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Immigrato africano si schianta in bici contro un simbolo di Forza Nuova

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Dramma a Monteviale, comune alle porte di Vicenza.

 

Un giovane richiedente asilo che percorreva con la sua bicicletta via Callecurta, una lunga strada in pendenza che porta alla parte alta del paese, ha sbattuto contro un muro dopo una curva. Le sue condizioni sono subito sembrate critiche agli operatori di soccorso, che lo hanno trasportato d’urgenza all’ospedale San Bortolo di Vicenza.

 

Il diciannovenne, insieme a due suoi coetanei, stava pedalando in bicicletta verso la città, dove frequentano corsi di italiano come parte del loro percorso di integrazione e ricerca di lavoro. Attualmente essi risiedono presso la parrocchia di Monteviale. L’incidente, verificatosi durante il tragitto, potrebbe essere stato causato dall’alta velocità in discesa o dalla possibile rottura dei freni, ipotizza Il Giornale di Vicenza. I carabinieri sono intervenuti per effettuare i rilievi e indagare sulle cause dell’accaduto. Si spera che il giovane richiedente asilo possa ricevere le cure necessarie e riprendersi presto.

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La notizia è riportata da tutte le testate localigiornalisticheelettroniche e televisive, e quindi commentata nel vivace gruppo Facebook dei residenti di Monteviale. Alcuni utenti esprimono commenti che qui non ripeteremo, altri più simpatetici invece accusano chi ha fornito l’immigrato di una bicicletta senza freni (un caso, in pratica, di immigrazione sfrenata, letteralmente). Idea che parrebbe poco plausibile visto che avrebbe avuto problemi anche alle curve precedenti e che forse non era la prima volta che lo sfortunato africano percorreva la strada che lo portava verso l’apprendimento della lingua di Dante.

 

Alcuni osservatori, senza prove concrete, sussurrano che il colpevole potrebbe essere uno di quegli smartphone forniti in grande copia dalle istituzioni alla popolazione immigrata, così da postare su chat e social le foto della bella vita fatta in Europa assicurando così che verranno anche i fratelli, i cugini, i parenti, gli amici.

 

Vi è un dettaglio che tuttavia sembra sfuggire ai giornalisti e agli osservatori del posto. Secondo quanto è possibile ricostruire dalle foto sui media, il muro contro cui il povero africano si sarebbe schiantato è segnato da un marchio, un simbolo fatto con la bomboletta: anche se oramai stinto, parrebbe proprio leggere una F iscritta su di una N, a formare come una sorta di innovativo simbolo runico. Si potrebbe trattare quindi di un simbolo di Forza Nuova, ancorché utilizzato, più che in vie ufficiali, in iscrizioni comparse in questi lustri in modo più ufficioso.

 

Proprio così: come si vede anche nel servizio dell’emittente locale TVA Vicenza, sulla curva di via Callecurta dove è avvenuto l’incidente vi è questo muro dove campeggia, sbiadito, il segno politico del movimento di estrema destra che ha fatto dell’opposizione all’immigrazione uno dei suoi capisaldi. Va da sé che lo schianto ciclistico del migrante presso di esso si dia allo spettatore come fatto curioso, bizzarro. Come è in fondo strano che nessun commentatore di sinistra abbia dato la colpa al murales destroide, magari accusando un malefico potere ipnotico dei marchi con fattezze runiche.

 

Il lettore può verificare da sé:

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Alcuni osservatori locali inoltre fanno presente che la questione dei migranti ciclisti che dagli spazi ecclesiastici in cima al monte dove sono ospitati planano pedalando in pianura già apriva a situazioni difficili: Monteviale, infatti, con grande onestà etimologica, si compone di un monte e di un lungo viale che partendo dalla località di Biron (che la leggenda vuole si chiami così per una villa dove sarebbe stato Lord Byron, ma ci sa che non è vero niente) attraversa i campi per portare alle pendici della collina. Lungo questo stradone, che non è illuminato, può capitare, dicono, di imbattersi durante le ore di buio in ciclisti africani che, talvolta privi di luci o superfici riflettenti adeguate, possono confondere l’automobilista che attraversa l’oscurità.

