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Geopolitica

Il Sudafrica si è rifiutato di firmare il «Comunicato di pace» della Svizzera e dell’Ucraina, dimostrando che viola la Carta ONU

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Citando il fatto che il Sudafrica non ha potuto parlare nella sessione plenaria della cosiddetta conferenza di pace in Ucraina del 15 e 16 giugno, Sydney Mufamadi, consigliere per la sicurezza nazionale della Repubblica del Sud Africa, al «Vertice di alto livello sulla pace per l’Ucraina», ha rilasciato una dichiarazione del Ministero degli Esteri sul motivo per cui il governo sudafricano non ha firmato il comunicato finale della conferenza di Bürgenstock, in Svizzera.

 

Il Mufamadi ha aperto affermando che «il Sudafrica ha cercato, accettando l’invito ad aderire al processo della Formula di Pace in Ucraina, di aiutare a cambiare la direzione di questo conflitto contribuendo alla riduzione dell’escalation e ad un processo inclusivo di dialogo che aiuterebbe a portare la pace. Questo obiettivo ha informato la partecipazione del Sudafrica all’Iniziativa di pace africana, che era un mezzo per fare la spola tra le parti per favorire il dialogo».

 

«Dobbiamo concentrarci sulla creazione delle condizioni per il dialogo, per costruire la fiducia tra le parti, impegnandoci con entrambe le parti. I nostri sforzi dovrebbero concentrarsi sull’impegno nel dialogo, sulla sua promozione e sulla promozione di misure per porre fine alla guerra, non per gestire la guerra».

 

Riguardo le due ragioni per non firmare il comunicato, Mufamadi ha insistito innanzitutto sul fatto che «è sorprendente che a questa conferenza Israele sia presente e partecipi, solo pochi giorni dopo che un credibile comitato di alto livello nominato dalle Nazioni Unite ha scoperto di aver, tra la commissione di altri crimini atroci, commise il reato di sterminio».

 

«Questo rapporto viene redatto nel contesto dei processi presso l’ICJ in cui Israele, accusato di genocidio, ha volontariamente violato gli ordini provvisori vincolanti dell’ICJ e del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e ha continuato a massacrare i palestinesi senza restrizioni» ha sottolineato il funzionario sudafricano. «La presenza e la partecipazione di Israele qui oggi, e la sua sottoscrizione di un comunicato che mette in primo piano il rispetto del diritto internazionale, contraddicono l’affermazione secondo cui questo processo si fonda sui principi della Carta, dei diritti umani e del diritto internazionale».

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«Il Sudafrica ha sostenuto l’applicazione uniforme dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale», e quindi «l’incapacità di attuare in modo uniforme ed equo il diritto internazionale in tutte le situazioni di conflitto a livello globale indebolisce il quadro normativo della responsabilità internazionale e rende il mondo meno sicuro per tutti».

 

«Il linguaggio adottato nel comunicato per quanto riguarda la minaccia o l’uso di armi nucleari restringe il divieto al solo contesto ucraino» ha continuato il diplomatico sudafricano. «Questa è una posizione a cui il Sudafrica si è fermamente opposto in altre sedi che si occupano di questa questione: il divieto si applica a livello globale e il Sudafrica continuerà a essere uno dei principali sostenitori del divieto totale della minaccia o dell’uso delle armi nucleari in qualsiasi contesto».

 

Come riportato da Renovatio 21, sei mesi fa il Sudafrica ha presentato ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) dell’Aia, sostenendo che le azioni israeliane a Gaza costituiscono un «genocidio» e chiedendo «misure provvisorie» per fermarlo, ha annunciato venerdì la massima corte delle Nazioni Unite.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Sudafrica aveva già cercato di accusare Israele di crimini di guerra davanti alla Corte Penale Internazionale (CPI). Israele non è una delle parti firmatarie della CPI, ma il tribunale – anch’esso con sede all’Aia – ha precedentemente dichiarato di avere giurisdizione su Gaza e sulla Cisgiordania.

