Politica
Il Senegal mette al bando il partito di opposizione – la tentazione totalitaria delle «democrazie» è oramai ovunque
Il governo senegalese ha sciolto i Patriotes africains du Sénégal pour le travail, l’éthique et la fraternité (PASTEF), cioè il partito del leader dell’opposizione Ousmane Sonko, accusando la coalizione di radunare sostenitori di «movimenti insurrezionali».
Il ministero dell’Interno senegalese ha affermato in un comunicato che le frequenti proteste violente, autorizzate dal partito, hanno provocato «gravi» ripercussioni, tra cui molti morti e feriti, oltre a saccheggi e distruzione di proprietà. «Gli ultimi sono i gravi disordini all’ordine pubblico registrati nella prima settimana di giugno 2023, dopo quelli di marzo 2021» scrive la dichiarazione.
L’annuncio è arrivato dopo che Sonko è stato arrestato e accusato di nuovi reati, inclusa la pianificazione di un’insurrezione, e detenuto nella prigione di Sebikotane.
I sostenitori del leader dell’opposizione sono scesi lunedì nelle strade di Dakar e Ziguinchor, scontrandosi con la polizia mentre accusavano le autorità di aver tentato di mettere da parte il loro candidato in vista delle elezioni presidenziali del febbraio 2024.
Il ministro dell’Interno senegalese Antoine Felix Abdoulaye Diome ha dichiarato che «due corpi maschili senza vita» sono stati scoperti dopo le proteste di lunedì a Ziguinchor.
A giugno, la violenza è esplosa in tutto il paese, uccidendo almeno 16 persone dopo che Sonko è stato condannato a due anni di reclusione per comportamento immorale nei confronti di persone di età inferiore ai 21 anni. Tuttavia, non è stato messo in prigione.
Il partito PASTEF ha accusato il governo del presidente Macky Sall di essere impegnati in una caccia alle streghe politica, invitando i manifestanti a scendere in piazza per opporsi ai tentativi di intimidire Sonko affinché non si candidi alle elezioni presidenziali di febbraio.
Già lunedì il ministero dell’Interno ha affermato che le azioni del partito di opposizione costituiscono una «violazione grave e permanente degli obblighi dei partiti politici» ai sensi della costituzione del Paese.
Un portavoce del PASTEF è stato citato da Reuters dicendo che il partito «attaccherà questa decisione, il popolo senegalese resisterà».
Le preoccupazioni per ulteriori violenze dopo l’arresto del leader dell’opposizione lunedì hanno spinto le autorità a limitare l’accesso a Internet nell’ex colonia francese per impedire la diffusione di «messaggi di odio» – un’idea che accomuna oramai la Casa Bianca (che ha spinto i social media alla censura), l’ONU e l’Unione Europea.
Nel frattempo, possenti proteste scuotono il Paese.
Anti-French protests have swept Senegal ???????????????? https://t.co/T80HbrM6JF
— Jackson Hinkle ???????? (@jacksonhinklle) August 3, 2023
Il Senegal si aggiunge al pattern dei Paesi dove l’esistenza stessa di un’opposizione politica è oramai vista come qualcosa cui si può rinunciare – magari continuando pure a fregiarsi del titolo di «democrazia».
Il Paese principe di questa tendenza è ovviamente l’Ucraina, che l’anno passato ha messo al bando 11 parti dell’opposizione, tra cui il principale.
Come riportato da Renovatio 21, poche settimane fa è stato il turno della Moldavia, che ha vietato il principale partito avversario della compagine di governo.
Echi di questa nuova tentazione delle cosiddette «democrazie» erano chiarissimi nel famigerato discorso di Philadelphia di Joe Biden, un tetro comizio chiamato anche «Dark Brandon speech». In una scenografia inquietante, che ricordava un po’ le creazioni di Albert Speer per il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi e un po’ l’Impero di Guerre Stellari, attorniato da Marines, Biden aveva attaccato in modo disturbante l’esistenza di un’opposizione che non si piegava alla sua volontà.
«Donald Trump e i repubblicani MAGA rappresentano un estremismo che minaccia le fondamenta stesse della nostra repubblica», disse Biden leggendo dal teleprompter. Tali MAGA «accendono le fiamme della violenza politica».