 

Monteviale è nota per essere, per qualche ragione, uno dei comuni più cari della provincia di Vicenza in fatto di immobili; la si ricorda anche per la progressiva mancanza di negozi e bar nonché per essere la patria dell’anthracoterium monsvialense, un animale preistorico a metà tra un maiale ed un ippopotamo quivi vissuto circa 45 milioni di anni fa, i cui resti potrebbero essere ancora conservati in qualche caverna nei boschi la cui mappa definitiva, si narra, è andata perduta dall’Ottocento in cui i minatori vi scavavano e, trovando le ossa della creatura senza sapere esattamente cosa fossero, le rivendevano al mercato.

 

L’antracoterio si è estinto. L’immigrazione sfrenata non è chiaro se estinguerà gli europei o, forse, la stessa immigrazione.

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Trump trolla tutti con un video AI in cui bombarda di escrementi i manifestanti «No Kings»

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Il presidente statunitense Donald Trump ha ridicolizzato le proteste «No Kings», diffondendo su Truth Social vari video generati dall’intelligenza artificiale, tra cui uno in cui rovescia sulla folla quella che appare come una massa di escrementi.   Sabato gli Stati Uniti sono stati teatro di un’ondata di dimostrazioni contro l’amministrazione Trump, con grandi raduni organizzati in oltre 2.500 luoghi in tutto il territorio nazionale.   I partecipanti accusano il presidente di abuso di potere e di erosione della democrazia, criticando inoltre la sua politica repressiva verso gli immigrati irregolari e l’impiego di truppe nelle città con la motivazione di contrastare la criminalità diffusa.   In risposta, Trump ha postato sui social media clip create con l’IA, inclusi filmati inizialmente caricati da Xerias, un account X pro-Trump noto per produrre meme digitali.   Una delle sequenze mostra Trump ai comandi di un jet da combattimento battezzato «King Trump», che scarica enormi masse di materia fecale su una folla di manifestanti – con in sottofondo la canzone di Kenny Loggins Danger Zone, irrimediabilmente associata alla celeberrima pellicola aeronautica Top Gun (1986), che la utilizza ben tre volte nella storia con protagonista il Tom Cruise.   Il video AI rilanciato dal presidente include anche un’immagine condivisa durante la protesta di New York dall’influencer progressista Harry Sisson, che nel video finisce sommerso, come tutta la serqua di manifestanti «No Kinghi» da una poderosa quantità di materia escrementizia.  

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Il Sisson, idolo tiktoker progressista, l’ha presa male. Domenica mattina, Sisson ha replicato su X al video che lo ritraeva: «un giornalista può domandare a Trump il motivo per cui ha postato un filmato generato dall’IA in cui mi fa cadere la cacca addosso da un caccia?».   Il ragazzo ha quindi proceduto ad insultare Trump dicendo che nella realtà l’aereo non sarebbe potuto decollare a causa del «fat ass» («culo grasso») del presidente. Per fare ciò, il Sissone rimanda in onda per intero l’irresistibile video, di fatto ampliandone la portata.     In un’altra clip, originariamente diffusa dal vicepresidente JD Vance e condivisa da Trump, il presidente indossa una corona e un mantello, estrae una spada e si erge trionfante sugli avversari democrat.  

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Il montaggio condiviso dal Vance termina con figure di spicco del Partito Democratico, come l’ex speaker della Camera Nancy Pelosi e il leader dell’opposizione al Senato Chuck Schumer, in ginocchio ai suoi piedi. Si tratta qui di un’allusione esplicita a una sessione fotografica del 2020 in onore di George Floyd.   I contenuti di Trump hanno suscitato risposte polarizzate: i suoi sostenitori li hanno rilanciati con entusiasmo, mentre detrattori come il senatore democratico Brian Schatz li hanno aspramente censurati. «Perché il Presidente dovrebbe diffondere online un’immagine in cui scarica feci sulle città americane?», ha twittato Schatz su X.   I progressisti americani non hanno ancora capito veramente che per la prima volta alla Casa Bianca c’è un presidente troll, e di capacità di trollaggio eccelse, o meglio quello che l’antropologia dell’internetto oggi definisce uno shitposter. Parola assai adeguata anche al caso presente.  

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Trump contro la trionfale copertina di TIME: «mi hanno fatto sparire i capelli»

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha criticato l’ultima copertina della rivista Time, che accompagna un articolo che loda il suo ruolo nel negoziato di un cessate il fuoco tra Israele e il gruppo militante palestinese Hamas.

