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Il superiore distrettuale francese della FSSPX: è «necessario prendere in considerazione» la consacrazione di nuovi vescovi

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Il superiore distrettuale della Fraternità San Pio X (FSSPX) in Francia ha pubblicato una lettera ad amici e benefattori in cui spiega perché è forse arrivato il momento di consacrare più vescovi.

 

Don Benoît de Jorna è stato scelto per guidare il distretto francese nel 2018 dal Superiore Generale della FSSPX padre Davide Pagliarani. De Jorna è stato in precedenza rettore del seminario più importante della Compagnia a Ecône, in Svizzera.

 

Mercoledì 19 giugno, Don de Jorna, che fu anche superiore della Francia dal 1994 al 1996, ha rilasciato una dichiarazione intitolata «Siamo forti!» sul sito La Porte Latine.

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Nelle sue osservazioni, de Jorna ha ricordato che il fondatore della FSSPX, l’arcivescovo Marcel Lefebvre (1905-1991), ha tentato di evitare di consacrare vescovi senza il permesso di Roma, ma che alla fine ha dovuto farlo affinché «la Chiesa» potesse «continuare».

 

Don de Jorna ha inoltre osservato che la FSSPX è cresciuta fino a contare oltre 700 sacerdoti rispetto ai 200 che aveva negli anni ’80. Sono aumentate anche le scuole, i conventi e il lavoro missionario complessivo della FSSPX. Ciò ha reso la vita «più facile» per i cattolici tradizionali, ha detto, ma è anche «un pericolo, perché può portarci ad addormentarci comodamente e a perdere il vigore, il dinamismo e lo slancio della nostra vita spirituale».

 

De Jorna ha continuato sostenendo che i cattolici giovani e anziani devono essere «forti» e non compromettere la fede negli anni a venire. Ha poi osservato che della virtù della forza «avremo bisogno anche nel prossimo futuro per affrontare l’evento ecclesiale che comincia a delinearsi».

 

Quell’«evento ecclesiale», ha detto, è la consacrazione di nuovi vescovi. «Poiché la situazione ecclesiastica non è migliorata dal 1988, è diventato necessario pensare di dare loro degli assistenti, che un giorno diventeranno i loro sostituti», ha spiegato de Jorna, riferendosi ai tre vescovi della Fraternità.

 

«Quando una tale decisione verrà annunciata dal Superiore Generale, possiamo aspettarci una frenesia mediatica contro i “fondamentalisti”, i “ribelli”, gli “scismatici”, i “disobbedienti”, per citarne solo alcuni. A quel punto dovremo affrontare contraddizioni, insulti, disprezzo, rifiuto, forse anche rotture con persone a noi vicine».

 

De Jorna ha concluso ricordando che «la virtù della forza ci sarà quanto mai necessaria in questa cruciale occasione, e attraverso di essa dobbiamo tutti dimostrare la nostra assoluta fedeltà alla fede cattolica».

 

Come scrive LifeSite, la lettera di De Jorna non costituisce una prima volta in cui la Fraternità tratta della consacrazione dei vescovi. La questione è stata sollevata nel giugno 2023 dopo che i cattolici tradizionali sui social media avevano ipotizzato che un annuncio sull’argomento fosse imminente. Don Jean-Michel Gleize, professore al seminario Ecône della FSSPX, aveva pubblicato una confutazione sul sito web della Fraternità il 5 giugno respingendo le accuse come «false storie» e «voci».

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La lettera di De Jorna è particolarmente degna di nota in quanto il distretto francese della FSSPX è generalmente considerato una delle sue province più conservatrici. Nel 2017, sette sacerdoti di alto rango responsabili dei «decanati» del Paese hanno rilasciato una dichiarazione congiunta che hanno letto collettivamente dal pulpito.

 

La lettera denunciava la decisione del Vaticano di consentire agli Ordinari locali di riconoscere i matrimoni dei fedeli che frequentano le cappelle della FSSPX. I sacerdoti vi sostenevano che il provvedimento è un atto ingannevole e che esiste «un pericolo reale nel mettere la propria salvezza nelle mani di pastori imbevuti di questo spirito “adultero”».

