Sophia ha ricevuto finalmente la Cresima, che le mancava. Voleva che facessi da padrino, ma lontano come sono oggi dalla Chiesa conciliare, non per un secondo ho pensato che potessi essere io a sigillare la fine di questa minuscola storia ambrosiana.
Nonostante lo stato di aberrazione in cui versa la Chiesa, posso dire che questo è il mio microscopico contributo alla Tradizione: ho tramandato la devozione che ho ricevuto, ho mandato ad Ambrogio qualcuno, come vi ero stato mandato io.
Ho conservato, e tramandato, la devozione al cuore di Milano e della vera Cristianità.
Io difendo Ambrogio perché Ambrogio difende me.
Roberto Dal Bosco
Articolo precedentemente apparso su Ricognizioni.
Immagine di Serena via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0); immagine modificata.
Spirito
La messa tradizionale nuovamente autorizzata in San Pietro

Durante il 14° Pellegrinaggio ad Petri Sedem, organizzato dal Coetus Internationalis Summorum Pontificum, che si terrà a Roma e in Vaticano dal 24 al 26 ottobre, il Cardinale Raymond Leo Burke celebrerà una Messa pontificale secondo il rito tridentino presso l’Altare della Cattedra della Basilica di San Pietro sabato 25 ottobre.
Il presidente del Coetus Internationalis Summorum Pontificum ha annunciato l’autorizzazione di questa celebrazione, che fa parte del calendario degli eventi del pellegrinaggio, che da oltre un decennio riunisce fedeli provenienti da diversi Paesi attorno alla liturgia tradizionale latina.
Questo pellegrinaggio è stato fondato nel 2012. Negli ultimi anni, aveva subito le conseguenze delle restrizioni imposte dal motu proprio Traditionis Custodes di papa Francesco, che limitava l’uso della Messa tradizionale, una limitazione che aveva influenzato l’organizzazione del pellegrinaggio.
È tuttavia gratificante che, per la prima volta dall’entrata in vigore del Traditionis Custodes, la celebrazione della Messa tradizionale sia autorizzata presso l’altare della Cattedra di San Pietro nella Basilica Vaticana, mentre il rito tridentino era stato praticamente vietato. Questo va certamente attribuito a Papa Leone XIV, senza dubbio su richiesta del Cardinale Burke.
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Durante i primi pellegrinaggi ad Petri Sedem, la Messa tridentina veniva celebrata liberamente nella Basilica di San Pietro. Tuttavia, già nel marzo 2021, la Segreteria di Stato aveva vietato le Messe private secondo il rito tradizionale, autorizzandole solo nella piccola Cappella Clementina.
Dopo la pubblicazione di Traditionis Custodes, i pellegrinaggi non furono autorizzati a celebrare nella Basilica Vaticana per l’anno 2022, un divieto che fu mantenuto negli anni successivi. I pellegrini dovettero invece recarsi nella Chiesa della Trinità dei Pellegrini o al Pantheon. Quest’anno il divieto verrà revocato.
Speriamo che questo episodio non sia isolato, ma che le restrizioni assolutamente ingiuste, del tutto contrarie alla tradizione e al diritto, che gravano sulla celebrazione del cosiddetto Rito di San Pio V, vengano completamente revocate e che il rito tradizionale possa essere celebrato liberamente da tutti i sacerdoti che lo desiderano. Questo è ciò che la Fraternità Sacerdotale San Pio X ha sempre chiesto.
Sarebbe bene, a partire da Roma, che le direttive della Segreteria di Stato venissero abolite, che il rito tradizionale non fosse più confinato in una piccola cappella della Basilica Vaticana, ma che riacquistasse il suo giusto posto all’interno di questa basilica, che, va ricordato, è stata costruita per esso.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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Immagine di Steven Zucker via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-SA 2.0
Spirito
Trump posta gli auguri della Madonna in occasione dell’8 settembre

La Chiesa cattolica celebra la festa della Natività della Beata Vergine Maria l’8 settembre, esattamente nove mesi dopo la solennità dell’Immacolata Concezione, l’8 dicembre. Nelle elezioni presidenziali dello scorso anno, il 55% dei cattolici statunitensi ha votato per Trump. Nel 2020, Trump ha superato il cattolico Joe Biden con un margine del 50% contro il 49%. Tra il 2020 e il 2024, durante l’amministrazione Biden, il 7% degli elettori cattolici ha cambiato la propria affiliazione politica da democratica a repubblicana. Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato Trump aveva pubblicato sui social la preghiera di San Michele Arcangelo, spingendo molti a dire che era «più cattolico dei vescovi». Due settimane fa Trump ha dichiarato di voler andare in paradiso.JUST IN – Trump: “Happy Birthday Mary, Queen of Peace!” pic.twitter.com/zfZXWchGvS
— Disclose.tv (@disclosetv) September 8, 2025
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Spirito
Mons. Viganò reagisce alla pellegrinaggio romano omotransessualista

L’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha reagito al recente pellegrinaggio delle organizzazione LGBT a Roma per il giubileo citando le visioni della Beata Caterina Emmerich, datate 1820.