 

L’edizione di lunedì della rivista ha definito la tregua di Gaza come il «trionfo» di Trump, presentando un suo ritratto scattato dal basso. Sebbene abbia riconosciuto che l’articolo in sé fosse «relativamente buono», Trump ha duramente contestato l’immagine su Truth Social martedì mattina, definendola «forse la peggiore di sempre».

 

«Mi hanno fatto “scomparire” i capelli e poi hanno messo sopra la mia testa qualcosa che sembrava una corona fluttuante, ma estremamente piccola. Davvero strano!» ha scritto.

 

Trump ha frequentemente accusato i media americani di parzialità, sostenendo che la maggior parte della copertura mediatica evidenzi ingiustamente le critiche alla sua presidenza.

 

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Non si tratta della prima volte che il Trump si preoccupa della sua criniera, a lungo oggetto di speculazioni sulla sua autenticità. Per provare di avere i capelli veri, si fece tirare i capelli in diretta dalla giornalista televisiva Mika Brzezinski (figlia del geostratega Zbigniew), che col marito co-conduttore Joe Scarborough divenne poi acerrima avversaria del presidente (con reductio ad Hitlerum ad abundatiam) e parossistica apologeta di Biden.

 

 

Il figlio primogenito Don jr. ha raccontato durante un incontro pubblico con Charlie Kirk che, raggiunto al telefono dai figli dopo l’attentato subito a Butler in Virginia durante la campagna elettorale, Trump ha chiesto loro come in TV, in quel momento, fossero i suoi capelli. «I capelli vanno bene… c’è molto sangue, ma vanno bene» ha risposto il figlio.

 

 

È lecito pensare che vi sia nel presidente statunitense una cifra sansonica, per cui il suo potere – a questo punto indiscutibile – è tratto proprio dalle sue bionde, inconfondibili, escrescenze tricologiche – che sono, lo sanno gli esperti, uno strumento di branding perfino superiore al baffetto dello Hitler, al baffone dello Stalin, alla pelata mussoliniana.

 

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Ai nordcoreani è stato ordinato di identificare le donne con tette «antisocialiste»

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La Corea del Nord ha lanciato una severa campagna contro le donne sospettate di aver utilizzato protesi mammarie considerate «capitaliste», classificando tali interventi estetici come «antisocialisti» e «borghesi». Lo riporta il giornale britannico Telegraph.   Le forze di sicurezza del regime starebbero effettuando ispezioni invasive, con i responsabili dei comitati di quartiere incaricati di individuare donne che mostrano evidenti modifiche fisiche e di segnalarle per ulteriori accertamenti.   Nel regime guidato da Kim Jong-un, interventi come l’aumento del seno e la chirurgia delle palpebre sono ritenuti «atti non socialisti» e sono vietati. Chi viola queste norme rischia gravi conseguenze.   La notizia è emersa in concomitanza con un processo pubblico tenutosi nella sala culturale di Sariwon, dove un medico e due giovani donne sono stati processati per aver praticato e subito interventi al seno non autorizzati. Il medico, con scarsa esperienza, aveva abbandonato gli studi di medicina prima di completare la formazione chirurgica.   «A metà settembre, un processo pubblico si è svolto in un centro culturale nel cuore di Sariwon contro un medico che ha eseguito un’operazione illegale di mastoplastica additiva e due donne che si sono sottoposte all’intervento», ha riferito una fonte della provincia di North Hwanghae al quotidiano sudcoreano Daily NK.   I pubblici ministeri hanno accusato le donne di essere state «contaminate dalle usanze borghesi» e di aver adottato un «comportamento capitalista corrotto». Le imputate hanno dichiarato di voler «migliorare il loro aspetto», ma sono state definite una minaccia per il sistema socialista.

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Il giudice ha promesso «punizioni severe», mostrando come prove strumenti medici, silicone di contrabbando e denaro contante. Secondo quanto riferito, il giudice ha dichiarato che una delle imputate «non aveva alcuna intenzione di essere leale all’organizzazione e al collettivo, ma era ossessionata dalla vanità, diventando un’erba velenosa che minava il sistema socialista».   Una fonte ha inoltre riferito al Daily NK «che tra i residenti presenti al processo, si sono sentite critiche come “i medici fanno di tutto per denaro”, ma anche commenti di solidarietà, come “Non lo fa forse perché non ha altri mezzi per vivere?”»   Molte donne di Sariwon vivono nel timore di essere sottoposte a controlli se sospettate di aver effettuato interventi di chirurgia estetica.  

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