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In Sudafrica i bianchi affrontano crimini e torture: «ma l’Europa sarà peggio». Parla un attivista boero

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Nonostante l’enorme quantità di violenza a cui sono sottoposti i cittadini bianchi negli ultimi decenni, c’è più speranza per il Sudafrica che non per l’Europa.

 

A dichiararlo in un’intervista data giorni fa al sito Remix.news è Ernst Roets, responsabile politico del Solidarity («Movimento di Solidarietà») in Sud Africa, un network di organizzazioni comunitarie sudafricane che conta più di 500.000 membri che, insieme alle loro famiglie, rappresentano circa due milioni di persone, una rete di mutuo soccorso formata da afrikaner (cioè boeri, sudafricani di discendenza olandese, francese ugonotta, tedesca) e sudafricani di varia origine. La fondazione sostiene di essere di ispirazione cristiano-democratica dice di impegnarsi «per il riconoscimento reciproco e il rispetto tra i gruppi razziali», rifiutando l’estremismo di sinistra e di destra.

 

Come riportato da Renovatio 21, il problema della violenza anti-bianca è oramai endemico nel Sudafrica post-1994. Non solo: casi recenti hanno mostrato come perfino politici e partiti, come il caso di Julius Malema, incitino apertis verbis non solo la discriminazione verso i bianchi, ma la loro uccisione – o come non ha avuto paura di denunciare il sudafricano Elon Musk – arrivino perfino ad istigarne il genocidio.

 

Il caso di Malema che davanti a migliaia di sostenitori del suo movimento Economic Freedom Fighters (EFF) canta «Kill the Boers» – «uccidi i boeri» – è davvero emblematico.

 

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Secondo l’intervistato, l’EFF, che vale il 12% dei voti, è in fase di stagnazione, tuttavia starebbe perdendo i voti anche l’ANC, il partito di sinistra, nazionalista nero, socialista che è sempre stato al potere dal 1994 con più del 60% dei voti. Qualora alle prossime elezioni andasse sotto il 50%, l’alleanza con l’EFF sarebbe inevitabile, e con esso lo spostamento verso idee razziste anti-bianchi sempre più radicali.

 

«E lo scenario peggiore sarebbe qualcosa sulla falsariga di una fusione di questi due partiti. Poiché in realtà si sono divisi, l’EFF una volta era all’interno dell’ANC. E se si uniscono, allora è uno scenario davvero brutto» spiega.

 

Fuori di politica, è la situazione generale della vita dei bianchi in Sudafrica che sembra sempre più disperata.

 

«Abbiamo alcuni problemi seri in Sudafrica. Puoi classificarli in due, forse tre categorie. Il primo è che il governo stesso sta fallendo a ogni livello immaginabile. Stiamo parlando di criminalità, economia, servizi, consegne, infrastrutture: tutto» dice Roets.

 

«La seconda è la minaccia che vediamo attraverso i media, le università e così via, che promuove il risveglio e l’ideologia di sinistra insegnata agli studenti e alle persone che vengono indottrinate».

 

«E poi la terza questione è ciò che risulta da queste due tendenze: illegalità e criminalità. Il tasso di omicidi in Sudafrica è di oltre 40 persone ogni 100.000 all’anno: gli omicidi nelle fattorie, abbiamo la violenza legata alle bande. Quindi, solo l’illegalità generale sta diventando un grosso problema».

 

L’attivista sudafricano ha una visione particolare di quanto sta succedendo con gli attacchi alle fattorie dei bianchi.

 

«Se sei lì solo per prendere soldi, entri, uccidi il contadino, prendi la roba e te ne vai. Ma non è quello che sta succedendo in queste fattorie. Scopri che questi agricoltori in alcuni di questi attacchi vengono legati. Gli aggressori scandiscono slogan politici. In alcuni di questi casi, scrivevano slogan politici sul muro, come “Uccidi il boero”. In un caso estremo, hanno addirittura scritto “Uccidi il boero” con il sangue delle vittime sul muro» spiega Roets.

