Geopolitica
Iniziato l’esodo degli armeni dal Nagorno: decine di migliaia fuggono dalla loro patria millenaria
Scene agghiaccianti dal Nagorno Karabakh. È in corso un esodo di decine di migliaia di armeni dalla loro antica patria bimillenaria dell’Artsakh (come chiamano l’area gli armeni), che nei tempi moderni esiste all’interno dei confini riconosciuti a livello internazionale dell’Azerbaigian.
Migliaia di famiglie stanno fuggendo nel timore che gli azeri possano innestare la fase due dell’operazione: ossia, la pulizia etnica vera e propria.
Il ministero degli Esteri armeno ieri ha calcolato che almeno 13.500 persone sono fuggite in Armenia dal Nagorno-Karabakh. Il numero tuttavia è stato portato a 20.000, ma è destinato a salire.
Una coda lunga chilometri e chilometri parte dai centri abitati e si snoda per il corridoio di Lachin per arrivare al posto doganale azero, dove gli agenti di Baku stanno ispezionando le auto una per una.
Footage showing mass exodus of Armenians now leaving Nagorno Karabakh for Armenia, normal travel time of 2 hours now taking 20 or more. Kids the hardest hit, with little food after months of blockade. Cars are literally halted, as vehicles checked one-by-one by Azeri officials. pic.twitter.com/3jzrLv2FnB
— Nagorno Karabakh Observer (@NKobserver) September 26, 2023
Il viaggio verso l’Armenia, che in genere dura due ore e mezza, ora può prendere circa 20 ore. Si riportano casi di bambini in difficoltà, per la mancanza di acqua e cibo affrontata dalle famiglie imbottigliate.
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Ieri una pompa di benzina sulla via di fuga appena fuori da Stepankert, dove vi era una lunga fila per il rifornimento necessario alla fuga, è misteriosamente esplosa facendo almeno 20 morti e 290 feriti. I feriti sono stati portati in quattro ospedali in tutto il Nagorno-Karabakh, uno dei quali era una clinica della missione russa di mantenimento della pace.
Just a river of cars… from Stepanakert to Hakari…
We drove two meters, waited two hours…
Be patient, those who haven't arrived yet… pic.twitter.com/8e95LotNru
— Marut Vanyan (@marutvanian) September 26, 2023
Da segnalare la visita del presidente turco Erdogan, aperto sostenitore di Baku e la sua guerra anti-armena con ampie forniture di armi ed altro, si è presentato ieri in visita in Nagorno-Karabakh. «Si è aperta una finestra di opportunità per risolvere la situazione nella regione», ha detto Erdogan. «Questa opportunità non deve essere persa». È stato accompagnato nel suo viaggio dal capo dell’Agenzia turca per l’industria della difesa, Haluk Gorgun.
Come riportato da Renovatio 21, il clan Erdogan farebbe affari milioniari in Nagorno-Karabakh e la Turchia, come noto, è già stata accusata di genocidio per il massacro degli armeni ad inizio Novecento.
Il turco ha scelto di visitare Nakhchivan, un’enclave autonoma e senza sbocco sul mare dell’Azerbaigian, coinvolta in un’altra disputa regionale. L’area separata dal resto dell’Azerbaigian da una striscia di territorio armeno conosciuta come corridoio Zangezur.
Dal 1995 al 2022 Nakhchivan è stato governato da Vasif Talibov, che ha istituito un regime locale autoritario in cui è stato accusato di corruzione e di violenta repressione dell’opposizione. È imparentato per matrimonio con la famiglia Aliyev.
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L’Armenia ha posto l’embargo su Nakhchivan per molti anni e tutte le strade e le ferrovie tra le due parti dell’Azerbaigian sono state distrutte durante i combattimenti degli anni Novanta. Si prevede che Erdogan stia lavorando con Baku per l’apertura di un nuovo collegamento via terra tra Nakhchivan e il resto dell’Azerbaigian.
Il presidente azero Aliyev, che accompagnava l’Erdogan, ha affermato che avrebbe protetto i diritti degli armeni nell’enclave. «I loro diritti saranno garantiti dallo Stato azerbaigiano», ha detto durante l’incontro con il presidente turco.