In realtà, il discorso stesso pareva preludere ad una violenza del potere verso la sua opposizione ora giudicata inservibile, illegittima. Attacchi contro esponenti conservatori di tutti i tipi (dal padre di famiglia pro life all’avvocato di Trump, a, ovviamente lo stesso biondo ex presidente) sarebbe in effetti poi arrivati tramite raid dell’FBI e accuse di procuratori guidati dal Dipartimento di Giustizia dell’amministrazione Biden.
Un simile concetto di liquidazione delle opposizioni irriformabili lo abbiamo visto in Italia con il COVID e il green pass, la persecuzione dei no-vax, lo spegnimento delle loro manifestazioni (e, ovviamente, dei loro diritti), l’apartheid biotica realizzata .
Si tratta di una mutazione consistente della cosiddetta «democrazia liberale» – o forse, la caduta della sua maschera: l’avvento del monopartito, una forza unica che decide tutto, che si fonde con lo Stato stesso – uno Stato-partito, dove la scelta elettorale per qualsiasi altro movimento, qualora venga lasciato cosmeticamente in vita, è risaputa essere una cosa inutile.
Il monopartito e la sua violenza, ovviamente, sono – dall’Italia del PNF all’URSS alla Germania di Hitler –prerogativa dello Stato totalitario.
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Politica
I detenuti minacciano Sarkozy e giurano vendetta vera per Gheddafi
Un video girato con un cellulare nella prigione parigina La Santé sembra mostrare che i detenuti hanno minacciato l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy di vendicare la morte del defunto leader libico Muammar Gheddafi.
Sarkozy, 70 anni, ha iniziato a scontare la sua condanna a cinque anni martedì, dopo che un tribunale di Parigi lo ha dichiarato colpevole di associazione a delinquere finalizzata a finanziare la sua campagna presidenziale del 2007 con denaro di Gheddafi, contro il quale in seguito guidò un’operazione di cambio di regime sostenuta dalla NATO che distrusse la Libia e portò alla morte di Gheddafi.
Martedì hanno iniziato a circolare video ripresi da La Sante, in cui presunti detenuti minacciavano e insultavano Sarkozy, che sta scontando la sua pena nell’ala di isolamento del carcere.
«Vendicheremo Gheddafi! Sappiamo tutto, Sarko! Restituisci i miliardi di dollari!», ha gridato un uomo in un video pubblicato sui social media. «È tutto solo nella sua cella. È appena arrivato… se la passerà brutta».
A viral video shows a prisoner confronting Nicolas Sarkozy, saying, “We’ll avenge Gaddafi. Give back the billions.” The former French president, jailed for conspiracy, is accused of taking Libyan money before leading NATO’s 2011 war that killed Gaddafi. pic.twitter.com/KlAISnFVSX
— comra (@comrawire) October 22, 2025
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Il ministro degli Interni francese Laurent Nunez ha sottolineato che, a causa del pericolo, due agenti di polizia della scorta di sicurezza assegnata agli ex presidenti saranno di stanza in modo permanente nelle celle adiacenti a quella di Sarkozy.
«L’ex presidente della Repubblica ha diritto alla protezione in virtù del suo status. È evidente che sussiste una minaccia nei suoi confronti, e questa protezione viene mantenuta durante la sua detenzione», ha dichiarato Nunez mercoledì alla radio Europe 1.
Sarkozy, che ha guidato la Francia tra il 2007 e il 2012, ha negato tutte le accuse a suo carico, sostenendo che siano di matrice politica. Il suo team legale ha presentato una richiesta di scarcerazione anticipata, in attesa del procedimento di appello.
L’inchiesta su Sarkozy è iniziata nel 2013, in seguito alle affermazioni del figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, secondo cui suo padre aveva fornito alla campagna dell’ex presidente circa 50 milioni di euro.
A dicembre 2024, la Corte Suprema francese ha confermato una condanna del 2021 per corruzione e traffico di influenze, imponendo a Sarkozy un dispositivo elettronico per un anno. È stato anche condannato per finanziamento illecito della campagna per la rielezione fallita del 2012, scontando la pena agli arresti domiciliari.
Nel 2011, Sarkozy ha avuto un ruolo di primo piano nell’intervento della coalizione NATO che ha portato alla cacciata e alla morte di Gheddafi, facendo sprofondare la Libia in un caos dal quale non si è più risollevata.
Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del 2025 gli era stata revocata la Legion d’Onore. In Italia alcuni hanno scherzato dicendo che ora «Sarkozy non ride più», un diretto riferimento a quando una sua risata fatta con sguardo complice ad Angela Merkel precedette le dimissioni del premier Silvio Berlusconi nel 2011 e l’installazione in Italia (sotto la ridicola minaccia dello «spread») dell’eurotecnocrate bocconiano Mario Monti.
Nell’affaire Gheddafi finì accusata di «falsificazione di testimonianze» e «associazione a delinquere allo scopo di preparare una frode processuale e corruzione del personale giudiziario» anche la moglie del Sarkozy, l’algida ex modella torinese Carla Bruni, la quale, presentatole il presidente dall’amico comune Jacques Séguela (pubblicitario autore delle campagne di Mitterand e Eltsin) secondo la leggenda avrebbe confidato «voglio un uomo dotato della bomba atomica».
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Politica
Il Giappone elegge una donna conservatrice come primo ministro
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Politica
Elezioni in Bolivia, il Paese si sposta a destra
Domenica si è svolto in Bolivia il ballottaggio per le elezioni presidenziali, che ha visto contrapporsi due candidati di destra: il senatore centrista Rodrigo Paz Pereira e l’ex presidente conservatore Jorge Quiroga.
I risultati preliminari indicano che Paz ha ottenuto il 54,6% dei voti, mentre Quiroga si è fermato al 45,4%. Sebbene sia prevista un’analisi manuale delle schede, è improbabile che il risultato definitivo differisca significativamente dal conteggio iniziale, basato sul 97% delle schede scrutinate.
Le elezioni segnano la fine del ventennale dominio del partito di sinistra Movimiento al Socialismo (MAS), che ha subito una pesante sconfitta nelle elezioni di fine agosto. Il presidente uscente Luis Arce – che ha recentemente accusato gli USA di controllare l’America latina sotto la maschera della «guerra alla droga» – non si è ricandidato, e il candidato del MAS, il ministro degli Interni Eduardo del Castillo, ha raccolto solo il 3,16% dei voti, superando di poco la soglia necessaria per mantenere lo status legale del partito.
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Nel primo turno, la destra ha dominato: Paz ha ottenuto il 32,1% dei voti e Quiroga il 26,8%. Il magnate di centro-destra Samuel Doria Medina, a lungo favorito nei sondaggi, si è classificato terzo con il 19,9% e ha subito appoggiato Paz per il ballottaggio.
Entrambi i candidati hanno basato la loro campagna sullo smantellamento dell’eredità del MAS, differendo però nei metodi. Paz ha promesso riforme graduali, mentre Quiroga ha sostenuto cambiamenti rapidi, proponendo severe misure di austerità per affrontare la crisi.
Il MAS non si è mai ripreso dai disordini del 2019, quando l’ex presidente Evo Morales fu deposto da un colpo di Stato subito dopo aver ottenuto un controverso quarto mandato. In precedenza, Morales aveva perso di misura un referendum per modificare la norma costituzionale che limita a due i mandati presidenziali e vicepresidenziali. Più di recente, Morales ha accusato tentativi di assassinarlo ed è entrato in sciopero della fame, mentre i suoi sostenitori hanno dato vita ad una ribellione. Il Morales, recentemente accusato anche di stupro (accuse che lui definisce «politiche»), in una lunga intervista aveva detto che dietro il suo rovesciamento nel 2019 vi erano «la politica dell’impero, la cultura della morte» degli angloamericani.
Il colpo di Stato portò al potere la politica di destra Jeanine Áñez, seconda vicepresidente del Senato. Tuttavia, il MAS riconquistò terreno nelle elezioni anticipate dell’ottobre 2020, mentre Áñez fu incarcerata per i crimini commessi durante la repressione delle proteste seguite al golpe.
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Il passaggio storico è stato definito da alcuni come la prima «guerra del litio», essendo il Paese ricco, come gli altri Stati limitrofi, della sostanza che rende possibile la tecnologia di computer, telefonini ed auto elettriche.
Come riportato da Renovatio 21, un tentato colpo di Stato vi fu anche l’anno scorso quando la polizia militare e veicoli blindati hanno circondato il palazzo del governo nella capitale La Paz.
Sotto il presidente Arce la Bolivia si era avvicinata ai BRICS e aveva iniziato a commerciare in yuan allontanandosi dal dollaro.
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