«Vidi una strana chiesa che veniva costruita contro ogni regola… Non c’erano angeli a vigilare sulle operazioni di costruzione. In quella chiesa non c’era niente che venisse dall’alto… C’erano solo divisioni e caos. Si tratta probabilmente di una chiesa di umana creazione, che segue l’ultima moda…»
«Vidi cose deplorevoli: stavano giocando d’azzardo, bevendo e parlando in chiesa; stavano anche corteggiando le donne. Ogni sorta di abomini vi venivano perpetrati. I sacerdoti permettevano tutto e dicevano la Messa con molta irriverenza. Vidi che pochi di loro erano ancora pii, e solo pochi avevano una sana visione delle cose. Tutte queste cose diedero tanta tristezza»
“Vidi una strana chiesa che veniva costruita contro ogni regola… Non c’erano angeli a vigilare sulle operazioni di costruzione. In quella chiesa non c’era niente che venisse dall’alto… C’erano solo divisioni e caos. Si tratta probabilmente di una chiesa di umana creazione, che… pic.twitter.com/t2MkhsEq4W
— Arcivescovo Carlo Maria Viganò (@CarloMVigano) September 7, 2025
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«Poi vidi che tutto ciò che riguardava il Protestantesimo stava prendendo gradualmente il sopravvento e la religione cattolica stava precipitando in una completa decadenza. La maggior parte dei sacerdoti erano attratti dalle dottrine seducenti ma false di giovani insegnanti, e tutti loro contribuivano all’opera di distruzione. In quei giorni, la Fede cadrà molto in basso, e sarà preservata solo in alcuni posti, in poche case e in poche famiglie che Dio ha protetto dai disastri e dalle guerre»
«Stavano costruendo una chiesa grande, strana, e stravagante. Tutti dovevano essere ammessi in essa per essere uniti ed avere uguali diritti: evangelici, cattolici e sette di ogni denominazione»
«Ho visto di nuovo la strana grande chiesa. Non c’era niente di santo in essa. Ho visto anche un movimento guidato da ecclesiastici a cui contribuivano angeli, santi ed altri cristiani. C’era qualcosa di orgoglioso, presuntuoso e violento in tutto ciò, ed essi sembravano avere molto successo.»
«Vidi quanto sarebbero state nefaste le conseguenze di questa falsa chiesa. L’ho veduta aumentare di dimensioni; eretici di ogni tipo venivano nella città [di Roma]. Il clero locale diventava tiepido, e vidi una grande oscurità… Allora la visione sembrò estendersi da ogni parte. Intere comunità cattoliche erano oppresse, assediate, confinate e private della loro libertà. Vidi molte chiese che venivano chiuse, dappertutto grandi sofferenze, guerre e spargimento di sangue. Una plebaglia selvaggia e ignorante si dava ad azioni violente. Ma tutto ciò non durò a lungo»
«Ho avuto un’altra visione della grande tribolazione. Mi sembrava che si pretendesse dal clero una concessione che non poteva essere accordata. Vidi molti sacerdoti anziani, specialmente uno, che piangevano amaramente. Anche alcuni più giovani stavano piangendo. Ma altri (e i tiepidi erano fra questi) facevano senza alcuna obiezione ciò che gli veniva chiesto. Era come se la gente si stesse dividendo in due fazioni».
— Arcivescovo Carlo Maria Viganò (@CarloMVigano) September 7, 2025
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«Vidi un’apparizione della Madre di Dio, che disse che la tribolazione sarebbe stata molto grande. Aggiunse che queste persone devono pregare ferventemente…Devono pregare soprattutto perché la chiesa delle tenebre abbandoni Roma»
«Vidi la Chiesa di San Pietro: era stata distrutta ad eccezione del presbiterio e dell’altare maggiore».