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Immagine di Simon Walker / No 10 Downing Street via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic

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Geopolitica

Orban: il piano dell’UE per rubare i beni russi costituisce una «dichiarazione di guerra»

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Qualsiasi tentativo da parte dell’Unione Europea di confiscare i fondi russi congelati senza l’approvazione di Budapest e in contrasto con il diritto europeo rappresenterebbe una «dichiarazione di guerra», ha dichiarato il primo ministro ungherese Viktor Orban.   La settimana scorsa, l’UE ha approvato il mantenimento a tempo indeterminato del congelamento dei beni della banca centrale russa, ricorrendo a poteri di emergenza per bypassare il requisito di unanimità, nonostante le opposizioni di alcuni Stati membri.   La Commissione Europea, guidata dalla presidente Ursula von der Leyen, intende impiegare i circa 210 miliardi di euro per finanziare un «prestito per riparazioni» destinato a Kiev, un’iniziativa contrastata da vari Paesi, inclusi Ungheria e Slovacchia. La Russia ha definito illegale il congelamento e ha qualificato come «furto» qualsiasi impiego dei fondi, minacciando ripercussioni economiche e legali.   In un post sui social media, Orbanha affermato sabato che i responsabili UE stanno tentando di appropriarsi dei beni russi congelati «aggirando l’Ungheria» e «violando il diritto europeo alla luce del sole», un’azione che, secondo lui, equivarrebbe a una «dichiarazione di guerra», accusando Bruxelles di protrarre il conflitto, precisando che l’Ungheria «non parteciperà» a quello che ha descritto come uno schema «contorto».

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«Non ho mai visto un sequestro di 200-300 miliardi di euro da parte di un Paese che non abbia provocato qualche tipo di reazione», ha aggiunto lo Orban.   Secondo il premier ungherese, «sono tre i tedeschi a comandare». Ha puntato il dito contro il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il capogruppo del Partito Popolare Europeo Manfred Weber e von der Leyen, rei di aver guidato l’UE «in un vicolo cieco» o «dritta contro un muro».   La proposta di voto avanzata da von der Leyen ha riqualificato la gestione dei beni russi congelati come emergenza economica anziché politica sanzionatoria, permettendo alla Commissione di applicare l’articolo 122 dei trattati UE per decidere a maggioranza qualificata invece che all’unanimità, eludendo così possibili veti.   Anche il Belgio, dove è custodita la maggior parte dei fondi, ha espresso riserve per i potenziali rischi legali e finanziari. Il congelamento indefinito è concepito in parte per esercitare pressione su Bruxelles e ottenere il suo appoggio al piano UE di utilizzo dei fondi russi.    

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Immagine di Elekes Andor via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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Geopolitica

Trump annuncia attacchi terrestri in Venezuela «presto»

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato che gli USA potrebbero avviare «molto presto» operazioni terrestri contro presunte reti di narcotraffico collegate al Venezuela, dopo aver quasi completamente interrotto i flussi di stupefacenti via mare. Caracas ha respinto con forza ogni accusa di legami con i cartelli della droga.

 

Parlando venerdì con i giornalisti alla Casa Bianca, Trump ha annunciato che il traffico di droga marittimo legato al Venezuela è calato del 92%, sostenendo che le forze americane stanno «eliminando la droga a livelli mai visti prima». «Abbiamo bloccato il 96% degli stupefacenti che arrivavano via mare», ha precisato, per poi aggiungere: «Presto le operazioni inizieranno anche sulla terraferma».

 

Il presidente statunitense non ha tuttavia fornito indicazioni su eventuali obiettivi o sull’estensione di tali azioni.

 

Da settembre le forze USA hanno intensificato sensibilmente la presenza militare nei Caraibi e nel Pacifico orientale, conducendo oltre 20 interventi contro imbarcazioni sospette di traffico di droga e causando la morte di decine di persone. Trump ha affermato che queste operazioni hanno salvato decine di migliaia di vite americane, impedendo l’ingresso di narcotici nel Paese.

 

Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha sempre rigettato le accuse di Trump su presunti rapporti tra Caracas e i narcocartelli, sostenendo che Washington utilizzi la campagna antidroga come pretesto per destabilizzare e rovesciare il suo governo.

 

Come riportato da Renovatio 21, Maduro, che avrebbe offerto ampie concessioni economiche agli USA per restare al potere, sarebbe stato oggetto di un tentativo di rapimento tramite il suo pilota personale.

 

Il Venezuela ha stigmatizzato il rinforzo militare come violazione della sovranità e tentativo di golpe. Il governo venezuelano starebbe cercando appoggio da Russia, Cina e Iran. Mosca ha di recente riaffermato la sua alleanza con Caracas, esprimendo pieno sostegno alla leadership del Paese nella difesa della propria integrità. Mosca ha accusato il mese scorso Washington di preparare il golpe in Venezuela.