 

Dato che la lettera di de Jorna è stata pubblicata appena due giorni dopo la notizia che il Vaticano intenderebbe cancellare la Messa in latino, le speculazioni sul futuro della Tradizione sono state dilaganti. In precedenza è stato teorizzato che la FSSPX potrebbe accogliere tra le sue fila più vescovi diocesani come il defunto Vitus Huonder, ex ordinario di Coira, in Svizzera. La FSSPX può anche semplicemente scegliere di elevare i sacerdoti dall’interno al vescovato. Non si sa quanti possano scegliere e se con Roma sia già stato raggiunto un tacito accordo a riguardo.

 

Il quadro si è arricchito in questi giorni con il caso dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò accusato dal Vaticano di scisma – con condanna che potrebbe comportare la sua scomunica. Monsignor Viganò si è difeso citando monsignor Lefebvre e dichiarando che, mezzo secolo più tardi, si trova nella medesima situazione.

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Immagine di Noah-PRL via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine tagliata

 

 

 

 

 

 

 

 

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Papa Francesco denunciato per «violazione dei diritti umani» all’ONU

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L’avvocato di uno dei condannati nel processo vaticano, conclusosi il 16 dicembre 2023, ha presentato una denuncia all’ONU contro Papa Francesco per «violazione dei diritti umani». In questione: i metodi utilizzati nell’ambito dell’indagine giudiziaria. Una denuncia che difficilmente potrà avere successo visto che la Santa Sede non è membro a pieno titolo delle Nazioni Unite.   La genesi di una denuncia tanto inaspettata quanto incongrua risale al 2012: «nei locali del Credit Suisse a Londra, si incontrano un rappresentante della Segreteria di Stato e un finanziere italiano, Raffaele Mincione», dice il Financial Times riportato da Les Echos. Quest’ultimo avrebbe consigliato: «non investite in un progetto petrolifero in Africa, ma in immobili di lusso a Londra».   Consulenza seguita due anni dopo, nel 2014, «dal trasferimento» – ritenuto fraudolento dai tribunali vaticani – «di 150 milioni di euro dai conti del Credit Suisse e della Banca della Svizzera Italiana di Lugano alla holding» di Raffaele Mincione, consentendo l’investimento in un edificio nella capitale britannica, al 60 Sloane Avenue, continua Les Echos.   Nell’operazione, Raffaele Mincione e diversi suoi collaboratori, tra cui l’imprenditore Gianluigi Torzi, ricevettero ingenti compensi. Ma nel corso dei mesi gli investimenti a Londra – a causa della svalutazione della sterlina, della crisi economica legata al COVID-19 e dell’incertezza legata alla Brexit – hanno registrato numerose perdite. E quelle del Vaticano in particolare.   Il 16 dicembre 2023 Raffaele Mincione, al termine di uno storico processo celebrato in Vaticano, ha ricevuto una condanna a cinque anni e sei mesi di reclusione, e una multa di ottomila euro con l’interdizione dall’esercizio di una funzione pubblica. Il condannato e i suoi complici hanno impugnato la sentenza.

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Nel corso del processo sono stati resi pubblici alcuni rescritti firmati da Francesco: «il Sommo Pontefice ha autorizzato l’uso delle intercettazioni telefoniche», riferisce The Telegraph, nell’ambito dell’inchiesta sull’ex broker, sospettato di azioni fraudolente.   Metodi contestati dall’avvocato di Mincione, citato dal giornale: «questa autorizzazione infondata, concessa ai pubblici ministeri da un monarca assoluto, ha dato il via libera all’attuazione della sorveglianza, senza che venissero fornite motivazioni precise o senza che esistesse un meccanismo per contestare l’attuazione della sorveglianza davanti a un tribunale indipendente e imparziale».   L’avvocato Rodney Dixon, specializzato in diritti umani, ha deciso su questi fatti di sporgere denuncia alle Nazioni Unite contro il successore di Pietro, in quanto «autore» di violazioni dei diritti umani, riferisce The Telegraph il 16 giugno.   Tocca a Margaret Satterwaite, relatrice speciale dell’ONU, esaminare l’ammissibilità di questo ricorso: questo ha poche possibilità di successo poiché la Santa Sede gode di totale immunità ai sensi del diritto internazionale e ha sempre rifiutato di essere un membro effettivo dell’ONU, preferendo la status di osservatore permanente che gli consente – dal 1964 – di far sentire la propria voce, senza essere vincolato da alcuna regolamentazione.   In quanto tale, la posizione della Chiesa nei confronti della politica internazionale trova la sua formulazione giuridica nell’articolo 24 dei Patti Lateranensi, firmati l’11 febbraio 1929:   «La Santa Sede, in relazione alla sovranità che le compete anche nel campo internazionale, dichiara che Essa vuole rimanere e rimarrà estranea alle competizioni temporali fra gli altri Stati ed ai Congressi internazionali indetti per tale oggetto, a meno che le parti contendenti facciano concorde appello alla sua missione di pace, riservandosi in ogni caso di far valere la sua potestà morale e spirituale».   La denuncia presentata dall’avvocato di Raffaele Mincione non può che rassicurare la Santa Sede nel suo rifiuto di diventare membro effettivo dell’ONU, per mantenere la propria indipendenza nei confronti di una struttura il cui spirito progressista non è più da dimostrare.   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.  