«Vedo altri martiri, non ora ma in futuro… Vidi le sette segrete minare spietatamente la grande Chiesa. Vicino ad esse vidi una bestia orribile che saliva dal mare. (Ap 13,1). In tutto il mondo le persone buone e devote, e specialmente il clero, erano vessate, oppresse e messe in prigione».
Le visioni della beata sono state varie volte riprese negli ultimi anni.
Come riportato in un vecchio articolo pubblicato da Renovatio 21, la beata Anna Caterina Emmerick, suora tedesca, nacque il 250 anni fa, l’8 settembre 1774, a Coesfeld, e il 9 febbraio si è commemorato il 200° anniversario della sua morte a Dülmen, in Vestfalia. Un ventennio fa papa Giovanni Paolo II la beatificò, evidenziando nell’omelia del 3 ottobre 2004 come la mistica avesse vissuto e sofferto nella propria carne «il dolore amaro di nostro Signore Gesù Cristo».
La monaca agostiniana ricevette le stimmate dopo il suo tempo nel convento di Agnetenberg, chiuso nel 1811 a causa della secolarizzazione. Accolta nella casa parrocchiale di Dülmen, incontrò lo scrittore Clemens Brentano, che per cinque anni la visitò quotidianamente per trascrivere le sue visioni, poi pubblicate.
La sua opera principale, L’amara passione di Nostro Signore Gesù Cristo, narra in dettaglio gli eventi della Passione e della morte di Cristo. Queste visioni ispirarono Mel Gibson per il film La passione di Cristo.
Tuttavia, Anna Caterina non vide solo le sofferenze di Cristo di 2000 anni fa, ma anche quelle del Suo Corpo Mistico, la Chiesa, nel presente. Nelle sue visioni, descrisse profezie sul futuro della Chiesa, includendo con chiarezza l’attacco della massoneria, sia dall’esterno che dall’interno.
«Lo stato dell’intera Chiesa le fu mostrato, come sempre in tali visioni, nell’immagine della Chiesa di San Pietro, e della setta segreta che si ramificava in tutto il mondo in una guerra ininterrotta di distruzione contro di essa come regno dell’anticristo. La setta riceve la sua firma dalla bestia apocalittica che, essendo sorta dal mare, dimora con essa e la spinge a combattere contro il gregge di Cristo».
«Spesso giaceva in mezzo a loro mentre lavoravano; andavano anche da lei nella caverna dove a volte si nascondeva. Durante questo periodo, vidi molte persone buone e pie e specialmente ecclesiastici torturati, imprigionati e oppressi qua e là in tutto il mondo, e avevo la sensazione che un giorno sarebbero diventati nuovi martiri». Il piano ostile portò gli «abortisti a entrare nella chiesa con la bestia».
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La mistica descrisse molto chiaramente la giustapposizione delle due chiese: «ora mi è stato anche mostrato il paragone tra quel papa e questo e tra quel tempio e questo». Le è stato «detto e mostrato quanto debole nel numero e nel sostegno» l’uno fosse, «ma quanto forte nella volontà, avendo rovesciato così tanti dei».
Tuttavia, guardava all’altro con grande devozione, per cui «egli aveva l’unico vero Dio e l’unica vera devozione dissolti in così tanti dei e false devozioni» consentendo il falso tempio. Ciò portò all’adorazione di «mille idoli», ma non fu dato alcun posto al Signore. (4)
Nella descrizione, alla falsa chiesa venne dato un nome inequivocabile:
«Ho visto anche quanto sarebbero state gravi le conseguenze di questa chiesa post-cristiana. L’ho vista crescere, ho visto molti eretici di ogni rango trasferirsi nella città. (…) Ho avuto di nuovo l’immagine di come la chiesa di San Pietro sarebbe stata sistematicamente demolita dalla setta segreta e anche demolita dalle tempeste».
La Emmerick vide l’impronta diabolica della chiesa successiva in una dimensione sconvolgente:
«Questa chiesa è piena di feci, di nulla, di piattezza e di notte. (…) È tutto vuoto concetto. I muri sono ripidi, è vuoto. Una sedia è un altare. Su un tavolo c’è un teschio, coperto, tra le luci. A volte è scoperto; nelle loro consacrazioni hanno bisogno di semplici spade. È tutto malvagio da cima a fondo, la comunità degli empi. Non posso dirvi quanto siano abominevoli, corrotte e vane tutte le loro attività, che molti di loro non conoscono nemmeno. Vogliono diventare un corpo in qualcosa di diverso dal Signore».
