Immigrazione
Immigrazione, siete in guerra ma nessuno ve lo dirà mai
L’assassinio di Iris Setti potrebbe offrire l’ennesima dimostrazione di come un certo tipo di rischio, quotidiano e pervasivo non sia più appannaggio di capitali e grandi città ma sia ormai ovunque in Italia e in Europa.
Come riportato dalle cronache locali e nazionali, lo scorso 5 agosto la Setti, 61 anni, sarebbe stata ammazzata a suon di pugni in quel di Rovereto da parte un nigeriano senza fissa dimora.
Mentre la vicenda si arricchisce di elementi che finiscono sui giornali, dalle supposte scandalose dichiarazioni di un giudice ai vicini che avrebbero assistito in diretta all’omicidio dalle finestre delle loro case, gli episodi di violenza efferata che vedono protagonisti immigrati si susseguono giornalmente in Europa ad un ritmo talmente sostenuto da poterlo ormai definire un vero e proprio bollettino di guerra.
Così si può venire massacrati senza motivo da «stranieri» su un autobus a Bolzano o venire aggrediti da una gang di africani armati di machete su un treno in Lombardia per non parlare della presenza asfissiante di baby gang, costitute tecnicamente da giovinastri di origine straniera ma spesse volte con cittadinanza italiana, che in brevissimo tempo possono organizzare un’invasione vera e propria invasione di una località turistica.
Nel frattempo si succedono gli sbarchi sulle coste italiane ad un ritmo vertiginoso, 90.000 secondo i dati ufficiali.
Più di qualcuno può aver capito che si tratta sempre più chiaramente di uno scenario leggibile secondo un’ottica militare: cioè, davvero una guerra. Se ne parla già da diverso tempo, vorremmo però aggiungere una riflessione.
Quando una guerra è dichiarata o riconosciuta come tale, tutti agiscono di conseguenza, che si tratti del giovane e baldanzoso soldato, della donna, dell’anziano e del bambino. Tutti si rendono conto che quando si è in guerra si deve stare allerta e che si devono adottare determinati comportamenti anche sulla base delle proprie condizioni e capacità fisiche, delle proprie responsabilità familiari, del proprio Stato.
Nell’attuale guerra scatenata dall’anarco-tirannia su più fronti, non ultimo quello biotico, in nome di un totalitarismo senza precedenti che vorrebbe controllare pure i vostri pensieri, il nemico è la popolazione stessa. Il nemico siete voi.
Alcuni potrebbero spiegarsi così il motivo per cui l’assassino di Ines Setti, riguardo al quale si tira in ballo pure mafia nigeriana, dopo averne combinate di ogni colore fosse a piede libero. E quanti individui di questo tipo, quanti Kabobo per intenderci, sono in circolazione pronti ad aggredirvi in preda a chissà quale tipo di intento criminale, attacco d’ira, patologia psichiatrica, finanche possessione?
Nessuno però ve lo dice, la guerra non è dichiarata, pertanto il massacro prosegue con regolarità sotto i colpi della Grande Sostituzione, ma anche dei farmaci sperimentali inflitti all’intera popolazione, della distruzione della legge naturale, dalla sua alla sessualità fino alla sua essenza biologica – oltre che all’assassinio permanente di innocenti mentre continuiamo a goderci l’estate, le code chilometriche in autostrada e le spiagge affollate come se nulla fosse.
Siamo le vittime quotidiane di una guerra la cui ideologia – o meglio, la cui religione – è quella del sacrificio umano ormai sempre più presente e pervasivo nella società in cui viviamo.
Potreste perfino riconoscere, a questo punto, che le vittime sacrificali, in contesti sempre più grandi e spaventosi, siete proprio voi.
Sacrificati non per l’umanità, non per la vostra famiglia, non per Dio, né per il vostro Paese o qualsiasi altro nobile fine: no, state per venire sacrificati per il Niente.
Quanti di noi lo hanno, consciamente o inconsciamente, già accettato?
Víctor García
Immigrazione
Orban promette di sfidare le «scandalose» quote di migranti dell’UE
Il primo ministro ungherese Viktor Orban ha annunciato che il suo paese non adempirà agli obblighi europei sull’accoglienza dei migranti a partire dal prossimo anno, accusando Bruxelles di aver sferrato «un attacco assurdo e ingiusto» contro l’Ungheria.
Il Patto UE sulla migrazione e l’asilo, approvato lunedì e previsto in vigore da luglio 2026, stabilisce che ciascun Stato membro partecipi in proporzione alla popolazione e al PIL. Lo scopo è ridurre il carico sui paesi più esposti – Cipro, Grecia, Italia e Spagna –, come ha precisato la Commissione Europea.
I governi dovranno ospitare un numero prefissato di migranti provenienti dagli hotspot o versare 20.000 euro per ciascun rifiuto.
«Finché l’Ungheria avrà un governo nazionale, non metteremo in atto questa decisione scandalosa», ha postato martedì su X Orban, da sempre oppositore delle politiche migratorie di Bruxelles.
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La Commissione ha inoltre classificato Austria, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia e Polonia tra i paesi esposti a una «significativa pressione migratoria». L’Ungheria, però, non figura in questa lista.
Orbsn ha contestato l’idea che il suo paese sia immune dalla crisi migratoria, definendola «completamente slegata dalla realtà». Ha ricordato che ogni anno decine di migliaia di individui tentano ingressi illegali, intercettati dalle guardie di frontiera e dal sistema di barriere ungheresi.