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Chiesa cattolica ospita monaci buddisti tibetani per parlare di meditazione non cristiana

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Una chiesa cattolica nello Stato americano dell’Oregon sta promuovendo pratiche di preghiera non cristiane e sta aiutando a raccogliere fondi per un monastero buddista in India.

 

Mercoledì 26 giugno, la parrocchia cattolica della Resurrezione a Tualatin ha ospitato un discorso dei monaci buddisti tibetani sulla «meditazione» non cristiana. L’evento prevedeva una vendita di oggetti artigianali realizzati dai monaci nel tentativo di raccogliere fondi per il loro monastero in India.

 

La parrocchia della Resurrezione si trova nell’arcidiocesi di Portland, Oregon, ed è guidata dall’arcivescovo Alexander Sample, noto per la sua ortodossia e il suo amore per la liturgia tradizionale della Chiesa.

 

L’idea di associare al cattolicesimo pratiche di meditazione non cristiane come lo yoga o il buddismo – anche nella sua variante giapponese, il cosiddetto Zen – è molto radicata in vari gruppi modernisti, anche in Italia.

 

Tale prospettiva era stata condannata da una lettera del 1989 dell’allora prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede Joseph Ratzinger.

 

«Con l’attuale diffusione dei metodi orientali di meditazione nel mondo cristiano e nelle comunità ecclesiali, ci troviamo di fronte ad un acuto rinnovarsi del tentativo, non esente da rischi ed errori, di fondere la meditazione cristiana con quella non cristiana» scriveva il futuro papa nella Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana (15 ottobre 1989).

 

«Le proposte in questo senso sono numerose e più o meno radicali: alcune utilizzano metodi orientali solo ai fini di una preparazione psicofisica per una contemplazione realmente cristiana; altre vanno oltre e cercano di generare, con diverse tecniche, esperienze spirituali analoghe a quelle di cui si parla in scritti di certi mistici cattolici; altre ancora non temono di collocare quell’assoluto senza immagini e concetti, proprio della teoria buddista, sullo stesso piano della maestà di Dio, rivelata in Cristo, che si eleva al di sopra della realtà finita e, a tal fine, si servono di una “teologia negativa” che trascende ogni affermazione contenutistica su Dio, negando che le cose del mondo possono essere una traccia che rinvia all’infinità di Dio».

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«Per questo propongono di abbandonare non solo la meditazione delle opere salvifiche che il Dio dell’Antica e della Nuova Alleanza ha compiuto nella storia, ma anche l’idea stessa del Dio uno e trino, che è amore, in favore di un’immersione “nell’abisso indeterminato della divinità”».

 

«Queste proposte o altre analoghe di armonizzazione tra meditazione cristiana e tecniche orientali dovranno essere continuamente vagliate con accurato discernimento di contenuti e di metodo, per evitare la caduta in un pernicioso sincretismo» scriveva il futuro papa.

 

Papa Francesco ha incontrato spesso delegazioni buddiste, arrivando, durante il suo incontro sincretista in Mongolia l’anno passato, ad esortare i buddisti (e i musulmani, e gli sciamani) a promuovere le loro religioni.

 

Durante il viaggio apostolico del 2015 in Sri Lanka – Paese a maggioranza buddista martoriato da una guerra etnica contro la minoranza Tamil in cui non pochi cattolici hanno perso la vita – sembrò preferire accompagnarsi ai bonzi invece di affrontare la realtà dei cristiani sopravvissuti al massacro finale dei Tamil nel 2009, con sofferenze e atrocità che ancora oggi continuano.

 

Il buddismo tibetano, in particolare, sembra essere totalmente incompatibile con il cristianesimo, essendo basato su pratiche esoteriche, possessioni demoniache e magie sessuali varie.