 

«E poi li torturavano per ore in molti di questi casi con metodi diversi, strangolamento, smembramento, taglio di parti del corpo e così via. In alcuni casi, cavandogli gli occhi, tagliandogli la lingua, bruciandoli con acqua bollente, con ferri da stiro. L’elenco potrebbe continuare con i modi orribili in cui questi agricoltori sono stati torturati».

 

«Se si dice che questi agricoltori vengono uccisi solo perché hanno soldi, non si fornisce alcuna risposta o spiegazione sul perché queste torture abbiano luogo e sul perché questi slogan politici vengano usati oggi».

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Viene toccato quindi il tema della diaspora sudafricana, con i bianchi perseguitati finiti a vivere in tutto il mondo, dall’Olanda al Regno Unito, dal Canada all’Australia.

 

«Così tante persone se ne sono andate, centinaia di migliaia di persone se ne sono andate, se non milioni da quando questi problemi hanno iniziato a verificarsi, ma molte persone non possono andarsene perché non possono permetterselo». Tuttavia, ricorda, «ci sono anche molte persone che semplicemente non se ne vanno perché in un certo senso siamo troppo testardi. In un certo senso è considerato un tradimento dei propri antenati e dei sacrifici che hanno fatto. Ma non è solo questo, è perché vogliamo davvero avere un futuro in Sudafrica».

 

A questo punto, rivela Roets a proposito dei bianchi che emigrano, «sta diventando abbastanza chiaro che venire in Europa non significa necessariamente arrivare in un luogo sicuro o prospero. E questo è qualcosa che ci motiva davvero a dire: “Bene, lavoriamo per una soluzione in Sudafrica”».

 

«Posso semplicemente aggiungere che abbiamo effettivamente condotto un sondaggio tra i nostri membri. Abbiamo chiesto loro: “Siete ottimisti o pessimisti riguardo agli Stati Uniti, all’Europa e al Sudafrica?”» racconta il sudafricano, che ha scoperto «che erano i meno pessimisti riguardo al Sudafrica. Gli afrikaner sono più pessimisti riguardo all’Europa e all’America. E penso che il motivo sia che non pensano che le cose vadano meglio in Sudafrica, ma possono vedere che sembra esserci una spirale discendente in Europa e negli Stati Uniti».

 

Ciò detto da un boero cittadino di un Paesi la cui Corte suprema ha stabilito che la canzone «uccidi i boeri» non è un discorso di odio.

 

A tal punto, anche da fuori, pare essere divenuta evidente la pericolosa decadenza dell’Occidente piagato dall’invasione migratoria stabilita dalle élite.

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Immagine: busto del generale Paul Kruger a Orania

Immagine di Orania Beweging via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

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Mohammed e Ahmad sono i nomi più popolari tra i beneficiari dell’assistenza sociale tedesca

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Secondo i dati recentemente rivisti e pubblicati dal governo federale, Mohammed e Ahmad sono tra i nomi più comuni tra i beneficiari dell’assistenza sociale in Germania. Olena, variante ucraina di Helen, è l’unico nome femminile tra i primi dieci.   Il tasso di disoccupazione in Germania ha raggiunto il 6,4% ad agosto, con il numero totale di disoccupati che ha superato i tre milioni per la prima volta in un decennio. Secondo i dati dell’Agenzia Federale per l’Impiego, alla fine del 2024 percepivano sussidi sociali 5,42 milioni di persone, di cui il 48% stranieri, rispetto al 19,6% del 2010.   Il partito di destra Alternativa per la Germania (AfD) aveva chiesto informazioni sui nomi più comuni dei destinatari per sostenere la sua tesi sul fallimento dell’integrazione.   A giugno, il ministero del Lavoro ha risposto che i nomi principali erano Michael, Andreas e Thomas, seguiti da Daniel, Olena e Alexander, scatenando la ridicolizzazione mediatica dell’AfD. Tuttavia, l’elenco iniziale non combinava le diverse grafie dei nomi, come Thomas e Tomas o Mohammed e Mohamed, elencandoli separatamente.   I dati rivisti hanno posizionato Mohammed – distribuito su 19 varianti – al primo posto con quasi 40.000 voci, seguito da Michael con circa 24.600 e Ahmad con oltre 20.600. Olena è rimasto l’unico nome femminile tra i primi dieci, con circa 14.200 voci.