 

Questa settimana le autorità statunitensi hanno sequestrato anche la petroliera Skipper al largo delle coste venezuelane, una nave cargo che secondo gli USA trasportava petrolio dal Venezuela e dall’Iran. Le autorità di Caracas hanno condannato l’operazione definendola «furto manifesto» e «pirateria navale criminale».

 

Come riportato da Renovatio 21, nel frattempo, la Russia – da tempo alleata stretta del Venezuela – ha rinnovato pubblicamente il suo sostegno a Maduro. Secondo il Cremlino, il presidente Vladimir Putin «ha espresso solidarietà al popolo venezuelano e ha ribadito il proprio appoggio alla ferma determinazione del governo Maduro nel difendere la sovranità nazionale e gli interessi del Paese dalle ingerenze esterne». I due leader hanno inoltre confermato l’impegno a dare piena attuazione al trattato di partenariato strategico siglato a maggio.

 

Trump nelle scorse settimane ha ammesso di aver autorizzato le operazioni CIA in Venezuela. Di piani CIA per uccidere il presidente venezuelano il ministro degli Interni del Paese aveva parlato lo scorso anno.

 

Come riportato da Renovatio 21, Maduro aveva denunciato l’anno scorso la presenza di mercenari americani e ucraini in Venezuela. «Gli UA finanziano Sodoma e Gomorra» aveva detto.

 

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Geopolitica

La Slovacchia «non sosterrà nulla» che contribuisca a prolungare il conflitto in Ucraina

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Il primo ministro slovacco Robert Fico ha annunciato che la Slovacchia si opporrà a qualsiasi misura che permetta di impiegare i beni russi congelati per fornire armi all’Ucraina, mettendo in guardia sul fatto che ulteriori sostegni militari non farebbero che protrarre l’«insensata uccisione quotidiana di centinaia di migliaia di russi e ucraini».   In seguito all’escalation del conflitto nel 2022, gli alleati occidentali di Kiev hanno bloccato circa 300 miliardi di dollari di asset della banca centrale russa, in gran parte depositati nell’UE. Da quel momento è divampata una disputa tra i Paesi intenzionati a usare tali fondi come collaterale per un «prestito di riparazione» a favore di Kiev e quelli che si oppongono fermamente. La decisione finale spetterà ai membri dell’UE nel voto previsto per la prossima settimana.   Fico, da sempre critico del piano, ha illustrato la propria posizione in dettaglio in una lettera inviata all’inizio della settimana al Presidente del Consiglio europeo António Costa. In un post su X pubblicato venerdì, ha riferito di aver poi avuto un colloquio telefonico con Costa, durante il quale ha ribadito il suo rifiuto all’invio di armi a Kiev. Fico ha dichiarato di aver avvertito che proseguire con i finanziamenti prolungherebbe le ostilità e accrescerebbe le vittime, mentre Costa «ha parlato solo di soldi per la guerra».   «Se per l’Europa occidentale la vita di un russo o di un ucraino non vale un cazzo, non voglio far parte di un’Europa occidentale del genere», ha affermato Fico. «Non appoggerò nulla, anche se dovessimo restare a Bruxelles fino al nuovo anno, che comporti il sostegno alle spese militari dell’Ucraina».  

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Vari Stati membri dell’UE hanno manifestato riserve sul programma di prestiti, evidenziando rischi di natura legale e finanziaria. Secondo Politico, venerdì Italia, Belgio, Bulgaria e Malta hanno sollecitato la Commissione europea a considerare opzioni alternative al sequestro degli asset, quali un meccanismo di prestito comunitario o soluzioni temporanee. Obiezioni sono arrivate anche da Ungheria, Germania e Francia.   Venerdì la Commissione Europea ha dato il via libera a una norma controversa che potrebbe prorogare indefinitamente il congelamento dei beni russi, qualificando la materia come emergenza economica e non come misura sanzionatoria. Questo passaggio è interpretato come propedeutico all’attuazione del «prestito di riparazione», in quanto permette decisioni a maggioranza qualificata invece che all’unanimità, eludendo così i veti dei Paesi dissidenti.   Mosca ha stigmatizzato come illegittimo ogni tentativo di appropriarsi dei suoi asset. La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha affermato questa settimana che, con il programma di «prestiti di riparazione», l’Europa sta adottando un comportamento «suicida». Riferendosi al voto di venerdì, ha etichettato l’UE come «truffatori».

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
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