Il popolo armeno dell’enclave tuttavia sta fuggendo da un futuro sotto il dominio di Baku. Un funzionario dell’Artsakh ha spiegato che gli armeni si rifiutano di entrare nel territorio dell’Azerbaigian: «La nostra gente non vuole vivere come parte dell’Azerbaigian. Il novantanove virgola nove per cento preferisce lasciare le nostre terre storiche», ha detto il funzionario citato da Reuters.
Nel frattempo, in rete girano video non verificati che mostrano truppe azere sparare contro le case civili in Nagorno-Karabakh.
Videos are circulating online showing Azerbaijan troops shooting into civilian homes in Nagorno-Karabakh. pic.twitter.com/YYzy2Gkwuc
— Geopolitics.wiki (@GeopoliticsW) September 22, 2023
Da rilevare come nella regione vi siano dozzine di antichissimi monasteri e chiese cristiane.
Il capo dell’Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale (USAID), Samantha Power, arrivata nella capitale armena Yerevan, ha invitato l’Azerbaigian «a mantenere il cessate il fuoco e ad adottare misure concrete per proteggere i diritti dei civili nel Nagorno-Karabakh».
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La Power, che in precedenza aveva consegnato al primo ministro armeno Nikol Pashinyan una lettera di sostegno del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, ha affermato che l’uso della forza da parte dell’Azerbaigian è inaccettabile e che Washington sta cercando una risposta adeguata, invitando il presidente Aliyev a mantenere la sua promessa di proteggere i diritti dell’etnia armena, di riaprire completamente il corridoio Lachin che collega la regione all’Armenia e di consentire la consegna di aiuti e una missione di monitoraggio internazionale.
La realtà evidente è che gli armeni, al momento, sono stati abbandonati sia da Washington che da Mosca.
Biden non ha intenzione di impelagarsi in una guerra ulteriore, soprattutto per un Paese, l’Armenia, che non ha significato strategico, se non a livello elettorale (la comunità, nutrita ma non estesa, della diaspora armena in USA). Bisogna aggiungere anche i rapporti con Baku, considerato un hub energetico affidabile, e una delle ex repubbliche sovietiche più vicine all’Occidente: si consideri inoltre le frizioni con l’Iran e quindi il ruolo nel contenimento degli Ayatollah.
Mosca invece in queste ore ha pubblicato una nota del ministero degli Esteri in cui accusa il premier armeno Nikol Pashinyan ha cospirato a tradimento per minare la sovranità dell’Artsakh e la sicurezza dell’Armenia, portando alla pulizia etnica di oltre centomila armeni dalla loro patria millenaria a favore della compiacenza delle potenze occidentali.
«Se Nikol Pashinyan avesse accettato un cessate il fuoco qualche settimana prima, la sconfitta sarebbe stata meno grave», sentenzia duro il comunicato, che è piuttosto raro in diplomazia.
Come riportato da Renovatio 21, Pashinyan ha ceduto alle lusinghe dell’Ovest irritando giocoforza la Russia, che è l’unico Paese che si era impegnato davvero per la pace nell’area. Mosca non può aver preso bene né le esercitazioni congiunte con i militari americani (specie considerando che Yerevan aderisce al CSTO, il «Patto di Varsavia» dei Paesi ex sovietici) né l’adesione dell’Armenia alla Corte Penale Internazionale, che vuole processare Putin.
Nella capitale armena si sono tenute manifestazioni di protesta con masse inferocite che hanno gridato a Pashinyan di essere un traditore. Parimenti, si dice sia grande la delusione degli azeri nei confronti della Russia, che li avrebbe lasciati soli nonostante le promesse fatte in questi anni.
Agli armeni dell’Artsakh in pratica resta solo la fuga o l’accettazione del passaporto azero. Ogni altra opzione apre scenari molto, molto tetri.
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Immagine da Twitter
Geopolitica
Senatore americano: «il Sudafrica è nostro nemico»
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Geopolitica
Putin sostiene Maduro nella situazione di stallo con gli Stati Uniti
Il presidente russo Vladimir Putin ha rinnovato il suo pieno appoggio al presidente venezuelano Nicolás Maduro, nonostante l’intensificazione della presenza militare statunitense nei Caraibi.