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Secondo i dati delle Nazioni Unite, la Germania è la principale destinazione migratoria dell’Unione Europea e il terzo Paese al mondo per numero di rifugiati. Grazie alle politiche di apertura delle frontiere dell’ex cancelliera Angela Merkel, nel 2015 sono arrivate oltre un milione di persone da Siria, Afghanistan e Iraq. Negli ultimi anni, il Paese ha concesso protezione temporanea a 1,2 milioni di ucraini e ha ricevuto 334.000 domande di asilo nel 2023, quasi un terzo del totale dell’UE.   La crisi dei migranti ha messo a dura prova il settore immobiliare, i servizi pubblici e le finanze, contribuendo all’ascesa dell’AfD, che di recente è in testa ai sondaggi nazionali come partito politico più popolare in Germania.   Non vi è solo la questione assistenzialista a riguardare il nome Muhammad, parola che un tempo in Italia si traduceva in «Maometto» (così si chiamavano i sultani turchi come Maometto II, Maometto III, etc., mentre per qualche ragione ci si riferisce al re del Marocco come a Muhammad IV). Come riportato da Renovatio 21, l’anno scorso era emerso che in Inghilterra il nome più gettonato era, di fatto, «Muhammad».   Ciò ci porta a delineare un disegno semplice-semplice su quanto sta accadendo in Europa: il contribuente sta mantenendo intere popolazioni che sono qui per sostituirlo. Un paradosso osceno e insopportabile, epperò realizzato da ancora troppe poche persone. Noi tutti stiamo di fatto lavorando per il piano Kalergi, stiamo versando le nostre tasse all’anarco-tirannia che sconvolge le nostre città e le nostre vite.   Lo Stato moderno detesta il suo popolo, vuole ridurlo e sostituirlo, forsanche, ad un certo punto, annientarlo. Perché nessun partito politico, nessun movimento pubblico, lo vuole capire?

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Gli Stati Uniti deportano i migranti in Ruanda ed Uganda. L’Italia cosa fa?

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Il Ruanda ha accolto sette migranti espulsi dagli Stati Uniti in base a un nuovo accordo bilaterale che potrebbe consentire alla nazione dell’Africa orientale di ospitare centinaia di persone che Washington ha dichiarato non idonee a rimanere sul suo territorio.

 

Il primo gruppo è arrivato a Kigali a metà agosto, ha dichiarato giovedì Yolande Makolo, portavoce del governo ruandese. I migranti stanno ricevendo alloggio, assistenza sanitaria e supporto formativo, con l’assistenza dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e dei servizi locali, ha aggiunto.

 

«Tre di loro hanno espresso il desiderio di tornare nei loro Paesi d’origine, mentre quattro desiderano rimanere e costruirsi una vita in Ruanda», ha detto la Makolo, senza rivelare la loro nazionalità.

 

Nonostante le critiche e le proteste, l’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump ha cercato di raggiungere accordi di reinsediamento con paesi terzi per espellere i richiedenti asilo nell’ambito di una più ampia repressione dell’immigrazione illegale.

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A giugno, Washington avrebbe raggiunto un accordo con Kigali, consentendo al Paese senza sbocco sul mare di accogliere fino a 250 espulsi i cui stati d’origine si fossero rifiutati di accoglierli. Makolo ha osservato che la decisione del Ruanda è stata influenzata dalla sua stessa storia di «difficoltà legate allo sfollamento», aggiungendo che ogni individuo proposto per il trasferimento sarebbe stato esaminato e approvato dal governo.