Nel giugno 2024, la Corte di giustizia dell’UE ha condannato l’Ungheria a una multa forfettaria di 200 milioni di euro, più 1 milione di euro al giorno, per il mancato rispetto delle norme comunitarie sull’asilo.
Il mese scorso Orban aveva ribadito che preferirebbe versare la sanzione giornaliera di 1 milione di euro piuttosto che aprire le porte ai migranti irregolari, asserendo che pagare è «meglio che vivere nella paura» e garantendo ai cittadini un’estate di vacanze in sicurezza. I mercatini natalizi sono stati bersaglio di attacchi jihadisti in vari episodi di rilievo negli ultimi anni.
L’UE affronta da oltre vent’anni un’intensa pressione migratoria. L’impegno dei Paesi NATO europei nel collasso di Libia e Siria, unito al loro appoggio all’Ucraina nel confronto con la Russia, ha indotto milioni di individui a dirigersi verso l’Unione.
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Immagine di Belgian Presidency of the Council of the EU 2024 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Immigrazione
Trump: persone «deboli» guidano un’Europa «in decadenza»
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Immigrazione
Trump definisce gli immigrati somali «spazzatura»
Il presidente statunitense Donald Trump ha espresso contrarietà all’accoglienza di immigrati somali negli Usa, invitandoli a rimpatriare nella loro terra d’origine – l’Africa orientale, «a stento una nazione» – e a «mettere ordine laggiù».
Le sue parole si inseriscono in un più ampio affondo contro la comunità somalo-americana, in particolare nel Minnesota, sede della più numerosa diaspora somala negli Stati Uniti. L’uscita segue la determinazione di Washington di sospendere le procedure di asilo, in replica alla sparatoria di due militari della Guardia Nazionale nei pressi della Casa Bianca la settimana scorsa.
Nel corso di una sessione governativa martedì, Trump ha bacchettato gli immigrati somali, tra cui la deputata democratica Ilhan Omar, accusandoli di «non recare alcun beneficio» alla società americana.
«Se proseguiamo a importare rifiuti nella nostra Patria, imboccheremo la strada del declino. Ilhan Omar è immondizia, è immondizia. I suoi amici sono immondizia», ha tuonato, aggiungendo che la Somalia «è un fallimento per un valido motivo».
TRUMP: “Our country’s at a tipping point. We could go bad.. We’re going to go the wrong way if we keep taking in garbage into our country.”
“Ilhan Omar is garbage. She’s garbage. Her friends are garbage. These aren’t people that work. These aren’t people that say, ‘let’s go,… pic.twitter.com/fmH2t3Q2gp
— Fox News (@FoxNews) December 2, 2025
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«Queste non sono persone che lavorano. Non sono persone che dicono: “Andiamo, forza. Rendiamo questo posto fantastico”. Queste sono persone che non fanno altro che lamentarsi» ha tuonato il presidente USA. «Quando vengono dall’inferno e si lamentano e non fanno altro che lagnarsi non li vogliamo nel nostro Paese. Lasciamo che tornino da dove sono venuti e risolvano la situazione».
Omar, nata in Somalia e naturalizzata statunitense, è la prima donna di origini africane a sedere al Congresso, eletta nel quinto distretto del Minnesota e membro della «squad» progressista democratica, spesso in rotta di collisione con i repubblicani.
Come riportato da Renovatio 21, Trump l’aveva già bollata come «feccia» a settembre, dopo che era scampata per un soffio a una mozione di censura alla Camera per commenti sprezzanti sull’attivista conservatore Charlie Kirk, assassinato. Aveva pure rilanciato illazioni su un presunto matrimonio con il fratello per ottenere «illecitamente» la cittadinanza americana.
In un messaggio su X diramato martedì, Omar ha tacciato di «inquietante» l’«ossessione» del presidente \nei suoi confronti. «Spero ottenga l’assistenza di cui abbisogna urgentemente», ha commentato.
His obsession with me is creepy. I hope he gets the help he desperately needs. https://t.co/pxOpAChHse
— Ilhan Omar (@IlhanMN) December 2, 2025
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La Somalia versa in una cronica instabilità e minaccia terroristica da decenni, alimentata dal gruppo qaidista Al-Shabaab e da altre frange estremiste. Molti somali approdarono negli USA negli anni Novanta, in piena guerra civile. Altri ancora arrivarono con Obama.
La scorsa settimana, Trump ha annunciato l’intenzione di estromettere i somali dal programma di Temporary Protected Status (TPS), che autorizza immigrati da nazioni in crisi a soggiornare e lavorare negli USA, denunziando «brigate» di rifugiati somali che «hanno invaso» il Minnesota, «un tempo uno Stato magnifico», seminando terrore e facendo evaporare miliardi di dollari.
Il governatore del Minnesota Tim Walz – da Trump etichettato come un capo «ritardato» per non aver «mosso un dito» contro il fenomeno – ha stigmatizzato la revoca del TPS come «discriminatoria e lesiva».
La comunità somala negli Stati Uniti, stimata tra 150.000 e 200.000 persone, è una delle più grandi diaspore somale al mondo. Lo Stato del Minnesota ospita la popolazione più numerosa, con circa 86.000 Somali, concentrati a Minneapolis, soprannominata «Little Mogadishu», o Piccola Mogadiscio. Altre comunità significative si trovano a Columbus (Ohio), Seattle (Washington) e San Diego (California). La migrazione, iniziata negli anni Novanta per la guerra civile in Somalia, è stata guidata da opportunità lavorative e supporto di agenzie di reinsediamento.
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Immagine di pubblico dominio Cc0 via Flickr
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