I due leader hanno evidenziato l’eccezionale solidità dei rapporti tra Mosca e Caracas nel corso di una telefonata avvenuta giovedì. Secondo quanto riferito dal Cremlino, Putin «ha espresso solidarietà al popolo venezuelano e ha ribadito il proprio sostegno alla ferma determinazione del governo guidato da Maduro nel difendere la sovranità nazionale e gli interessi del Paese dalle ingerenze esterne».
I presidenti hanno confermato l’impegno a dare piena attuazione al trattato di partenariato strategico firmato lo scorso maggio.
Dal canto suo, il governo venezuelano ha fatto sapere che Putin e Maduro hanno sottolineato «la natura strategica, solida e in costante crescita delle relazioni bilaterali» e che il leader russo ha manifestato il proprio sostegno agli sforzi di Maduro volti a «rafforzare la pace, la stabilità politica e lo sviluppo economico».
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La telefonata è arrivata pochi giorni dopo il sequestro, da parte degli Stati Uniti, di una petroliera salpata da un porto venezuelano all’inizio del mese. La procuratrice generale statunitense Pam Bondi ha dichiarato che la nave era già stata sanzionata in passato per aver presumibilmente trasportato petrolio iraniano.
Caracas ha definito l’operazione «un atto di pirateria» e ha accusato Washington di voler «saccheggiare» le risorse naturali venezuelane.
Da settembre gli Stati Uniti hanno dispiegato una flotta navale nei Caraibi e hanno fermato oltre venti imbarcazioni sospettate di traffico di droga in acque internazionali. Secondo quanto riportato da Reuters, l’amministrazione americana si starebbe preparando a intercettare ulteriori navi che trasportano greggio venezuelano nell’ambito della campagna di massima pressione contro Maduro, accusato dal presidente Donald Trump di collusione con i cartelli della droga.
Maduro ha respinto categoricamente ogni legame del suo governo con il narcotraffico, ha promesso di difendere il Paese da una eventuale invasione e ha bollato le azioni di Washington come «colonialiste», avvertendo che potrebbero scatenare «una guerra folle» nella regione.
Come riportato da Renovatio 21, due settimane fa si era parlato di una telefonata segreta tra Trump e Maduro.
Gli Stati Uniti hanno offerto una taglia di 50 milioni di dollari per informazioni che conducano all’arresto o alla condanna di Maduro, ritenuto dagli americani a capo di una ghenga narcoterrorista.
Diverse notizie della scorsa settimana indicano che Washington stia pianificando operazioni in Venezuela e abbia identificato potenziali bersagli legati al presunto narcotraffico. Gli USA avrebbero schierato nella zona circa 16.000 soldati e otto navi da guerra della Marina.
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Il Venezuela ha stigmatizzato il rinforzo militare come violazione della sovranità e tentativo di golpe. Il governo venezuelano starebbe cercando appoggio da Russia, Cina e Iran. Mosca ha di recente riaffermato la sua alleanza con Caracas, esprimendo pieno sostegno alla leadership del Paese nella difesa della propria integrità. Mosca ha accusato il mese scorso Washington di preparare il golpe in Venezuela.
Come riportato da Renovatio 21, Maduro, che avrebbe offerto ampie concessioni economiche agli USA per restare al potere, sarebbe stato oggetto di un tentativo di rapimento tramite il suo pilota personale.
Trump nelle scorse settimane ha ammesso di aver autorizzato le operazioni CIA in Venezuela. Di piani CIA per uccidere il presidente venezuelano il ministro degli Interni del Paese aveva parlato lo scorso anno.
Come riportato da Renovatio 21, Maduro aveva denunciato l’anno scorso la presenza di mercenari americani e ucraini in Venezuela. «Gli UA finanziano Sodoma e Gomorra» aveva detto.
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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Geopolitica
L’Ungheria dice che il capo della NATO «pugnala alle spalle» e «alimenta la guerra»
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