 

Questo sviluppo rende il Ruanda l’ultimo paese africano ad accogliere espulsi nell’ambito degli accordi di espulsione dell’amministrazione Trump, in seguito a una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha autorizzato i trasferimenti. Il Dipartimento per la Sicurezza Interna ha già espulso cinque persone, descritte come «criminali barbari», in Eswatini e altre otto in Sud Sudan. Anche l’Uganda avrebbe concordato un accordo con Washington per ospitare migranti, a condizione che non abbiano precedenti penali.

 

Kigali aveva già raggiunto un controverso patto con la Gran Bretagna nel 2022 per accogliere migliaia di migranti irregolari dal Regno Unito, un progetto che è stato poi abbandonato l’anno scorso dal nuovo governo britannico. Il Regno Unito aveva versato al Ruanda 240 milioni di sterline (circa 305 milioni di dollari) e costruito strutture per ospitare i richiedenti asilo.

 

Sebbene non sia ancora chiaro se l’ultimo accordo con Washington includa una componente finanziaria, un funzionario ruandese ha affermato all’inizio di questo mese che Kigali riceverà in cambio una sovvenzione dagli Stati Uniti, senza rivelarne l’importo.

 

Le politiche di remigrazione sono perseguite dall’amministrazione Trump con determinazione internazionale e pure fantasia. Perché in Italia un governo formato da partiti anti-immigrazione non fa altrettanto?

 

Perché invece che inflessibili piani di deportazione, abbiamo il pasticcio del centro immigrato albanese? (Come se bastasse… come se non avessimo la sensazione che si tratta dell’ennesima trovata cosmetica)

 

Perché da quando la Meloni – quella del blocco navale: lo ricordate? –è al potere gli sbarchi sono aumentati?

 

Cosa ci vuole, davvero, per avere un Trump nel nostro Paese? Dobbiamo chiedere, à la Salvatore Giuliano, l’improbabile annessione a Washingtone? Si potrebbe, ma per l’anschluss trumpista c’è la coda: prima c’è la Groenlandia, e magari subito dopo il Canada, il Messico… Italia fanalino di coda, anche qui.

 

Si scherza, mentre le nostre città sono degradate, le nostre donne stuprate, la droga venduta ai nostri figli, la violenza anarco-tirannica kalergista sparsa ovunque, fuori e dentro le no-go zone afroislamiche.

 

Stiamo venendo violentati, feriti, uccisi, sostituiti. Quo usque tandem?

 

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Immagine di Manuel Werner via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.5 Generic

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Immigrazione

Rivolte in Svizzera dopo la morte di un adolescente congolese inseguito dalla polizia: stesso schema di Parigi e Milano