 

Una storia poco raccontata è quella dei martiri tibetani, cattolici della zona di Yerkalo, in Tibet, che furono trucidati dai monaci buddisti.  Parimenti, pochi noti al grande pubblico – a cui è stata data in pasto da decenni una sceneggiatura hollywoodiana probabilmente architettata dalla CIA – sono i retroscena su vita e opere del Dalai Lama.

 

Per una disanima della questione rinviamo al libro di Roberto Dal Bosco Contro il buddismo (2012).

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Immagine di NIH Image gallery via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0

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Vaticanista americana conferma: il documento per la soppressione della Messa in latino è «serio e reale»

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Il divieto pressoché assoluto della Santa Messa Tradizionale di cui tutti parlano pare essere realtà.   In un articolo per la testata cattolica tradizionalista americana The Remnant, la giornalista vaticana Diane Montagna ha confermato che un documento che limita ulteriormente la Messa latina tradizionale, sostenuto dal Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, è stato «presentato a Papa Francesco».   Secondo «fonti ben informate», se pubblicato, il documento vieterebbe la celebrazione della Messa tridentina a tutti i sacerdoti tranne quelli appartenenti agli  «istituti approvati dall’ex Ecclesia Dei», tra cui la Fraternità Sacerdotale San Pietro (FSSP) e l’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote.   La Montagna ha osservato, tuttavia, che «non è chiaro» se e in quale misura a questi sacerdoti sarà consentito amministrare la forma tradizionale dei sacramenti, tra cui il battesimo e il matrimonio, così come se saranno consentite le ordinazioni sacerdotali tradizionali.   Il documento «proibirebbe ai vescovi stessi di celebrare o autorizzare» la Messa di sempre e «sospenderebbe i permessi esistenti» per la Messa tradizionale oltre a quelli offerti dalle comunità ex-Ecclesia Dei. La Pontificia commissione Ecclesia Dei era il dicastero della Curia Romana per i rapporti con il tradizionalismo cattolico istituito il 2 luglio 1988 da papa Giovanni Paolo II dopo le ordinazioni episcopali del 1988 da parte di monsignor Marcel Lefebvre e soppresso il 17 gennaio 2019 da papa Francesco.

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Le fonti della Montagna affermano che non è stata decisa una data di pubblicazione, ma che il suo «rischio» è «serio, reale e potenzialmente imminente». Sarà un duro colpo, persino devastante, per i fedeli che contano sulla loro diocesi per la Messa in latino. Alcuni, è riportato, si sono persino trasferiti dall’altra parte del Paese con le loro famiglie principalmente per partecipare alla messa tradizionale.   La Fraternità San Pio X (FSSPX), la «madre» di questi ex istituti Ecclesia Dei, non ne sarà toccata, poiché ha sempre riconosciuto che i prelati vaticani non hanno l’autorità di limitare la Messa dei secoli, codificata nel 1570, con il Canone Romano ricondotto agli stessi Apostoli.   Lo stesso papa Benedetto XVI ha chiarito attraverso il suo motu proprio Summorum Pontificum che la messa latina non è mai stata abolita e che nessun sacerdote ha bisogno del permesso del suo vescovo per celebrarla.   Seguendo il motu proprio originale di Papa Francesco che limitava la messa in latino, Traditionis Custodes, il cardinale Raymond Burke ha affermato che la liturgia tradizionale non è qualcosa che può essere ignorato come «espressione valida della lex orandi», anche dal papa stesso.   «Si tratta di una realtà oggettiva della grazia divina che non può essere modificata da un semplice atto di volontà anche della più alta autorità ecclesiastica», scriveva il cardinale nel 2021.   Montagna ha osservato che il cardinale Parolin, che è l’«architetto» dell’accordo segreto tra Vaticano e Cina e che si dice sostenga l’imminente soppressione della Messa vetus ordo, aveva raccomandato durante un incontro del gennaio 2020 presso l’allora Congregazione per la Dottrina della Fede che la CDF «richiedesse ai gruppi sacerdotali tradizionali di fornire un segno concreto di comunione che riconoscesse la validità del novus ordo e dimostrasse chiaramente che sono “nella Chiesa”».   Come scritto da Renovatio 21, la soppressione finale della Messa in latino arriva esattamente nel momento in cui monsignor Carlo Maria Viganò, divenuto inesausto critico del Concilio Vaticano II e campione della Messa di sempre, è stato messo sotto processo dal Dicastero per la Dottrina della Fede.   In vista della legge draconiana neocattolica contro la Messa, colpire un vescovo per educarne 5340?

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