La mistica riconobbe questa spirale discendente fino alle ultime conseguenze, sottolineando che ciò che era pericoloso nell’agenda era «l’apparente innocenza» e l’innocuità ostentata per nascondere malizia, errore, bugie e ipocrisia.
«Nacque un corpo, una comunità separata dal corpo di Gesù, la Chiesa, una dopo-chiesa senza salvezza, il cui segreto è di non avere segreti, e perciò la sua attività è ovunque temporale, finita, arrogante, autoindulgente e quindi corrotta e (…) che conduce al disastro». (6)
Alla suora prescelta venne mostrato fino a che punto sarebbe arrivata la devastazione della chiesa: «riguardava solo il pavimento e il retro, il resto è stato tutto distrutto dalla setta segreta e dagli stessi ministri della chiesa».
La Beata Emmerick vide i «Dodici», che riconobbe come i «nuovi apostoli». «Portarono la chiesa in un altro luogo, e fu come se diversi palazzi crollassero davanti a loro come campi di grano».
La Emmerick fu profondamente colpita dall’entità della devastazione: «Quando vidi la chiesa di San Pietro nel suo stato di demolizione e come così tanti ecclesiastici stavano lavorando all’opera di distruzione, senza che nessuno di loro volesse farlo pubblicamente davanti agli altri, fui così rattristata che gridai con veemenza a Gesù di avere pietà di me».
Il Signore le diede la risposta alla sua supplica:
«E vidi il mio Sposo celeste davanti a me, come un giovane, e parlò a lungo con me. Disse anche che questo trasporto della Chiesa significava che apparentemente sarebbe affondata completamente, ma che si sarebbe appoggiata a questi portatori e sarebbe emersa di nuovo da loro; anche se fosse rimasto un solo cattolico, la Chiesa avrebbe potuto trionfare di nuovo, perché non era fondata nelle menti e nei consigli degli uomini. Ora mi mostrò come non mancassero mai persone che pregavano e soffrivano per la Chiesa. Mi mostrò tutto ciò che aveva sofferto per la Chiesa, e come aveva dato forza ai meriti e alle fatiche dei martiri, e come avrebbe sofferto di nuovo tutto se avesse potuto ancora soffrire. Mi mostrò anche in innumerevoli immagini tutte le miserabili vicende dei cristiani e del clero in cerchi sempre più ampi attraverso il mondo intero fino alla mia patria e mi ammonì di perseverare nella preghiera e nella sofferenza. Era un’immagine indescrivibilmente grande e triste che è impossibile esprimere. Mi fu anche mostrato che non c’erano quasi più cristiani anziani». (7)
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Tuttavia, nella sua più grande miseria, Anne Catherine Emmerick vide l’avvicinarsi della salvezza. Vide «una grande croce splendente in cielo, sulla quale pendeva il Salvatore, dalle cui ferite si diffondevano sul mondo fasci di raggi splendenti. (…) La chiesa ne fu completamente illuminata, e attraverso questo splendore vidi la maggior parte delle anime entrare nel Signore».
La beata suora riconobbe la posizione di rilievo della Beata Madre nel piano di salvezza del Redentore:
«Vidi anche un cuore rosso e luminoso sospeso nel cielo, dal quale un raggio bianco si dipartiva nella ferita del costato, e dal quale un altro raggio si diffondeva sulla Chiesa e su molte regioni; e questi raggi attiravano molte anime, che entravano nel costato di Gesù attraverso il cuore e il raggio di luce. Mi fu detto che questo cuore era Maria». (8)
Così, la vittoria alla fine della battaglia apocalittica è accompagnata da uno straordinario intervento della Beata Vergine e Regina Celeste. Il mistico vide la «donna maestosa camminare attraverso la grande piazza antistante la chiesa. Aveva stretto il suo ampio mantello con entrambe le braccia e fluttuava silenziosamente verso l’alto.
Stava sulla cupola e stendeva il suo mantello su tutto lo spazio della chiesa, che brillava come l’oro»
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Immagine screenshot da Twitter
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