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Le rivolte etniche degli immigrati arrivano anche in Svizzera. Lo riporta Remix News.   Nella città svizzera di Losanna, sono scoppiate rivolte per la seconda notte dopo la morte di un giovane congolese di 17 anni durante un inseguimento della polizia. Durante la prima notte di disordini, un politico di destra è stato preso di mira da un folto gruppo di giovani, che lo hanno quasi linciato.   Tre sere fa, alle 22:00, circa 150-200 persone hanno allestito posti di blocco e hanno iniziato a bruciare cassonetti e bidoni della spazzatura. Hanno anche danneggiato gravemente un autobus.   Secondo la polizia, gli agenti sono stati colpiti con molotov, pietre per pavimentazione e recinzioni da cantiere, insieme ad altri oggetti. Le forze dell’ordine hanno reagito con gas lacrimogeni e proiettili di gomma ai rivoltosi per sedare i disordini. Non si sono registrati feriti.     I disordini sono seguiti ad attacchi simili avvenuti la notte precedente, durante i quali una folla più piccola di circa 100 giovani prese parte alla rivolta. Quella notte, un politico dell’Unione Democratica di Centro (UDC), Thibault Schaller, è stato preso di mira in un linciaggio, ripreso in un video.   Lo Schaller ha scritto su X di essersi avvicinato ai disordini perché era curioso di sapere cosa stesse succedendo. Avvicinandosi, alcuni individui, che ha detto di credere fossero Antifa, lo hanno riconosciuto e affrontato.     «Mi hanno ordinato di andarmene. Mi sono rifiutato e ho chiesto cosa stesse succedendo. Uno mi ha spinto, io l’ho spinto indietro e poi ho fatto un passo indietro. Qualcuno ha urlato qualcosa e 10, 15 persone mi sono corse incontro da ogni dove. Sono scappato, ho preso botte. Mi hanno bloccato la strada, sono caduto, mi sono protetto. Mi sono rialzato, sono corso, sono stato circondato di nuovo contro un muro, poi ho preso botte. Poi sono riuscito a scappare correndo. Sto bene, ma dobbiamo davvero riprenderci questa città», ha scritto lo Schaller.     Nel video, lo Schaller viene inseguito da un folto gruppo di individui, che lo prendono a calci a terra. Schaller si rialza ripetutamente e riesce a eludere il gruppo, riuscendo infine a fuggire. Durante l’attacco, uno degli individui lo ha apostrofato con l’inevitabile «fascista».   Lo Schaller ha scritto su X che la polizia non era responsabile della morte dell’adolescente e che «questa tragedia si sarebbe potuta evitare. Doveva solo ascoltare la polizia». La città era «tenuta in ostaggio da una manciata di teppisti», ha scritto ulteriormente ha aggiunto il politico UDC.   L’apparente motivo scatenante dei disordini degli stranieri pare ricalcare fedelmente uno schema visto a Parigi (durante la rivolta delle banlieue di due anni fa) e a Milano, con gli scontri a Corvetto di nove mesi fa: ragazzino morto dopo un inseguimento della polizia.   Le rivolte degli immigrati elvetici sono di fatto iniziate dopo la morte del diciassettenne Marvin M., cittadino svizzero di origini congolesi. La polizia afferma di averlo inseguito domenica sera mentre era alla guida di uno scooter rubato. È morto schiantandosi contro la porta di un garage.   Come visto anche nel caso parigino, è arrivato il commento della genitrice: la madre di Marvin M. ha affermato in un’intervista a 24Heures che suo figlio «non è un ladro di scooter» e «non è un bandito», assicurando che il ragazzo congolese un rapper appassionato e che il suo gruppo ha dichiarato di non tollerare la violenza che si sta verificando in città dopo la sua morte.   Come riportato da Renovatio 21, la Svizzera era stata teatro di rivolte di immigrati afroislamici ancora due anni fa, quando i disordini scoppiarono per contagio dalla Francia agli altri Paesi francofoni limitrofi.   È evidente che persino nella precisa, marziale Confederazione Elvetica è in caricamento, che sulle pagine di Renovatio 21, definiamo «anarco-tirannia». Il concetto fu al volgere del millennio dall’americano Samuel Todd Francis (1947-2005), che descrisse la crescente condizione dello Stato moderno che regola tirannicamente o oppressivamente la vita dei cittadini – tasse, multe, burocrazia – tuttavia non può, o meglio non vuole, proteggere gli stessi rispettando le leggi fondamentali.   Episodi dell’ascesa dell’anarco-tirannia in Europa (e non solo) per via migratoria sono purtroppo sotto i nostri occhi, davvero ovunque, tutti i giorni. In questi giorni, con il lancio transnazionale dei «lockdown maranza», è possibile capire meglio quale sia la vera dinamica di distruzione e controllo in atto.  

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  Immagine dall’account Twitter di Thibault Schaller  
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